mercoledì, Aprile 30, 2025
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Douglas C-54D Skymaster dal kit Revell in scala 1/72.

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Il C-54D nasce come versione militare del quadrimotore civile DC-4 e fu sviluppato a partire dal 1943 come un monoplano ad ala bassa con fusoliera a sezione circolare dalla struttura interamente metallica, fatta eccezione delle superfici mobili quali timone, alettoni e equilibratori in tela. Le gondole dei motori ospitavano quattro Pratt & Whitney R-2000, radiali  a 14 cilindri, disposti in doppia stella, che azionavano eliche tripala Hamilton Standard a passo variabile. Le due più vicine alla fusoliera ospitavano l’elemento posteriore del carrello d’atterraggio che era del tipo triciclo anteriore.

Lo Skymaster fu concepito come velivolo da trasporto medio-pesante subito dopo l’attacco di Pearl Harbor quando per necessità l’US War Department fu costretto a requisire i primi 34 velivoli civili prodotti dalla Douglas. Di fatto la variante passeggeri denominata DC-4 fu introdotta solo dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale.

La sua carriera lo vide operativo su tutti i fronti del conflitto; fu, inoltre, utilizzato come aereo personale dal Presidente degli Stati Uniti Roosevelt e dal primo ministro inglese Winston Churchill. Dopo la WW2 oltre 300 dei velivoli rimasti nei reparti furono richiamati dai vari teatri per prendere parte al ponte aereo di Berlino del 1948.

Montaggio:

Ho iniziato la costruzione staccando dagli sprue e pulendo da piccole sbavature i numerosissimi pezzi che compongono gli interni di questo grosso quadrimotore. Ci vuole un po’ di pazienza considerando che tutti gli elementi in foto quali i sedili, il quadro strumenti, cloche, paratie e gruppi radio sono composti a loro volta da almeno 4/5 parti ciascuno.F

In questa prima fase ho steso i colori di fondo: Interior Green H-58 Gunze per le pareti della fusoliera, Neutral Grey XF-53 Tamiya per il pavimento della cabina di pilotaggio e della zona cargo. Le panche laterali sono in rosso Vallejo, stesso colore utilizzato anche sugli estintori nel vano radio. Con i vinilici ho anche completato i vari dettagli del cockpit e dei sedili per i piloti.   A seguire ho lucidato tutti i pezzi con il trasparente Mr.Paint che è facile da stendere ed asciuga già dopo mezz’ora.

Attesa l’asciugatura del Clear ho eseguito i lavaggi con i miei fidati colori ad olio, in particolare il Bruno Van Dyck sull’Interior Green e un grigio non troppo scuro sul Neutral Grey. Su alcune zone ho voluto insistere con un po’ di invecchiamento e texturizzazione mediante colori vinilici e spugnette per ricreare i segni di usura e del calpestio. Purtroppo una volta finito il modello di questi effetti si vedrà ben poco, anzi praticamente nulla.  F

Prima di chiudere le semi-fusoliere devono essere incollati tutti i trasparenti laterali; gli oblò sono stampati in un sol pezzo e risultano abbastanza complicati da incastrare correttamente, per questo vi consiglio di dividerli e fissarli uno ad uno singolarmente. Inoltre è bene ripulire con cura da piccoli residui di stampa tutti gli scassi in fusoliera per i finestrini (le bave di plastica, purtroppo, creano spessori indesiderati).

Quando unirete il cockpit al resto della cabina assicuratevi di non incollare le due pareti laterali del vano carrello anteriore, quelle indicate nella foto seguente dalla freccia. Le istruzioni suggeriscono di assemblarle subito al pavimento, ma possono essere aggiunte anche dopo l’unione della carlinga agevolandone l’allineamento.F

La Revell indica di inserire una zavorra di ben 70g per evitare che il modello si sieda sulla coda una volta terminato. A tal scopo c’è un grande spazio libero sotto il pavimento della cabina in prossimità delle cuccette e dell’operatore radio, sfruttatelo al massimo!

Personalmente, nonostante abbia riempito di pesi la zona, non sono riuscito a bilanciare il mio Skymaster…. più avanti nell’articolo vedrete.  

Passo, ora, alle ali: per poter realizzare i flap in posizione estesa è necessario eliminare una porzione della semi ala inferiore in corrispondenza dell’alloggiamento dell’ipersostentatore e inserire il pezzo supplementare che vedete in foto (numero D108 e D109 sulla stampata). Il taglio l’ho eseguito con un incisore sottile e molta attenzione ma, nonostante tutto, la morbidezza della plastica non ha agevolato l’operazione e ho dovuto rifinire il tutto con ciano acrilica usata come stucco.

Le griglie dei radiatori dell’olio vanno inserite in appositi alloggiamenti prima di incollare i propulsori. Il loro spessore è un po’ pronunciato e questo crea un’interferenza con i pezzi che rappresentano le paratie tagliafiamma.

Per evitare problemi vi consiglio di sagomare una piccola sezione della circonferenza con una lima a “mandorla”, come indicato nella foto, e ripetere la procedura sui quattro pezzi:

L’unione delle semi ali e relative gondole motori, all’apparenza semplice, si è rivelata abbastanza complessa a causa dell’alto numero di pannellature da reincidere dopo le necessarie stuccature e carteggiature delle giunzioni; del resto la livrea in Natural Metal finale non lascia scampo neanche alla più piccola imperfezione.

Ogni Pratt & Whitney è composto di otto parti, nove se si contano le eliche, dieci se si considerano le naca, undici se si mettono in conto anche i flabelli. Come avrete capito ci sono una marea di pezzi da pulire da bave di plastica.

Una parte davvero difficile da rifinire è il terminale dello scarico di ogni motore poiché di ridotte dimensioni; per agevolarmi il compito ho deciso di imperniare ogni tubo con un ago di siringa in modo da poterlo maneggiare con più facilità.

Ho deciso di aggiungere un solo (si fa per dire e capirete perché) dettaglio ai motori riproducendo i cavi delle candele. Essendo dei radiali a 14 cilindri erano provvisti di 28 cavi ciascuno che ho simulato con del filo di rame recuperato da un auricolare rotto, di diametro da 0.1 o 0.15 – sottile quasi quanto un capello e perfettamente in scala.

Realizzare i fori per inserire i 28 cavi non è stato fattibile per via del ridotto spazio a disposizione, per questo ho optato per forarne solo la metà e trovare un piccolo escamotage: ho tagliato un lungo filo di rame che ho piegato a metà facendo un piccolo cappio; ho inserito questa estremità nel foro passante dalla faccia frontale del cilindro e tirandola da dietro. Ho fermato il tutto con una goccia di ciano sul retro e, girando la stella, dall’altra parte mi sono trovato, di fatto, due capi di filo per ogni foro.  Non è fedele al 100% ma credo sia una soluzione più che onesta!

Vi do un secondo consiglio: la sequenza di montaggio dei Pratt & Whitney R2000-9 prevede un primo assemblaggio dei pezzi indicati con le frecce rosse che corrispondono:

1) Al secondo anello di cilindri.

2) Ai collettori di scarico di questo secondo anello.

Dopo alcune prove a secco da cui ho capito che allineare i pezzi secondo quanto suggerito dalle istruzioni è alquanto scomodo e dal risultato incerto, ho deciso di sovvertire la sequenza e di montare prima tutto il blocco dei cilindri (indicati dalle frecce in verde) e, solo dopo, aggiungere i collettori di scarico e le aste dei bilancieri (evidenziati dalle frecce in rosso). Il pezzo contrassegnato dalla freccia in giallo, che comprende le aste della stella frontale, i magneti e il mozzo dell’elica, è stato l’ultimo ad essere assemblato al resto dell’insieme.

Per ciò che riguarda la loro verniciatura ho dapprima applicato il Gunze Mr.Finishing Black 1500, poi ho steso su tutto l’Alclad White Aluminium.

Non sono un grande fan dei lavaggi pronti, l’unica eccezione che mi concedo è un panel liner nero della Mig che utilizzo quando non occorre la stessa qualità e modulazione che solo i colori ad olio riescono a dare. Il pigmento, purtroppo, non è stato trattenuto a dovere dai dettagli a causa della loro stampa poco definita, ma è comunque riuscito a dare profondità alle lamelle di raffreddamento dei cilindri e agli altri elementi.

A questo punto sono tornato ad occuparmi della fusoliera e, in particolar modo, del portellone di carico che è fornito separato (per essere rappresentato aperto) e, purtroppo, non brilla come qualità degli incastri. Ho dovuto impiegare molto stucco e tanta pazienza per raccordare al meglio il pezzo con conseguente, noiosa, operazione di reincisione delle pannellature andate perdute.

Per pareggiare i dislivelli è stato necessario, mio malgrado, eliminare anche le cerniere originali stampate. Le ho ripristinate in seguito ricreandole con del Plasticard.

Ad ogni modo se optate per chiudere il vano di carico rimuovete la sezione interna della cabina (in foto qui sotto), quella che riveste le pareti della fusoliera. Questo pezzo fa sì che il portello non si incastri a dovere nell’alloggiamento e lo spinge verso l’esterno vanificando qualsiasi tipo di allineamento.

Anche il muso forma un piccolo scalino rispetto al resto della fusoliera. Che ho ridotto carteggiando la superficie. Ancora una volta, ho dovuto ripristinare le pannellature che in questa zona sono abbastanza tediose da reincidere (a causa delle forme curve).

La strumentazione superiore del cockpit ha ricevuto un trattamento essenziale perché anch’essa praticamente non si vedrà. Il trasparente anteriore combacia bene con il resto della fusoliera ma non fate l’errore che ho fatto io di incollarlo con una quantità minima di collante perché, inevitabilmente, esso tenderà a cedere a seguito delle numerose compressioni e torsioni a cui viene sottoposta la fusoliera durante le varie fasi del montaggio.

I finestrini laterali del parabrezza, nella parte inferiore, hanno dei frame sottilissimi per cui prestate attenzione quando andrete a raccordarli con la carlinga: utilizzate uno stucco liquido ed evitate accuratamente di sporcare la parte interna con infiltrazioni non volute. 

L’unione delle ali alla fusoliera presenta un’altra criticità:

Passato il primo momento di sconforto ho iniziato a studiare un metodo per riempire le vistose fessure; osservando le foto del velivolo reale mi son reso conto del suo diedro alare molto accentuato. A questo punto ho incollato una striscia di nastro adesivo tendendo le tip delle semi ali verso l’alto e, contemporaneamente, ho passato sulla giunzione delle abbondanti spennellate di Tamiya Extra Thin Cement. Lasciato riposare il modello per una notte, ho eliminato lo scotch trovando le ali nella giusta posizione e il gap quasi del tutto riempito.  

Nella parte inferiore sono dovuto intervenire con un po’ di stucco come mostrato nella foto.

Giunto a questo punto, grazie alla segnalazione di un membro del nostro forum, ho constatato che le superfici di governo dello Skymaster erano tutte, tranne i flap, rivestite in tela. Ovviamente quelle del kit non sono corrette perché rappresentano delle superfici metalliche.

Per prima cosa ho stuccato tutte le pannellature stampate su di esse.

Poi, con dello sprue filato molto sottile, ho realizzato le centinature di rinforzo in rilievo basandomi sempre sulla documentazione in mio possesso.

Mediante una matita in fibra di vetro ho carteggiato e ridotto gli spessori di detti rinforzi cercando anche di integrarli nella superficie. Infine, come ultimo step, ho steso su tutti i pezzi un generoso strato di Mr.Surfacer 1000 della Gunze, stucco liquido, molto diluito per amalgamare tutti gli elementi aggiunti.

Onde evitare che anche i lettori incappino nel mio stesso errore, mi preme segnalare l’ennesimo errore riportato nelle istruzioni. Esse, infatti, non segnalano che alcuni oblò in fusoliera devono essere chiusi e stuccati come confermato anche dalle foto. Personalmente ho dovuto rimediare a verniciatura quasi ultimata e in una fase davvero delicatissima; con pazienza ed attenzione ho riempito i finestrini con colla cianacrilica e ho carteggiato con grane fino alla 6000 per livellare l’intera superficie. Per fortuna le generose mani di trasparente lucido e la grande stella americana che va posta sopra ha coperto eventuali imprecisioni.

La fase di costruzione si è conclusa dopo aver aggiunto gli ultimi pezzi sulle ali: gli attuatori dei flap (indicati dalle frecce in blu, molto fragili e che vanno preservati anche durante la verniciatura). In verde sono delle piccole striscioline di Plasticard, applicate con la Tamiya Extra Thin Cement, atte a simulare i rinforzi strutturali andati parzialmente persi durante le fasi di stuccatura; ad ogni modo non erano stampati granché bene quindi ho approfittato anche per rifarli con maggiore definizione.  

In rosso, invece, i perni degli alettoni a forma di “T” ai quali bisogna accorciare l’elemento orizzontale al fine di poter inserire le superfici di comando anche a fine montaggio. Vi consiglio lo stesso lavoro per timone e stabilizzatori.

Verniciatura e Decal:

Ho iniziato la verniciatura con una prima mano di primer Gunze Mr.Surfacer 1000 diluito con la nitro al 70%. Non ho cercato una copertura uniforme perché il fondo, più che altro, è servito a coprire la plastica bianca che non mette in evidenza eventuali imperfezioni di montaggio.

Sulle superfici mobili ho steso uno strato sottile di Mr.Finishing 1500 Black della Gunze che dà una finitura satinata. In accoppiata con un velo di Aluminium Alclad la base simula perfettamente la finitura leggermente opaca delle superfici verniciate con il protettivo a base di alluminio.  Al centro delle centine degli alettoni ho aerografato dei piccoli spot di White Aluminium, sempre Alclad, per dare un po’ di movimento.

Ho poi dipinto l’intero modello in Tamiya X-1 Gloss Black diluito, ancora una volta, con la nitro. Trascorse almeno 24 ore per una completa asciugatura ho utilizzato l’Aluminium della AK Extreme Metal; è la mia prima esperienza con questo prodotto con cui si riesce ad ottenere una base estremante brillante ma che, purtroppo, è anche molto più delicata rispetto a quella che danno le lacche della linea Alclad.  

Per continuare con la verniciatura principale mi sono dedicato alla prima fase della colorazione verniciando il dorso dello Skymaster in bianco opaco (XF-2 della Tamiya).

La pancia del velivolo, invece, è in grigio chiaro Tamiya XF-66.

Per le vistose zone in arancione ad alta visibilità ho optato per l’International Orange Mr.Paint (MRP-232) che è molto facile da utilizzare. Per aumentarne la copertura sotto ho passato nuovamente un velo di bianco opaco Tamiya.

Sul muso andrà applicata la decal con la scritta U.S. AIR FORCE che è “inscritta” all’interno di un rettangolo lasciato in natural metal. Per mascherare ho ritagliato una striscia di nastro Kabuki di 0.7 centimetri di altezza.

Successivamente ho iniziato ad applicare le maschere per dipingere in nero opaco Tamiya XF-1 tutti i bordi d’attacco su ali, deriva e piani di coda. Per non complicarmi la vita ho scelto il Tamiya Masking Curve che è ottimo sia per le forme tondeggianti e, se stirato con cura, anche per quelle rettilinee.

Il pannello che include gli scarichi è in Steel Alclad.

Il grigio XF-66 si estende anche ad una piccola area sotto ogni gondola motore.

I vani carrelli sono nello stesso Interior Green già utilizzato per la cabina.

Le eliche:

La prima operazione è stata la stesura di una base di Gunze Mr.Finishing Surfacer Black 1500.

Poi una mano di White Aluminium Alclad.

Per creare delle tip gialle tutte della medesima misura ho dapprima tagliato dei segmenti di nastro Tesa rosa da 2mm attaccandoli a filo della pala, poi con il nastro bianco Tamiya ho delimitato il bordo.

Per il giallo ho preferito l’XF-4 Tamiya su di una base di bianco opaco e diluito con la nitro.

Una volta terminato il colore e passata una leggera mano di trasparente lucido Mr.Paint Gloss ho posato le decal principali.

Per rappresentare il bordo antighiaccio presente su ogni pala ho utilizzato striscioline da 1,5 cm di decal nere di risulta (Cartograf ex Airfix, quindi ottime) e con tanta, tantissima pazienza ne ho applicate sei per ogni elica, tre frontali e tre posteriori. una volta fatte aderire con Micro Sol e Set ho ritoccato il bordo d’attacco con il nero lucido Tamiya dato a pennello.

I copri mozzi dell’elica, sul velivolo reale, erano cromati e lucidati a specchio. A tale scopo sul mio Skymaster ho utilizzato il cromo liquido della Molotow con punta da 1mm…. È veramente spettacolare come prodotto!

Ancora una volta le istruzioni Revell traggono in inganno il modellista per ciò che riguarda il pannello anti riflesso davanti il parabrezza. La forma di quello suggerito è completamente errata e mi sono dovuto affidare alle uniche due foto a disposizione che ritraggono l’esemplare 43-017281 in atterraggio a Berlino – Tempelhof nel giugno del 1960 per rifarlo corretto.

Immagine inserita a scopo di discussione – fonte www.airliners.net

Fate attenzione anche alla striscia blu che corre lungo la fusoliera: se osservate bene le immagini noterete che il fregio è contornato da una porzione di bianco anche nella parte inferiore. Per avere un riferimento certo delle zone da mascherare ho messo in posizione la decal ancora sul suo supporto in carta assorbente e ho applicato il nastro.

Una volta terminata la posa delle insegne, poche ma grandi, ho notato che la matricola sulla deriva del mio Skymaster presentava un fondo scuro, o meglio leggermente più scuro rispetto al bianco della livrea. Tornando ad osservare le immagini, anche di altri esemplari simili, sono giunto alla conclusione che i codici erano dipinti direttamente sul natural metal. Pertanto armatomi di pazienza e acqua calda ho rimosso le decal già posizionate sull’impennaggio e ho ripassato il White Aluminium AK sull’area interessata.  

Semmai qualcuno volesse riprodurre questo esemplare voglio segnalare che la decalcomania originale dispone i numeri molto più distanti dal bordo antighiaccio rispetto a quanto è visibile nella realtà, quello che vedete è il risultato di un piccolo taglia e cuci con cui ho diviso il serial number in due parti avvicinando le cifre per fargli assumere una spaziatura più realistica.

Dopo aver montato i carrelli ho tristemente constatato che, nonostante i pesi aggiunti all’interno della fusoliera, il mio Skymaster si è comunque seduto sulla coda. Alla fine ho deciso di utilizzare il supporto fornito dal kit che veniva spesso montato anche sull’aereo reale in sosta o in fase di carico/scarico. A causa della morbidezza della plastica di cui è fatto lo stelo tende a piegarsi sotto il peso del modello per cui sono dovuto intervenire sostituendolo completamente con un’anima di acciaio presa in prestito da una graffetta da cartoleria.

Ho provveduto a sporcare i flabelli in particolare e la zona retrostante come visto da una foto a mia disposizione presa da un passeggero in volo su un DC-4.

I carrelli hanno una scomposizione abbastanza cervellotica e che, purtroppo, non aiutano ad allineare facilmente le parti che li compongono.


In particolare quello anteriore, progettato per essere montato prima della chiusura della fusoliera, necessita di alcune modifiche per essere installato a posteriori (operazione comunque necessaria poiché durante le varie fasi avrebbe subito di sicuro qualche danneggiamento). Ad ogni modo tagliando e assottigliando i bracci dell’attacco principale si riesce a farlo entrare nella propria sede.

Successivamente ho aggiunto i punti di ancoraggio delle lunghe antenne a filo sulla deriva: l’attacco superiore è stato realizzato con una sezione di ago da cucito tagliato e inserito nella plastica con l’ausilio di un trapanino a mano, la seconda più in basso è stata ricavata da una corda di chitarra elettrica 0.10 curvata con una pinza e inserita in un foro praticato con una micro punta per schede elettroniche e molta attenzione. Il filo vero e proprio è l’elastomero della Uschi Van Der Rosten per la scala 1/48, leggermente più spesso.

Infine ho montato tutte le superfici mobili modificate per rappresentare l’effetto telato e i grossi flap, sono davvero imponenti, che per fortuna sono stati di facile installazione in quanto ogni pezzo dispone di quattro martinetti di aggancio.

Ho effettuato i lavaggi tramite colori ad olio, sul bianco ho optato per un grigio medio chiaro molto diluito dato per capillarità, sul resto del soggetto un grigio medio più accentuato ottenuto dal consueto mix di bianco e nero.  Per le zone motori invece ho optato per toni di marrone, Bruno Van Dick e Terra di Siena.

Conclusioni:

Non avrei mai pensato di poter realizzare un C-54 soprattutto per le sue ragguardevoli dimensioni e per la conseguente mole di lavoro. Quando un mio amico mi ha proposto di realizzarglielo ho colto la palla al balzo pensando che un kit rilasciato nel 2015 si montasse nel giro di un paio di mesi, ma così non è stato!

Ci vuole tanta pazienza nella pulizia delle parti più minute e vista l’esperienza negativa con le istruzioni, più volte segnalata nell’articolo che avete appena letto, vi consiglio di dedicare tanto tempo allo studio del soggetto reale. Documentazione alla mano eviterete i piccoli inconvenienti che mi hanno più volte rallentato.

Comunque il bello del modellismo, secondo me, è anche questo: venire a capo di problemi mettendosi sempre alla prova e cercando soluzioni alternative, spero che il mio articolo vi sia utile.

Un saluto a tutti e buon modellismo!
Mattia “Pankit” Pancotti.

Motomitragliatrice Ansaldo MIAS – autocostruzione in scala 1/35.

I nostri anni trenta rappresentano un periodo di grandi sviluppi e di sperimentazioni in ogni campo e su ogni genere come auto, moto, aerei e, non fanno eccezione, i mezzi corazzati.
La Motomitragliatrice blindata d’assalto MIAS nasce in quest’epoca pionieristica ma radicata ancora ad un concetto obsoleto di guerra statica di trincea. Permettere, quindi, ad un soldato di avere una protezione o, meglio, una sorta di “scudo cingolato” che lo riparasse durante l’avanzamento era un concetto irrinunciabile.

Immagine inserita a scopo di discussione – fonte tanks-encyclopedia.com

Molte ditte proposero mezzi dalle forme e dall’armamento più svariato ma la Ansaldo S. A. sviluppò questo progetto nel 1935 che, nelle sue intenzioni e nelle specifiche tecniche, doveva rappresentare un significativo passo avanti rispetto a tutti gli altri competitors. Purtroppo ad eccezione di qualche prototipo non venne mai prodotto in serie rimanendo uno dei tanti bizzarri tentativi di quegli anni per creare un veicolo economico ed efficace sul campo di battaglia, tanto da venir considerato da molti il veicolo corazzato più piccolo mai ideato.


Immagine inserita a scopo di discussione – fonte tanks-encyclopedia.com

Questo è stato il primo impatto con il MIAS. Con quel suo non so che, indefinibile, con un suo impalpabile fascino. Trovata poi l’unica brochure tecnica che consegnava al lettore una serie di note tecniche, prestazioni, nonché le ridotte dimensioni, ma dalle grandi prestazioni. È così che divenne ancora più forte il volerlo ricostruire in scala…1/35, almeno per poterlo maneggiare. Guardando le foto sembrava già inverosimile che la stessa Ansaldo volesse proporre ad un esercito una macchina a cui mancava libertà di movimento del conducente-soldato, il cui avanzamento pareva dovesse lasciare carponi quasi lo stesso malcapitato oppure ingobbirlo anzitempo, esponendolo comunque al fuoco nemico laterale.

Il MIAS, lungo poco più di un metro ed aperto posteriormente, era composto da piastre di acciaio che sul prototipo erano di comune ferro, mentre nella versione di serie dovevano essere di acciaio balistico. Le lamiere che componevano lo scudo erano fissate tra loro tramite chiodatura e con uno spessore sufficiente per resistere frontalmente al proiettile perforante Mauser SMK sparato da una distanza massima di 50 metri con angolo di impatto 90°; ai lati, invece, con le medesime condizioni al proiettile standard del Carcano Mod. 91.


Immagine inserita a scopo di discussione – fonte tanks-encyclopedia.com

La parte superiore era chiusa da un portello regolabile in altezza, incernierato anteriormente, per permettere anche ai conducenti di statura più alta di condurre il mezzo agevolmente.

La Motomitragliatrice era mossa da un motore di derivazione motociclistica, il monocilindrico Frera da 250 cm³ alimentato a benzina e raffreddato ad aria, in grado di sviluppare 5 hp al regime di 3000 giri al minuto. Il propulsore era dotato di un cambio con due rapporti in avanti più una retromarcia, in grado di portare il veicolo ad una velocità massima di 4,97 km/h in avanti e 2,2 km/h a marcia indietro. Lo sterzaggio era garantito da un differenziale ad ingranaggi conici facilmente manovrato con leve interne.  La tensione del cingolo trattivo veniva regolata dalla ruota di rinvio che, collegata ad un apposito dispositivo composto da un’asta filettata, veniva spostata avanti o indietro semplicemente ruotando un dado con una chiave fino al raggiungimento della giusta tensione. L’armamento nella versione MIAS era composto da due mitragliatrici leggere Scotti cal. 6,5 su affusto binato ancorate sulle piastre frontali per mezzo di una scudatura mobile con un alzo di 14″ ed una depressione di 10″, con un brandeggio orizzontale di 20″ totali. La scorta di proiettili a bordo era composta da 40 caricatori per un totale di un migliaio di colpi.


L’autocostruzione:

Dall’unico disegno trovato ho potuto identificare e collocare i vari comandi e componenti sulla struttura. L’organizzazione degli stessi mi permetteva di poter lavorare contemporaneamente su due fronti: interno, con la collocazione del motore e degli accessori di comando e guida, nonché delle cassette portamunizioni e il serbatoio dell’olio superiore. E all’esterno del mezzo per la costruzione delle ruote e relativi mozzi con la parte di registro tensione cingolo e sulla paratia porta arma.

Tutto al 95% auto costruito pazientemente dopo molte prove e aggiustamenti sullo spessore del Plasticard e sulla robustezza della struttura stessa. Il rimanente sono chiaramente alcune cose che potevo, per dimensioni e reperibilità sul mercato, prendere “a prestito” dal già pronto. In effetti le due armi sono parti prelevate da un SM.79 in scala 1/48 ma che si adattano bene, potendo metterle binate, al MIAS. Peccato che per tenerle in posizione orizzontale al fronte di marcia abbia dovuto incollarle, perché inizialmente erano fissate sul tubo che, ruotando, dava la sensazione del brandeggio. Così pure per i cingoli che sono stati recuperati da un Kettenkrad sempre in scala 1/48, pazientemente puliti dalle parti non utilizzabili ed inseriti sul perimetro di rotolamento. Purtroppo questa parte non mi soddisfa a pieno; vorrei essere capace di poter creare delle fotoincisioni per dettagliare meglio la parte ruota motrice e per farle esattamente tutte uguali, essendo fissate in coppia al mozzo motore e con una chiodatura che non sono riuscito a completare al 100%.

Quindi, una volta completata la parte motorizzazione, ventilazione forzata e sistemi di guida con Plasticard e profili dello stesso materiale, ho iniziato la costruzione del fondo con una lastra da 0,5 mm e degli scudi laterali e superiori con una da 0,3 mm. La struttura così chiusa mi ha permesso poi di passare al dimensionamento più adeguato delle cassette munizioni (suddivise in due per un totale in volume di 40 caricatori), e per il posizionamento del serbatoio dell’olio di cui non si hanno dimensioni esatte se non quelle ricavabili dalle foto.

Nel frattempo ho ricostruito la marmitta (forse fungeva anche da fumogeno), il piccone, la pala e il piede di porco per la sistemazione di fortuna del cingolo. Dall’altra parte con un lamierino ho ricreato la protezione del fanale posto poco lontano dal filtro aria di respirazione del carburatore, rifatto con una rete da 20 micron di inox arrotondata e fissata al solito plasticard.


Verniciatura:

la destinazione del blindato era pensata prettamente per l’esercito e quindi limita sensibilmente quella che poteva essere la tipologia del colore applicato del reparto a cui sarebbe stato destinato.

L’Ansaldo inoltre riponeva grande speranza sul fatto che venisse prodotto in grande serie, tanto da imporre estrema cura in ogni dettaglio sia nell’armamento che nel posizionamento e nella sua ergonomia.

Per far risaltare quindi un prodotto che a tutti gli effetti è come fosse appena uscito dalla fabbrica esso è stato colorato internamente con un grigio scuro anticorrosivo Grigio Azzurro Chiaro Gunze H-324, mentre l’esterno in Field Gray 2 Gunze H-48.


La basetta:

Trattandosi di un prototipo e quindi mai utilizzato in nessun teatro bellico, il primo problema affrontato è stato come collocarlo. Le foto disponibili però mi sono venute in soccorso e ho immaginato una ipotetica presentazione ad un “pubblico” militare del blindato stesso. Ricavato da foto dell’epoca dell’Ansaldo di Genova, ho ricostruito un piccolo angolo di questa immensa fabbrica e posizionato, come se fosse appena uscito, il mezzo.

Per poter dare un riscontro alle dimensioni del MIAS, ho aggiunto un tenente della cavalleria intento a scrutarlo (non con perplessità, forse), immaginandolo in azione.

E questo è tutto. Spero che l’articolo vi abbia interessato.
Buon modellismo a tutti!

Stefano Ferrari.

Natale 1917 – Lettere dal Fronte della Grande Guerra. Diorama in 54mm.

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A volte si possiedono tesori senza neanche saperlo. Essi sono lì sotto i nostri occhi ma spesso non li osserviamo e non gli diamo importanza. Poi, come è successo a me, accade qualcosa e all’improvviso li riscopriamo.

Il tesoro in questione era una scatola di lettere conservata da mia nonna e ritrovata per caso mentre mettevo ordine in un vecchio armadio. Tra di esse vi era la corrispondenza di mio nonno, Angiolino Nanni, scritte prima e durante la Grande Guerra. C’erano missive redatte dalla scuola alla madre vedova fino al 1915, altre appena arruolato e infine quelle spedite dal fronte del Carso e da quello Macedone poi.

Documentandomi ho scoperto l’importanza della scrittura per i soldati al fronte. Mai come in quel periodo ci sono state tante corrispondenze che andavano da e verso le zone di guerra. Una delle richieste che più spesso facevano i soldati erano carta e matite, al pari di cibo e vestiti caldi.

Sarà che crescendo si impara a guardare con più attenzione al proprio passato, ma la loro lettura mi ha preso e affascinato come un libro di avventura.  Ho potuto vedere il ragazzo impaurito e allo stesso tempo orgoglioso di servire la patria, l’incoscienza dei primi tempi trascorsi nell’Esercito fatti di marce e addestramento, fino alla presa di coscienza dell’orrore della guerra.

Essendo le lettere (per lo più cartoline postali) soggette a censura, difficilmente mio nonno poteva esprimere pensieri troppo intimi e mai si poteva dubitare dell’esito del conflitto. Ma anche in un piccolo diario personale ho ritrovato tra le righe un uomo che, seppur cosciente di quello che stava affrontando, cercava sempre di esorcizzare le battaglie scherzandoci sopra, come quando paragonava il bombardamento austriaco ai fuochi di artificio che probabilmente la sua famiglia osservava a casa in tempi di pace.

In poco tempo il ragazzo, arruolato nel 40° Reggimento Bologna e poi passato nel 64° Reggimento Cagliari, si fece valere. Un po’ per il forzoso “ricambio” dovuto ai caduti e un po’ per alcune azioni che gli valsero la croce di bronzo al valor militare, mio nonno divenne ufficiale e si ritrovò ad avere il comando di altri uomini. Il ragazzo fu costretto a crescere e diventare uomo.

E proprio a questo periodo risale la lettera scritta nel Natale del 1917 che ho trovato tra le tante altre. In essa descrive come in quel magico giorno la guerra si fosse fatta un poco da parte. La giornata era passata relativamente tranquilla. E in quel momento, guardando negli occhi dei suoi soldati, aveva scorto le loro menti volare verso gli affetti più cari, verso quelle persone il cui ricordo permetteva di non impazzire e sopravvivere alle tragedie che li circondavano. Perché, come ha scritto in un’altra epistola, loro che vivevano immersi nell’odio sopravvivevano solo grazie al pensiero che a casa li aspettavano i propri cari, permettendogli di mantenere quel minimo di umanità e di equilibrio.

Ispirato da questi pensieri impressi per sempre su carta ho deciso di costruire un diorama che fotografasse quel momento, con i soldati assorti nella lettura mentre ripensano ai momenti felici. Per far questo da una parte ho ricreato la realtà, con la trincea e la fatica di sopravvivere ogni giorno, tra la neve e il freddo. Dall’altra il mondo dei ricordi, nel tepore degli affetti verso i propri figli e la donna amata. Come base ho usato le copie di alcune lettere e cartoline scelte per l’aspetto o per le frasi contenute. Sullo sfondo la lettera di natale, in cui il testo è stato trascritto in caratteri di stampa per facilitarne la lettura.

La realizzazione:

Sono partito da una trincea in resina della Andrea Miniatures avanzata dal mio precedente lavoro che trovate QUI (avevo utilizzato i soli figurini).

Non ho avuto molta scelta per i personaggi. I soggetti WW1, specie italiani, sono ben pochi. Per fortuna Italian kits ha realizzato una scenetta con tre soldati che giocano a carte in trincea e un fante venduto singolarmente. Mentre quest’ultimo è davvero ben fatto, ho trovato qualche difetto nei volti degli altri tre con occhi un po’ troppo pronunciati. Per quello in piedi sono ricorso alla seconda testa in dotazione al figurino singolo, mentre per quello seduto ho dovuto usare un po’ di carta abrasiva ed ho cercato di ricostruire i lineamenti a pennello.

Non trovando figure femminili dell’epoca in resina mi sono adeguato ed ho utilizzato quella della Modelkasten che, sebbene in plastica morbida, ha un discreto dettaglio.

Ho quindi unito il pezzo di trincea della scenetta dei fanti a quello della Andrea raccordandoli con del Milliput e scagliola. Poichè le due sezioni hanno altezze diverse, le ho disposte sfalsate costruendo una piccola rampa ricoperta di assicelle in legno. Allo stesso modo ho riscostruito una parte di steccato che mancava. Sopra le trincee ho lasciato una porzione di terreno per formare un angolo e dare un miglior colpo d’occhio alla scena.

Passato il primer e soddisfatto di come si erano integrate tra loro, ho realizzato la basetta in legno di abete su cui ho definito un bordo con la fresa e lasciato uno scalino per alloggiare un’eventuale teca in plexiglass.

Non avendolo a portata di mano, ho ricostruito il filo spinato in scala reale che doveva andare ad incorniciare la lettera, posta su una tavoletta verticale, facendo da sfondo al diorama. In un momento successivo per verniciare il filo spinato ho utilizzato l’Alclad Burnt Iron e poi lo ho invecchiato con pigmenti Truck Rust e Black della Mig.

Definiti gli spazi ho iniziato a colorare la scena e per livellare le due parti delle trincee ho usato un fondo della AK, il Dark Earth. In pratica è una pasta molto morbida, da passare anche con un pennello, che una volta indurita ha una buona texture.

Con la pasta ho coperto le parti in gesso e in Milliput. Poi ho usato il Chocolate Brown Vallejo con qualche goccia di nero per dipingere tutta la parte terrosa ed avere una tinta uniforme. A questo punto ho lavorato il terreno con un dry brush usando varie tinte di marroni via via più chiare per far risaltare i particolari. In alcuni punti ho effettuato lavaggi con verde ad olio sporcato di marrone e aggiunto qua e là zone bagnate applicando trasparente lucido per dare l’idea di terriccio umida.

Le parti in legno le ho verniciate dapprima con un marrone medio cui ha fatto seguito un lavaggio con ombra bruciata; successivamente ho utilizzato di nuovo la tecnica del dry brush con un marrone chiaro e Khaki Grey 880 Vallejo. Il tocco finale sono stati dei ritocchi con colore ad olio Grigio Payne , sia al naturale che schiarito, che hanno simulato l’azzurro grigiastro del legno umido e vecchio.
I sacchi sono stati dipinti con il succitato Khaki schiarito con bianco opaco, aggiungendo Uniforme Inglese 921 Vallejo e un po’ di nero per le ombre.
I sassi hanno una base in grigio medio (nero – bianco- marrone e una punta di verde tutti della Vallejo), con un lavaggio in ombra bruciata (Vallejo Air 71040 ulteriormente diluito) e schiariti aggiungendo bianco.
Sacchetti e sassi sono stati poi sporcati con pigmenti color terra della Mig (Russian Earth e Graveyard Dirt).

Per riempire la zona superiore e inserire qualche dettaglio in più che potesse catturare l’occhio dell’osservatore, ho deciso di utilizzare dei pezzetti di legno per simulare alberi sradicati e spezzati dai bombardamenti. Dopo averli protetti con trasparente, per invecchiarli li ho trattati con colore ad olio Terra di Cassel e Grigio Payne.

È giunto il momento della neve che ho voluto aggiungere per aumentare il contrasto tra le due zone del diorama. Ho provato per la prima volta dei prodotti della AK, sono tre e ognuno ha un utilizzo diverso.
Il primo è lo Snow della serie “Terrains” e serve per ricreare il fondo e, più in generale, è adatto per la neve di una certa consistenza.
Poi c’è lo Snow Sprinkles che ha un aspetto più “trasparente” ed è più liquido. L’ho usato per accentuare l’aspetto della neve che tende a perdere consistenza e si scioglie o trasforma in ghiaccio.
Infine ci sono i Microballoons, in pratica una polvere bianca finissima. Essi, in base alla percentuale di diluizione con il Clear della Vallejo, sono utili per simulare strati fini di ghiaccio o piccoli fiocchi freschi. Spolverati sullo Snow servono per dare l’idea della neve fresca e polverosa appena caduta.

Combinando le caratteristiche dei tre effetti ho innevato la basetta. La parte superiore l’ho lasciata quasi bianca seguendo il principio secondo cui difficilmente qualche fante si sarebbe esposto salendo oltre il limite della trincea. Per la parte inferiore, invece, ho utilizzato di più gli Sprinkles e i Microballoons con abbondante clear per dare l’impressione di neve sciolta e semighiacciata. Inoltre ho effettuato dei lavaggi diluitissimi con marrone e grigio ad olio per simulare la sporcizia della terra mista a neve a causa del calpestio. In alcuni punti poi ho lasciato cadere delle gocce di Vallejo Still Water per ricreare un ghiaccio più spesso.

Ho prestato particolare attenzione a non innevare tutto in maniera indiscriminata per non cancellare i bei dettagli della basetta. Anche i fiocchi sugli oggetti e pareti verticali della trincea sono stati posizionati in modo da rispettare la gravità e probabilità che rimanessero tracce di neve sugli stessi.

Dopo la “bufera” il diorama aveva questo aspetto:

Mi sono dedicato poi al filo spinato in scala, a protezione della trincea, usando quattro fili da 0,1 mm di rame. Dopo averne intrecciati due, con l’aiuto di uno stuzzicadenti ho passato intorno ad essi la seconda coppia creando dei semicerchi che, una volta tagliati a misura, hanno ricreato le spine.

Per il colore mi sono regolato come per quello scala 1:1.

Visto che il lato destro rimaneva spoglio ho deciso di realizzare una parete di assicelle di legno di tiglio incollate tra loro. Anche per queste, dopo una base di Chocolate Brown Vallejo e dry brush con marrone chiaro, sono stati necessari lavaggi ad olio con bruno Van Dyck e Grigio Payne per dare una patina di invecchiamento.

Ho così posizionato la trincea sulla basetta, incollandola su dei rialzi in legno, insieme all’asse su cui fissare la lettera e il filo spinato ad incorniciare il tutto.

Successivamente sono passato alle lettere da inserire nel contesto. Naturalmente ho fatto una scansione e le ho ristampate il più fedelmente possibile, le originali sono rimaste al sicuro. Tra le tante ho scelto una cartolina postale che mi ha colpito per la ricchezza dei colori.

Poi una cartolina illustrata del 64° Reggimento.

Ho scelto anche una cartolina in cui il nonno descriveva le montagne al fronte e chiedeva alla mamma abbigliamento caldo (“robba di lana, che ci vuole buona”).

Infine una cartolina che riporta una frase che mi è rimasta impressa durante tutta la realizzazione del progetto e che ho evidenziato sulla carta e poi riportato sulla targhetta posta sulla base: “Noi costretti a vivere tra l’odio non viviamo che d’amore. Senza l’amore e la speranza che ci sorregge tutti morremmo” .

Ho poi ristampato la lettera di Natale, lasciando solo l’inizio e la fine della scrittura di mio nonno. Ho preferito sostituire la parte centrale con caratteri “brush script” per favorirne la lettura e comprensione allo spettatore.

Da ultime le buste delle lettere, anch’esse copie delle originali. Per la carta ho invecchiato dei fogli A4 immergendoli in un mix di the e caffè. Su di esse ho ristampato una lettera inviata a quella che sarebbe diventata mia nonna Letizia cui ho aggiunto lo stemma del 64° Reggimento.


Ed eccoci giunti alla realizzazione dei protagonisti.

Per il colore delle uniformi, cercando in rete, ho trovato delle indicazioni per il mix da adottare. Poi, con la divisa originale davanti (quella di mia nonno che custodisco gelosamente), ho trovato la seguente miscela Vallejo per il grigio-verde : MC 866 Grey Green 10 gocce , MC886 Green Grey 10 gocce, MC924 Uniforme Russa 10 gocce , MC905 Blugrey Pale 4 gocce.
Per le ombre ho aggiunto il Grey Green e per le luci il Green Grey Vallejo.

Per le parti verniciate in verde, come le giberne e gli elmetti, ho aggiunto al mix base un poco di Luftwaffe Camo Green 823 schiarito con Grey Green 886. Cinghie e borse del fante hanno una base Marron Caki 988 e Tan Deck 986.

A tutti quanti i soldati ho sostituito le carte da gioco nelle mani con delle lettere. Ai due fanti in trincea ho aggiunto delle mantelle in Magic Sculpt per accentuare il senso di freddo date le condizioni climatiche che ho deciso di ricreare.

Per rendere, invece, l’idea del mondo dei ricordi sulla destra del diorama, ho deciso di ricreare con pochi elementi gli affetti a cui i soldati rivolgevano la mente. Ad un soldato ho affiancato una culla realizzata con Plasticard e verniciata ad olio per riprodurre l’effetto del legno. Vicino ad essa dei giochi in miniatura della Plusmodel.

Al secondo fante ho affiancato la figura femminile che, di fronte al manifesto del soldato ferito, lascia cadere i fogli della lettera che idealmente giungono al milite al fronte.

Entrambi i soldati osservano la scena defilati proprio per accentuare il distacco dalla realtà.

Le basette sono state realizzate con Magic Sculpt e per la texture del pavé e dei mattoni mi sono avvalso dei rulli della Green Stuff.

Una volta posizionati i personaggi e la targhetta con la frase, ho terminato il lavoro apponendo la foto dei veri protagonisti sulla palizzata del diorama. Il più basso, all’estrema destra, era Angiolino che, in questa notte di Natale 101 anni dopo, sento un poco più vicino… accanto a me.


Buon Natale e buon modellismo a tutti. Andrea “nannolo” Nanni.

Il Work In Progress completo lo trovate QUI.

Aermacchi MB.326 G dal kit ESCI/Italeri in scala 1/48.

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Nel forum di Modeling Time ci sono, oramai da un decennio, delle tradizioni consolidate che vengono portate avanti con entusiasmo da tutta la community. Una di queste è l’annuale Group Build, un contest virtuale senza vincitori o vinti, sotto cui i modellisti si radunano costruendo soggetti secondo un tema scelto dopo una votazione plenaria.

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Per il 2018 è risultato vincitore il GB “Made in Italy”, ovvero qualsiasi aereo, macchina, mezzo, oggetto o altro costruito e progettato nel nostro Bel Paese. Per me che sono un irriducibile appassionato di aeroplani, quale miglior occasione di mettere sul banco un modello di un velivolo che più italiano non poteva essere?

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Il kit:

Sono passati ben trentasei anni da quando la ESCI (Ente Scambi Coloniali Italiani) introdusse sul mercato un kit dedicato all’Aermacchi MB.326 nella scala del quarto di pollice. Lo stampo, per l’epoca, era lo stato dell’arte ed apparteneva ad una proficua e ottimamente realizzata serie di matrici commissionate dalla ditta italiana alla giapponese Suntak (che già collaborava con Hasegawa e Fujimi negli anni’80). Ad oggi l’unica scatola di montaggio per riprodurre l’addestratore nato dalla geniale mano di Ermanno Bazzocchi rimane ancora quella che vi presenterò in questo articolo.

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Di recensioni disponibili on line se ne trovano a bizzeffe e il modello è arci noto alla maggior parte dei modellisti italiani e stranieri. Per completezza di informazione posso dirvi che esso è composto di circa sessantacinque parti ristampate dalla Italeri (che ha acquisito la maggior parte dei prodotti ex ESCI dopo la sua chiusura), nel mio caso specifico, con uno stirene color arancio che durante le varie fasi della costruzione mi ha dato più di qualche fastidio per individuare difetti ed eventuali fessure.

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Le pannellature sono riprodotte in un finissimo negativo che, tuttora, lascia piacevolmente sorpresi… all’epoca la ESCI lavorava davvero molto bene, c’è poco da dire. Alcune di esse sono di pura fantasia, altre omesse o non pertinenti alla versione biposto del velivolo – ma di questo parlerò più avanti nel corso del montaggio. Ovviamente il kit non è più al passo dei tempi e zone come l’abitacolo, lo scarico e i pozzetti dei carrelli sono molto carenti o sprovvisti di particolari. In ogni caso è una buona base di partenza, sicuramente impegnativa, ma anche divertente da assemblare.

Note storiche sul soggetto:

Durante una delle tante ricerche su Internet anni fa mi imbattei in una foto di un bellissimo ed insolito “326” in carico al Reparto Sperimentale Volo, ve la mostro:

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Immagine inserita a scopo di discussione – fonte http://www.thenorthspin.com/photos_people_michel_k/30.jpg

Studiando meglio, scartabellando libri e consultando altri siti, nonostante la documentazione sia purtroppo davvero scarsa, sono riuscito a ricostruire la storia di questo esemplare e le sue particolarità.

Si trattava di un MB.326G, derivato dall’MB.326B che a sua volta era un’evoluzione della cellula base (denominata semplicemente MB.326) da cui differiva per la capacità di poter montare sei punti di attacco per vari tipi di armamento sotto le ali (compresi i pod cannoni DEFA da 30 mm) e l’installazione di un collimatore per lo sgancio degli ordigni. La versione G era propulsa dal nuovo Rolls Royce Viper 20 che generava 1.524 Kg/spinta (al posto del vecchio Viper 11 da 1.134 Kg/spinta) e presentava vari irrobustimenti strutturali alla fusoliera e alle ali in conseguenza dell’aumento del carico esterno trasportabile. L’avionica era stata aggiornata con l’aggiunta, tra le altre cose, del sistema ILS per gli avvicinamenti di precisione riconoscibile dalle due antenne installate sulla deriva e per quella, più piccola, montata sul muso. Era dotata, inoltre, di serbatoi alle estremità alari da 300 litri al posto di quelli standard da 100.

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I primi due velivoli in questa nuova configurazione furono utilizzati dalla ditta di Venegono Superiore come dimostratori in varie manifestazioni; presentavano una verniciatura completamente in alluminata con ampie zone in arancio ad alta visibilità. Agli esemplari vennero assegnate le marche civili I-FAZE ed I-BAGJ: il primo fu smontato, caricato su di un C-130 e trasportato in Brasile nell’ottobre del 1969 dove fu mostrato a terra e in volo durante la “settimana dell’ala” di Rio De Janeiro, São José dos Campos, Fortaleza e Natal. Il secondo partecipò all’air show di Farnborough del 1968 mostrando la medesima livrea.

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L’aereo riscosse un certo successo e fu scelto dalla Força Aérea Brasileira (che lo produsse su licenza tramite la Embraer e lo rinominò MB.326GC), dalla Fuerza Aérea Argentina (che lo rinominò MB.326 GB utilizzandolo, poi, anche nel conflitto delle Falklands/Malvinas), dal Togo e dal Paraguay che ricevettero alcune macchine direttamente dal Brasile.

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Alla fine dei tour di presentazione l’I-BAGJ (cui fu assegnata la Matricola Militare 54289 e i numeri di carrozzella RS-19 – numero di costruzione 06402/173) e l’I-FAZE (cui fu assegnata la Matricola Militare 54290 e i numeri di carrozzella RS-20 – numero di costruzione 06403/174) furono riverniciati nuovamente eliminando l’arancione dalle ali e dal muso, trasferiti all’Aeronautica Militare Italiana ed assegnati al Reparto Sperimentale Volo per valutazioni e test. L’AMI, infine, decise di non adottare la variante G del Macchino (com’era già affettuosamente chiamato) preferendo acquistare circa dodici MB.326 E (sei ottenuti aggiornando altrettanti B con avionica migliorata e altri upgrade minori, e sei costruiti ex novo).

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L’esemplare che ho scelto per mia riproduzione in scala è proprio l’RS-19 che, tra i due, è sicuramente quello più fotografato.

Il Work in Progress completo lo trovate QUI!

Cockpit:

Come anticipato qualche riga sopra l’abitacolo è estremamente basico e necessita di un accurato “revamping”. Da sempre apprezzo gli aftermarket in resina e anche in questo caso ne ho approfittato acquistando quello della Neomega. I pezzi del set sono ricavati direttamente dagli originali e per questo quasi non hanno bisogno di essere adattati o modificati. Data la totale assenza di perni di riscontro, e allo scopo di allineare correttamente la vasca, sul fondo delle semi fusoliere ho incollato quattro inserti di Plasticard (con altezza di circa 4 mm ciascuno) su cui essa si poggia rispettando gli allineamenti.

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Le paratie laterali aderiscono senza grossi problemi e sono abbastanza precise nelle dimensioni.

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Le manette, probabilmente andate perse già quando portai a casa la confezione, le ho rifatte con una sezione di tubo in ottone della Albion Alloy da 0,8 millimetri; sopra di esse ho ricreato l’impugnatura (che ha una forma vagamente triangolare) in Plasticard. Alla fine non tutti i mali vengono per nuocere perché quelle riprodotte dalla ditta russa non erano neanche granché fedeli alle reali.

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Prima di procedere con la verniciatura, e in accordo con la documentazione, ho ricreato il pistone di apertura del canopy – un dettaglio molto visibile e che spesso viene tralasciato.

Esso è formato da tre elementi:

  • Il braccio curvo è un tondino di ottone limato per farlo diventare quadrato e poi sagomato a semi-cerchio.
  • Il pistone centrale è formato dal corpo (un tondino Albion Alloy da 0,8mm) su cui ho infilato altre due piccole sezioni di un altro tondino da 1mm (sempre Albion Alloy) per simulare i due rinforzi alle estremità.
  • Lo stelo superiore è un pezzo di ago di siringa (ottimo perché già cromato) inserito all’interno del pistone.

Sulla consolle laterale dell’abitacolo, nascosto dal cruscotto del secondo pilota, ho ricreato l’invito dove si innesterà il pezzo.

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I seggiolini Martin Baker Mk.6 in resina hanno le cinture già stampate ma la loro disposizione e definizione mi ha lasciato, sin da subito, qualche dubbio. Inoltre quello anteriore deve essere modificato per farlo assomigliare al sedile effettivamente installato sull’RS-19:

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Ho aggiunto la struttura frangi vetro sopra al poggiatesta del sedile anteriore che ho riprodotto con del Plasticard dallo spessore di 0,1 mm; i due rostri, invece, sono ricavati dalla cornice di una vecchia fotoincisione in alpacca.

Tutto l’abitacolo è in Light Grey 36320 (Gunze H-307), ad eccezione di alcune zone in nero. La strumentazione è in decal proveniente da vari fogli della Airscale (utilissimi per questo genere di lavori). Alcuni pulsanti e potenziometri in rosso, giallo e grigio chiaro hanno poi dato un tocco di colore in più a questa zona.

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I colori utilizzati per gli “ejection seat” li trovate impressi direttamente sulla foto a seguire:

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Per dare maggior volume alle forme ho applicato la tecnica del dry brush eseguita con colori ad olio (un grigio non troppo chiaro). Invece per tentare di definire meglio le cinture e i cuscini ho sottoposto i pezzi ad un lavaggio col Bruno Van Dyck scurito con nero, sempre ad olio.

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In generale la qualità del set Neomega non è il massimo; la stampa è grossolana e la definizione dei pezzi molto al di sotto degli standard che il mercato attuale impone. Personalmente suggerisco di sostituire i due Martin Baker con quelli della Small World Accessories: abbastanza rari da trovare ma sicuramente più corretti e meglio rappresentati.

Flap:

Controllando la documentazione ho notato che gli MB.326 venivano spessissimo parcheggiati con i flap completamente estesi. Ragionando sulla conformazione dell’aereo è facile anche intuire il perché di questa pratica: sul dorso della fusoliera, infatti, trovavano posto quattro alloggiamenti chiusi da altrettanti portelloni. Sul lato sinistro vi erano gli accumulatori del sistema idraulico e il compartimento motore. Sul destro la batteria e il serbatoio dell’olio del Rolls Royce Viper. Tutti questi vani erano oggetto di ispezione e gli specialisti dovevano accedervi visivamente; lasciando gli ipersostentatori abbassati gli veniva agevolata la salita sul raccordo alare per svolgere le normali operazioni di pre volo.

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Quindi, seguendo questa usanza “operativa” ho deciso di riprodurli in questa posizione anche sul mio modello, ma per farlo ho dovuto prima eliminare la plastica del kit (che li rappresenta fissi in posizione completamente retratta). Allo scopo ho utilizzato il cesello della Mr. Hobby che si rivela sempre molto utile per questo genere di interventi: ha delle punte ad uncino di vario spessore (quella da me usata è da 0,2 mm) che scavano il materiale con precisione. Bastano poche passate per ottenere un taglio preciso e una separazione molto pulita.

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Dopo aver eliminato lo stirene in eccesso ho assottigliato i bordi interni per farli apparire maggiormente in scala.

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Le superfici mobili le ho auto costruite completamente con l’ausilio di un foglio di Plasticard da 0,25mm e un plotter da taglio (strumento di cui non posso più fare a meno per ciò che permette di realizzare!). Ad essere sincero prima di iniziare i lavori mi ero dotato del set ad hoc della OzMods, una “garage factory” australiana che realizza molti set aggiuntivi per il Macchino (del resto la Royal Australian Air Force ne ha avuti in carico circa ottantasette esemplari). Purtroppo la loro qualità è davvero scarsa e ne sconsiglio vivamente l’acquisto.

Righello e calibro alla mano ho preso le misure sul modello per poi disegnare i pezzi con il programma del plotter.

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Dopo la progettazione sono passato al taglio del Plasticard ricavando quattro pezzi:

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La superficie numero 1 è la base del flap ed è quella più lunga, la numero 2 è la faccia superiore ed è più corta in larghezza di circa 2 mm.

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Il bordo d’attacco, che poi ruota all’interno dell’ala, l’ho riprodotto con del profilato Evergreen “Quarter Round” da 2mm, ed è perfetto per lo scopo! ho tagliato tre sezioni (frecce in giallo) lasciando tra loro due scassi da 2 mm esatti (frecce in rosso); questi saranno poi gli alloggiamenti delle staffe di fissaggio alle ali.

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All’interno dei quarter round ho applicato una strisciolina di Evergreen da 1,5 mm di altezza che ha funzionato da battuta e supporto per la faccia superiore (pezzo numero 2).

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Per dare maggiore rigidità alla struttura, all’interno dei flap ho inserito una centina di rinforzo ricavata da un altro Evergreen quadrato di spessore 1mm; essa corre per tutta la lunghezza. Il tutto è stato incollato con poche spennellate di Tamiya Extra Thin Cement ma, per maggiore sicurezza, all’interno degli spazi rimasti vuoti ho colato anche una certa quantità di ciano acrilica.

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Gli alloggiamenti delle staffe li ho lasciati per ultimi: vanno riempiti e lavorati utilizzando, ancora una volta, il quarter round da 2mm a cui, però, ho ridotto le dimensioni limando le due facce piatte in modo che il pezzo fosse più piccolo e lasciasse uno scalino rispetto alla sua sede.

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Prese d’aria:

Parto con una premessa: non sopporto i tappi o i teloni anti fod che nascondono le prese d’aria. A volte la tentazione di usarli è tanta (sono spesso verniciati in rosso e potrebbero anche dare un tocco di colore in più al modello) perché fanno risparmiare molto tempo da impiegare in lunghe e tediose auto costruzioni… ma è più forte di me, non riesco proprio a digerirli!

Il motivo di questo preambolo è presto spiegato… nel kit ESCI gli intake sono completamente vuoti e tralasciati. Oltretutto La loro forma è particolarissima trattandosi di un ovale con i lati schiacciati, caratteristica che non mi ha aiutato nella ricerca di un materiale che potesse simulare in maniera convincente il condotto interno.

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Alla fine dopo tante prove andate male e qualche momento di sconforto, sono partito da un tubo Evergreen da 6,3 mm (codice catalogo 228) che è, ovviamente, di forma circolare. È fatto di uno stirene molto morbido e malleabile ma deve essere scaldato uniformemente se lo si vuole plasmare a dovere. Per questo dopo aver provato con una fiamma libera… una candela… acqua bollente (senza ottenere risultati apprezzabili), sono ricorso alle maniere forti: una pistola termica!

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Con il getto ad alta temperatura sono riuscito a modellare il tubo a piacimento, curvandolo e schiacciandolo per fargli assumere una forma simile a quella della presa d’aria. Attenzione quando andrete a piegare il profilato! prestate molta cura e delicatezza forzandolo dolcemente e progressivamente, altrimenti rischierete di “abbozzare” la parte interna del gomito chiudendo l’interno.

Prima di inserire il nuovo condotto nell’ala bisogna creargli lo spazio asportando la plastica nei punti indicati:

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A questo punto si può incollare il pezzo ricavato utilizzando necessariamente la colla cianoacrilica poiché essa fungerà anche da riempitivo, a seguire vi mostrerò come.

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Lo spessore interno del tubo è esagerato per la scala e deve essere ridotto. Per far ciò con il trapanino elettrico e punte smerigliatrici di varia grana ho ridotto le dimensioni correggendo, nel contempo, anche i piccoli inevitabili difetti; in alcuni punti ho dovuto asportare talmente tanta plastica da far riaffiorare la cianoacrilica che avevo usato durante il montaggio. Diventando dura e compatta mi ha permesso di raccordare il tutto alla perfezione, in particolare in prossimità dei bordi d’attacco delle prese.

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La rifinitura è avvenuta con carte smeriglio sottili (1000, 1500, 2000) e con spugnette abrasive dalla grana 4000 in su. La solita pasta abrasiva ha dato il tocco finale rendendo le pareti lisce come un tavolo da biliardo! Per stenderla all’interno degli spazi stretti ho tagliato a metà un cotton fioc, l’ho fissato sul mandrino del mio Dremel e l’ho imbevuto di compound; facendolo girare a bassi giri sono riuscito ad infilarlo anche nei punti più inaccessibili lucidando il tutto alla perfezione (o quasi).

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A causa delle pesanti modifiche apportate ho dovuto sovvertire un minimo le sequenze di montaggio suggerite dalle istruzioni unendo subito le carenature inferiori esterna delle prese d’aria (in teoria esse andavano aggiunte dopo aver assemblato completamente l’ala). Per permettere ai pezzi di inserirsi l’uno dentro l’altro ho dovuto asportare la linguetta di riscontro evidenziata in foto:

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Scarico motore:

Uno dei punti più poveri del kit è proprio lo scarico; anzi, più che povero oserei dire che è praticamente inesistente. Viene fornito un condotto di lunghezza davvero poco con alla fine l’abbozzo della turbina. Ovviamente sono dovuto intervenire ricreando qualcosa di più rispondente al vero.

Il nuovo “Engine Duct Pipe” l’ho ottenuto da un tubo della Evergreen (codice 230) dal diametro di 7,9 mm (che, tra l’altro, si incastra quasi alla perfezione nel pezzo da scatola!); per farlo assomigliare ancora di più all’elemento reale ho rastremato l’estremità ottenendo una forma più affusolata.

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All’interno ho aggiunto alcuni particolari. Le frecce gialle indicano le termocoppie per il controllo della EGT (Exhaust Gas Temperature – ricreate con del filo elettrico in rame), mentre le frecce blu indicano i così detti “trimmer”… o nel gergo aeronautico nostrano, i “topolini”.

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I trimmer sono delle “carenature” a forma di semi-goccia (solitamente) che si inseriscono all’interno del cono di scarico per controllare e bilanciare la spinta del motore (in assenza di petali esterni). La loro quantità e la loro posizione varia in base a dei test che venivano eseguiti di volta in volta durante la vita utile del propulsore. Personalmente li ho ricreati con un Half-Round da 1mm, sempre Evergreen, con codice prodotto #240.

Passo, ora, alla fase più complicata e delicata che ha interessato questa zona sul velivolo reale il condotto del motore sfoga all’esterno tramite una carenatura che raccordo l’engine duct pipe alla fusoliera. Ovviamente questo elemento è totalmente assente sul modello e, giocoforza, ho dovuto escogitare una soluzione per colmare la mancanza. Dopo alcuni tentativi non perfettamente riusciti, e grazie ad alcuni spunti ricevuti dagli amici del forum di Modeling Time, alla fine ho attuato il metodo che vi mostro di seguito:

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Sfruttando, ancora una volta, il pezzo da scatola che rappresenta la turbina ho ricreato due centine sagomando una vecchia carta di credito non più attiva.

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Nella prima ho inserito il tubo dello scarico e l’ho saldato definitivamente utilizzando una generosa goccia di colla cianoacrilica.

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A questo punto ho affrontato la lavorazione più critica, la ricostruzione della carenatura di raccordo: ho inserito un “cartoccio” di Plasticard da 0,1 mm all’interno della seconda centina (che ha funzionato da base e da supporto ed è di vitale importanza affinché il nuovo elemento assuma la forma corretta) e l’ho incollato sfruttando di nuovo il collante ciano acrilico. Questo, oltre ad assicurare una saldatura forte, ha funzionato anche da parziale riempimento dell’intercapedine che si è formata tra il Plasticard e la fusoliera stessa.  Inoltre intorno al “cartoccio” ho avvolto una fascia di rinforzo che è stata utile per irrigidire ulteriormente tutta la struttura e colmare parzialmente la fessura abbastanza importante che si è formata una volta uniti i due lembi (è estremamente complicato prendere delle misure accurate della circonferenza totale del tronco di cono ottenuto, per cui il pezzo non può essere del tutto preciso).

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Dopo aver ripulito l’eccesso del foglio di Plasticard ho proceduto ad unire le due semi fusoliere completando le operazioni e rifinendo lo scarico. Per chiudere i gap ho utilizzato, nell’ordine, lo stucco bicomponente Magic Sculpt, il Tamiya Basic Putty e per finire il White Putty della stessa marca. Le pareti interne sono state lisciate e modellate per fargli assumere la forma di una circonferenza quanto più perfetta possibile; ho impiegato delle frese montate su di un trapanino elettrico per lo sgrosso iniziale, poi ho rifinito gradualmente con carta abrasiva bagnata da 800 a 2500. Per finire ho passato su tutto la pasta abrasiva Tamiya Finishing Compound Coarse (tappo rosso) che ha eliminato i piccoli graffi della carteggiatura e lucidato le superfici.

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Da notare che lo scarico non è a diretto contatto con il carter della fusoliera, quindi prestate attenzione e prendete le giuste misure quando lo incollerete all’interno della carlinga.

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Ali e fusoliera:

Guardando le ali c’era un elemento che non mi convinceva affatto, le paretine anti scorrimento. A mio avviso, oltre ad avere uno spessore nettamente fuori scala, esse sono errate anche nella forma e nelle dimensioni. Alla fine ho deciso di rimuoverle e ricominciare da zero avvalendomi ancora una volta del plotter da taglio. Aiutandomi con dei disegni quotati ho progettato dei nuovi pezzi che poi sono stati tagliati sullo stesso foglio di Plasticard precedentemente utilizzato per lo scarico del motore; una volta staccati, puliti e rifiniti con una limetta da unghie, li ho lasciati per un momento in stand by e mi sono concentrato sulla creazione dello scasso in cui inserirli.

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Allo scopo di ottenere un fissaggio saldo e duraturo, mediante il cesello dello GSI Creos (di cui ho già parlato nella fase dei flap) ho scavato la plastica lungo l’asse dove erano stampati gli elementi aerodinamici originali fino a bucare ed ottenere un’asola; a seguire ho inserito le nuove paretine al loro interno fissando il tutto con delle spennellate di Extra Thin Cement Tamiya mirate e non troppo bagnate per evitare di deformarle. La rifinitura è avvenuta con il Mr. Surfacer 500 che ha anche riempito le piccole fessure che si erano create.

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Con le ali complete (o quasi), non mi rimaneva che unirle alla fusoliera.  Quella che sembrava essere un’operazione relativamente semplice si è trasformata in un gioco di incastri e aggiustamenti vari che mi ha portato via parecchio tempo. Quasi sicuramente la ricostruzione dei condotti delle prese d’aria ha spostato qualcosa nelle geometrie e le due semi ali hanno assunto, da subito, un diedro quasi nullo (ricordo che il diedro del ‘326 è positivo di alcuni gradi). Per ripristinare la corretta posizione le ho dovuto forzare l’alto costringendole in posizione con l’aiuto del nastro adesivo incollato dalla tip destra fino alla sinistra, passando sopra la fusoliera. Solo dopo aver controllato la correttezza degli allineamenti ho applicato grosse quantità di Extra Thin Cement lungo le giunzioni con la fusoliera lasciando riposare il modello per almeno ventiquattro ore in attesa che tutto il collante asciugasse.

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Fortunatamente, alla fine, non si sono formati grosse fessure da sanare e comunque ho preferito utilizzato la colla ciano acrilica al posto del semplice stucco al fine di poter reincidere le pannellature andate perse (e le tante viti che fissano i pannelli di raccordo sul velivolo reale) con più facilità.

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Già che c’ero ho approfittato di questo momento per rifinire e completare l’alloggiamento dei flap auto costruendo le centine di rinforzo che rimangono ben visibili quando gli iper sostentatori sono abbassati. Come sempre sono ricorso all’uso del Plasticard che ho pazientemente sagomato e adattato alle forme del bordo d’uscita alare.

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Sul bordo d’entrata, invece, erano installate due “stall stripe” (una per parte, per sapere cosa siano questi elementi aerodinamici fate CLICK QUI); sul modello sono riportate anche se la loro qualità e definizione è abbastanza approssimativa. Per questo ho deciso di eliminarle portandole via con un bisturi affilato e rifarle da zero utilizzando un quadratino di Evegreen da 0,5mm sagomato fino a farlo diventare di sezione triangolare.

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In accordo con la documentazione ho aggiunto anche le piastre di rinforzo dei predellini di salita; da notare che quello per l’abitacolo posteriore è stato completamente dimenticato dalla ESCI per cui, se anche non vorrete seguire il mio metodo, andrà reinciso e rappresentato. Ad ogni modo le piastre sono state disegnate e riprodotte al plotter utilizzando il vinile (ottimo perché dello spessore giusto e già adesivo). Sui “pedali” sono stampate delle costolature anti scivolo già molto piccole in scala 1:1…. ricostruirle quarantotto volte più piccole non è stato per nulla semplice! Ho tentato con diversi materiali tra cui fili di rame da materiale elettrico, sprue filato a caldo e altre alchimie “miracolose”, ma niente sembrava funzionare. Volete sapere cosa ho usato alla fine? Bè… sembrerà stano a dirlo… ma l’unica cosa che ha simulato davvero bene l’anti sdrucciolo è stato… un capello (le sezioni le ho incollate utilizzando la cera Future come adesivo, asciugandosi non ha creato spessori mantenendo il tutto perfettamente in scala)!

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Approfittando della foto subito sopra vi porto all’attenzione l’area contraddistinta dalla freccia in giallo: ebbene in quel punto la ESCI ha stampato una pannellatura rettangolare che dovrebbe rappresentare un portellino di accesso alla detonazione d’emergenza del canopy. La stessa cosa è riportata anche sul lato destro della fusoliera.

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Entrambe le incisioni devono essere stuccate ed eliminate perché non presenti sui velivoli reali (di qualsiasi versione).

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Proseguendo con le modifiche, Il mio esemplare era dotato di compensazione aerodinamica fissa del timone che ho aggiunto sfruttando una strisciolina di Plasticard da 0,3mm.

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Allo stesso modo entrambi gli esemplari assegnati al RSV erano provvisti di antenne ILS installate sull’impennaggio; le stesse hanno una forma abbastanza particolare, con sezione praticamente ovale al centro e tonda alle estremità che si fissano alla deriva. Ho provato a rifarle appiattendo un tubicino di ottone da 0,2mm ma non mi convincevano molto vedendole sul modello. Alla fine ho optato per lasciarle con sezione tonda utilizzando lo stesso materiale di cui sopra. Ho anche riprodotto le piastre di fissaggio fustellando quattro dischetti di alluminio adesivo.

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La freccia mette in evidenza una pannellatura reincisa, assente nel kit, che sul velivolo reale serviva per accedere alle apparecchiature avioniche dell’Instrumental Landing System.

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Serbatoi alari:

Piccola premessa: nel corso della sua vita operativa, e in base alle versioni sviluppate, l’MB.326 poteva essere equipaggiato con due tipi di serbatoi alari, uno piccolo da 100 litri ed uno maggiorato da 300 litri. In teoria dovrebbero essere facilmente riconoscibili poichè, anche se hanno più o meno la stessa forma, la dimensione di quelli maggiorati è notevolmente più grande; invece quando si vedono montati sull’aeroplano è difficile distinguerli a meno che non si abbia una foto ravvicinata o di buona risoluzione che metta in evidenza i dettagli che vi elenco di seguito.

Quelli da 300 litri erano dotati di uno scarico rapido del carburante (fuel jettison) e di due valvole per il drenaggio del carburante:

Immagine inserita a scopo di discussione, fonte Drivefly.it

Da notare che i congegni di spurgo sono indicati da due stencil di colore bianco molto visibili anche nelle foto… quindi se li trovate il serbatoio è sicuramente di capienza maggiore.

Al contrario quelli da 100 litri hanno solo una piccola valvola di drenaggio annegata nella struttura e che è invisibile nelle foto di profilo (tale dispositivo, invece, è segnalato da un solo stencil che spesso non era neanche applicato):

In base a questi elementi e grazie alle informazioni contenute nella monografia “Ali D’Italia numero 13” a pagina 63, ho avuto conferma che il mio esemplare montava proprio i serbatoi maggiorati. Fugato il dubbio non rimaneva che risolvere il problema di dove trovare i fuel tank corretti visto che nel kit sono forniti solamente quelli di tipo piccolo; le soluzioni erano principalmente tre:

  • Acquistare il set della ditta australiana Oz Mods, tutto sommato corretti ma stampati (ad iniezione) molto male con vistose bave e dettagli quasi nulli.
  • Prelevare dal kit Frems dell’MB.339 i serbatoi d’estremità che sono praticamente identici a quelli usati sul predecessore. Avendoli ricevuti dall’amico Maurizio R., che approfitto per ringraziare, ho potuto constatare che oltre ad essere più lunghi di almeno 3 mm necessitano un adattamento esteso per poterli montare alle tip del kit ESCI.
  • Prelevare dal set Sky Models n°029 dedicato all’MB.339 i serbatoi in resina corretti. Questa è la soluzione che alla fine ho scelto poichè era quella più facile a livello di adattamento e montaggio. La qualità dei pezzi non è eccelsa e vanno comunque migliorati, ma almeno sono una buona base di partenza. Grazie ad un altro amico, Fulvio Spillone F. per avermi gentilmente donato l’aftermarket!

Quindi, alla luce di quanto detto sopra, ho iniziato a modificare e completare le resine:

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La freccia rossa mette in evidenza il pezzo peculiare dello stampo Frems che deve essere eliminato per portare a filo la parte che andrà a contatto con l’ala.

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Poi ho aggiunto lo scarico d’emergenza (freccia rossa) con relativa pannellatura e i due fuel drain (freccia verde).

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Sull’altro lato ho riprodotto il bullone di fissaggio utilizzando due tubicini di ottone fatti passare l’uno dentro l’altro.

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E per finire ho reinciso i due tappi per il rifornimento carburante. Per permettere un centraggio preciso e un incollaggio più forte ho anche inserito due “longheroni” fatti con un tubo di ottone.

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Sia per il montaggio, sia per la stuccatura ho utilizzato la colla cianoacrilica.

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Canopy e windshield:

Il grande tettuccio ha al suo interno molti dettagli che sono stati ovviamente ignorati dalla ESCI. Tra questi spicca la struttura di rinforzo che ho dovuto riprodurre da zero utilizzando dei listelli di Evergreen quadrati sagomati a dimensionati a dovere. I pezzi sono stati incollati utilizzando pochissima colla cianoacrilica in gel (che asciuga più lentamente e permette di allineare meglio il tutto). Lungo il frame posteriore corre il tubo di raccordo del sistema “de-mister” (anti appannamento) che ho rifatto con un tondino di ottone da 0,3 mm.

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Tutti i montanti erano fissati con dei grossi bulloni disposti su due file; quelli che ho applicato io sono della Archer già adesivi, in pratica sono dei rivetti in plastica fissati su di un supporto trasparente tipo film delle decal. Basta ritagliarli e posarli sulle zone interessate (al termine delle operazioni una spennellata di Micro Sol della Microscale è consigliabile per rendere più stabile il loro fissaggio). Nella realtà le file di bulloni sono due ma la grandezza dei rivetti è tale che non è possibile rispettare il disegno originale (quelli che ho usato sono la misura più piccola in commercio); alla fine del lavoro, con una sapiente verniciatura e tecnica del dry brush, fanno comunque la loro bella figura.

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Lungo il lato incernierato, il destro, ho aggiunto dei piccoli pin di riscontro infilando delle sezioni dello stesso tubo di ottone precedentemente utilizzato. Creando degli scassi in corrispondenza sulla fusoliera mi sono assicurato che il canopy, a modello ultimato, potesse essere montato senza colla e semplicemente inserendo i riscontri a pressione.

Anche il parabrezza ha ricevuto una piccola miglioria: con il nastro Tamiya ho ricreato una cornice sagomata che corre lungo il montante e che funge da battuta per la guarnizione del sistema di pressurizzazione del canopy.

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Tutti i trasparenti sono stati, infine, bagnati nella Future (che ha funzionato anche da ulteriore collante per le parti aggiunte a posteriori) e lucidati con la Modelling Wax della Tamiya (come spiegato in QUESTO nostro video tutorial).

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Pozzetto carrello anteriore e ultimi particolari:

L’ultimo inconveniente da superare riguarda il pozzetto carrello anteriore, più che spoglio e con la linea di giunzione delle semi fusoliere che passa proprio nel mezzo! per nasconderla ho ricreato un doppio fondo e per chi si cimenterà nella ricostruzione dopo di me faccio presente che le dimensioni del “trapezio” in plasticard sono le seguenti: lato corto in alto 7 mm, lato lungo in basso 1,2 cm circa, altezza 1,2 cm.

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Il pozzetto è stato poi completato dai longheroni di rinforzo ottenuti con delle striscioline di Evergreen larghi 0,5 mm e da altri componenti tra cui:

  • Un piccolo cilindro che, molto probabilmente, nella realtà era l’accumulatore di pressione per la pre carica ammortizzatore. L’ho realizzato con una piccola resistenza elettronica.
  • Una scatola elettrica, anche questa “cannibalizzata” da una scheda elettronica.
  • Vari cavetti elettrici riprodotti con filo di rame e stagno.
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Dato che il mio esemplare era provvisto di collimatore, l’ho dovuto auto costruire usando una lastrina di rame modellata e Plasticard.

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Già che ero di nuovo a lavoro nella zona dell’abitacolo ho rifatto anche il blocco di chiusura del canopy usando, ancora una volta, i tubicini di ottone della Albion Alloy.

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A seguire, con un rod circolare da 1,2mm ho ricreato la base su cui andrà incollata la strobe light.

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Con una soluzione sbrigativa e semplicistica la ESCI non permette di montare gli pneumatici se non immediatamente prima di assemblare le forcelle delle gambe di forza. Ovviamente questa opzione è scomoda e complica non poco la verniciatura dei cerchioni e dei battistrada.

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Guardando le foto del velivolo reale ho adottato la stessa “Ingegneria”: ho segato via i mozzi in plastica, ho forato le forcelle e ho inserito degli spezzoni di tondino di ottone da 0,3 mm. Oltre ad essere funzionale la modifica mi ha permesso anche di rinforzare il meccanismo dei carrelli.

Sempre in base alla documentazione mi sono reso conto che sulla gamba di forza del carrello anteriore molti elementi erano assenti. Per questo ho rimesso mano ai materiali per l’autocostruzione:

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Freccia azzurra: con del filo di rame sottile attorcigliato intorno alla gamba di forza ho ricreato quella la molla dell’ammortizzatore.

Freccia rossa: sopra la molla è saldata la struttura su cui si innestano i due bracci che permettono la retrazione del carrello stesso. Nel kit è completamente assente e l’ho reinventata con una sezione di tubicino d’ottone.

Freccia gialla: con un pezzo di ago ipodermico ho costruito il supporto del faro d’atterraggio a cui ho poi aggiunto il cavetto elettrico.

Infine ho aggiunto i vari cavi idraulici dei freni (in nero) e elettrici (in giallo) per l’alimentazione del microswitch che inibiva la leva dei carrelli quando il velivolo era a terra.

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Verniciatura:

Finalmente, dopo tantissime ore spese per migliorare e aggiornare il mio MB.326, sono giunto alla verniciatura. Sul modello ho steso il Mr. Finishing 1500 Black della Gunze diluito all’80% con il Mr. Levelling Thinner della stessa casa. Ad asciugatura avvenuta ho carteggiato le superfici con spugnette abrasive 400/6000/8000 e 10000 bagnate in modo da ottenere una finitura liscia ed estremamente compatta.

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Sfruttando la base già nera ho approfittato per mascherare i numeri di carrozzella; da precisare che questi non sono prodotti da alcuna ditta del settore, in nessuna scala. Partendo dalle proporzioni dei codici contenuti nel foglio decal del MB.326 K Italeri, e grazie all’aiuto dell’amico Marco Natter, li ho ritagliati su un foglio di nastro Kabuki mediante l’oramai onnipresente plotter da taglio!

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L’allineamento del “RS-19” mi ha fatto sudare le proverbiali sette camice anche per le forme curve e rastremate del muso che ingannano un po’ l’occhio, ma prendendo i giusti riferimenti (soprattutto dalle foto del soggetto reale) l’operazione è stata più che fattibile.

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Successivamente ho proseguito stendendo il White Alluminium della Alclad (ricordo, per dovere di cronaca, che l’esemplare oggetto dell’articolo era verniciato in alluminata). Anche se il metallizzato è pronto all’uso, già da qualche tempo trovo giovamento nel diluirlo ulteriormente aggiungendo circa il 50% di Mr. Levelling Thinner; quest’accortezza aiuta nella stesura e previene la formazione di polvere dovuta ad un’asciugatura troppo rapida del pigmento (fenomeno maggiormente visibile in estate). Ovviamente l’aggiunta del Levelling non va mai fatta nella boccetta originale, pena la possibilità di dover cestinare il prodotto.

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Il terminale dello scarico, invece, è in Dark Alluminium.

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Le grandi e vistose zone in arancione alta visibilità sono state dipinte con l’Xtracolor X-104 International Orange steso direttamente sull’Alluminium e diluito al 70% con la Nitro.

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Gli anti riflesso all’interno dei serbatoi, delle alette anti scorrimento e davanti il parabrezza sono in nero opaco.

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I pozzetti dei carrelli sono stati verniciati nel verde Macchi, molto simile ad un Bronze Green. Per questo particolare colore ho creato un mix “home made”:

  • 20 gocce XF-26 + 15 gocce H-326 + 10 gocce H-69 + 5 gocce XF-4.

Una delle operazioni più tediose è stata la mascheratura per realizzare le zone rivestite con la vernice anti ghiaccio. Questa era applicata su tutti i bordi d’attacco delle ali, delle prese d’aria, sull’ogiva del muso e sulla deriva. In particolare per quest’ultima ho ricreato una mascherina ad hoc che ho poi riprodotto sul nastro Kabuki grazie, ancora una volta, al plotter.

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Per tutti i punti sopra elencati ho utilizzato il grigio 36375 – Gunze H-308. La stessa tinta l’ho passata anche sulla tip dell’impennaggio realizzata in materiale dielettrico perché conteneva all’interno l’antenna UHF.

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Col rosso Tamiya XF-3 ho realizzato la fascia di pericolo in fusoliera, una fatica per allineare correttamente il nastro ma sempre meglio che utilizzare la decalcomania. Con lo stesso colore ho verniciato le “stall stripe” sul bordo d’attacco delle ali evidenziate per motivi anti infortunistici.

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Lucido, lavaggi e decalcomanie:

Come mio solito ho lucidato il modello col fidato X-22 Tamiya diluito all’80%, con il Mr. Levelling Thinner Sono bastate poche mani (direi 5/6) poichè il fondo metallizzato era già più che liscio.

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Una volta asciutto il Macchino ha ricevuto i lavaggi per mettere ben in risalto le belle pannellature del kit. Per i washing ho scelto i colori ad olio, più in particolare un grigio non troppo scuro ottenuto mescolando il bianco di Marte e il nero avorio Maimeri; come diluente quello per smalti Humbrol.

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Dopo altre tre mani di trasparente (utilizzando quello già preparato in precedenza), e dopo aver atteso le canoniche ventiquattro ore di asciugatura, ho iniziato ad applicare le decalcomanie. Queste provengono da tre fogli differenti:

  • Italeri dal kit 2710 – MB.326 K: stampate dalla Cartograf e dalla qualità ottima, da questo set ho prelevato vari stencil di manutenzione e gli stemmi di reparto (unici corretti esistenti per il mio esemplare).
  • Small World Accessories SWAD 48002 – Italian Air Force Aermacchi MB.326: vecchio foglio uscito nel lontano 2008 ma di buonissima fattura. Da qui ho prelevato i numeri di matricola (che sono un mix di vari esemplari proposti per ottenere la M.M. 54289 del mio velivolo specifico) e la maggior parte degli stencil di manutenzione. Fate attenzione alle coccarde che, purtroppo, sono errate poichè sovradimensionate.
  • Tauromodel 72538 – coccarde per S2C-5 Helldiver: pur essendo per la scala più piccola le insegne di nazionalità dedicate all’Helldiver hanno le dimensioni corrette per un MB.326 in 1/48.
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Anche le decal sono state sottoposte al lavaggio con lo stesso colore ad olio sopracitato e, a seguire, il modello è stato completamente sigillato con altre 2/3 mani di lucido leggermente più diluito.

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Montaggio finale:

Prima di procedere oltre il modello ha ricevuto la finitura finale mediante due mani di trasparente satinato Mr. Paint, ad eccezione dei pannelli anti riflesso trattati con il Flat Clear H-20 Gunze (diluito con la nitro).

Ho installato le luci di navigazione/posizione, quelle che vedete provengono dai set della CMK in resina trasparente colorata (utilissimi).

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I due pitot sul muso e le piccole antenne nere posizionate sul ventre e sul dorso provengono dal kit di un A-4 Skyhawk Hasegawa (stampo sempre utile perché contiene una miriade di pezzi “spare”). L’antenna a lama bianca sotto al cockpit, invece, è auto costruita partendo dalla cornice di una vecchia fotoincisione.

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All’interno del canopy ho inserito anche lo specchietto retrovisore per l’istruttore/secondo pilota, anch’esso foto inciso e commercializzato dalla True Details.

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Il pistone attuatore dell’aerofreno ventrale è rifatto infilando una sezione di ago ipodermico in un tubicino d’ottone da 0,5 mm di diametro. Quello da scatola è stato prontamente scartato perché decisamente non all’altezza.

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Conclusioni:

Inizialmente questo progetto sembrava potesse giungere a conclusione in poche settimane: l’esiguità dei pezzi e la buona qualità degli incastri facevano sperare per il meglio. Andando avanti nella costruzione, come avete potuto vedere, mi sono dovuto necessariamente confrontare con le carenze di un kit che oramai ha quasi quarant’anni sulle spalle. Non è un modello semplice ma con attenzione passione se ne può tirare fuori ancora qualcosa di veramente soddisfacente.

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Al prossimo articolo, buon modellismo a tutti!

Valerio “Starfighter84” D’Amadio.

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Aftermarket Review – Model Print 3D Italian Air Force Pilots in scala 1/72, 1/48 e 1/32.

La Model Print 3D è una garage factory romana che si offre, principalmente, come service per la modellazione e la stampa di oggetti e soggetti in tre dimensioni. Quelli che presenterò in questa recensione, invece, sono prodotti interamente realizzati dalla ditta dal modello al pezzo finale. Si tratta di una serie di figurini in resina che rappresentano il classico pilota dell’Aeronautica Militare Italiana in tenuta da volo con e senza casco nelle tre scale principali: 1/72, 1/48 e 1/32.

Il master, realizzato con software per il 3D, è ottenuto con le nuove tecniche di stampa Digital Light Processing (DLP) e successivamente riprodotto in serie per la vendita mediante il classico metodo dello stampo in gomma e copie in resina. Per ogni confezione, di qualsiasi scala, vengono proposte due configurazioni che permettono di realizzare il pilota in due diversi periodi: anni 70/80 e dal 1990 ad oggi.

La MP3D propone i pezzi come generici e utilizzabili per qualsiasi velivolo in carico alla nostra Aeronautica Militare negli intervalli sopra indicati ma, come spiegherò successivamente, questi sono adatti per riprodurre una categoria di piloti limitata alle solo linee volo di F-104, MB.339 e AMX con l’esclusione di tutto il periodo antecedente il 1987 circa.

Nella maggior parte dei casi si dovranno correggere alcuni particolari al fine di ricavarne una riproduzione corretta e fedele, soprattutto nella scala 1/32 dove i dettagli sono ben visibili e non possono essere trascurati.

I figurini.

Scala 1/32 e 1/48: i set commercializzati sono due: uno con casco early HGU-2 A/P (erroneamente chiamato APH-6, ma di questo parlerò più avanti) ed uno con casco late HGU-55. In ogni confezione possiamo trovare il blocco principale del corpo, una testa che indossa il casco da volo, una testa libera, un casco singolo e una maschera singola posizionabili a piacimento sul velivolo o vicino ad esso. C’è da dire che il tubo dell’ossigeno è stampato in resina ed è, quindi, rigido in posizione verticale; al fine di poter poggiare il casco e la maschera, ad esempio, su un’ala sarà necessario ricostruire il tubo stesso con altro materiale e rappresentarlo adagiato alla superficie scelta.

Scala 1/72: in ogni confezione possiamo trovare due figurini già assemblati per via delle ridotte dimensioni. Anche in questo casi è possibile realizzare la configurazione early o late ma non c’è la possibilità di riprodurre il capo libero dal casco.

Nel set viene fornito anche un foglio che illustra i colori da utilizzare per la verniciatura del pilota e del suo equipaggiamento. Sarebbe stata, forse, più utile una foto del soggetto reale magari con qualche inquadratura di dettaglio.

Guardando la quantità di particolari sul figurino originale, e confrontandolo con i pezzi in resina, qualcosa non convince: la definizione dei prodotti da vendita è nettamente inferiore rispetto al master utilizzato per la riproduzione in serie.

I dettagli risultano in molte zone impastati e poco visibili, segno che molto si è perso durante la riproduzione del calco in gomma siliconica. Inoltre lungo gli arti inferiori e superiori è visibile la linea di stampa che dovrà essere rimossa con un bisturi affilato prima di procedere alla verniciatura.

Ma diamo ora uno sguardo più approfondito alle due configurazioni possibili.

Anni dal 1990 ad oggi:

Gli unici elementi che differenziano le configurazioni nei diversi periodi sono il casco da volo e la relativa maschera dell’ossigeno. Per questa configurazione è stato realizzato il casco HGU-55P, la versione più leggera e senza copri visiera dell’HGU-55G diffuso negli anni ‘90 e tutt’ora in uso. Esso si presenta realizzato abbastanza fedelmente, l’imbottitura sul bordo dovrebbe essere più spessa e in generale dovrebbe aderire maggiormente al volto del pilota.

 

Immagine inserita a scopo di discussione – fonte http://www.lightairplanes1.com/i_caschicasco_di_volo_per_piloti_militari_pilota_militare_collaudatori_aeronautica_aeronautiche_aerei_aeroplani_aereo_aeroplano_jet_con_specifiche_mil_equipaggiamento_maschera_ossigeno_hgu.htm

Immagine inserita a scopo di discussione – fonte https://heritageflightgeardisplays.wordpress.com/2010/06/06/1980s-hgu-55p-and-mbu-12p/

Immagine inserita a scopo di discussione – fonte https://heritageflightgeardisplays.wordpress.com/2010/06/06/1980s-hgu-55p-and-mbu-12p/

Casco da volo HGU-55P con maschera MBU-12P in colore grigio e verde scuro (quest’ultima poco utilizzata in Italia soprattutto in tempi più recenti). 

Immagine inserita a scopo di discussione – fonte https://shop.gentexcorp.com/gentex-hgu-55-p-fixed-wing-helmet-system/

HGU-55P con sottogola aggiornato (utilizzato in periodo più recente).

La maschera MBU-12P appare di forma troppo allungata, fuori scala e quasi priva di dettaglio.

Immagine inserita a scopo di discussione – fonte http://flightequip.com/mascaras-de-oxigeno/39-mascara-mbu-12-nueva.html

Immagine inserita a scopo di discussione – fonte http://flightequip.com/mascaras-de-oxigeno/39-mascara-mbu-12-nueva.html

Maschera ossigeno MBU-12P.

Immagine inserita a scopo di discussione – fonte https://www.airliners.net/photo/Italy-Air-Force/Lockheed-Aeritalia-F-104S-ASA-M-Starfighter/657267

Pilota di F-104 con HGU-55P e MBU-12P (anno 2004). 

Pilota di MB-339 nell’abitacolo anteriore con HGU-55P  e MBU-12P.

https://www.facebook.com/paul.kiewik/posts/10218070194856440 foto di Paul Kiewik

Sala equipaggiamenti del 4°Stormo Grosseto (2004) in cui si notano anche HGU-55P con maschera MBU-12P.

Intorno al 1988 furono introdotte le nuove tute da volo denominate T-85 di colore verde-oliva chiaro che sostituiva la più vecchia denominata K-2B. Il figurino è rappresentato già vestito con Secumar e tuta anti-G, per cui l’unico particolare che può far distinguere le due varianti sopra indicate è la tasca porta oggetti/porta penne sul braccio sinistro (sotto lo scudetto): sulla T-85 fu aggiunta una chiusura di stoffa di “sicurezza” che bloccava gli oggetti stivati per evitare che si perdessero e potessero rappresentare un rischio FOD. Sul figurino tale componente non è riprodotto essendo il blocco principale del corpo identico per le due versioni e basato sulla tuta precedente. inoltre il dettaglio in tale zona è un po’ troppo abbozzato.

http://armeriatorino.it/prodotto/tuta-volo-pilota-esercito-italiano/

https://digilander.libero.it/air10/f104/majerna_2000ore.htm

https://www.facebook.com/photo.php?fbid=1817461071658988&set=g.8676337298&type=1&theater&ifg=1

Piloti con tuta T-85, da notare come il verde del tessuto poteva variare.

http://www.cesmep.it/prof-carlo-tranquilli/

Dettaglio tasca tuta T-85 utilizzata dal 1988.

Dettaglio tasca tuta K-2B in verde scuro (come rappresentata sul figurino).

Il Secumar 10H/IAF fu introdotto nel 1974 ed è tutt’ora in uso nei reparti italiani. Quello raffigurato è il primo modello (aggiornato poi intorno al 2005) poiché quello più recente presenta la tasca laterale sinistra più grande per alloggiare la nuova radio di sopravvivenza diversa in lunghezza. Anche i due salvagenti autogonfiabili superiori hanno subito qualche modifica così come altri particolari meno evidenti. In foto sono segnalate le differenze che, a mio avviso, in 1/72 e forse in 1/48 possono essere tralasciate; nella scala 1/32, al contrario, son ben visibili.

https://theaviationist.com/special-reports/f-104-pictures-from-the-troupe-azzurra-archive/

Piloti di F-104 con Secumar “primo modello” (2004). 

http://beijingbikes.blogspot.com/2012/06/secumar-10hiaf-survival-pilot-vest.html

http://beijingbikes.blogspot.com/2012/06/secumar-10hiaf-survival-pilot-vest.html

http://beijingbikes.blogspot.com/2012/01/secumar-10h-iaf-italian-air-force-life.html

http://beijingbikes.blogspot.com/2012/01/secumar-10h-iaf-italian-air-force-life.html

Secumar 10H/IAF “primo modello” utilizzato negli anni 90 con linguette color verde.

Nota coloristica a margine: nelle prime dotazioni i giubbotti erano in un verde tendente al grigio mentre successivamente furono diffusi in un verde scuro e più “brillante”.

https://www.facebook.com/AeronauticaMilitareOfficialPage/photos/a.154094471423260/268850253281014/?type=3&theater

Piloti di MB-339 con T-85 e Secumar “primo modello”.

https://twitter.com/ItalianAirForce/status/1010832438803812352

http://www.senigallianotizie.it/1327331900/aeronautica-militare-anche-un-senigalliese-tra-le-nuove-aquile

https://theaviationist.com/2011/11/16/dipaola/

Piloti con Secumar 10H/IAF aggiornato introdotto circa nel 2005.

Ad ogni modo sul prodotto della Model Print 3D esso appare sproporzionato poiché troppo lungo per le dimensioni del torso. Inoltre dovrebbe essere più vicino ed aderente alle ascelle.

Le foto che seguono illustrano i dettagli di un Secumar 10H/IAF-T che comprende anche le maniche ed utilizzato dai piloti della linea Tornado (che non possono essere quindi riprodotti con il figurino di cui sto parlando). A parte le maniche e la chiusura centrale, esso è identico al Secumar primo modello delle foto sopra.

La tuta anti-G rappresentata è la IMI-334 (introdotta circa nel 1986/87). Il cosciale era posizionabile a piacimento sulla gamba sinistra o destra tramite velcro. Sul figurino la tasca è situata sulla gamba destra ma il velcro sulla parte sinistra, che sul master in 3D è presente, sulle copie in resina è praticamente invisibile (poco male, basterà ricrearlo dipingendolo con un verde più scuro ed un pennellino sottile). Il dettaglio del pantalone anti-G è abbastanza convincente anche se in alcune zone si perde un po’.

1. http://www.udine20.it/frecce-tricolori-marco-lant-sara-il-nuovo-comandante/

http://www.usmilitariaforum.com/forums/index.php?/topic/203324-collection-from-italy-6-f-104-pilot-italian-air-force/page-3

Cinghie di ritenzione gambe per pilota di F-104, Upper per quelle alle ginocchia e Lower per quelle alle caviglie.

Nei primi anni del 2000 furono introdotti i nuovi pantaloni anti-G modello CSU-13B/P (tutt’ora standard per i piloti di tutte le linee volo tranne quella Eurofighter) e in seguito, con molta probabilità intorno al 2014/15, fu introdotta anche la tuta attuale completamente differente dalla precedente T-85 (quest’ultima utilizzata da alcuni piloti fino al 2015 come mostrano le referenze fotografiche).

Comunque fino all’introduzione definitiva dell’ultima tuta era usuale vedere il personale indossare sulla T-85 entrambi i pantaloni anti-G (sia IMI-334, sia CSU-13).

http://www.flighthelmet.com/mm5/merchant.mvc?Screen=PROD&Store_Code=FHL&Product_Code=PRGS-CSU13&Category_Code=PRGS

http://www.gforces.com/gsuit.html

CSU-13B/P.  

http://galatina.lecceprima.it/aeronautica-militare-le-nuove-aquile-hanno-anche-il-fascino-orientale.html

Piloti di MB-339 con tuta T-85 e CSU-13B/P (2013).

https://theaviationist.com/special-reports/f-104-pictures-from-the-troupe-azzurra-archive/

Piloti di F-104 con IMI-334 e CSU-13B/P (2004).

Quindi con in materiale proposto nella confezione “anni 90-oggi” è possibile, oltre al pilota di F-104, riprodurre un pilota di AMX e MB-339 dagli anni 90 fino al 2014/15 tenendo sempre presente l’aggiunta della chiusura di sicurezza sulla tuta T-85 e l’introduzione del Secumar aggiornato intorno al 2005. Per dovere di cronaca faccio presente che nel 2009/2010 sono stati forniti anche i nuovi stivaletti da volo ma, in base alla documentazione, quelli vecchi sono stati utilizzati anche in seguito a questa data fino ad esaurimento fornitura.

Stivaletti da volo vecchio tipo come riprodotti sul figurino.

https://www.difesa.it/SGD-DNA/Staff/DG/COMMISERVIZI/ST/2D-V/Pagine/ST_1433.aspx

https://www.difesa.it/SGD-DNA/Staff/DG/COMMISERVIZI/ST/2D-V/Pagine/ST_1418.aspx

Stivaletti nuovo tipo invernale (sopra) ed estivo (sotto).

https://www.facebook.com/photo.php?fbid=1738743462864083&set=pcb.10155964929327299&type=3&theater dal gruppo “F 104 STARFIGHTER”

Pilota di F-104 anni 2000. Il figurino proposto dalla model Print 3D in versione anni 90-oggi rispecchia nell’equipaggiamento il pilota nella foto tranne che per la maschera dell’ossigeno.

https://www.facebook.com/photo.php?fbid=10213863398651921&set=g.8676337298&type=1&theater&ifg=1 dal gruppo “F 104 STARFIGHTER

Piloti di F-104 anno 1990/91 con tuta T-85 ed IMI-334.

https://www.facebook.com/paul.kiewik/posts/10218070194856440 foto di Paul Kiewik.

Piloti di F-104 anno 2004 con tuta T-85, Secumar “primo modello” e pantaloni anti-G sia IMI-334 sia CSU-13B/P.

https://www.facebook.com/photo.php?fbid=2267175036850632&set=g.1485687571657916&type=1&theater&ifg=1 dal gruppo “AMX/AMX-T Ghibli” foto di David Alcoforado.

Piloti di AMX con T-85, Secumar “primo modello” e IMI-334  anno 1999.

https://www.facebook.com/photo.php?fbid=10215276033483904&set=g.1485687571657916&type=1&theater&ifg=1 dal gruppo “AMX/AMX-T Ghibli”

Piloti di AMX con T-85, Secumar “primo modello” e IMI-334 .

. https://www.airliners.net/photo/Italy-Air-Force/AMX-International-AMX/702832

Pilota di AMX con HGU-55P anno 2004.

http://www.alessandrozucchelli.it/103gr.2012.html

Piloti di AMX con T-85, Secumar versione aggiornata e tuta anti-G su modello CSU-13B/P anno 2012.

Anni 1970/1980:

Per la versione anni 70/80 è fornito il casco da volo, definito sulla confezione, APH-6 a doppia visiera. Tale casco fu adottato nel 1961 dalla U.S. Navy in varie versioni tra cui l’APH-6B e 6C (introdotti circa nel 1968/69) che prevedevano la doppia visiera (anche se spesso le versioni mono visiera venivano modificate e personalizzate dal personale navigante).

In realtà l’APH-6 non è mai stato utilizzato in Italia e non ha mai figurato nelle scorte dei vari Reparti. quello che la Model Print 3D voleva riprodurre è il casco HGU-2A/P realizzato nella versione bi-visiera (colorazione neutra e fumé) dalla Gentex (copri visiera diviso in 3 parti) e dalla Sierra Engineering Co. (copri visiera in un’unica parte) negli anni ‘60.

http://www.flighthelmet.com/mm5/merchant.mvc?Screen=PROD&Store_Code=FHL&Product_Code=26229&Category_Code=VNA6

Casco da volo APH-6C.

In Italia fu acquisito intorno alla fine degli anni ‘60 (anche prodotto su licenza dalla ditta Giusti di Roma) e utilizzato fino alla fine degli anni ‘80, subendo nel tempo la modifica per i diversi attacchi della maschera ossigeno. La versione proposta nella confezione è quella con il copri visiera in unico pezzo ma il casco risulta sbagliato in quanto riporta delle caratteristiche uniche della versione americana. Nell’APH-6, infatti, le cuffie venivano fissate tramite una vite inserita in un disco di plastica (ben visibile sul figurino in resina) la quale passava attraverso un foro più largo sulla calotta (in modo che il pilota potesse essere in grado di regolarne di poco la posizione). Nell’HGU-2 A/P, al contrario, gli elementi audio venivano tenuti in posizione tramite due cordini legati all’esterno e messi in tensione mediante un perno. Per ottenere un risultato fedele andrebbero limati i dischi in rilievo e rifatti i sopracitati cordini. Cambiava anche l’attacco per l’interfono, completamente assente sul pezzo: con un po’ di plasticard non sarà troppo difficile ricrearlo.

Casco da volo HGU-2A/P con attacchi per agganci a “T”.   

Anche gli agganci per la maschera sull’APH-6 erano completamente diversi da quelli dell’HGU-2 A/P (ma nell’ultimo periodo su quelli “customizzati” si potevano trovare gli stessi attacchi). Sul pezzo riprodotto sembra siano stampati gli agganci per la maschera dell’ossigeno più recenti (utilizzati per gli attacchi a T e a Offset) che possono andare bene anche se, per la maschera proposta, era molto più comune vedere i ganci per il vecchio attacco detto ad “albero di natale”. In ogni caso la calotta del copri visiere non convince affatto, troppo schiacciata e dalle forme abbastanza sbagliate. Dovrà essere, inoltre, auto costruito il sottogola.

Casco da volo HGU 2 A/P con maschera MS22001/MBU-3P con agganci ad “albero di natale”.

La maschera fornita per questo tipo di casco è la MS-22001 / MBU-3P utilizzata fino a circa metà anni ‘80 (in alcuni casi anche fino alla fine della stessa decade) e successivamente rimpiazzata dalla MBU-5P. Essa appare, come detto, un po’ fuori scala.

Il blocco principale del corpo è identico alla versione anni 90-oggi e perciò valgono le stesse considerazioni con relative foto fatte per il Secumar 10H/IAF nel precedente paragrafo.

La tuta utilizzata fino all’arrivo della T-85 nel 1988/89 è la K-2B. Introdotta nella seconda metà degli anni ’60 e prodotta su licenza americana dalla ditta Giusti di Roma con un colore verde salvia, la K-2B fu rimpiazzata nei primi anni ‘80 da una versione italiana, sempre sullo stesso modello, in fibra ignifuga NOMEX di colore verde scuro (denominato verde OTAN). Fino al 1985 circa era possibile vedere piloti con la tuta ancora di colore verde salvia, anche dopo la diffusione di quella nuova in verde scuro.

In questo caso il dettaglio sul figurino della tasca con porta oggetti/penne sul braccio sinistro è riprodotto nel giusto modo.

http://www.usmilitariaforum.com/forums/index.php?/topic/203324-collection-from-italy-6-f-104-pilot-italian-air-force/page-3

Tuta K-2B in grigio-verde salvia.

Dettaglio della manica sinistra e del colore della K-2B in grigio-verde salvia.

http://www.usmilitariaforum.com/forums/index.php?/topic/203324-collection-from-italy-6-f-104-pilot- italian-air-force/page-5

Piloti di F-104 con tuta T-85 e Secumar “primo modello”. Notare come alcuni Secumar presentano tutte le “linguette” in arancio mentre altri no; si possono notare anche alcuni caschi HGU-2A/P e alcune maschere MBU-3P (anno 1988).

http://www.usmilitariaforum.com/forums/index.php?/topic/203324-collection-from-italy-6-f-104-pilot-italian-air-force/page-2

. http://www.usmilitariaforum.com/forums/index.php?/topic/203324-collection-from-italy-6-f-104-pilot-italian-air-force/page-2

http://www.usmilitariaforum.com/forums/index.php?/topic/203324-collection-from-italy-6-f-104-pilot-italian-air-force/page-2

Pilota di F-104 con K-2B in grigio-verde salvia e Secumar “primo modello” (anni 1974 – metà 1980).

Come detto il blocco principale del corpo è identico per entrambe le configurazioni perciò, anche per la versione anni 70-80, è riprodotta la tuta anti-G IMI-334. Tuttavia quest’ultima fu introdotta soltanto nel 1987/88 con la diffusione della nuova tuta T-85. L’anti G più indicata per il periodo in analisi è il modello CSU-3P, versione italiana del corrispettivo pantalone anti-G americano prodotto su licenza dalla Giusti e molto differente dalla IMI-334. Gli scarponi sono i classici stivaletti da volo a sgancio rapido di cui già ho fatto cenno prima. In definitiva la combinazione HGU-2 A/P (o come lo definisce erroneamente la confezione APH-6), MBU-3P e IMI-334 non è corretta per un pilota del periodo antecedente il 1987/88.

http://www.usmilitariaforum.com/forums/index.php?/topic/203324-collection-from-italy-6-f-104-pilot-italian-air-force/page-2

http://www.usmilitariaforum.com/forums/index.php?/topic/203324-collection-from-italy-6-f-104-pilot-italian-air-force/page-5

http://www.usmilitariaforum.com/forums/index.php?/topic/203324-collection-from-italy-6-f-104-pilot-italian-air-force/page-5

http://www.alessandrozucchelli.it/4stormo_foto81.5.html

http://www.alessandrozucchelli.it/4stormo_foto81.5.html

http://www.alessandrozucchelli.it/4stormo_foto81.1.html

http://www.alessandrozucchelli.it/villafranca1.html

http://www.alessandrozucchelli.it/villafranca1.html

http://www.alessandrozucchelli.it/4stormo_foto81.5.html

http://www.alessandrozucchelli.it/4stormo_foto81.5.html

http://www.alessandrozucchelli.it/4stormo_foto81.5.html

Piloti di F-104 con CSU-3P anni 80.

Il figurino proposto dalla model Print 3D in versione anni 70-80 rispecchia nell’equipaggiamento il manichino qui sopra. Casco da volo HGU- 2A/P, tuta da volo K-2B verde scuro, Secumar “primo modello”, pantalone anti-G IMI-334 e stivaletti da volo tipo vecchio. Come detto, tale combinazione non può essere utilizzata per realizzare un pilota in periodo antecedente il 1987/88.

https://www.facebook.com/photo.php?fbid=2283971075007983&set=g.8676337298&type=1&theater&ifg=1 dal gruppo “F-104 STARFIGHTER”

Piloti di F-104 con tuta T-85, pantalone anti-G  IMI-334 e casco HGU-2 A/P bi-visiera (copri visiera Gentex in 3 parti). Fine anni 80.

https://www.facebook.com/photo.php?fbid=10215728007728533&set=g.174219999412466&type=1&theater&ifg=1 foto di Giancarlo Gusso (Janka Gux) dal gruppo “Piloti Istruttori della S.V.B.I. e Del 61° Stormo di Galatina.”

Piloti di MB-339 con tuta K-2B in grigio-verde salvia e verde scuro con pantalone anti-G CSU-3P.

Conclusioni:

Sono molto felice che qualcuno abbia pensato di creare e mettere in commercio questa serie di figurini che, personalmente, aspettavo da tanto; credo però che il risultato finale non sia all’altezza degli standard che la tecnologia odierna ha raggiunto.

Tutte le modifiche proposte, a mio avviso, sono praticamente indispensabili per l’articolo in scala 1/32 dove ogni dettaglio è ben visibile, riconoscibile e per questo non può essere tralasciato. Per la scala 1/48 valgono tutte le considerazioni fatte anche se per alcuni dettagli sarà sufficiente una buona ed accurata colorazione che possa definirli ed esaltarli. Nella 1/72 con qualche accortezza e una sapiente pittura si può ottenere un risultato più che accettabile e utile per arricchire le nostre scenette e diorami. In ogni caso una ricerca e uno studio un po’ più approfonditi avrebbero sicuramente evitato gli errori che ho evidenziato in questa recensione, e che lasciano un po’ di amaro nella bocca dei modellisti più smaliziati.

Per concludere, i pezzi hanno bisogno di alcune migliorie per salire di livello. Con attenzione e cura possono comunque far bella figura accanto ai nostri modelli di velivoli italiani, ma richiedono tanto lavoro.

Vorrei ringraziare Maurizio Piazzai per avermi permesso gentilmente di fotografare il manichino all’interno della sua ditta.

Buon modellismo a tutti! Andrea “trachio001” Pinto.

Panavia Tornado “Special Color 311° Gruppo” – In Flight Display dai kit Italeri in scala 1/48.

1

Il WORK IN PROGRESS completo lo potete trovare QUI!

Quella che mi accingo a scrivere è un’appendice al già noto ARTICOLO dedicato al Tornado IDS Special color del 311° Gruppo Volo pubblicato su queste pagine più di un anno fa. Il tutorial mi è stato preziosissimo per affrontare al meglio le numerose difficoltà di costruzione e posa delle grandi decalcomanie sui due modelli che vi sto per presentare.

Dal canto mio ho scelto di non dilungarmi troppo nella descrizione del montaggio base perché già ampiamente documentato e commentato nei link inseriti sopra; ho deciso, al contrario, di soffermarmi maggiormente sulle modifiche per realizzare i due soggetti in volo e le principali modifiche da attuare per renderli stabili e, allo stesso tempo, accattivanti!

Quindi per ogni eventuale lacuna o dubbio, fate riferimento agli altri “servizi” già presenti su Modeling Time.

Parto dai vani carrello con relativi portelli che sono progettati per essere rappresentati aperti; chiudendoli essi lasciano delle ampie fessure (soprattutto i posteriori) che ho deciso di colmare con dei rinforzi in Plasticard da 1 mm incollati lungo i bordi. Inoltre, all’interno delle baie ho inserito dei listelli che hanno funzionato da supporto per incollare con maggiore forza i portelloni. Siate generosi con i rinforzi onde evitare sgradevoli sorprese (leggete “cedimenti”) durante la reincisione.

Per realizzare i Tornado in volo e in virata ho pensato ad una soluzione bizzarra, una scommessa (che per fortuna ho vinto!) per il buon esito finale del modello stesso: non sono un amante dei sostegni che entrano all’interno dei motori quindi ho deciso che i miei si sarebbero sorretti dalla pancia, appena dietro la grossa scritta “311° Gruppo Volo”.

Prima di chiudere il troncone di coda posteriore ho irrobustito pesantemente la struttura per evitare flessioni indesiderate della plastica:

Successivamente ho acquistato un listello cilindrico trasparente prodotto dalla Tamiya con circonferenza di 0.8mm (è in plastica dura – non in plexiglass), dovrà avere necessariamente un alloggiamento che ho ricreato con un profilato Evergreen leggermente più piccolo come diametro; per riportarlo alle dimensioni corrette l’ho scaldato sulla fiamma di una candela e l’ho inserito a pressione sulla bacchetta trasparente. Una volta raffreddato l’ho tagliato e incollato all’interno della semi fusoliera inferiore aggiungendo dei rinforzi laterali per non farlo spostare e per sopportare meglio il peso del modello.

Vengo al cockpit: come prima operazione ho deciso di modificare leggermente la strumentazione della postazione del navigatore tagliando la plastica in eccesso e aggiungendo dei profili in Plasticard da 0.25 per dare alla palpebra e al cruscotto una configurazione più simile a quella reale (nonostante il canopy chiuso gli interni sono molto visibili alla fine).

Successivamente mi sono dedicato a piloti e seggiolini iettabili; quelli da scatola sono stati sostituiti con delle copie in resina più realistiche prodotte dalla True Detail (cui ho eliminato tutto il dettaglio già stampato sui cuscini), mentre il personale navigante proviene dalla banca dei pezzi dell’amico Fulvio (che ringrazio vivamente!) e sono dei vecchi Hasegawa ai quali ho modificato la visiera e aggiunto le cinture in nastro Kabuki (incollato con colla ciano acrilica). Per poter gestir meglio il nastro consiglio di sovrapporne due strisce in modo da ottenere delle cinghie più solide.

Sulle zone del carapace, delle alette Krueger sul bordo d’attacco e le guaine che coprono il sistema di ripiegamento delle ali i dettagli o sono appena abbozzati, o del tutto assenti. In particolare le guaine le ho ricostruite armandomi di Plasticard da 0.75mm e pazienza… tanta pazienza!

Per esperienza personale vi consiglio di lasciare qualche decimo di millimetro in più in altezza per ovviare allo spessore che l’ala acquisterà in seguito ad una mano di primer, colore, decal e trasparente finale.

Dato che i due Tornado sono rappresentati in volo e in movimento, i canopy vanno necessariamente chiusi (e questi non combaciano affatto bene né rispetto ai parabrezza, né rispetto all’alloggiamento in fusoliera). Per rendermi la vita più facile ho deciso di trattare i trasparenti come un pezzo unico incollandoli insieme grazie alla colla tappo giallo della Tamiya stesa per capillarità sui due pezzi già a contatto. Dopo diverse passate di pennellino mediamente carico si sono, infine, saldati.

Arrivato a questo punto ho incollato i vetrini sulle fusoliere stuccando, con il White Putty Tamiya, e reincidendo le zone intorno le cerniere. Purtroppo questa operazione rischia di graffiare i tettucci lucidati in precedenza con un bagno nella cera Future, e per eliminare le piccole imperfezioni ho ripassato su tutte le superfici trasparenti anche la Tamiya Modeling Wax (un vero toccasana in questi casi!). Il procedimento è spiegato in questo VIDEOTUTORIAL.

Avere un unico elemento già pronto da montare mi ha evitato qualsiasi rischio di infiltrazioni di vernice durante la verniciatura, inoltre mi ha agevolato notevolmente la posa delle decalcomanie.

Passo, ora, alle ali rappresentate a freccia massima (67 gradi): ho partorito l’idea di poter inserire le ali a modello quasi completo al fine di applicare i grandi fregi con più praticità.

Ho rimosso i perni di rotazione all’interno della fusoliera e creato una struttura interna fatta di Plasticard da 1mm che a sua volta è incollata sui numerosi rinforzi interni realizzati con sezioni di sprue. Tale struttura funge anche da guida che ha dato la giusta inclinazione finale alle due semi ali.

Come base per i modelli ho deciso di utilizzare due taglieri da cucina in bambù che, devo dire, si prestano bene alla causa: le dimensioni sono di 26cm x 34cm per 1,5cm di spessore, hanno il peso e la consistenza ideale per sorreggere i Tornado.

Come prima operazione ho svitato l’anello in metallo per appenderlo e ho colmato il foro con uno stuzzicadenti, stucco liquido e Super Attack.

In un secondo momento ho deciso di “dare un taglio” (in tutti i sensi) alla basetta facendole assumere la forma di un quadrilatero irregolare sviluppato in lunghezza questo poichè l’intera tavola in legno mi sembrava eccessivamente grande per il volume occupato dall’aereo in virata a 45 gradi.

Fatto ciò ho chiuso i micro pori del materiale con Milliput e, in seguito, White Putty Tamiya. Poi con una bomboletta acrilica da ferramenta in grigio ho dato un’abbondante mano di primer; ho volutamente creato uno spessore importante per carteggiare l’eccesso e dare alla basetta un fondo liscio e compatto. Ho stampato su carta fotografica satinata uno sfondo in movimento, ho preso le misure e ritagliato.

Successivamente ho dipinto le basi con uno smalto a bomboletta color nero lucido e ho aggiunto dei piedini di gomma antiscivolo.

E questo è il risultato finale con il supporto in plastica trasparente realizzato in precedenza.

Almeno un aftermarket me lo dovevo concedere! Ho deciso di utilizzare il bellissimo pitot della Master in metallo, tra l’altro molto facile da montare e molto resistente ad eventuali urti. Le sonde sono state fissate e raccordate ai radome con colla cianoacrilica; questa, una volta asciutta, è stata carteggiata e ha funzionato da perfetto riempitivo.

E finalmente sono giunto alla verniciatura. Su entrambi i modelli ho steso prima il Gunze Base White 1200 diluito al 60% con nitro per accelerare i tempi di asciugatura e il potere coprente del bianco, successivamente ho dipinto radome, antiriflesso e carenature per i meccanismi degli inversori di spinta in coda col Tamiya XF-1 Flat Black. L’interno delle prese d’aria è in grigio F.S. 36280, la zona della sonda RIV (Rifornimento In Volo) e delle pareti esterne delle prese d’aria a ridosso del cockpit è in nero lucido Tamiya X-1.

Prima di lucidare il modello ho deciso di dipingere preventivamente in rosso la zona intorno ai portelli del vano carrello anteriore che sarà coperta da una generosa decal; tutto questo è servito per evitare che piccole zone di bianco si intravedessero dopo la posa della decal stessa.

Non ho avuto modo di trovare il rosso suggerito dall’articolo di Valerio, il Testor 1550E, quindi mi sono affidato ad un colore che già possedevo, il Flat Red Gunze H-13. La tinta è stata lucidata prima della prova in quanto il trasparente tende a scurirla leggermente facendogli assumere una tonalità praticamente identica a quella delle decalcomanie.

Dopo aver lucidato i modelli con il Gloss Clear prodotto dalla Mr. Paint ho iniziato ad applicare le splendide decal Cartograf dalle ali e dai taileron per prendere confidenza. Sono ottime e resistenti, ma con la tendenza a diventare gommose se trattate pesantemente con i liquidi ammorbidenti.

Un consiglio che mi sento di dare, soprattutto sulle due teste di falco sul muso, è quello di rimuovere il film trasparente dove presente per evitare la creazione di piccole increspature e/o bolle d’aria che possono formarsi soprattutto sulle curve dell’aereo.

Per la testa di destra seguire le istruzioni di Valerio è fondamentale e scongiura, letteralmente, ogni pericolo di errore nell’allineamento. Per quanto concerne la sonda, invece, essa va rivestita prima di applicare il grosso disegno del rapace. Per agevolarmi il compito ho deciso di dividere in due parti anche la decal che copre il ricettacolo.

A seguire ho riprodotto la zona delle ali in grigio che non è stata interessata dalla livrea Special Color, ossia la parte anteriore che rientra nel carapace quando esse hanno la freccia minima.

Ho utilizzato il nastro rosa della Tesa molto scarico per delimitare la zona da rifinire Italian Modern Sky Gray prodotto dalla Mr. Paint col codice MRP-095. Lo stesso colore l’ho utilizzato anche per verniciare le due guaine dove si ripiegano le ali.

Fate molta attenzione quando applicherete il nastro sulle ali già complete di decal: nonostante il lucido e il poter adesivo limitato cercate di non “strappare” via le mascherature, anzi rimuovetele con estrema delicatezza in modo da non rovinare nulla.

Dopo aver terminato l’applicazione dei fregi (operazione lunga, complessa ma che regala anche tante soddisfazioni!) ho eseguito svariati ritocchi a pennello su tutte le piccole fessure che inevitabilmente le decal creano. A seguire ho effettuato un lavaggio omogeneo con un grigio medio ad olio che a causa delle numerose reincisioni e delle decalcomanie abbondanti, in alcuni punti non riesce a mettere in evidenza con precisione le pannellature in negativo (di per loro già poco definite).

La finitura finale che ho scelto per i due modelli, anche in base alle foto del velivolo reale, è data dal Semi Gloss della Mr. Paint.

In conclusione, è stato un progetto lungo e a volte complicato (soprattutto perché ho lavorato su due kit contemporaneamente). Lo stampo Italeri, come già detto e spiegato, mostra tutti i limiti dati dal peso dei suoi anni e ci vuole molta cura per poterlo assemblare correttamente.

Le fatiche, comunque, vengono sicuramente ripagate dalla vista del risultato finale: una delle più belle livree commemorative che un velivolo italiano abbia mai portato!

Buon modellismo a tutti! Mattia “Pankit” Pancotti.

Jester is Dead! A-4E Skyhawk “Top Gun” dal kit Eduard (Hasegawa) in Scala 1/48.

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Correva l’anno 1986 e nelle sale cinematografiche usciva un film destinato a rimanere nella storia e a segnare intere generazioni di appassionati: Top Gun!

La pellicola era ambientato in California, a Miramar, nell’allora sede Fighter Weapons School. Questo reparto nacque il 3 marzo del 1969 per addestrare i piloti della U.S. Navy al combattimento aereo avanzato e manovrato, visti gli scarsi risultati ottenuti durante la guerra del Vietnam.

I primi aerei utilizzati come addestratori furono gli F-5 e gli A-4 che impersonavano il ruolo di “Aggressor” nemici contro gli F-4 Phantom. Negli anni la Top Gun aggiunse alle proprie linee volo tutti i principali caccia in uso, a partire dai mitici F-14 Tomcat e per finire ai più recenti F-16 ed F-18.

Nel 1996 la base di Miramar fu trasferita al Corpo dei Marines e la FWS fu incorporata nel Naval Strike and Warfare Center (NSAWC, nel gergo “NSOC”) di Fallon, in Nevada.

Il modello:

Il Work In Progress lo trovate QUI!

Immagine inserita a scopo di discussione – fonte www.scalemates.com

Passando in rassegna gli scaffali del mio negozio di fiducia mi è saltata subito all’occhio la scatola “Vietnam Scooter” della Eduard… aprendola ho trovato le belle stampate Hasegawa ed altri accessori cui farò cenno nel corso dell’articolo. Per farla breve me ne sono innamorato e l’ho subito comprata pensando di farne un’esemplare Aggressor!

Fatto l’acquisto non restava che scegliere il soggetto da riprodurre in scala; peregrinando sul web mi sono imbattuto nel foglio della Vagabond Decals (codice 48002) dove, tra le tante proposte, era presente anche l’A-4 E pilotato da “Jester” e “Viper” nel cult movie di Tony Scott… bellissimo!!

Immagine inserita a scopo di discussione – fonte www.modelflying.co.uk

A quel punto è scattata la molla e “googolando” qua e là ho trovato molte immagini dell’aeroplano reale (che, per fortuna, negli anni è stato ovviamente molto fotografato) per documentarmi e controllare eventuali caratteristiche peculiari.  Ho notato che il velivolo dopo le riprese del film è stato ritoccato svariate volte nella mimetica e in vari stencil; inoltre il numero individuale “55”, che all’epoca delle riprese era chiaramente di colore nero, negli anni è stato poi riverniciato anche in blu e in rosso.

Immagine inserita a scopo di discussione – fonte www.modelflying.co.uk

In ogni caso sin da subito l’idea è stata quella di costruire il modello esattamente come si può vedere l’aereo nelle scene e, all’epoca, il mio esemplare era ovviamente ben tenuto e molto poco invecchiato. Il margine di lavoro sul weathering e sporcature varie si è abbastanza ridotto… fa niente, certi lavori preferisco lasciarli a chi si occupa di carri!

Immagine inserita a scopo di discussione – fonte rickmorganbooks.com

Il kit, come detto, ha delle stampate molto belle e precise prodotte da Hasegawa; la Eduard lo ha solo completato con un foglio di fotoincisioni, maschere pretagliate per i trasparenti, sedile Brassin in resina e un bellissimo decal sheet curato dalla Furball Aero Design che permette di scegliere tra cinque diversi A-4 operativi in Vietnam (personalmente l’ho accantonato).

Immagine inserita a scopo di discussione – fonte www.airliners.net

Costruzione:

Il cockpit è molto buono e non ho ritenuto necessario sostituirlo con uno in resina anche perché disponevo dei pannelli strumenti fotoincisi e sarebbe stato un peccato non utilizzarli.

Ho quindi incollato i primi pezzi verniciandoli, poi, con una base in nero opaco Gunze per la tecnica del “Black Basing”. A seguire ho steso delle velature leggere con del grigio Gunze H-306 lasciando più scura la parte in basso per dare maggiore profondità alla vasca. Ho anche ripassato la trama del tessuto che riveste l’interno dell’abitacolo con del nero Panel Liner Tamiya per accentuarne il bel dettaglio e, dopo aver incollato le fotoincisioni fornite nel kit, ho spruzzato l’opaco della Alclad per sigillare definitivamente tutta la zona. Per lumeggiare e aumentare il volume dei pezzi ho applicato la polvere grigia del Tamiya Weathering Master E gli spigoli di tutte le parti dipinte in nero. Una goccia di trasparente lucido negli strumenti ha completato il lavoro.

Il seggiolino Escapac della Brassin è ben fatto ed è scomposto in due parti. Basta verniciarlo in nero (la struttura) e in Olive Drab Vallejo (cuscino della seduta e schienale), aggiungere le decalcomanie e le cinture photoetched pre colorate Eduard. Le cinghie e la maniglia di espulsione hanno un dettaglio finissimo, inarrivabile rifacendolo a mano! Anche in questo caso la lumeggiatura aiuterà l’osservatore a notarne i tanti particolari.

Il condotto delle prese d’aria e il primo stadio della turbina sono in bianco opaco Tamiya. Benché la ventola rimarrà ben poco visibile, merita di esser evidenziata in alluminio e ripassata ancora una volta col Panel Liner. Il cono di scarico si colora in metallo brunito Alclad.

A questo punto si possono chiudere le fusoliere prestando attenzione ad aprire i forellini necessari indicati nelle istruzioni. Prima, però, ricordatevi di appesantire il muso con buoni 30 grammi di piombini da pesca… si corre il serio rischio di ritrovare il modello “seduto” sulla coda dopo aver montato i carrelli.

Le ali sono composte da un pezzo unico sotto e dalle due semi ali che andranno incollate superiormente.  I supporti degli slat sono già stampati col resto e non vanno assolutamente tolti, anzi! Prestate molta attenzione durante le varie fasi perché sono molto esposti e terribilmente fragili. Ricordate anche che a terra l’aeroplano aveva sempre queste superfici aerodinamiche estese poiché esse erano a molla e comandate dal flusso dell’aria, non da sistemi elettrici o idraulici. Le ali per esser montate alla fusoliera necessitano solo di qualche prova a secco e qualche piccolo ritocco alla zona in prossimità dei flap (che deve essere assottigliata), ma a parte questi piccoli interventi essa combacia precisamente e senza usare una goccia di stucco!

L’unica nota dolente del kit è l’errore commesso nella sede degli slat stessi, dove gli stampisti giapponesi hanno lasciato un gradino che deve essere eliminato (l’alloggiamento, infatti, è raccordato perfettamente al rivestimento superiore delle ali).

Immagine inserita a scopo di discussione – Fonte 4.bp.blogspot.com

Niente di insormontabile, con una strisciolina di plasticard ho alzato la parte interessata per poi levigarla fino a lasciare il tutto liscio e continuo.

Ho incollato gli aerofreni in posizione chiusa (come normalmente sono al parcheggio) e chiuso i due airscoop ai lati della fusoliera che non sono pertinenti con la mia versione (ho usato il Green Putty della Squadron). Successivamente mi sono dedicato ai bordi d’attacco delle prese d’aria: i loro incastri non sono molto accurati e ho dovuto eseguire le solite e fondamentali prove a secco per adattarli al meglio. In questo modo ho potuto verniciarli preventivamente con il colore della mimetica, per poi incollarli e non toccarli più fino alla fine dei lavori. Mi sono anche risparmiato una tediosa mascheratura del bianco interno dato che esso cade giusto nel punto di attacco dei pezzi sopracitati!
Ricordatevi, inoltre, di eliminari le due piastre di rinforzo di forma vagamente romboidale ai lati degli intake: queste non erano installate sull’esemplare specifico.

Verniciatura:

Il primo colore a finire sul mio Skyhawk è stato il più chiaro, il sabbia. La tinta suggerita dalla Vagabond, e dalle mie ricerche in rete, è l’FS 20400 che ho trovato nella gamma a smalto della Testor.

Non mi ha mai convinto del tutto ma l’ho spruzzato ugualmente; prima, però, ho eseguito la tecnica del pre-shading utilizzando il Gunze H-310 su tutte le pannellature. Lo stesso colore l’ho steso con velature molto leggere allo scopo di smorzare l’effetto rosato del Testor e renderlo più “sabbioso”. Non contento ho corretto ulteriormente il tono passando il Radome Tan Gunze H-318 molto diluito. A seguire ho applicato il verde Gunze H-330 e il marrone Gunze H-310, entrambi su un pre-shading in nero opaco.

Per le linee della camo, realizzate utilizzando i soliti salsicciotti di Patafix, bisogna prestare molta attenzione perché molte decal sono di colore a contrasto ed è facile realizzare dei bordi che non riprendono lo stesso andamento. In caso di errore di si vedrà un anti estetico disallineamento in particolare sugli stencil di pericolo posti intorno agli intake. Per evitare problemi ho studiato bene le foto delle istruzioni cercando di avvicinarmi il più possibile con dei punti di riferimento!

A questo punto ho lucidato il modello con il Tamiya X-22 preparandolo per le successive fasi.

I carrelli e i loro vani sono molto belli e basta aggiungere solo le tubazioni dei freni con un filo sottile di rame. Ho verniciato la base con del grigio medio per poi aggiungere il bianco finale con strati leggeri in modo da lasciare la parte più profonda più scura (un po’ come il Black Basing cui ho fatto cenno qualche riga sopra); in tal modo non servono i lavaggi perché i sottosquadri e recessi sono già ben evidenziati!

Le parti cromate le ho fatte col True Metal della AK.

I portelli hanno i bordi in rosso che ho riprodotto per primi mascherandoli con del nastro Tamiya.

 

Decal e lavaggi:

Le decal stampate da Cartograf sono stupende! peccato abbiano il codice “55” solo in blu e rosso tralasciando completamente le cifre in nero. Fortunatamente nella mia scatola delle decalcomanie avanzate ne ho recuperate di simili e del colore giusto, che ho rimpiazzato.

Per i lavaggi sono solito utilizzare le tempere; in questo caso specifico ho creato delle tinte tono su tono, quindi un grigio sul bianco delle gambe del carrello, un nero di seppia nel verde, un seppia naturale nel marrone e lo stesso ma schiarito con del bianco nel sabbia. Mi trovo molto con questi colori all’acqua perché se ben diluiti scorrono nelle pannellature senza sbavare ed eventuali eccessi si tolgono con un panno o un Cotton Fioc inumidito. Per creare colature d’olio e sporcature nei flap ho diluito meno i pigmenti e, dopo averli applicati, ho aspettato qualche secondo affinché si asciugassero. Successivamente li ho “tirati” con un pennello piatto inumidito…se non piace si toglie tutto in due secondi senza lasciare residui!

Una volta finito ho opacizzato il modello con il già citato trasparente opaco Alclad.

Il pitot in coda lo ho sostituito con uno spillo, ben più sottile e in scala rispetto al pezzo in plastica. Dopo un ultimo controllo ho montato tutti i pezzi, sedile, carrelli, portelli, scarico e tettuccio, completando il mio Jester’s Skyhawk!

Conclusioni:

L’A-4 è un aereo splendido e le versioni da poter scegliere sono tantissime, ci si potrebbe riempire una vetrinetta già solo con queste!

Un modello ben fatto, semplice, rilassante da cui si può ottenere un ottimo risultato. Mi sento veramente di consigliarlo. Ora in vetrina fa la sua figura e ogni volta che lo guardo torno indietro di vent’anni ricordando la prima volta che ho visto il film, da ragazzino. Liberando la mente per pochi secondi mi lascio trasportare dalle emozioni di allora, rimaste inalterate. In fondo il modellismo è anche questo!

Jester è morto, Yahoooooo!!

Buon modellismo a tutti!

Fabio “Jolly Blue” Barazza.

F-16C “Barak” Heyl Ha’Avir – dal kit Kinetic in Scala 1/48

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Il “Fighting Falcon” è da sempre tra i miei velivoli preferiti, con quelle forme così caratteristiche, le numerose versioni e le tantissime livree, uno dei progetti più longevi della storia Aeronautica.

Il Group Build 2015, dedicato alle forze di difesa israeliane, è stata un’occasione perfetta per realizzare uno degli esemplari più belli ad oggi ancora in circolazione: un F-16 C Barak!

Il soggetto appartiene allo storico 101 “First Fighter Squadron” identificato dal grosso teschio alato sulla deriva e costituito appena sei giorni dopo la dichiarazione di indipendenza di Israele nel 1948.

Qui il WIP completo!

Qui la gallery completa!

Kit di montaggio.

La scatola di montaggio utilizzata per questo progetto è la Kinetic K48012 nella scala del quarto di pollice. Essa è composta di dieci stampate in stirene grigio di cui una buona parte dedicata agli armamenti, più due per i trasparenti.  Inoltre spiccano alcune stampate di colore più scuro rispetto alle altre: Il motivo risiede nella strategia della ditta di Hong Kong di produrre uno stampo base comune a tutti le versioni e di aggiungere, di volta in volta, le parti specifiche in base alla variante proposta.

Di fatto a fine lavoro vi ritroverete tanti pezzi “spare” che non andranno assolutamente buttati! Anzi, custoditi gelosamente per qualche altro progetto futuro. La plastica utilizzata ha un aspetto rugoso, le linee di pannello in molti punti sono troppo profonde in relazione alla scala e la precisione degli incastri non è delle migliori (anche se, c’è da dire, Kinetic ha fatto grandi passi in avanti da quando mise sul mercato questo articolo nel lontano 2008).

Completa il contenuto un bel foglio decal (che permette di scegliere tra quattro esemplari appartenenti al 101 “First Fighter Squadron” ed al 105 “Scorpion Squadron”) stampato dalla Cartograf, e un inserto a colori che illustra l’andamento della mimetica e la posizione delle decalcomanie.

Aftermarkets.

  • Aires 4514 – Cockpit: In realtà già da scatola il cockpit è onesto, ma non resisto al dettaglio della resina e la ditta ceca è sempre una garanzia. Purtroppo ho dovuto sostituire il sedile eiettabile con uno di altro tipo.
  • Wolfpack 48092 – Ejection Seat: Grazie alla documentazione fotografica ho notato che la maggior parte dei “Barak” montano il sedile “ACES II” nella versione aggiornata più tarda. La differenza visiva fondamentale sta nei cuscini foderati con il tessuto simile alla lana rispetto alla solita cordura in toni di verde.
  • Aires 4439 – Wheelbay: La confusione di cavi e tubazioni che solo un set resina può rappresentare. Sull’F-16 il vano carrello è praticamente una porzione a vista della fusoliera inferiore.
  • Aires 4431 – Exhaust Nozzle. Dedicato al motore GE-F110. Lo scarico fornito dal kit ha una scomposizione petalo per petalo molto laboriosa da mettere insieme. Il kit in resina fornisce senz’altro un dettaglio migliore sia interno sia esterno, e un assemblaggio decisamente più agevole.
  • Brassin 648039 – Air Brakes: Bellissimi nel loro dettaglio. Viene fornito tra le fotoincisioni anche una specie di regolo che permette di posizionare i due petali degli aerofreni con il giusto angolo di apertura. Peccato che questo angolo si riferisca alla massima apertura possibile in alcune condizioni di volo, quando invece a terra l’escursione è molto meno ampia.
  • Master 48008 – Pitot tube & AOA probes: Sono più che convinto che questi prodotti sono ormai indispensabili. Belli, robusti e precisi.
  • Royale Resin R062 – Wheels: La scatola fornisce i corretti cerchioni per il Block 40 ma quelli contenuti nel set in resina sono stampati decisamente meglio.
  • Brassin 648029 – AIM-9M/L: Praticamente un modello nel modello, sarebbero belli anche da soli. La “Brassin” ha pensato a tutto e fornisce i quattro missili insieme ai tappi dei sensori, i nastri RBF, dei piccoli telai che aiutano a posizionare le alette nella giusta posizione e un foglietto decal. Nonostante tutti questi accorgimenti non è stato comunque facile mettere assieme tutti gli elementi.
  • Skunkmodels 48001- IDF weapons set: Ho acquistato questo set per i missili Python 4 prodotti esclusivamente dalle industrie Israeliane. La qualità del materiale e del dettaglio è discutibile, di certo non all’altezza degli standard attuali. L’aftermarket fornisce anche altre tre tipologie di ordigni per il bombardamento strategico utilizzati quasi esclusivamente dall’F-16I “Sufa”.

Cockpit.

Come già anticipato qualche riga più in alto il set della Aires sarebbe stato perfetto se non avessi avuto l’esigenza di cambiare il seggiolino. Unico accorgimento importante è di eliminare dalla vasca le rotaie di scorrimento per la sua espulsione perché il prodotto della Wolfpack ha già il particolare stampato sulla struttura.

Come di consueto ho fatto numerose prove a secco e, con piacere, ho constatato che la vasca si inserisce abbastanza bene e con pochi accorgimenti. Si è comunque reso necessario eliminare tutte le parti che nella foto a seguire sono evidenziate in rosso, inoltre devono essere limate il più possibile anche le zone laterali sotto le consolle per evitare che la fusoliera si deformi.

Passo adesso alla verniciatura: Il cockpit dei Barak è quasi del tutto nero opaco allo scopo di non interferire con l’utilizzo degli NVG (Night Vision Google). Quindi, sempre in accordo con la documentazione, ho verniciato quasi tutta la vasca in NATO Black Tamiya XF-69 lasciando in Medium Grey Tamiya XF-20 il fondo vasca fino alla pedaliera. Poi i vari particolari, come tasti (alcuni in giallo e rosso), tubo dell’ossigeno e dell’anti G (in Olive Drab), manette e cloche (sempre in XF-20). Dopo un paio di mani di lucido ho effettuato dei lavaggi molto diluiti tono su tono al fine di dare maggior volume all’abitacolo.  Una leggera lumeggiatura sui punti più a vista eseguita con la tecnica del dry brush (con colori ad olio) ha di fatto concluso la prima fase della costruzione.

A questo punto non resta che fissare la vasca e tutti i relativi accessori nelle loro posizioni utilizzando parecchia colla cianacrilica e aiutandosi con i riferimenti già presi durante le prove a secco iniziali. Più avanti nel montaggio sarà necessario stuccare le fessure che si formano con la palpebra del cruscotto e, soprattutto, nella zona posteriore dove ha sede il sistema di sollevamento del canopy.

Anche il seggiolino è stato verniciato con l’XF-69, a parte alcuni dettagli quali la bombolina dell’ossigeno in verde e le varie maniglie di emergenza/sicurezza in giallo. Le cinture, sempre in accordo con la documentazione fotografica, sono in un grigio medio. Ovviamente il sedile ha ricevuto un leggero “dry-brush” sugli spigoli della struttura, invece sull’imbottitura in lana nera ho dovuto forzare un po’ i contrasti per mettere meglio in risalto il bel dettaglio del tessuto.

Montaggio.

Come già scritto all’inizio di questo articolo la Kinetic ha ingegnerizzato il suo stampo in modo tale da poter aggiungere, a una base comune, varie componenti specifiche per ogni Block costruttivo. Per questo lungo tutta la fusoliera vi sono svariati punti in cui andranno aggiunti pannelli poco precisi nelle dimensioni, e che per forza di cose necessitano di stucco e di essere, poi, reincisi.

A mio avviso le zone su cui bisogna concentrare la maggior parte delle attenzioni sono:

  • L’integrazione della presa d’aria e dei vani carrello.
  • La giunzione tra troncone posteriore e anteriore della fusoliera, subito dietro il cockpit.
  • La porzione adiacente al radome.

Presa d’aria:

Esternamente la carenatura della presa d’aria è composta solo da due valve, più il labbro della bocca da unire successivamente. Aggiunta alla restante fusoliera inferiore completa la tipica forma semi tubolare dell’aereo che corre fino all’ugello di scarico.

Internamente il condotto dell’aria è formato da più sezioni da montare e che vanno dal bordo d’attacco dell’intake fino al primo stadio del compressore. Ovviamente questa suddivisione obbliga ad un accurato lavoro di stucco e rifinitura; data la scelta di utilizzare il set in resina della Aires, sulla parte esterna del condotto andrà eliminato il pozzetto del carrello in plastica.

La wheel bay Aires del carrello principale è concepita per formare la parte superiore del condotto della presa d’aria stessa ma, probabilmente complice il fatto che il set è studiato per il modello Tamiya, il pezzo lascia una fessura di almeno un paio di millimetri rispetto al resto del “tubo”; lo si può notare chiaramente dall’immagine a seguire:

Quindi, dopo qualche ora di riflessione, ho deciso di non impantanarmi in una ricostruzione inutile e di non chiudere il gap utilizzando ingenti quantità di Plasticard e stucco. Semplicemente ho utilizzato la porzione originale del condotto stesso (che ha ovviamente delle dimensioni più corrette) eliminando il vano già stampato; in seguito ho carteggiato ed eliminato buona parte della resina dal pozzetto carrello aftermarket al fine di ridurre gli spessori ed adattarlo al resto del complesso della presa d’aria, ma non l’ho incollato subito poiché esso andrà allineato con la fusoliera inferiore.

Per rendere l’interno della presa d’aria come fosse un pezzo unico ho prima incollato le due valve utilizzando una versione più diluita del MEC (metilchetone) ottenendo un incollaggio per fusione. Successivamente ho usato sia il Mr. Surfacer 500 lungo le giunzioni, sia il Milliput White Fine per chiudere le fessure che lo stucco liquido avrebbe riempito a fatica. Dopo aver atteso la completa asciugatura dei filler ho carteggiato l’interno con carte abrasive via via sempre più fini fissandole anche su manici di vecchi pennelli per raggiungere i punti più stretti.

Per rifinire il tutto ho acquistato in ferramenta un prodotto della Max Mayer, lo smalto brillante all’acqua, utilizzato per verniciare multi-materiali. Contenuto dentro un barattolo di latta, esso ha un aspetto denso e una volta asciutto crea una sottile patina quasi gommosa che si può rimuovere facilmente. È già di colore bianco, autolivellante e asciuga abbastanza velocemente ma non è carteggiabile e ha una finitura finale troppo lucida per i nostri scopi (basterà opacizzare il tutto alla fine del modello).

La tecnica consiste nel riempire di vernice fino all’orlo tutta la presa d’aria sigillando temporaneamente l’estremità posteriore, e lasciandola all’interno per qualche minuto. Trascorso questo lasso di tempo si svuota l’eccesso inclinando/ruotando il pezzo più volte al fine di stendere lo strato di smalto in maniera uniforme ed evitando anti estetiche colature.  Vi consiglio di non lasciare l’intake poggiato sul tavolo da lavoro perché vi ritrovereste con la tinta tirata da un lato e grossi grumi dall’altra. La prima applicazione non copre al 100% la plastica ma già alla seconda a la copertura sarà totale e l’effetto abbastanza soddisfacente.

Per l’asciugatura totale ho atteso qualche ora e solo dopo ho inserito dentro la bocca la lama del sistema antighiaccio. Il kit la fornisce in plastica ma appare assolutamente fuori scala quindi, copiando l’idea spudoratamente dal forum di Modeling Time, ho utilizzato un pezzettino di telaietto delle fotoincisioni tagliato a misura. L’effetto è bellissimo! In ogni caso è meglio dipingerla (in nero) prima di inserirla nel condotto per non sporcare il bianco circostante.

Ultimo passo prima di sigillare il condotto è la mascheratura del labbro che dovrà essere verniciato con il grigio di base. L’operazione risulta abbastanza difficoltosa per via delle dimensioni e della curvatura dei bordi, ma anche in questo caso ci viene in aiuto il versatilissimo nastro “kabuki” che tagliato in striscioline di circa due millimetri può essere facilmente steso lungo tutta la bocca. Come supporto ho usato uno stuzzicadenti sul quale ho arrotolato la strisciolina che verrà poi srotolata con cura. Infine un pezzetto di spugna sagomata a dovere ha sigillato il tutto dal rischio di “over spray” durante le varie fasi della verniciatura.

Torniamo adesso alla carenatura esterna della presa d’aria.

Le due valve e il labbro anteriore formano un involucro attorno al condotto che per un noto errore di progettazione è troppo stretto di alcuni millimetri. Ancora una volta l’utilizzo di stucco e Plasticard è obbligatorio con la conseguente re incisione di tutti i pannelli adiacenti.

Per fortuna il pozzetto carrello si adatta alla perfezione e non ha bisogno di particolari cure.

Nella foto si possono notare alcuni riscontri triangolari su entrambi i lati della carenatura. Se non avete intenzione di montare dei nav/targeting pod sul vostro F-16 eliminateli perché sul velivolo reale non sono presenti!

Guardando la documentazione fotografica mi sono accorto che mancava qualcosa in questa zona. Infatti, nella parte anteriore della presa d’aria davanti al pozzetto carrello, c’è un bulbo che la kinetic ha totalmente omesso nelle istruzioni. Esso, per fortuna, è comunque presente nella scatola (sprue OO pezzo 4) e va inserito essendo parte integrante del sistema di Radar Warning previsto dalla speciale suite avionica israeliana.

A questo punto ho finalmente innestato il gruppo della presa d’aria in fusoliera utilizzando pochissima colla.

Anche il vano carrello posteriore “fitta” in maniera egregia, basta incollarlo saldamente usando abbondante cianacrilico. Solo l’ultimo pezzo evidenziato in foto darà qualche grattacapo perché, dovendo convivere con la parte in resina, è troppo spesso.

A dirla tutta risulta anche poco preciso nella forma, necessita di stucco e di un po’ di Plasticard.

Fusoliera:

La fusoliera superiore è formata da due grandi tronconi che si congiungono su una zona della gobba piena di pannelli, rivetti e pozzetti di ispezione. Questi si dovrebbero allineare tramite una linguetta che serve per il centraggio e che, a conti fatti, non è affatto utile perché contribuisce a formare un vistoso scalino tra le due parti. Il consiglio è quello di eliminare detto riscontro e procedere ad incollare la fusoliera gradualmente e con attenzione al fine di portare tutto a filo (ed evitare tediose carteggiature che rovinerebbero il bel dettaglio di superficie).

Radome:

Prima di dedicarmi al cono vero e proprio mi sono concentrato sulla porzione di fusoliera subito adiacente. Sempre per la già citata politica Kinetic vi sono da aggiungere tre pannelli diversi a seconda della versione; anche in questo caso la precisione degli incastri non è ottimale, come denota la foto sotto:

Invece il radome è abbastanza preciso nella forma e non occorre adattarlo al resto della fusoliera.

Tra la lista degli aftermarket ci sono anche gli AoA probe e il pitot in ottone tornito della Master. Per collocarli nelle rispettive posizioni basta praticare dei fori nei punti di alloggiamento con un trapanino a mano, e poi fissarli con la colla cianacrilica. Personalmente, dopo aver bucato la plastica, ho messo da parte i pezzi in metallo per inserirli in momenti migliori in cui si maneggia meno il modello e le parti fragili sono meno soggette a rotture.

Grazie alla documentazione ho notato che la kinetic ha riprodotto solo in parte gli scaricatori per la dispersione dell’elettricità statica presenti lungo il radome. Per ricreare i mancanti ho utilizzato del comunissimo filo da pesca trasparente da 0.16mm fissato alla plastica con la colla liquida Extra Thin Cement della Tamiya. Una volta asciutti è bastata una leggera passata di carta abrasiva lungo i lati dei fili per eliminare i residui di collante. Altri particolari da cancellare sono le pannellature a forma di rombo stampate attorno i sensori dell’angolo d’attacco (AoA): queste in realtà non esistono è la forma che spesso si vede sui velivoli reali altro non è che il segno dei tappi che coprono le sonde (questo dettaglio ha evidentemente tratto in inganno i tecnici della ditta di Hong Kong).

Il resto dell’assemblaggio fila abbastanza liscio, con poco stucco e qualche inevitabile re incisione.

La deriva con la sua base, a condizione di fare qualche prova a secco, va al proprio posto senza problemi.

A proposito della base: anch’essa è differente da versione a versione, quindi scegliete bene i pezzi con documentazione alla mano.

Per l’appunto ho aggiunto un particolare che la Kinetic ha omesso, un piccolo air scoop per il raffreddamento avionico istallato nella parte finale della spina. Riprodotto con del semplice lamierino di rame e modellato tramite l’uso di uno stuzzicadenti, è stato fissato e stuccato con la solita cianacrilica.

Per completare la fusoliera nella sua interezza manca la sezione cilindrica che fa parte della gondola motore, subito adiacente ai petali dell’ugello di scarico. Purtroppo essa risulta, nel diametro, più grande e crea un fastidioso dislivello che ho ridotto carteggiando con grane abbastanza grossolane dopo aver incollato l’anello nel suo alloggiamento.

Poco distanti da questa zona ci sono, su entrambi i lati, le flood light circolari che sono più grandi dei pezzi in sprue trasparente forniti nel kit; giocoforza questi andranno stuccati. Il mio consiglio è di usare della colla cianacrilica che è trasparente e una volta asciutta è perfettamente carteggiabile. Poi basta usare delle comunissime dime per modellismo per reincidere la forma circolare delle luci.

Air brakes:

Sulla qualità del set Brassin non si discute, però ho incontrato non poche difficoltà al momento di posizionarli poichè i pezzi risultano sovradimensionati (problematica riconducibile, sicuramente, al fatto che l’accessorio è ideato per il kit Tamiya).

Dopo aver studiato le superfici mobili sono giunto alla conclusione che per adattarle alla loro nuova sede non potevo far altro che eliminare gran parte della resina. Le frecce indicano i punti più importanti dove intervenire, in più va limato lo spessore ai lati (di cui la parte più interna è una superficie curva). Inoltre una delle frecce evidenzia la parte finale (bombata) della bugna a copertura all’attuatore che aziona gli aerofreni; deve essere necessariamente ridotta per assumere le dimensioni simili al resto della forma stampata sul resto della fusoliera.

Dopo aver sistemato la parte fissa non bisogna dimenticarsi che anche le quattro superfici mobili devono essere adattate facendo delle prove a secco e limando i lati lunghi finché il risultato non soddisfa.

Concludendo, l’ultima foto mostra le angolazioni corrette (o meglio il più possibile corrette) degli air brake. Ovviamente il confronto è stato fatto visionando decine di foto, che per fortuna dei modellisti, sono parecchie per questo particolare.

Come già anticipato all’inizio dell’articolo fate attenzione alla apertura massima delle superfici aerodinamiche! la Brassin fornisce delle dime di riferimento per posizionarle ma seguendo il template si ottiene un angolo troppo elevato che è raggiunto solo in certe condizioni di volo. Quando i carrelli sono estratti l’avionica riduce di qualche grado l’escursione per evitare che gli aerofreni tocchino la pista.

Exhaust nozzle:

Lo scarico originale è stato sostituito dalla bellissima controparte in resina, pronta per essere assemblata e verniciata.

Il condotto interno è formato dalla girante della turbina e dalla corona del post bruciatore. Una volta dipinto l’assieme va incollato prima di chiudere la parte posteriore della fusoliera. I petali, invece, si possono incollare anche alla fine della verniciatura del modello.

Canopy.

I tettucci dei Barak hanno il caratteristico rivestimento anti UV e radiazioni color fumé che non è fornito nelle stampate del kit. Quindi ho dovuto tingerlo personalmente utilizzando il metodo che vi descrivo qui sotto:

Occorrente:

  • Cera lucida “Future”
  • Inchiostri da china con pigmenti idrosolubili e permanenti Windsor & Newton – colori Canary Yellow (come base) e Nero (per scurire).
  • Contenitori poco più grandi dei pezzi che si devono immergere.
  • Contagocce o siringa.
  • Fonte di calore.
  • Pazienza, molta pazienza!

Procedimento:

Preparare il canopy, o qualsiasi altro trasparente da tingere, lucidandolo il più possibile ed eliminando la linea di stampa centrale.

La parte difficile sta nel trovare la giusta proporzione tra cera e inchiostro. Nelle varie prove mi sono accorto che i prodotto Windsor & Newton, essendo idrosolubili, raggiunta la saturazione della soluzione precipitano e si depositano sul fondo del contenitore.

All’atto pratico se l’inchiostro è poco, sul trasparente si formeranno delle chiazze colorate e il resto delle superfici resta come in origine (effetto maculato). Se è troppo in fase di asciugatura si formeranno zone in cui si accumula in eccesso, per gravita soprattutto in basso e negli spigoli alla base dei frame. Consiglio di preparare i mix in boccette piccole e fare diverse prove annotando le percentuali dell’uno e dell’altro componente; quando sarete soddisfatti del risultato aumenterete in proporzione le quantità andando a colpo sicuro verso il risultato finale. Inchiostri e cera hanno il loro costo non proprio irrisorio, quindi meglio risparmiarli il più possibile!

Comunque, in definitiva, il rapporto tra cera e pigmenti è di circa 1:6. Il Canary Yellow ha un tono troppo chiaro e deve essere scurito col nero, ma attenzione! bastano pochissime gocce, quindi non esagerate.

Quindi, dopo aver ricreato la tinta, colorare il trasparente è un’operazione abbastanza semplice.

Il canopy, lucidato e pulito, va completamente immerso nella soluzione e lasciato “a bagno” qualche secondo; fatto ciò si estrare con delle pinzette. Di solito si poggia il pezzo ricoperto di cera su della carta assorbente per eliminare l’eccesso ma, in seguito all’esperienza maturata, mi sono accorto che in questo modo tendono a formarsi alcune zone più sature e la copertura non è omogenea.

Per ovviare al problema ho pensato di fare asciugare immediatamente la cera utilizzando una fonte di calore come una candela (meglio ancora una piastra ad induzione): in poche parole una volta tirato fuori il trasparente dal contenitore posizionatelo sopra la candela (alla giusta distanza mi raccomando) facendolo ruotare per distribuire la Future in modo uniforme mentre questa asciuga.

Dopo qualche minuto si può poggiare il pezzo sulla carta assorbente e lasciare asciugare per parecchie ore protetto dalla polvere.

Alla fine il canopy assumerà un aspetto molto simile al vetro e sarà possibile tirarlo a piombo delicatamente con del polish per aumentarne ulteriormente la brillantezza. È anche possibile mascherarlo e verniciarlo senza alcuna controindicazione!

Non si deve fare l’errore di immergere nuovamente il pezzo nella cera perché si dissolve l’inchiostro e si otterranno solo delle macchie. In caso di errori è bene decerare e ripetere l’operazione da capo.

Il cupolino fisso è stato trattato allo stesso modo scurendo solo leggermente la tonalità. Documentazione alla mano, infatti, ho notato che i “Barak” israeliani mostrano due colori diversi tra la parte mobile e quella solidale alla fusoliera.

Piccola parentesi sul montaggio: il pezzo è sottodimensionato di circa un millimetro rispetto al suo alloggiamento. Alla fine ho preferito incollarlo a battuta sulla piccola carenatura che raccorda il vetrino al dorso della fusoliera e ridurre la resina nella parte posteriore del cockpit per riportare gli ingombri in squadro come mostrato in foto.

Verniciatura.

Con un modello pieno di difetti e modifiche come questo è stato obbligatorio controllare le stuccature e gli accoppiamenti utilizzando il Gunze Mr. Surfacer 1000 come primer (diluito almeno al 70% con diluente nitro).

Questi sono i colori che ho utilizzato per realizzare la mimetica:

  • Gunze H-308 F.S. 36375 Grigio superfici inferiori e carichi.
  • Gunze H-307 F.S. 36320 Zone RWR, “tip launchers” e dielettrici (tranne il radome).
  • Gunze H-306 F.S. 36270 Radome.
  • Gunze H-310 F.S. 30219 Tan.
  • Gunze H-313 F.S. 33531
  • Tamiya XF-21 F.S. 34424 Light Green.

Per ciò che riguarda lo scarico, le tinte sono:

  • Alclad ALC-115 Stainless Steel
  • Alclad ALC-106 White Alluminium
  • Alclad ALC-104 Pale Burnt Metal
  • Alclad ALC-118 Gold Titanium

Successivamente alla mano di primer ho applicato il pre-shading sulle superfici inferiori. A seguire ho velato tutto con mani leggere e molto diluite di H-308 fino a raggiungere un grado di copertura che lasciasse intravedere la tecnica applicata sotto.

Per le superfici superiori, invece, ho iniziato come da teoria con il colore più chiaro – il sabbia H-313. In seguito, utilizzando il fidatissimo Patafix, ho delimitato lo stacco con il verde XF-21 (secondo tono applicato). Infine ho aggiunto il Tan H-310.

Ho concluso la fusoliera verniciando le zone RWR (Radar Warning Receivers), i piloni di lancio sull’estremità alare e i dielettrici avionici in Gunze H-307.

Il radome, nonostante le pubblicazioni affermino che sia dello stesso colore dei dielettrici, si scurisce molto durante la vita operativa a causa del rivestimento in neoprene che trattiene facilmente lo sporco. Per questo motivo ho ritenuto migliore un grigio più scuro (Gunze H-306) come base per un ulteriore invecchiamento.

L’anello prima dello scarico solidale alla fusoliera dalle foto appare di un metallo molto scuro, quindi la tonalità di Alclad più appropriata a mio avviso è lo Stainless Steel.

Engine Exhaust:

Dalle foto si nota che i petali interni subiscono in modo differente lo stress termico a causa della chiusura dell’ugello di scarico che nasconde alcune zone dal flusso caldo dei gas di scarico.

Quindi, prima di tutto, ho dato un fondo bianco opaco generale e successivamente ho differenziato con del bianco di base scurito con pochissimo marrone. Dopo una mano di trasparente lucido ho eseguito dei lavaggi mirati con del grigio e del Bruno Van Dyck ad olio. Sempre la solita tonalità di grigio scuro per le parti bianche e una tonalità marrone sul resto.

I petali esterni sono stati verniciati prima con un fondo a smalto nero lucido, poi con Alclad White Alluminium e velature leggere di Gold Titanium (diluito con nitro per aumentarne la trasparenza).

Le zone di retrazione sono state accuratamente mascherate con il nastro “kabuki” e poi verniciate con nero opaco acrilico. Ancora una mano di lucido trasparente ha preparato il fondo per i washing, sempre ad olio con tonalità di marrone abbastanza scuro, che hanno messo in risalto il bel dettaglio dei pezzi in resina. A completare la lavorazione ci ha pensato il dry brush in alluminio su tutto.

Wheel bays:

Ho iniziato dando un fondo di Gunze H-21 Off White per poi continuare a dipingere i particolari seguendo le foto della documentazione.

Più precisamente del nero per i cablaggi e alluminio per tubazioni idrauliche, per altri dettagli ho usato varie tinte metallizzate.

L’unico punto di colore è la batteria in azzurro.

Per dare la giusta profondità ai vani ho applicato nuovamente i lavaggi ad olio su base trasparente: ho scelto un grigio abbastanza scuro molto diluito con il thinner Humbrol (che asciuga in tempi abbastanza rapidi). L’opaco finale è stato dato con il carrello montato anche per nascondere eventuali tracce di colla cianacrilica che lascia un anti estetico alone lucido intorno al punto di incollaggio.

 

Weathering:

All’inizio del progetto non avevo intenzione di realizzare un velivolo molto vissuto ma, guardando e osservando lo stato attuale di usura dei Barak israeliani, non ho potuto resistere e ho cercato di riprodurre quanto più fedelmente i segni più comuni di invecchiamento.

Quindi sulle superfici superiori ho riprodotto un post shading abbastanza marcato schiarendo ogni tono della mimetica con varie percentuali (circa il 30% in media) di giallo e bianco.

 

Prima di usare gli olii per mettere in risalto le pannellature in negativo del kit ho, ovviamente, preparato la base lucidando il modello con il Tamiya X-22 diluito con la nitro all’80% circa.

I toni per i washing sono stati un grigio scuro per le superfici inferiori ed un Bruno van Dick, leggermente scurito, per quelle superiori.

A questo punto, dopo aver dato un po’ di movimento alle superfici ed aver enfatizzato i dettagli, ho iniziato a lavorare su ulteriori effetti: il radome già era stato verniciato con diversi toni di grigio, spruzzati a chiazze per dare l’idea di uno scolorimento casuale del materiale. In più, utilizzando una spugnetta a trama fitta ed un lavaggio ad olio poco diluito, l’ho “picchiettato” su alcuni punti per simulare lo sporco lasciato durante la manutenzione dagli specialisti.

La volata del cannone è stata resa più operativa simulando i residui della polvere da sparo spruzzando un grigio scuro diluito al 80%. Guardando meglio il modello mi sono accorto che il colore risultava troppo carico e ho cercato di smorzarlo velando con il verde di base diluito anch’esso al 80%.

Alcune zone sulla gobba, a ridosso dei pannelli di ispezione, nelle foto mostrano residui evidenti di liquidi (probabilmente carburante o olio idraulico) che fuoriescono da alcuni punti e, per azione aerodinamica, si allungano verso la coda. Li ho realizzati utilizzando pigmenti provenienti dai Weathering Set Tamiya B e D.

Infine ho riprodotto, sopra il ricettacolo della sonda RIV, le scrostature della vernice causate dagli urti del “boom” durante la fase del rifornimento in volo. Le ho ottenute semplicemente con un dry brush in alluminio molto scarico utilizzando un pennello a setole piatte e dure.

Sulla fusoliera inferiore lo sporco risulta più evidente a causa delle colature dei liquidi idraulici, drenaggi vari, getti caldi di scambiatori e “APU”.

Per cercare di simulare l’effetto aerodinamico ho steso il colore ad olio lungo le linee di pannello della gondola e, utilizzando un bastoncino cotonato, ho tirato via l’eccesso secondo la direzione del flusso.

Ho utilizzato almeno tre gradazioni differenti di grigio in modo da rendere meno monotona la sporcizia e amalgamare le tinte.

Invece a ridosso dei pozzetti carrello e di alcuni pannelli ho preferito una tinta gialla, simile al colore dell’olio idraulico, in piccolissime dosi. Questo è servito a riprodurre le piccole e tollerate perdite dei martinetti idraulici delle gambe carrello o di qualche raccordo.

Gli sfiati caldi, soprattutto sul portellino di scarico dell’APU in materiale metallico (che dalle foto appare abbastanza cotto e desaturato), sono stati simulati ad aerografo utilizzando un grigio medio.

Un invecchiamento molto più deciso invece caratterizza il serbatoio centrale da 300 galloni. Essendo carichi esterni intercambiabili tra i velivoli accumulano parecchie ore di volo ed appaiono spesso molto più logori. Quindi oltre alle colature di carburante e le chiazze di sporco dovute alla loro installazione, ho ricreato la vernice scrostata sull’ogiva del serbatoio. Come nella realtà, questa parte della tanica è in materiale metallico verniciato prima con un anticorrosivo (in XF-4 Tamiya) e poi con il grigio di base. Successivamente, con carta abrasiva molto fine, ho asportato la vernice fino a far comparire lo strato giallo e, solo sull’estremità, il fondo alluminio. Basta fermarsi al momento giusto.

 

Decalcomanie.

Le decal utilizzate sono quelle fornite nel kit e stampate dalla Cartograf in collaborazione con la Syhart-decals. Confortato dalla fama del produttore credevo che non mi avrebbero dato problemi… al contrario ho trovato difficoltà causa l’eccessivo spessore.

Ho dovuto usare parecchi liquidi ammorbidenti per ottenere un risultato accettabile e livellarle, dopo la posa, con mani generose di lucido.

L’inconveniente peggiore, però, è sul tono del grande stemma di reparto sulla deriva: il marrone scelto è davvero troppo chiaro e non si avvicina minimamente a quello corretto utilizzato per la mimetica. Sconfortato dall’imprevisto ho da subito pensato di ricreare delle mascherine ad hoc per sovra verniciare l’insegna ma, ben presto, mi sono reso conto che per i dettagli più piccoli del teschio le maschere sarebbero risultate inadatte. Perciò le ho disegnate solo per le ali utilizzando il nastro kabuki applicato sulla deriva e delicatamente tagliato sul disegno originale. Il resto invece è stato dipinto a pennello, diluendo molto la vernice e applicando molti strati. Il risultato non è dei migliori, ma alla fine, con altre mani di trasparenti, filtri ad olio e l’opaco finale, la situazione si è quasi normalizzata.

Attenzione anche alle istruzioni Kinetic poiché suggeriscono posizioni sbagliate delle decalcomanie (in particolare il gruppo di stencil che rappresenta gli avvisi di sicurezza attorno al canopy). La documentazione fotografica è sempre l’unica vera risorsa da prendere in considerazione.

Carrello di atterraggio.

Il carrello principale, da scatola, è realizzato in un unico pezzo. Quindi per adattarlo alla resina Aires bisogna necessariamente dividere le due gambe e fare qualche prova a secco.

Ho realizzato sia le condutture idrauliche che vanno verso il ceppo freno, sia i cablaggi elettrici.

Verniciate in Gunze H-21 (Off White) hanno subito un lavaggio in grigio medio dopo il lucido. Per pignoleria ho aggiunto una piccola decal di avvertenza sulle gambe di forza prelevata dal magazzino “spare part”.

Un piccolo intoppo lo ho avuto con il carrello anteriore dato che la Kinetic ha sbagliato la lunghezza del puntone di controventamento.

Quindi, con l’aiuto di qualche millimetro di Plasticard a sezione quadrata, l’ho allungata quanto basta per posizionarla con la giusta geometrica e inclinazione.

Carichi esterni.

Tanto belli da vedere quanto lunghi da completare!

La tanica da 300 galloni è da scatola e non necessita particolari attenzioni. Dell’invecchiamento ne ho parlato poco sopra.

Gli AIM-9L sono della Brassin, corpo unico in resina tranne le alette guida frontali che sono in fotoincisione. Non molto semplici da montare.

I Python 4 invece sono di una plastica orrenda, ruvida e vetrosa. Necessitano di qualche attenzione. Ho aggiunto inoltre delle alette, che fungono da sensori “AoA” non previsti dalla scatola di montaggio e realizzati con del plasticard.

Su entrambi ho utilizzato Alclad “Stainless Steel” Al-115 per le testate, ed il grigio FS 36375 per il corpo.

Le due GBU 31 JDAM sono fornite nella scatola Kinetic (quelle montate da me sono di una scatola Academy) e hanno il corpo in Gunze H78 (Olive Drab 2), la struttura e la sezione di guida in grigio FS 36375.

Ultimi dettagli.

Due mani abbondati di opaco Gunze H20, diluito sempre con la nitro, hanno sigillato le superfici e dato la finitura finale al modello. Ho aggiunto il seggiolino, la cloche, e il delicatissimo HUD all’interno dell’abitacolo fissando, poi, canopy con colla cianacrilica.

Sul radome ho posizionato sensori “AoA” e sui piani di coda/flaperon/timone direzionale i nove dispersori di carica elettrostatica realizzati con del semplice filo d’acciaio da 0,05 mm.

Una piccola spennellata di lucido su tutte le luci di navigazione/posizione e finalmente posso decretare concluso il mio Barak!

È stato un lavoro lunghissimo, non tanto per la qualità del kit o per le numerose modifiche, ma quanto per varie vicissitudini personali che hanno dilatato enormemente i tempi. Ci sono stati momenti in cui ho pensato di mettere tutto da parte in attesa di tempi migliori, ma portarlo a termine nonostante le tante disattenzioni, è sempre stata una questione personale.

Alla fine il modello si fa guardare, si fa anche criticare, ma è il bello del modellismo sano…imparare dai propri errori.

Non credo che farò un altro F-16 nel immediato futuro, nonostante resti un velivolo affascinante e bello anche da veder volare.

A presto e buon modellismo a tutti.

Luca “Madd22” Miceli

 

Il Demone – Nakajima KI-44 “Tojo” dal kit Hasegawa in scala 1/48.

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Ci casco sempre. Ogni qual volta mi avvicino al mio armadio dove conservo le scatole mi basta vedere delle Hinomaru per capire che il prossimo modello che realizzerò sarà quello un altro velivolo del paese del Sol Levante! Mimetiche accattivanti, storia affascinante e forme elegantissime…e mi dico, facciamo questo “sforzo”!

Questa volta ho il piacere di presentarvi quello che i giapponesi chiamavano il demone (Shoki), e gli alleati “Tojo”. Il Ki-44 oggetto di questo articolo appartenne al Capitano Yukiyoshi Wakamatsu durante il 1943 e fu stanziato in Cina. Dopo aver reperito sul web la sua foto originale me ne sono letteralmente innamorato!

Immagine inserita a scopo di discussione – fonte http://www.warbirdphotographs.com

Il Kit:

La scatola da me utilizzata è l’unica sul mercato per riprodurre un Ki-44 in scala 1/48, ovvero la JT37 della Hasegawa. Un ottimo prodotto, ricco di dettaglio e con pezzi ben stampati come la ditta giapponese ci ha abituato da anni. Ho trovato questo kit presso una bancarella durante il Model Expo di Verona del 2017 insieme a due miei cari amici del forum di Modeling Time, Jacopo e Mattia, che saluto con piacere!

Non sono solito procurarmi degli aftermarket per i miei lavori poiché reputo la sana autocostruzione molto più divertente, ma questa volta ho fatto una piccola eccezione e mi sono concesso tre piccoli “regali”:

  • Eduard PE-163: fotoincisioni di base, ottime per arricchire il cockpit.
  • Eduard EX-087: mascherine pretagliate per canopy, comode e pratiche.

Il Work In Progress lo trovate QUI!

Montaggio:

Lo stampo, sebbene abbia diversi anni sulle spalle, si difende ancora bene! Fin dalle prove a secco delle varie parti si evince la buona precisione dei vari pezzi.

Come di consueto ho iniziato i lavori dal cockpit e, grazie alla (poca) documentazione disponibile su questo aeroplano, ho aggiunto qualche cavetto utilizzando del filo di stagno di diametri opportuni. Le fotoincisioni, invece, hanno particolarmente giovato al realismo del cruscotto soprattutto per ciò che riguarda la strumentazione stampata sul classico foglietto di acetato (ricordatevi di verniciare il retro in bianco per mettere bene in risalto le varie lancette).

Il cockpit è stato dipinto ad aerografo con il Nakajima Green C-127 della Mr. Color dopo aver ricevuto una base nera per enfatizzare le ombre e poi le luci (tecnica del black basing). Trovo questa tecnica molto adeguata per tutti quelle zone che alla fine rimarranno un po’ nascoste all’interno della fusoliera.

Dopo il colore di base l’abitacolo ha ricevuto le canoniche mani di lucido acrilico Tamiya al fine di proteggerlo dai lavaggi eseguiti con colori ad olio. A seguito di due mani di opaco H-20 Gunze mi sono divertito parecchio con la tecnica del dry brush per mettere in risalto sia le veglie degli strumenti, sia i vari dettagli in rilievo sulla vasca e le paratie laterali. In particolare su quest’ultime ho dato maggior volume alle centine verticali usando il Nakajima Green della Vallejo che ho trovato più chiaro del Mr. Color.

Il montaggio della fusoliera e delle ali scorre via veloce e senza particolari intoppi. Ho comunque eseguito tantissime prove a secco per verificare gli allineamenti dato che il modello sarà verniciato, come base, quasi interamente con l’Aluminium AK – un colore che mette in risalto anche la più piccola imperfezione. Le fessure che inevitabilmente si sono formate le ho stuccate mediante colla cianacrilica (se carteggiata e lucidata a dovere assume la stessa consistenza della plastica).  Per arricchire le superfici esterne del modello ho usato nuovamente le PE Eduard che sono ottime per simulare le griglie degli sfiati.

L’unico elemento che ha fatto fatica ad adattarsi è stata la naca motore; la stessa formava un gap abbastanza vistoso rispetto alla fusoliera e che ho dovuto colmare con del Plasticard e la solita colla cianacrilica come potete vedere dalla foto in basso.

Per eliminare graffi e lucidare le superfici ho utilizzato carte abrasive di varie grane (anche sottilissime – dalla 2000 alla 8000), sempre nell’ottica di non lasciare intravedere difetti sotto il successivo strato di metallizzato.

Il ruotino di coda è un po’ scarno ed è doveroso aggiungere qualche particolare grazie a del filo di stagno da 0.25 mm, come mostrato nell’immagine seguente.

Ho rifatto da zero anche il tubo di pitot utilizzando un rod di ottone con un diametro opportuno in modo tale da poter inserire un filo di rame per simulare il terminale della sonda.

Il Tojo montava un potente motore Ha-109 da 1.520 CV. Da scatola è più che onesto, ha un dettaglio notevole e bastano solo i fili delle candele per renderlo ancor più realistico.

Per la colorazione del propulsore ho preso spunto da una nota rivista spagnola. Ho steso una base nera e, dopo, una mano di Aluminium AK. Poi ho colorato la campana della scatola ingranaggi utilizzando un blu molto carico a pennello e vari dry-brush in Azur-Blue e Light-Blue Vallejo. Ho verniciato anche i cavetti delle candele e fatto un leggerissimo dry-brush sulle aste dei bilancieri. I collettori di scarico li ho invecchiati e bruniti grazie al set Lifecolor “Dust & Rust” che mi è stato gentilmente regalato dall’amico del forum Rosario!

Naturalmente anche il canopy ha ricevuto il solito trattamento con la cera acrilica Future che fa assumere ai trasparenti una limpidezza e una brillantezza invidiabile.

I vani carrello e portelli vari hanno ricevuto ancora una volta una base nera e poi successivamente l’Aotake C57 Mr. Color. Ottimo come tonalità, promosso a pieni voti!

Concluso il montaggio, divertente e senza troppo stress, ho verificato la bontà del lavoro fatto stendendo su tutto il modello una mano di Mr. Finishing Surfacer 1500 Black della Gunze (diluito al 70% con la nitro) che ha funzionato anche come base per l’Alluminium.

Verniciatura:

E finalmente posso parlarvi della verniciatura! Dopo aver steso il primer della Gunze ho carteggiato con cura tutte le superfici con carta abrasiva 2500 bagnata per ottenere una finitura ancora più liscia ed omogenea. Per questo genere di lavorazioni il Finishing Surfacer è una vera mano santa perché rimane compatto, non si sfoglia e al tatto è davvero setoso.

La difficoltà di questa mimetica, oltre che nel saperla riconoscere visto la foto in b/n che aiuta davvero poco, è la riproduzione del tipico pattern di macchie verdi che erano applicate direttamente sul natural metal del velivolo. L’effetto non era troppo fitto e lasciava e lasciava intravedere il metallo sottostante.

Come vi avevo anticipato, ho utilizzato il colore AK-479 Aluminium e dopo la sua stesura ho aspettato circa una settimana per sottoporre le superfici ad altri trattamenti. Purtroppo le tinte AK molto fragili e sopportano male sollecitazioni e mascherature, quindi è opportuno attendere che si asciughino per bene onde evitare spiacevoli sorprese!

Sopra al metallizzato ho riprodotto lo schema utilizzando il Tamiya XF-70 e cercando di creare una trama non troppo caotica. Poi ho aggiunto degli spot con il Gunze H-312 e con il Tamiya XF-64 Red Brown. Quest’ultimi due colori, come sono solito fare oramai da qualche tempo, sono stati diluiti minimo all’80% utilizzando la nitro antinebbia che dà degli indubbi vantaggi (colori più coprenti e che non asciugano rapidamente come quando si utilizza l’alcool o derivati).

A seguire ho realizzato:

  • Il pannello antiriflesso in Nato Black Tamiya XF-69 leggermente schiarito per simulare un po’ di usura. Fondamentale è stato il nastro Tamiya Masking Curve date le superfici curve del kit.
  • La zona di calpestio che ha ricevuto il medesimo trattamento del pannello antiriflesso.
  • Le bande gialle che sono state realizzate con il Giallo Tamiya XF-3 tagliato con una puntina di rosso per rendere più calda la tonalità.
  • Le zone telate per cui ho scelto il Tamiya XF-76.

Ciò che ha richiesto parecchio lavoro è stata la realizzazione delle insegne giapponesi. Fondamentale è stato l’utilizzo del compasso Olfa per ritagliare le mascherine circolari da apporre sulle ali e sulla fusoliera. Prima della stesura del rosso (quello da me scelto è l’XF-7 Tamiya), consiglio sempre di utilizzare una base bianca opaca per rendere il colore più coprente ed evitare che si formino spessori della vernice.

Dopo aver realizzato le Hinomaru, grazie alla foto da cui ho preso spunto, ho notato un sottile bordo in alluminio lungo i contorni delle insegne di nazionalità e dello stemma in coda; riprodurlo non è stato semplice e mi ha portato via un bel po’ di tempo, ma era un molto visibile e che non poteva essere di certo tralasciato.

Prima di chiudere il capitolo mimetica ho realizzato, mediante la solita penna gel color argento, qualche piccola scrostatura sui punti più soggetti ad usura quali, ad esempio, le zone di calpestio sulle ali.

Terminata la verniciatura ho steso ad aerografo circa tre mani di lucido Gunze H-20 diluito con nitro per preparare le superfici ai lavaggi, tecnica fondamentale per donare profondità alle pannellature e ai dettagli incisi. Ho fatto riposare il modello per almeno 24 ore e, allo scadere, ho usato marrone scuro ad olio per le superfici superiori ed una tonalità sempre terrosa ma più morbida per quelle inferiori. Le perdite e colature d’olio le ho simulate, invece, con i prodotti della AK creati ad hoc per i soggetti aeronautici.

Il mio Tojo in scala non ha ricevuto il classico opaco come finitura finale, bensì un satinato per non far perdere troppa lucentezza al metallizzato rendendolo “grigio”. Ho utilizzato un mix di trasparente lucido e opaco della Gunze in proporzioni circa 70 + 30. Sul pannello antiriflesso e superfici mobili, al contrario, ho utilizzato il flat clear puro.

L’elica è stata verniciata in Red Brown XF-64 Tamiya su base di Aluminium AK al fine di simulare, alla fine del procedimento, delle scrostature; le tip sono state completate con il giallo opaco XF-3 Tamiya.

Quando ho dipinto le ruote ho approfittato per fare un piccolo esperimento. Ricordo il video postato dall’utente del forum Aurelio/FreestyleAurelio sull’utilizzo delle polveri per l’invecchiamento. Dopo aver creato un mix tra pigmenti Vallejo (con toni terrosi) e diluente sintetico Humbrol, con un pennello carico ho invecchiato il battistrada dello pneumatico facendo scorrere il mix per capillarità. Dopo che il diluente è evaporato del tutto sui pezzi è apparso un gradevole effetto polveroso. Ho ripetuto la stessa tecnica l’ho applicata pedissequamente anche il ruotino di coda.

Le zone di pericolo delle carenature degli ipersostentatori le ho completate a pennello con il rosso Vallejo.

Infine, ho aggiunto l’antenna con il relativo filo elastico della SBM colorato in nero ed il relativo isolatore e ho realizzato il fumo dei gas di scarico ad aerografo. Sempre tramite le polveri Vallejo ho anche simulato i residui di polvere da sparo delle armi.

Il modello si può ritenere concluso! Non nascondo che è stata una delle mie avventure modellistiche più complesse dal punto di vista della ricerca storica; quando si affrontano velivoli giapponesi reperire foto e informazioni è sempre difficoltoso. Importantissima è stata la presenza degli amici del forum di Modeling Time e dei loro preziosi consigli ricevuti durante il Work In Progress. Grazie a loro sono riuscito a dipanare molti dubbi che ho avuto durante la costruzione. Spero che l’articolo sia stato di vostro gradimento e spero di trovarvi presto sulle pagine di MT! Adesso, cosa aspettate ad aprire il vostro primo WIP?!

Saluti dallo Stretto di Messina!

Roberto “rob_zone” Boscia

L’articolo completo del mio Ki.61 lo trovate QUI!

Video Tutorial: Come Pulire il vostro Aerografo (versione 2.0).

Dopo 8 anni esatti dalla prima guida, torno con un nuovo e più aggiornato tutorial su come pulire il vostro aerografo!

In questo video cercherò di mostrarvi la procedura di smontaggio e pulizia completa che consiglio di eseguire ogni qual volta lo strumento non viene utilizzato per un periodo abbastanza lungo (circa 6/8 settimane). Se prevedete di utilizzarlo ad intervalli più regolari suggerisco comunque di smontare le parti principali quali ago, corona, copri duse e duse, e  di eliminare qualsiasi traccia di vernice residua su di esse e nella coppetta (in questo caso seguite principalmente gli step 1, 2, 3, 6, 8 e 9) dopo ogni sessione di verniciatura. Pulizie parziali o semplici spruzzate di diluente ad alta pressione non rimuovono eventuali residui che, a lungo andare, potrebbe otturare i condotti interni e bloccare i meccanismi.

Non abbiate timore nel disassemblare il vostro aerografo, basta prendere solo un pò di confidenza con le varie sequenze. Vedrete che dopo aver fatto la giusta esperienza vi basteranno dieci minuti al massimo per pulirlo e mantenerlo efficiente negli anni!

Alcune doverose raccomandazioni:

  • Nel video noterete che il diluente utilizzato per la pulizia è la nitro anti nebbia. E’ un solvente in grado di sciogliere qualsiasi tipo di vernice usata nell’ambito del modellismo (acrilici, smalti, lacche e vinilici) ma potrebbe intaccare le guarnizioni in gomma di alcuni modelli (come ad esempio i primi Fengda entrati in commercio). Perciò sinceratevi che la vostra aeropenna non utilizzi questo tipo di materiale! al contrario la nitro non rovina gli o-ring in teflon o neoprene impiegati su prodotti di fasce qualitative più alte (ad esempio Iwata, Badger, Harder & Steenbeck… ma anche alcuni cloni cinesi di nuova generazione).
  • L’aerografo è uno strumento di precisione, per questo deve essere trattato con attenzione! alcuni componenti sono molto delicati e potrebbero danneggiarsi a seguito di urti e/o cadute accidentali. Prestate cura quando sfilate l’ago e smontate la duse perchè essi sono i componenti più delicati.

Buona visione, e lunga vita ai nostri aerografi!

Valerio “Starfighter84” D’Amadio.

CLICK QUI PER IL LINK DIRETTO AL VIDEO!