venerdì, Luglio 18, 2025
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D9R Armored Bulldozer dal kit Meng in scala 1/35.

Un bel giorno, navigando online alla ricerca di un nuovo modello da realizzare, sono incappato in questo Armored Bulldozer della Meng e me ne sono decisamente infatuato: è stato amore a prima vista!

Da sempre affascinato dai mezzi di movimentazione terra, mi trovo davanti ad un “bestione” adattato per scopi militari e non me lo sono fatto scappare. Questo D9R è dotato di una struttura corazzata che protegge egregiamente il potente motore, l’impianto idraulico/elettrico e, ovviamente, il personale di bordo, essendo dotato di vetri blindati. I numerosi finestrini permettono agli operatori di avere un’ottima visuale in pratica a 360°.

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Il kit è possente: ci sono molti pezzi, ma comunque scomposti in modo logico, cosa che permette di evitare assemblaggi tediosi e contorti tipici di certi stampi.

Serve comunque una certa attenzione durante la fase di assemblaggio ma le parti combaciano alla perfezione e le stampate sono ottime e ben dettagliate; sono solo necessari alcuni ritocchi con lo stucco in certe giunzioni, più che altro nel gruppo di rotolamento e in quello della lama posteriore, ma comunque si tratta d’interventi di poco conto: tutto si monta che è una meraviglia.

Nella scatola sono compresi i cingoli in plastica maglia/maglia di ottima fattura, i trasparenti per i finestrini sono presenti sia nel classico colore neutro, sia in versione azzurrata per una riproduzione più realistica dei vetri blindati. Fornito anche un tubicino di gomma da utilizzare per ricostruire i collegamenti idraulici del gruppo lama.

Per complicarmi un po’ la vita (ma ne vale la pena!) ho acquistato alcuni aftermarket: cingoli in metallo con perno passante dell’Easy Links (metal set D9R) e due set di fotoincisioni della Eduard (36270 Cooling Slats e 36265 Exterior).

Adesso passiamo alla fase operativa.

Per affrontarlo più agevolmente, il modello è stato così suddiviso: corpo principale, gruppo pala, gruppo cabina, gruppo rotolamento e gruppo lama posteriore. Per prima cosa ho lavorato sul corpo principale: con l’aiuto del Dremel, e di un taglierino molto affilato, ho eliminato tutte le griglie dalle stampate che compongono il vano motore in modo da poterle sostituire con quelle foto incise della Eduard (composte di telaio e lamelle singole).

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In seguito ho anche sostituito i condotti in plastica con filo di ottone sagomato.

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La parte frontale del radiatore è stata, invece, interamente sostituita dal suo alter-ego in metallo sempre della Eduard: un lavoro piuttosto lungo e un po’ noioso che però, a lavoro finito, ripaga ampiamente delle fatiche donando un aspetto notevolmente realistico.

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Dopo di ciò ho messo insieme la struttura portante del mezzo arricchendola con altre fotoincisioni: le pedane per l’accesso alla cabina, le quattro pedane laterali ripieghevoli, le protezioni per il sistema idraulico del sollevamento pala e altri accessori.

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Quindi sono passato agli interni per poter poi unire i sottogruppi, il corpo principale e la cabina. Quest’ultima è molto ben dettagliata, peccato solo che a modello finito sia alquanto arduo intravedere i dettagli interni più significativi, nonostante i numerosi finestrini.

Volendo riprodurre un modello piuttosto vissuto anche gli interni hanno ricevuto un discreto trattamento d’invecchiamento: dapprima con scrostature varie e dopo con qualche lavaggio mirato con prodotti Mig molto diluiti. Il sedile dell’operatore è stato prima ricoperto con un sottile strato di Milliput, testurizzato con un pennellino da battaglia e, successivamente, colorato con acrilici Lifecolor. Il risultato è forse leggermente troppo ruvido ma in fin dei conti non mi dispiace.

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A questo punto sono passato al gruppo rotolamento.

Come anticipato, è stato necessario eseguire solo una leggera stuccatura lungo le linee di giunzione per avere una finitura perfetta del gruppo, che abbinato ai cingoli in metallo, è decisamente accattivante. L’assemblaggio dei cingoli non è stato difficoltoso, bisogna solo ripassare i fori per i perni con una punta di diametro adeguato alla dimensione degli stessi. Una volta infilato il perno tra le due maglie ho aggiunto una piccola goccia di ciano, evitando di precluderne la mobilità, ma sufficiente a impedire ai perni più laschi di sfilarsi.

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Il gruppo pala e la lama non presentano particolari difficoltà. L’unica accortezza, nel gruppo lama, è quella di controllare bene l’orientamento dei cilindri in modo da non ritrovarsi con gli innesti per i tubi idraulici nel verso sbagliato.

Altra cosa molto interessante è che la Meng ha riprodotto sul lato di una sprue la testa delle brugole da tagliare e attaccare sui corpi dei pistoni per la movimentazione del gruppo lama.

Un paio di stuccatine leggere per rifinire alcune linee di giunzione e via che si procede con la prova a secco per controllare il corretto assemblaggio di tutti i vari gruppi.

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Ed eccoci alla verniciatura.

Per quest’operazione ho continuato a lavorare per sottoinsiemi, con la differenza che il gruppo cabina è stato definitivamente fissato al corpo principale.

Dopo il classico primer Tamiya Fine, ho passato una mano di color ruggine Vallejo, seguito da una seconda e terza mano, molto leggere, di colore sempre più schiarito per dare una leggera variazione tonale in alcune zone. Quindi, ho sigillato il tutto con una mano di trasparente lucido.

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Una volta fatto asciugare il tutto a dovere, sono passato a un mix di Desert Yellow e Dark Yellow  Tamiya, in parte miscelati tra loro in diverse mani, per ottenere anche qui leggere variazioni tonali. In seguito ho iniziato a realizzare i primi graffi e scrostature mediante la tecnica della lacca e l’utilizzo del Maskol, ottenendo così un primo abbozzo di usura che è stato in seguito ritoccato in fase di finitura. In questa passaggio ho aggiunto il gruppo di rotolamento, sottoposto allo stesso trattamento, per ottenere un effetto uniforme tra i due blocchi strettamente correlati tra loro.

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Ed eccoci arrivati alla verniciatura della pala: una bella sfida!

Dopo il primer Tamiya Fine, ho passato due mani leggere del color acciaio della linea Mister Metal Color della Mr. Hobby, ed ho fissato il colore con un velo di trasparente lucido.

Successivamente ho dato una leggera mano di Desert Yellow molto diluito sulla parte interna della pala e uno strato più consistente sulla griglia di protezione posta sopra di essa. Anche qui ho ricreato qualche piccola scrostatura.

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In seguito ho steso ad aerografo diverse velature molto diluite sulla pala con diverse tonalità color ruggine della Lifecolor, seguendo un andamento dall’alto verso il basso per ottenere striature leggere, stando attento a evitare l’indesiderato effetto maculato.

Con il colore non completamente asciutto ho passato un pennellino piatto leggermente umido, sempre con passate dall’alto verso il basso, per avere transizioni tonali più realistiche e casuali. Passata un’altra mano di lucido, ho ulteriormente scrostato alcuni punti con un pennello usurato, sfruttando anche qui la tecnica della lacca e del Maskol (che mi hanno permesso di lavorare in modo piuttosto selettivo sulla griglia in alto, sui lati della pala e sulla lama ottenendo un effetto soddisfacente).

Ho iniziato, quindi, ad applicare a pennello dei pigmenti Mig in polvere, dopo aver inumidito le zone interessate con il fissatore per pigmenti sempre della medesima ditta. A questo punto ho lasciato la pala in attesa delle rifiniture finali da portare a termine una volta preparata la basetta, in modo da adattarla in funzione della stessa.

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Passiamo al gruppo lama: anche qui, primer Tamiya Fine, passate leggerissime color acciaio e ruggine sempre ad aerografo, di nuovo una miscela con Desert Yellow e Dark Yellow dopo una generosa mano di trasparente lucido; poi, con le stesse tecniche utilizzate in precedenza, ho provveduto a creare segni di usura qua e là, dedicandomi a qualche ritocco color acciaio sulla lama vera e propria.

Infine ho ricostruito i collegamenti idraulici con il tubicino in dotazione.

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Giunto a questo punto ho completato il montaggio unendo tutti i sottogruppi al corpo principale e sono passato alla fase d’invecchiamento vero e proprio con lavaggi a olio molto diluiti su tutto il modello per enfatizzarne i contrasti.

Ho aggiunto pigmenti Mig per replicare sedimenti polverosi e terrosi, ho fatto colature di sporco e ruggine con lavaggi Mig, ma cercando di non esagerare. La difficoltà di quest’operazione sta proprio nel decidere quando fermarsi perché su questo tipo di modello è veramente facile strafare. Ancora oggi, quando lo guardo, mi viene istintivo il voler aggiungere un po’ di ruggine lì o una colata d’olio, ma comunque mi sono imposto di fermarmi quando il mio gusto personale lo ha ritenuto opportuno (anche se la tentazione del “ritocchino”, è sempre dietro l’angolo)!

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Siamo arrivati all’ambientazione: sostanzialmente ho utilizzato un pezzo di basetta in resina della Verlinden che riproduce detriti e macerie (vasi, mattoni, ecc.), ritagliando con un Dremel la parte che m’interessava.

Ho sistemato il pezzo ottenuto all’interno di una cornice per foto ed ho realizzato il terreno con del DAS, steso umido, sopra uno strato di Vinavil, per incollarlo al fondo. Fatto questo, ho impresso con alcune maglie dei cingoli avanzati, svariati solchi sul terreno in diverse direzioni per dare l’idea di un mezzo all’opera.

Infine ho pitturato il tutto con un fondo acrilico marrone, poi ho schiarito con del nocciola, poi un mix nocciola e Dark Yellow, poi Desert Yellow + Dark Yellow. Per ultimo ho creato un mix di colori per ottenere una tonalità simile al pigmento utilizzato per impolverare il mezzo e ho dato una spolverata su tutta la basetta con i pigmenti bloccandoli con un po’ di lacca.

Ho aggiunto qualche agglomerato di terreno utilizzando dell’Akadama, una terra in grani di diverse pezzature solitamente utilizzata per la coltivazione dei bonsai. Per spezzare un po’ l’ambientazione e dare di movimento alla scena ho costruito un palo della luce in legno con alcuni tondini e listelli che uso per il modellismo navale.

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Prima di passare alle foto conclusive, ci tengo a dire che questo modello mi ha a dir poco entusiasmato! E’ un kit meraviglioso, che anche senza aftermarket può dare risultati eccezionali data la qualità delle parti.

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Essendo io ancora un novello del settore modellistico, posso certamente dire che questo sia stato il mio primo lavoro veramente “tosto”. Mi ha tenuto occupato per diversi mesi sotto ogni aspetto: dal montaggio alla lavorazione delle fotoincisioni, dalla verniciatura fino alla fase d’invecchiamento.

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E’ stato per me un lavoro davvero impegnativo, ma altrettanto avvincente. Ci tengo a ringraziare tutti i partecipanti del forum di Modeling Time, che durante questo W.I.P. , realizzato in occasione del Group Build Desert Storm 2016, mi hanno consigliato e supportato in tutte le fasi della costruzione.

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Buon Modellismo! Giovanni “Digge” Tosatti.

 

Decal Review: TauroModel new 48-504 – Italian AF Squadron Insigna Part 2 in scala 1/48.

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Era da molto che i modellisti “italianofili” attendevano l’uscita di un foglio decal che potesse colmare il vuoto che, oramai da qualche tempo, affliggeva l’araldica dei Reparti dell’Aeronautica Militare Italiana.
Come era facile aspettarsi è stata la stessa Tauromodel che, dopo anni di quasi totale inattività, ha iniziato nuovamente a proporre decalcomanie inedite (o quasi). Quello che presentiamo in questa recensione è un prodotto messo in commercio solo da pochi giorni e che, di fatto, è composto da vecchi soggetti già proposti dalla ditta torinese e da alcune “new entry”. Il progetto è stato, ovviamente, ri-arrangiato aggiungendo nuovi stemmi ai vecchi, ma ha comunque mantenuto il classico layout a cui siamo abituati.

Partiamo col dire che il foglio è stampato su un supporto trasparente unico che costringe il modellista a ritagliare ogni singola insegna; dato che queste andranno applicate su soggetti, per la maggior parte, in Natural Metal o alluminata (finiture notoriamente delicate), le operazioni di scontornamento assumono un importanza, direi, fondamentale (lavorazioni non alla portata di tutti, soprattutto dei neofiti).

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Le decal non sono prodotte con il metodo classico, bensì con un sistema in quadricromia che assomiglia molto a quello utilizzato dalle stampanti casalinghe o le vecchie stampanti ALPS. La differenza si percepisce immediatamente quando si confrontano le nuove con le più vecchie; di seguito un raffronto con il foglio, sempre Tauromodel, codice 48-504:

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Foglio 48-504 NEW Version.
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Foglio 48-504 OLD Version.

La tecnica di stampa attuale fa sì che i bianchi e i neri siano saturi, ma nelle zone a colori siano presenti delle “retinature” visibili anche ad occhio nudo. Per questo motivo consigliamo di verniciare direttamente sul modello tutti i fregi più grandi come, ad esempio, le frecce gialle che adornavano il bordo d’attacco delle derive dei velivoli assegnati al 156° Gruppo del 36° Stormo, o il dardo blu che si estendeva dall’ala alla presa d’aria dei Thunderstreak in carico al 21° Gruppo.

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Foglio 48-504 NEW Version.
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Foglio 48-504 OLD Version.

Le istruzioni sono disegnate nel classico stile Tauromodel con profili a colori di ogni singolo esemplare realizzabile. Non sono forniti stencil di manutenzione o le coccarde tricolori che, necessariamente, andranno acquistate a parte.

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In generale i modellisti si aspettano sempre che il livello qualitativo cresca e superi quello delle precedenti, soprattutto a parità di prezzo di listino. Al contrario lo standard di questo nuovo foglio Tauro, a nostro avviso, non è nella stessa fascia delle decal aftermarket stampate con metodo classico e oggi a disposizione di ogni appassionato.

Buon Modellismo a tutti!

Valerio – Starfighter84 – D’Amadio.

Once We Were Enemies – Spitfire Mk.Vb Trop dal kit Hasegawa in scala 1/48.

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Per chi come me è un modellista (o presunto tale) appassionato di “eliche” e soprattutto dei velivoli che hanno servito nell’Aeronautica Italiana (sia essa Regia, A.N.R. o A.M.I.) è impossibile prima o poi non “affrontare” lo Spitfire nelle varie versioni che sono state impiegate con le coccarde tricolori.

27840694911_0890fc516d_hNon mi dilungherò sulla storia di questo arcinoto e stra conosciuto caccia, uno dei pochi ad aver attraversato l’intero arco della Seconda Guerra Mondiale, dal 1939 al 1945, e ad essere presente in tutti i teatri di guerra. Mi limiterò, quindi, a descrivere la scelta dello specifico velivolo, la costruzione e (soprattutto) la colorazione.

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L’ esemplare che ho voluto riprodurre è un Mk.Vb che la nostra stremata Aeronautica ricevette in “generoso dono” dalla R.A.F. nel 1944; erano cellule con parecchie ore di funzionamento sulle spalle, scarti della linea di volo della “Balkan Air Force” e della “Mediterranean Air Force” essendo queste transitate sui più nuovi e prestanti Mk IXc. Di conseguenza si resero disponibili diversi Spitfire Mk.Vb e C che furono messi a disposizione della Regia Aeronautica (la denominazione ICAF o ICBAF non esiste in alcun documento ufficiale italiano -Ndr) e che vennero impiegati sui territori Jugoslavi e balcanici in appoggio alle nostre truppe di terra ed ai partigiani titini. L’ ultima sortita della Regia Aeronautica nella II G.M. fu eseguita proprio da due Spitfire sui cieli di Belgrado.

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Il modello:

Senza dubbio la migliore scelta in scala 1/48 per riprodurre uno Spitfire MkVb Trop è la scatola Tamiya, seguita da vicino dall’ Airfix di recente uscita. Non possedendo né l’una né l’altra, ho optato per il vecchio ma comunque valido kit Hasegawa che soffre di qualche difetto dimensionale (concentrato sulla fusoliera) e di carrelli che assumono una posizione troppo verticale a modello finito; tutto sommato, comunque, si difende ancora più che bene.

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Come aftermarket ho deciso di utilizzare il cockpit in resina Aires (buono nel dettaglio ma come al solito carente nel fitting) e, ovviamente, il foglio Modeling Time Productions dedicato agli Spitfire italiani (più un altro accessorio in corso d’ opera…anzi, a modello praticamente finito).

Il montaggio:

La scatola della casa giapponese non ha dato eccessivi problemi, per gli interni è stato sufficiente limare fino alla quasi trasparenza le pareti ed il pavimento del set Aires per far chiudere le semi fusoliere in modo corretto.

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La costruzione è partita, come solito, dal “pilot’s office” in resina.  Per favorire la precisione degli incastri solitamente fisso le pareti alla fusoliera e poi inserisco pavimento e quadro strumenti alla fine. In questo caso, al contrario, ho dovuto assemblare tutta la vasca poiché il set ha la struttura dell’anti capottata solidale alle fiancate e va, giocoforza, stuccata e sistemata prima di inserirla nel suo alloggiamento.

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L’abitacolo è stato verniciato con il seguente mix

  • 60 gocce di Verde F.S.34227 (Gunze H-312) più 6 gocce di Medium Sea Grey XF-83 Tamiya.

Il seggiolino, in cartone pressato ed indurito con una resina plastica, è dipinto con questa miscela:

  • 30 gocce di Tan F.S.30219 (Gunze H-319) + 3 gocce di Tamiya XF-79 Linoleum Deck Brown.

Nelle foto noterete che il cuscino dello schienale è stato lasciato in marrone; al contrario, dopo la segnalazione dei due amici del forum – Fabio e Umberto – lo stesso è stato ricolorato in nero opaco (stesso utilizzato, tra l’altro, anche per il cruscotto).

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A parte questi piccolo inconvenienti, e la necessità di inserire un congruo quantitativo di strisce di Plasticard nel raccordo ala-fusoliera inferiore, il modello si costruisce da solo. I due gusci che compongono la carlinga combaciano alla perfezione e così anche tutti i vari sottoinsieme, tanto che in brevissimo tempo il mio Spit era già assemblato e pronto per la fase più divertente…

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La colorazione:

E qui arriviamo ad una delle vicende più controverse su cui i modellisti italiani si sono “scontrati” negli anni.

Per la colorazione, come faccio sempre, ho cercato di documentarmi, leggere il maggior numero di informazioni ed usare, per quanto mi è possibile, il cervello per interpretare correttamente le immagini e le notizie giunte fino ai nostri giorni. Dopo un po’ di studio sono giunto ad una conclusione sicuramente soggettiva: se sono passati più di 72 anni, ma è ancora difficile riuscire a definire con certezza la colorazione dei “nostri” Spit, credo che NESSUNO (ed ovviamente anche il sottoscritto) possa affermare con certezza assoluta di essere “il depositario del verbo”!

Fino a qualche tempo fa si ipotizzava che i nostri Spitifire avessero utilizzato uno schema in Dark Earth/Desert Sand su superfici inferiori in Azure Blue (colorazione tipica del teatro nordafricano, provenienza ultima dei velivoli poi ceduti alla R.A.); tale schema A MIO PARERE non è rispondente al vero. Il ritrovamento e la diffusione di un filmato girato proprio nella base di Canne (BN), da parte dell’Imperial War Museum Inglese, ha evidenziato come in realtà questi adottassero una mimetica in grigio/verde (schema cosiddetto “continentale”) con visibili sovra verniciature delle insegne originali inglesi!

Quindi, per quanto visto nel video ed in seguito ad un per un mio personalissimo e contestabilissimo ragionamento, la R.A.F. tendeva ad essere particolarmente fiscale con le mimetiche di Teatro. Ad esempio, gli Spit Vb/Vc e gli Hurricane inviati a difesa di Malta, poiché operanti maggiormente sul mare, furono riverniciati in toni di grigio ed azzurro durante il viaggio verso la roccaforte nel Mediterraneo; gli Squadron operanti in Africa ad inizio 1943 avevano la “camo” desertica o mediterranea, e gli stessi reparti – appena trasferiti in Italia – riverniciarono i loro velivoli con i colori “continentali”.

Sulla scorta di quanto detto sopra, ho deciso di riprodurre il mio modello con lo schema grigio/verde usando come riferimento i colori Tamiya XF-61 e Gunze H-305 per le superfici superiori. Per quelle inferiori ho optato per il Gunze H-306.

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Il post shading l’ho effettuato aggiungendo una goccia di giallo al verde ed una goccia di “off white” al grigio, ed è stato eseguito subito dopo la colorazione.

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Il passo successivo è stato ricreare le obliterazioni delle insegne inglesi (o jugoslave) con vernici Italiane, quindi usando il Grigio Azzurro Chiaro per le coccarde e Verde oliva scuro per la “fin flash” e lo “spot” sul filtro Vokes. Per le insegne di nazionalità, al fine di ottenere dei cerchi con lo stesso diametro ma sfumati come erano in realtà, ho prima spruzzato il colore all’interno delle mascherature rotonde, poi ho sfumato i contorni a mano libera.

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Dopo aver terminato la verniciatura ho steso un paio di mani di Clear Tamiya e poi applicato i lavaggi ad olio e le decal. A questo punto il modello era ormai pronto per le rifiniture finali: carelli (che soffrono del citato difetto di angolazione che non ho corretto), asta antenna, volate dei cannoni da 20 mm…e qui si è presentato un fastidioso problema; le coperture solidali alle ali nel modello combaciano benissimo e sono perfette, ma le canne vere e proprie sono esageratamente fuori scala! quindi ho deciso di eliminare tutto, ordinare un set di canne in ottone tornito della Master e installarle …il tutto a modello praticamente finito!

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Seppur con molti sudori freddi credo che l’operazione possa dirsi riuscita… e dopo quest’ultimo inconveniente ho passato su tutto il modello una mano di trasparente opaco Gunze H-20 e, finalmente riposto il mio primo Spitfire in vetrina!

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Devo dire che dopo essermi documentato ed aver scambiato opinioni con tutti quelli che mi son stati dietro durante la costruzione, ho rivalutato il velivolo…ma continuo a preferirgli l’Aquila di Augsburg, il Bf.109!

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Un grazie particolare a Fabio, Valerio, Enrico ed Umberto per le “dritte” ed a tutto il forum di www.modelingtime.com per la pazienza!

Anche altri utenti di MT si sono cimentati con uno “Spitfire italiano”! date un’occhiata QUI QUI!

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Buon modellismo a tutti! Alessandro – Argo2003 – Gerini.

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Video Tutorial: Costruire un Diorama EFFETTO ACQUA – Seconda Parte.

Seconda e ultima parte del tutorial dedicato alla costruzione di un diorama effetto acqua. In questo tutorial spieghiamo come utilizzare la resina E-30 Prochima trasparente.

Se avete perso la prima parte, cliccate QUI!

CLICK QUI PER IL LINK DIRETTO AL VIDEO!

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Buon Modellismo a tutti!

Valerio – Starfighter84 – D’Amadio.

Video Tutorial – Costruire un Diorama EFFETTO ACQUA. Prima Parte.

In questo video tutorial mostreremo come realizzare un diorama Effetto Acqua. La prima parte è dedicata alla costruzione della struttura di base con poche e semplici operazioni!

Non perdete la seconda parte, in arrivo fra pochi giorni!

La Galleria delle immagini QUI!

Il Work In Progress dell’idrovolante QUI!

Non perdete la seconda parte del tutorial!

Buon modellismo a tutti!

CLICK QUI PER IL LINK DIRETTO AL VIDEO!

Kit Review: Eduard Spitfire Mk.IXc Late Version in scala 1/72.

72nd Scale Revolution!
Nonostante il modellismo sia nato e si sia diffuso con la scala 1/72, è più di qualche anno che le ditte ed i modellisti aeronautici si indirizzano principalmente verso la scala 1/48. Non voglio tessere le lodi o sviscerare i difetti nè dell’una nè dell’altra scala, ho sottolineato questa tendenza per evidenziare il fatto che la produzione 1/72, con qualche rara eccezione, ha perso un po’ l’attenzione delle ditte più blasonate. Ed è qui che entra in gioco Eduard con al sua “72nd Scale Revolution!”.
In contro tendenza Eduard ci delizia con ottimi stampi anche nella gentleman’s scale (La-7, Bf110, Hellcat e i più recenti Mig-15, B.534, Fw-190), in linea con l’alta qualità della sua ultima produzione. Dopo aver tirato fuori lo Spitfire IX definitivo in 1/48, rilancia la sfida anche nella “settantadue”. Finalmente aggiungerei! Nonostante la grande fama di cui questo aereo gode, sul mercato troviamo soltanto short run, stampi datati o costosi kit in resina.

Spitfire Mk.IXc, la variante più variata!
Questa versione è nata come ponte tra la Mk.V e la MK.VII/MK.VIII. Questi ultimi infatti presentavano importanti modifiche progettuali e non erano ancora pronti per entrare in produzione. Si decise quindi di modificare ed adattare gli Spitfire Mk.V ai nuovi motori Merlin 61 permettendo così un immediato arrivo dei mezzi ai reparti, per poter contrastare la momentanea superiorità dei Focke-wulf. A discapito dell’iniziale natura transitoria del progetto, questa versione risulterà molto riuscita, ospiterà diversi tipi di motori e sarà protagonista della seconda parte della guerra. Inoltre, nel dopoguerra, verrà utilizzata da numerosi paesi oltre al Regno Unito, rendendola sicuramente appetibilissima per noi modellisti. Il continuo sviluppo e miglioramento del progetto, si traduce però in svariate modifiche e differenze tra diversi periodi di produzione. Croce e delizia del modellista più esperto, l’individuazione della corretta configurazione non corrisponde sempre alla ricerca svolta da chi produce il modello. Spesso nelle scatole acquistate non sono disponibili tutti i pezzi necessari a ricostruire il puzzle in tutte le sue variabili, costringendoci a mettere mano a cutter e plasticard. Sotto questo punto di vista il lavoro svolto da Eduard è notevole ed il contenuto della scatola ci preannuncia fin da subito le prossime digressioni sul tema.

Dentro la scatola:
Inizia la magia del modellismo, si apre la scatola! Come prima uscita ci viene proposta la versione “late” in scatola Profipack. All’interno 5 sprues in grigio neutro e uno trasparente per circa 200 pezzi in totale. Forniti anche il classico foglietto di fotoincisioni colorate, le mascherine per il canopy e decal per ben sei profili. Esaminiamo adesso nello specifico il contenuto della scatola.

Sprue A:
Su questo primo telaio troviamo le parti laterali del cockpit separate, soluzione che strizza l’occhio al cockpit in resina che la Eduard ha già messo in catalogo, permettendo, si spera, una sostituzione dello stesso facile ed indolore. Oltre ad i numerosi “pezzettini” che completeranno il cockpit troviamo i travetti e le bombe, l’elica e la drop tank stile Hurricane. Interessante notare le tre diverse versioni dei cannoncini e dei cerchioni delle ruote anteriori. Assieme al ruotino di coda fisso, troviamo anche quello nella versione retrattile, utilizzato negli Mk. VII ed Mk.VIII.

Interessante il pezzo n.22, una piccola bugna che verrà situata nella parte anteriore destra della cappottatura motore centrale, vicino l’elica. Questa non verrà utilizzata per i nostri Spitfire “late” proposti da scatola, ma è necessaria per un esemplare early. La bugna infatti, da non confondere con quella nella stessa posizione utilizzata per l’avviamento a cartuccia Coffman negli Mk.II, copre una parte del sistema di areazione della cabina, utilizzato nel Mk.VII presurizzato e nei Mk.IX con motori Merlin 61, 64 e 63A. I motori Merlin 66, 266 e 70 non ospitavano questo sistema. Nella confusione creata dalla natura transitoria del progetto, non è poi così difficile trovarci davanti esemplari “late” che abbiano mantenuto, anche se inutilmente, le cappottature con la bugna. Davanti all’evidenza fotografica avremo quindi la possibilità di ovviare alla mancanza direttamente con quello che ci fornisce la scatola.

Fonte: wikimedia.org
Un’immagine vale più di mille parole. Notiamo in primo piano la bugna situata sulla cappottatura laterale vicino l’elica. Fonte wikipedia.org

Infine due tipi di pneumatici diversi, per ospitare sia i cerchioni da 4 o 5 razze che quelli da tre, che avevano un diametro maggiore. Da una prima analisi anche l’elica risulta di pregevole fattura, fornita in unico pezzo con le giunzioni degli sprue posizionate in posizione abbastanza nascosta. Nessun problema di allineamento delle pale o di dover riportare in sagoma il profilo con carteggiature.

Sprue B:
In questo sprue sono presenti alcune parti dell’abitacolo come il cruscotto, il sedile e alcune parti strutturali. Anche qui l’attenzione della Eduard si dimostra molto alta. Il cruscotto è presente in due versioni: con strumenti in rilievo o piatto, pronto ad ospitare la fotoincisione o la decal. Anche la struttura del poggiatesta è presente in due varianti, con o senza la piastra per la protezione della testa del pilota stampata in plastica. Anche in questo caso per favorire l’utilizzo della fotoincisione, fornita in questa scatola, molto più in scala. Utilizzando la fotoincisione non dovremo praticare l’apertura della fessura che permette il passaggio delle cinture, operazione necessaria sul pezzo stampato in plastica Nello sprue troviamo anche un’ulteriore coppia (con lo stesso principio, con e senza piastra) di forma leggermente diversa e priva dell’alloggiamento per il regolatore di voltaggio situato posteriormente.

Questi pezzi sono necessari per la versione Mk.XVI con tettuccio bubbletop. Queste accortezze, che possono forse sembrare eccessive, risultano invece fondamentali acquistando ad esempio gli “overtrees” o le future “weekend edition”. In questo modo il modello è completamente realizzabile anche se non sono presenti le fotoincisioni. Continuando ad esaminare la stampata troviamo due slipper tank da 30 e 90 galloni, scarichi a coda di pesce e rotondi e tre portelli di accesso. Questi ultimi sono forniti in tre versioni per diverse esigenze di montaggio: portello aperto, portello chiuso con canopy aperto e portello chiuso con canopy chiuso.

Si possono notare anche tre coppie di gambe dei carrelli anteriori e due coppie dei portelli ad essi connessi. Pur avendoli misurati ed esaminati con attenzione, sembrano perfettamente identici tra loro. Sicuramente si nasconde una motivazione dietro questa scelta ma sinceramente adesso mi sfugge, forse con le prossime scatole capiremo la differenza. Per stare tranquilli basterà utilizzare il pezzo indicato nelle istruzioni. Segnaliamo, inoltre, la presenza della presa d’aria del carburatore, posta sotto il cofano motore, in versione “corta” tipica dei primi lotti di produzione.

Sprue C:

Classica configurazione circolare dello sprue trasparente, caratteristica che peculiare degli stampi Eduard. Ottima la trasparenza e la qualità dello stampaggio, gli spessori sono adeguati e le parti che andranno verniciate finemente rivettate. Presenti il parabrezza, la cappottina aperta e chiusa, terminali alari “clipped” per poter realizzare le luci all’estremità dell’ala. Molto bello il dettaglio della rientranza nella cappottina nella parte posteriore, che serve a non creare interferenza col must dell’antenna quando la cappottina è completamente arretrata in posizione aperta. Un particolare spesso non rappresentato anche in scale maggiori. In trasparente fornito anche il collimatore nella versione Mk.II, la luce di posizione inferiore e lo specchietto posto sopra il parabrezza. Numerosi i pezzi opzionali per la versione Mk.XVI come il canopy bubbletop e il collimatore Gyro.

Sprue D:
In questa stampata presenti i piani di coda “early” (primi da destra) e “late” (primi da sinistra). Due terminali alari, il classico e la versione estesa utilizzata negli Mk.VII HF. Si comincia ad intravedere lo splendido dettaglio superficiale e la rivettatura finissima.

Sprue E:
Nello sprue E sono presenti gli alettoni, forniti separati e riposizionabili. Bellissimo il dettaglio, oserei dire mai visto in questa scala. Nella stampata a farci compagnia gli onnipresenti pezzi opzionali, questa volta troviamo i piani di coda della versione Mk.XVI con stabilizzatori in metallo, utilizzati in particolare negli ultimi lotti di produzione. Presenti anche gli alettoni in versione corta per Mk.VII/VIII.

Sprue H:
La stampata H è quella che mi ha lasciato definitivamente a bocca aperta. La qualità e la finezza del dettaglio credo, in base alla mia esperienza, che raramente abbiano toccato punte così alte in un modello 1/72. Ali e fusoliera sono perfettamente incise e completamente rivettate, Eduard questa volta ha fatto le cose in grande. Presenti nello sprue due timoni, normale e maggiorato, terminali clipped, questa volta in versione non trasparente. Troviamo la presa d’aria del carburatore allungata che utilizzava il filtro Vokes Avro-vee compatto, che rendeva inutile la versione più ingombrante utilizzata sui Mk.V. Questa soluzione divenne standard negli esemplari “late” e spesso retrofittata sui primi lotti. Presente anche la cappottatura inferiore liscia da utilizzare con la presa d’aria corta che abbiamo già incontrato nello sprue A.

Tre versioni della cofanatura motore superiore, divisa in due semivalve. Con una coppia possiamo realizzare un esemplare “early” che manteneva sostanzialmente il profilo dei Mk.V, con un allungamento per ospitare i nuovi motori. Con la seconda coppia possiamo realizzare il profilo maggiorato degli esemplari late. Sostituendo in quest’ultima una semivalva realizziamo la cappottatura per un Mk.XVI, che presenta un portello leggermente arretrato.
Volendo essere puntigliosi l’unico difetto riscontrato è l’assenza della bugna a goccia situata in corrispondenza del vano carrello sulla parte superiore dell’ala. Questa modifica veniva apportata agli aerei con più di 100 ore di volo operanti su superfici dure e si riscontra sopratutto negli esemplari del dopoguerra, tranne qualche rara eccezione. L’angolo di apertura delle gamba del carrello veniva ampliato e questo rendeva, in posizione chiusa, la gamba non più orizzontale ma leggermente sporgente, richiedendo così la realizzazione della bugna. Non possiamo però fare un torto ad Eduard, che comunque ha proposto esemplari tutti operativi nel 1944 e quindi coerenti con l’ala nella scatola, ma segnaliamo comunque questa piccola mancanza per chi volesse realizzare uno Spitfire del dopoguerra.

Profipack add-on:
Come di consueto per le versioni “profipack” troviamo piccoli ma utilissimi aftermarket. Mascherine per il canopy che, sopratutto in questa scala, aiutano tantissimo in un passaggio delicato come la colorazione dei trasparenti. Realizzate nello stile eduard in nastro kabuki di ottima qualità. Il foglietto di fotoincisioni è basico (ma ne potrete comprare a tonnellate a parte) e contiene il cruscotto precolorato, che a mio modesto parere fa una figura più che dignitosa in questa scala e le cinture di sicurezza anch’esse precolorate. Inoltre è presente una serie di particolari che risulterebbero troppo fuoriscala in plastica come piastre di riforzo, griglie dei radiatori ecc. ecc. Una vera chicca il sistema di bloccaggio e apertura del tettuccio, anche se piegarlo e incollarlo non sarà certo facilissimo. Segnaliamo in fine la copertura liscia per i cerchioni, che completa l’intera gamma di opzioni disponibili.

Foglio istruzioni:

Anche qui Eduard non si risparmia e ci regala un bel libretto istruzioni a colori di 20 pagine, in formato A5 (15*21cm). Riconoscibile fin da subito il layout Eduard è ben fatto e molto razionale. In prima pagina una breve descrizione storica e tecnica del soggetto, seguita poi dalle istruzioni di montaggio.

Nelle ultime pagine i sei profili proposti, con le quattro viste e le indicazioni per colorazione e decals. In ultima pagina un profilo monocolore in grigio chiaro per gli stencil, che ne facilità l’individuazione. I profili mantengono uno stile semplice, con poche ombre e luci per dare un minimo di tridimensionalità. Una scelta a mio parere azzeccata che favorisce la leggibilità. Consigliati i colori Gunze, con codici sia Mr.Color sia Aqueous.

Foglio Decals ed esemplari proposti:
Il primo foglio decal, contenente le insegne, è ben realizzato e perfettamente in registro. Le decal sono sottili ed il film è minimo. Il foglio è di produzione Eduard e non dovrebbe riservare spiacevoli sorprese. Presente anche la decal del pannello strumenti, sinceramente non se ne sentiva la necessità ma non fa certo male a nessuno.

Dotazione di stencil completa nel secondo foglietto. Anche qui la qualità sembra molto buona con ottima definizione. Presenti anche le coperture rosse delle mitragliatrici in posizione esterna.

Di seguito i 6 profili proposti, identici a quelli usciti nella scatola “late” 1/48. Interessante il primo profilo di Closterman, che presenta un’inusuale verniciatura delle stripes ventrali, che nelle foto risultano molto approssimative. Una bella sfida modellistica. Molto particolare l’esemplare in metallo naturale con la cappottatura motore e serbatoio mimetico. I restanti esemplari presentano fregi di piloti Cechi, Polacchi e anche una Pin-up. C’è davvero l’imbarazzo della scelta.

A confronto:
I modelli disponibili per realizzare un Mk.IX risultano datati (Hasegawa, Italeri), bellissimi e corretti ma costosi (CMR Resin) o con un dettaglio non all’altezza (Airfix). L’unico modello che rappresentava un giusto compromesso tra correttezza e costo è l’AZ model che ho usato appunto come metro di paragone. Questo kit presenta un bel dettaglio superficiale e sicuramente una composizione meno complessa rispetto all’Eduard. Rimane comunque uno short run con parecchi limiti: ali clipped in pezzo unico da tagliare per altre varianti, tettuccio solo chiuso, assenza di riscontri.

Dalla foto emerge subito la maggiore finezza dei dettaglio del kit Eduard e il discorso è estendibile a tutti i pezzi del kit. Nonostante tutto l’AZ si difende bene e secondo me rimane ancora un’ottima scelta.
Non mi definisco un “contarivetti” e raramente intervengo per risolvere problemi dimensionali che non risultino troppo evidenti nei miei modelli. Se il problema è troppo evidente di solito passo ad altro (lo so sono un pigrone). Diciamo che la mia filosofia modellistica è basata più sul colpo d’occhio, se il modello si lascia guardare senza attirare l’attenzione su qualcosa di strano allora ha superato il mio personale controllo qualità. Per correttezza però ho voluto confrontare i disegni in scala con le fusoliere dei due kit. I disegni usati sono presi dal Volume 23 Modeller Data Files della Sam Publications, scalati in 1/72.

 

Entrambe i kit non risultano completamente in sagoma. L’AZ rispetta perfettamente la lunghezza ma risulta magro in coda. L’Eduard è meglio proporzionato ma eccede in lunghezza di due millimetri abbondanti. Non voglio spendere troppe parole su questo risultato, lascio a voi trarre le dovute conclusioni. Non ho l’autorevolezza per valutare se la correttezza sia nel disegno o nel kit. A voler essere fiscali nessuno dei due è completamente corretto. Io li monterò entrambi senza troppo preoccuparmi, hanno superato tutti e due il mio personale controllo qualità.

In questi giorni è apparso su youtube un video (in lingua ceca ma sottotitolato) in cui un signore, di bell’aspetto e dai modi educatissimi, fa letteralmente bollire in acqua calda uno Spit Eduard. Dopo qualche minuto di cottura lo tira fuori. Il kit si è accartocciato su se stesso, il simpatico signore adesso è soddisfatto delle dimensioni (lo misura). Una “velatissima” ironia sul fatto che il kit sia leggermente oversize, su un fitting difficile e su una eccessiva ingegnerizzazione dello stampo.
Sulla pagina della Eduard si spiega che il sito su è stata pubblicata la prima recensione di questo modello, su cui si fanno notare appunto i difetti riportati nel video ironico, è dello stesso proprietario della AZ model. Il video è stata la risposta di Eduard a dei commenti forse un po’ troppo di parte (anche se ad onor del vero non del tutto fasulli). Un po’ di spietata concorrenza vecchia scuola insomma.
Trovate qui tutti i dettagli e il video.

Conclusioni:

Avrete certamente capito che questo kit a me piace e anche tanto. Mi piace perchè è ben fatto, completo ed ha tutto ciò che serve anche per realizzare altre versioni (ci si può tirare fuori un esemplare “early”, un “late” e volendo un Mk.XVIc delle prime serie senza canopy bubbletop). Mi piace perchè anche se è un aereo di 12-13cm una volta finito, l’attenzione prestata è molto alta.
Bisogna però anche essere realisti. Il modello è un’esatta riproduzione del fratello maggiore in 1/48 in tutte le sue parti, compresa scatola e foglio decal. Mantiene quindi un’elevata scomposizione, che sembra non creare troppi problemi di montaggio in quello in 1/48, ma che potrà forse crearli in questa versione più piccola. Gli spazi e gli incastri sono ridotti, un errore di montaggio o di tolleranze potrebbe voler dire rovinare il bellissimo dettaglio superficiale che sarà duro da ripristinare. Forse sarebbe stato meglio, in alcuni casi, modificare l’ingegnerizzazione e favorire un montaggio più agevole. Trovo inoltre le gambe del carrello, le ruote, gli scarichi e i cannoncini leggermente al di sotto come qualità di stampaggio rispetto a fusoliera, ali e piani di coda. Qui forse il limite dimensionale dello stampaggio si fa sentire oppure, a voler essere maligni, è un buon motivo per invogliare a comprare ruote e scarichi in resina, guarda caso by Eduard, per sostituire quelli da scatola. Rimangono aperti i dubbi sul riscontro dimensionale, ma sapete già come la penso.
Il verdetto finale? Se amate come me questo aereo, questo kit non può mancare nella vostra collezione. Speriamo che adesso Eduard continui declinando le altre versioni e ci delizi ancora con qualche altro modello di questa 72nd Scale Revolution, magari un bel Mig 21….

Oregon A.N.G. Voodoo – F-101B dal kit Revell in scala 1/72.

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F-101B Voodoo

L’ F-101 Voodoo è stato uno dei componenti della magnifica famiglia dei Century Series e fu uno dei capostipite, tra i velivoli della prima generazione con motori a getto, capaci di velocità oltre mach 1.

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F-101B Voodoo

Inizialmente progettato come caccia di scorta a lungo raggio per i bombardieri B-36, il Voodoo operò solo per un brevissimo periodo in questo ruolo a causa dei mutati assetti dello Strategic Air Command (tra cui l’entrata in servizio del ben più prestante B-52).  I velivoli costruiti furono riversati al Tactical Air Command che lo impiegò come intercettore puro anche grazie alle alte prestazioni, in termini di salita e velocità di punta, di cui disponeva. Terminò la sua carriera tra le fila dell’Air National Guard con la classica livrea in ADC Gray ed insegne di reparto spesso molto appariscenti.

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F-101B Voodoo

Proprio un esemplare di questi è il protagonista di questo articolo; più precisamente si tratta di un F-101B, biposto, che volò alla fine degli anni ‘70 col 142nd Fighter Wing dell’Oregon ANG.

Il kit:

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F-101B Voodoo

L’ acquisto del modello fa parte di un progetto più ampio e dettato dalla voglia di rappresentare tutti i componenti della Century Series assieme in un’unica teca. Il kit è l’ormai famoso Revell in scala 1/72 che, nonostante gli anni, ha le pannellature in un fine negativo e un ottimo dettaglio di superficie. Gli incastri sono molto buoni e, nota positiva, lo stampo offre la possibilità di lasciare aperti gli aerofreni, i flap e il canopy. Anche l’allineamento tra i trasparenti, avendo deciso di rappresentare il mio modello con tettuccio chiuso, mi ha sbalordito in quanto è praticamente perfetto. La nota dolente invece riguarda l’abitacolo, rappresentato con le sole decal e i seggiolini abbastanza basici nelle forme.

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F-101B Voodoo

Per rimediare al problema ho acquistato un set di fotoincisioni della Airwaves dedicato alla strumentazione del cockpit, gli splendidi seggiolini della True Details in resina e, infine, le mascherine pre tagliate per i vetrini della Canuck Models.

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F-101B Voodoo

Montaggio:

Il montaggio ha inizio dall’abitacolo che è stato completato con le fotoincisioni già citate. Il colore che ho scelto per gli interni è il Gunze H-308 F.S.36375. I seggiolini hanno la struttura dello stesso colore, mentre i cuscini sono in Gunze H-304 Olive Drab, le cinture in Gunze H-80 Khaki Green e i poggia testa/braccioli in rosso. Tutti gli elementi del cockpit sono stati oggetto di un lavaggio in Bruno van Dick scurito con nero ad olio.

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F-101B Voodoo

Il modello non necessita di molto stucco e gli incastri sono abbastanza precisi. Maggiore attenzione, invece, va posta quando si posiziona l’abitacolo nella fusoliera poiché esso deve essere inserito dal basso e funge da riscontro al pozzetto del carrello anteriore (qualche prova a secco preventiva è necessaria). Un altro punto dolente sono le piastre dello strato limite poste all’ interno delle prese aria: quelle del kit sono un po’corte e molto spesse per cui la soluzione ideale prevede di sostituirle con del Plasticard o fotoincisione. Ho eliminato, poi, il pitot in plastica e l’ho ricostruito con un ago da siringa opportunamente tagliato e completato con una sezione di filo di ferro, di opportuno diametro, all’estremità.

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Infine, ho immerso i trasparenti nella future per dargli maggiore brillantezza.

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Verniciatura:

Il kit propone due colorazione della A.N.G. , entrambe in ADC Gray. Dopo aver terminato l’assemblaggio e il recupero delle pannellature perse durante la carteggiatura, ho proceduto con il primer (Mr. Surfacer 1000 diluito con il Lacquer Thinner e steso ad aerografo) per avere la certezza che incollaggi e le stuccature fossero andati a buon fine. Successivamente ho lisciato il modello con della carta abrasiva grana 2000 bagnata e ho steso il pre-shading con il nero acrilico. Il colore principale, l’Air Defense Command Gray, è il Gunze H-57 allungato con il solvente nitro anti-nebbia.

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Ho letto nel forum di Modeling Time che l’utilizzo della nitro porta innumerevoli vantaggi, tra questi il diluente sintetico rende il pigmento più fluido e regala una finitura liscia e già semi-lucida – e lo posso confermare! l’unico “difetto” è l’odore e la necessità  di arieggiare bene la stanza dopo la sessione di verniciatura. Personalmente non ho mai avuto un gran feeling con le vernici acriliche lucide: anni fa ebbi parecchi problemi con un bianco lucido ed ho atteso mesi per la sua completa asciugatura; questa volta mi sono trovato benissimo e con una verniciatura perfetta e asciutta dopo pochi minuti.

Procedendo oltre il radome ed il pannello antiriflesso sono in nero, mentre nei vani carrello ho usato l’Interior Green H-58. In rosso, invece, sono i flap e i portelloni dei pozzetti.

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Con gli Alclad ho verniciato la zona motori che rimaneva in natural metal. Dopo una minuziosa mascheratura del resto del modello (le vernici metallizzate hanno la tendenza di infiltrarsi con molta facilità anche dove non dovrebbero!) ho applicato una base di Aluminium seguita da una passata di Pale Burnt Metal. Infine, con il Copper diluito (anche gli Alclad si possono diluire utilizzando il lacquer thinner Tamiya) ho simulato la cottura dei metalli.

Con qualche velata ultra diluita di blu e rosso trasparente acrilico ho, infine, dato un ultimo effetto “burned”. Gli scarichi hanno subìto lo stesso trattamento con la differenza che all’ estremità ho steso, come base, lo Steel.

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Completata la verniciatura di base ho caricato l’aerografo con il trasparente lucido X-22 Tamiya diluito con l’X-20 e l’aggiunta di qualche goccia di paint retarder Tamiya. Sono servite varie mani molto diluite (almeno al 70%) per sigillare il colore e per preparare il mio F-101 alla posa delle decal.

Quest’ultime, posizionate con l’uso del Mark Softer Gunze, hanno dato vita al modello anche se per alcune, più che altro quelle colorate, ho dovuto abbondare con dell’ammorbidente poiché rimanevano molto rigide e non “copiavano” le pannellature sottostanti.

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Invecchiamento:

Dopo un altro passaggio generoso di trasparente lucido, ho effettuato i lavaggi ad olio con del Bruno Van Dick mischiato col nero. Per l’invecchiamento localizzato ho usato lo Smoke Tamiya diluito per sporcare le enormi walkway sopra le prese d’aria e per riprodurre le scie che spesso si vedevano attorno agli sfiati posti in prossimità del primo stadio del compressore, sul dorso dell’ aereo. Con dell’H-57 diluitissimo ho desaturato le decal con passate veloci, e nella zona exhaust ho insistito con gli oli per creare un effetto filtro.

Sempre con gli oli, infine, ho dato maggiore profondità alle baie dei carrelli e dei flap.

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Assemblaggio finale:

Di pari passo con la costruzione principale del modello, sono andato avanti con gli altri componenti; in particolare i carrelli, i relativi portelli, i serbatoi di carburante, gli scarichi, i flap e gli stabilizzatori orizzontali. Una volta assemblato il tutto con più o meno difficoltà, ho steso il trasparente finale scegliendo una finitura satinata. Per questo ho creato un mix di Tamiya X-22 lucido al 30% e Gunze H-20 opaco al 70%. Unica eccezione, gli scarichi, su cui ho usato il solo trasparente opaco.

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Rimosse le mascherature dal canopy ho ricreato la guarnizione gialla che sigillava i plexiglass. Seguendo i consigli dei ragazzi del forum, ho utilizzato delle striscioline di decal pre-verniciate e il risultato è stato ottimo. Con il montaggio della parte finale del pitot e la verniciatura delle luci di navigazione il modello, si può considerare terminato.

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Conclusione:

Posizionato in vetrina a fianco dell’F-100 Trumpeter, e in attesa degli altri suoi “compagni” di famiglia, un altro componente dei “Cento” è finito.

Su questo soggetto ho messo in pratica tecniche che avevo acquisito con i modelli precedenti, ma ne ho anche sperimentate con successo altre che vanno dalla verniciatura alle decal. Alla fine non si finisce mai d’ imparare, e con l’aiuto di MT, che ringrazio tanto, sono riuscito a migliorare ulteriormente la mia esperienza.

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Spero che quest’articolo sia stato di vostro gradimento.

Buon modellismo a tutti!!! Alessandro -Brando – Brandini.

Il Work In Progress completato lo trovate QUI!

 

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The IAF Trainer: Israeli Aircraft Industries “Tzukit” dal kit Kinetic in scala 1/48.

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Forse non tutti sanno che la Israeli Air Force fu uno dei maggiori operatori del Fouga CM.170 Magister. Il primo esemplare giunse in Israele nel giugno del 1957 e, a seguire, altri 43 circa furono consegnati nei mesi successivi. La Bedek Aviation (che di lì a poco fu rinominata Israeli Aircraft Industries) diede il via alla produzione su licenza di altre 36 macchine.

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Il velivolo fu utilizzato principalmente come addestratore avanzato ma, a dispetto della sua strumentazione rudimentale e del suo armamento leggero, venne impiegato proficuamente anche nella Guerra dei Sei Giorni contro postazioni fortificate e colonne di mezzi egiziani.

Alla fine degli anni ’70 le cellule iniziarono a mostrare segni di cedimento e cricche strutturali concentrate, soprattutto, sul raccordo tra ala e fusoliera. Per prolungare la vita operativa della flotta la IAF, di concerto con la Israeli Aircraft Industries, mise appunto un programma di aggiornamento che comprendeva 250 modifiche: tra queste, le più importanti miravano alla sostituzione dei due motori Turbomeca Marborè II-a con i più potenti VI-p, ad un upgrade avionico con strumentazione più moderna e razionale, e all’introduzione del sistema di climatizzazione delle cabine di pilotaggio.

I primi due esemplari furono inviati in ditta e nel settembre del 1980 ci fu il roll out della nuova versione che fu ufficialmente denominata “Tzukit” (una particolare specie di uccello che vive e nidifica in Israele).

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Il modello:

Da tempo speravo nell’uscita di un kit dedicato a questo trainer francese dalle forme così poco convenzionali. Ovviamente quando la Kinetic ne annunciò la prossima commercializzazione nel 2014, ero già pronto per acquistarne uno!

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Lo stampo ha una qualità in linea con le ultime realizzazione della ditta cinese che, in effetti, ne ha fatta di strada da quando fece uscire il suo primo prodotto – l’F-16. Le pannellature, in negativo, sono ora più definite e precise; l’attenzione per il dettaglio di superficie è cresciuta e ne è riprova la presenza di fini rivettature collocate solo dove effettivamente esistono. Oltre a questo sono state introdotte delle soluzioni tecniche all’avanguardia, come le prese d’aria di cui viene fornito l’intero condotto fino allo scarico.

Il kit è composto da circa 146 parti, pochi rispetto allo standard attuale. Per questo motivo nella stessa confezione vengono forniti modelli completi. Studiando meglio gli sprue si riconoscono particolari interessanti; sono, infatti, fornite le tre tipologie di cupolino fisso utilizzate dai Magister: quello con ampie vetrature installato nel primo periodo e quello con due sole finestrature laterali che permettono, di fatto, la realizzazione di qualsiasi Fouga Magister che la Israeli ha avuto in carico a partire dagli anni ’60 senza particolari problemi.

La fornitura della terza variante, quella con struttura interamente metallica, dà la possibilità di convertire il kit per riprodurre uno IAI Tzukit ed in questo articolo tenterò di spiegare quali sono le modifiche e gli interventi da attuare!

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Il cockpit:  

Come scritto qualche riga sopra, uno dei maggiori upgrade a cui furono sottoposti i vetusti Magister ha riguardato l’avionica e la strumentazione di bordo. A seguito dell’aggiornamento gli abitacoli sono stati riprogettati e risultano molto diversi dagli spartani cockpit delle versioni francesi. Quindi, per prima cosa, è necessario eliminare i pezzi forniti nella scatola e sostituirli con il set in resina della Wingman Model WMF48025 che fornisce l’intera vasca e, soprattutto, i cruscotti con la nuova distribuzione degli strumenti e dei circuit breaker. Oltre a questi, sono incluse anche le paretine laterali con il rivestimento trapuntato ignifugo e i seggiolini con diverse imbottiture e già completi delle cinture di sicurezza.

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Nello stesso aftermarket sono presenti anche altri pezzi che permettono di completare la conversione di alcune zone esterne, ma di questo parlerò più avanti.

Le parti in resina sono create sulla base di quelle originali, per cui si inseriscono nella fusoliera con relativa facilità. Le paretine, al contrario, sono troppo corte in lunghezza e sono stato costretto ad allungarle utilizzando lo stucco bicomponente Milliput lavorato, ancora fresco, per riprendere le pieghe del tessuto e la particolare texture romboidale.

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Il colore scelto per gli interni è il Tamiya XF-19 Sky Grey, ad eccezione dei rivestimenti laterali verniciati in Dark Sea Grey Tamiya XF-54.

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I sedili hanno la struttura in XF-19, le cinture in Gunze H-310, i cuscini di Olive Drab XF-62 Tamiya (quello della seduta) e in Gunze H-330 (quello dello schienale).

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Su tutta la zona ho applicato un lavaggio ad olio in grigio scuro applicato direttamente sulle superfici non lucidate per ottenere un minimo di effetto “filtro”; l’eccesso del washing è stato eliminato con un pennellino imbevuto di thinner Humbrol e, ai lati, con un cotton fioc inumidito dello stesso prodotto.

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Sui sedili sono intervenuto con la tecnica del dry brush, anche in questo caso eseguita con gli olii, per mettere in risalto tutti i dettagli e dare maggior volume alle forme. Il tono che ho ricreato, a tale scopo, è stato un grigio abbastanza chiaro.

Le veglie del pannello strumenti provengono dal foglio decal fornito nel kit WMK 48007, ancora una volta, della Wingman. Sono ben stampate ma, purtroppo, non ben dimensionate sui cruscotti in resina: su quello anteriore si adattano senza troppi problemi, sul posteriore sono molto fuori squadro. Per esperienza personale consiglio di fustellare ogni singolo quadrante e posizionarlo, manualmente, nei rispetti alloggiamenti – magari usando abbondanti quantità di liquido ammorbidente per rendere il tutto più uniforme.

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Per ultima, ho aggiunto la paratia di chiusura alle spalle dell’abitacolo dell’istruttore scegliendo quella contraddistinta dal numero A8 (Senza aperture trasparenti), che è corretta per uno Tzukit.

Fusoliera e relative modifiche:

La fusoliera è l’insieme che ha ricevuto più modifiche nel corso del montaggio. Prima di chiudere le due valve che compongono il guscio ho inserito i lunghi condotti delle prese d’aria (preventivamente incollati e stuccati all’interno); in questo modo è stato più facile sistemarli dentro la carlinga anche se, devo ammettere, il sistema di scassi e inviti è stato ben studiato dai progettisti della Kinetic.

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Ai rivestimenti esterni degli intake ho sostituito le piccole alette anti scorrimento poste sugli sfiati dello strato limite, appena accennate, ricreandole con dei pezzi in avanzo dalle cornici di una fotoincisione lavorate e tagliate a misura.

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Le principali differenze esterne tra i Magister e gli Tzukit risiedono nella diversa distribuzione dei pannelli d’ispezione (alcuni aggiunti ex novo) e nella presenza di due aperture per l’aerazione del sistema di condizionamento della cabina di pilotaggio e di alcuni componenti dei nuovi propulsori installati.

Gli “air vent” sono concentrati sul dorso della fusoliera. Il primo, di forma ovale, è posizionato più indietro sul lato destro:

Immagine proveniente da: http://data3.primeportal.net

Ho preferito realizzarlo partendo da un quadratino di Plasticard per avere uno spessore più fedele in scala e, sul retro, ho incollato del tulle proveniente da una bomboniera che simula abbastanza bene la griglia di protezione.

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Successivamente ho praticato lo scasso direttamente sulla fusoliera non badando troppo alla precisione:

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Dopo aver stuccato le fessure e riportato tutti gli scalini al filo, ho aggiunto il rinforzo (effettivamente presente anche sul velivolo reale) che è stato ricavato utilizzando il nastro d’alluminio adesivo tagliato con un plotter elettronico. Quest’ultimo ha rifinito anche i bordi del Plasticard e completato il lavoro.

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Immediatamente a ridosso della griglia d’aerazione ho inciso due pannelli, indicati dalle frecce in giallo, presenti sugli Tzukit e, ovviamente, non riportati sul kit.

Proseguendo nella conversione, il pezzo A7 rappresenta un portello d’accesso alla fusoliera che sui Magister era corredato di un paio di prese d’aria mentre sugli esemplari aggiornati in Israele esse sono state rimosse; di conseguenza anche io ho lisciato completamente il pannello aggiungendo, però, un’ulteriore griglia di forma rettangolare (ottenuta “bucando” la plastica, assottigliandola e aggiungendo delle striscioline di profilato piatto della Evergreen per rendere i bordi quanto più netti possibile).

Immagine proveniente da http://data3.primeportal.net

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Alla fusoliera completa al 90% ho aggiunto il castello del carrello anteriore. Il complesso è costituito da tre pezzi separati che non è semplice mettere insieme a causa delle istruzioni Kinetic davvero poco chiare! Dopo alcune prove a secco ho incollato la struttura che, a sorpresa, si è rivelata molto solida a dispetto dell’apparente fragilità. A seguire, è stata verniciata in White Allumiunium Alclad e sottoposta ad un lavaggio ad olio con il Bruno Van Dyck (anche se, a modello ultimato, l’interno si intravede a malapena).

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Il musetto è tutto fuorché preciso negli incastri e, anzi, il pannello superiore, quello che copre il vano carrello è anche leggermente sottodimensionato. Nonostante svariati tentativi di allineamento per evitare complesse stuccature, alla fine non mi è rimasto che riempiere i gap con la ciano acrilica, carteggiare e reincidere tutto.

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Vale la pena ricordare che gli Tzukit persero del tutto le loro capacità offensive e non fu più previsto l’uso di armamenti; per cui i pezzi da utilizzare, per comporre il muso, sono l’A5 e l’A6 .

In accordo con la documentazione ho realizzato, in leggero rilievo, le piastre di chiusura delle volate (sugli esemplari reali si nota chiaramente che i “tappi” non sono a filo con la superficie della fusoliera). Con pazienza e un bisturi affilatissimo ho tagliato il nastro d’alluminio adesivo direttamente applicato sulla plastica del kit ed il taglio è stato eseguito usando le linee incise come guida.

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Ali e derive:

Anche le ali sono state oggetto di alcuni interventi di miglioria, concentrati soprattutto nei pozzetti carrello principale. Seguendo le foto in mio possesso, li ho completati aggiungendo le tubazioni idrauliche ed i cavi elettrici realizzati con filo di stagno e sprue stirato a caldo. Prestate attenzione poiché i tubi dei Magister avevano un diverso andamento e posizione rispetto a quelli degli Tzukit.

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Questo, invece, è un grave difetto di progettazione degli spessori da parte della Kinetic. Una cosa simile mi è già capitata sul loro Kfir, segno che la ditta cinese è ancora un po’ indietro per ciò che riguarda il controllo qualità dei loro stampi. Ad ogni modo lo scalino è stato riempito con l’aggiunta di uno spessore in Plasticard.

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Controllando le foto mi sono accorto di un dettaglio posto sul bordo d’attacco di entrambe le ali.  Tecnicamente si chiamano “STALL STRIPES” e sono delle striscioline a sezione triangolare in plastica dura; si applicano in ditta dopo i voli di collaudo e servono a modificare il profilo alare e le caratteristiche dello stallo in base al bilanciamento di ogni velivolo.

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Non necessariamente sono sempre presenti e possono avere lunghezze differenti, oppure possono essere montate direttamente in fase di progetto in base a calcoli specifici. Dalle immagini che ho visionato tutti i Magister e gli Tzukit della IAF erano provvisti di questi accorgimenti aerodinamici. Personalmente li ho riprodotti sagomando una strisciolina di profilato Evergreen da 1 mm per ottenere la forma triangolare cui accennavo prima. I pezzi sono molto piccoli (gli originali hanno spessori di 3 cm al massimo) e incollarli non è semplice. Alla fine, con molta pazienza… e il provvidenziale utilizzo della Tamiya Tappo Verde… sono riuscito nell’intento!

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Passando ai serbatoi, gli Tzukit avevano un sistema di rifornimento diverso rispetto agli esemplari francesi o derivati per cui, giocoforza, ho dovuto modificarli. Anche in questo caso ho usato il solito nastro d’alluminio sagomato tondo con una fustellatrice. Al centro ho aggiunto il tappo vero e proprio in Plasticard.

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A questo punto le ali si possono definire complete e sono pronte per essere unite alla fusoliera; il montaggio fila via senza grossi problemi e le fessure che si creano sono minime. Per riempirle ho preferito utilizzare il Magic Sculpt (uno stucco bi-componente) lisciato con un pennello al silicone leggermente bagnato.

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I caratteristici impennaggi a “V” hanno una scomposizione alquanto cervellotica. I timoni di profondità sono separati dalle derive ma, purtroppo, anche in questo caso i pezzi sono sotto dimensionati in lunghezza (manca almeno un millimetro nella parte bassa, quella che va a contatto con la fusoliera). Ho risolto allungando le superfici di governo con delle striscioline di Plasticard sagomate a dovere, un intervento noioso che porta via tempo prezioso.

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Data la strana conformazione degli incastri e degli inviti, non è possibile montare i gli elementi mobili a verniciatura ultimata e questo comporta un bel po’ di mascherature in più.

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Prima di chiudere la fase di montaggio ho aggiunto le parti trasparenti (già trattate con la cera Future) che, durante le prove a secco, sono risultate più strette di quasi 1mm rispetto alla fusoliera. Per tentare di riportarle a filo ho inserito degli spessori al loro all’interno per allargarle; una volta riportate in sagoma, le ho incollate spennellando una generosa quantità di colla Extra Thin Cement della Tamiya. Ad asciugatura avvenuta ho asportato gli spessori sopra citati e stuccato tutti i gap con Attack.  Un’ulteriore mano di Future ad aerografo ha eliminato qualche graffio dovuto alla carteggiatura e ripristinato la trasparenza del parabrezza e del cupolino centrale fisso.

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Gli ultimi interventi hanno riguardato, ancora una volta, la fusoliera (lasciati alla fine per evitare di rompere o perdere le piccole parti coinvolte nelle operazioni che vado ad elencare):

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  • Frecce ROSSE: negli esemplari francesi, in quel punto, è situata la maniglia di rilascio d’emergenza dei canopy. Questo sistema sugli esemplari israeliani non è installato, per cui è necessario eliminare tutto e stuccare.
  • Frecce GIALLE: le maniglie di apertura dei canopy sono sdoppiate (una per ogni calottina) sugli Tzukit; nel kit ne è presente solo una, quindi bisogna reinciderne un’altra per l’abitacolo posteriore (lavoro da eseguire su entrambe i lati).
  • Frecce AZZURRE: ho reinciso anche le pannellature dei predellini di accesso agli abitacoli (solo lato sinistro); anche questa particolarità è peculiare dei velivoli IAF.

Sul troncone di coda sono presenti numerose prese d’aria e sfoghi –  modifiche delle superfici superiori:

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  • Frecce ROSSE: gli Tzukit rispetto ai Magister hanno una presa d’aria in più per lato. Nel kit sono presenti ma non riportate nelle istruzioni (pezzo 55/56) e devono essere accorciate leggermente in lunghezza e riportarle, grosso modo, alle dimensioni degli altri intake (pezzo 45/46).
  • Frecce AZZURRE: due ulteriori pannellature da reincidere relative al vano batteria/alimentazione esterna del velivolo.
  • Freccia VERDE: anche questa è una carenatura non presente sugli esemplari francesi; proviene dal set di conversione della Wingman ed è in fotoincisione.

Passo ora alle superfici inferiori:

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  • Frecce ROSSE: i due sfoghi che vedete sono forniti nel kit. Ho solo aggiunto due sfiati (aperti con una punta da 0,3 mm) che, nella realtà, fungono da drenaggio per i trafilamenti di liquidi dai motori.
  • Frecce GIALLE: questi due piccoli sfiati li ho aggiunti ricostruendoli con metà tondo della Evergreen sagomato a dovere.

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In coda esiste una piccola cannuccia di spurgo. Il kit è predisposto e fornisce anche il particolare stesso in plastica piena… personalmente l’ho sostituita con una sezione di ago da insulina.

Sul pannello A7 è necessario aggiungere un piccolo air scoop in resina prelevato dal set Wingman:

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Infine, l’ultimo intervento ha riguardato il rifacimento totale di quattro piccoli contrappesi che aiutano il pilota a sbloccare il meccanismo cinematico di apertura dei canopy. Li ho riprodotti usando le dime della Eduard per le luci di posizione a goccia… la forma è più o meno quella, e l’ho sfruttata!

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Verniciatura:

Gli Tzukit hanno vestito, negli anni, la sola livrea bianco e arancione tipica degli addestratori. Per il bianco ho voluto fare un esperimento utilizzando, al posto dei classici Tamiya o Gunze, il Mr. Base White 1500 della Mr.Hobby. Di fatto è un primer come il Mr. Surfacer, ma è già del colore che serviva al mio scopo.

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Il responso della prova è stato più che soddisfacente: ottima resa e facile stesura. L’ho diluito all’80% circa con il Lacquer Thinner Tamiya e si è asciugato in pochi minuti. Dopo la completa essiccazione del pigmento, ho carteggiato tutto il modello con la carta abrasiva 2000 bagnata e le superfici hanno assunto una finitura liscia e setosa. Ve lo consiglio!

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Sul muso l’andamento della zona arancione è abbastanza particolare poiché fa una curva leggera all’inizio, poi il raggio si accentua fino a passare sotto il pozzetto carrello. Per realizzare lo stacco tra i due colori ho optato per il nastro Tamiya Masking Curve da 2 mm che permette, appunto, mascherature curve precise e sinuose – un vero portento. Per il resto ho usato il classico nastro Kabuki e molta pazienza “coconizzando” completamente il modello per evitare fastidiosi over spray (allo scopo ho utilizzato anche la pellicola trasparente da cucina).

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La scelta del colore, denominato “International Orange”, non è stata semplice. Il Federal Standard ufficiale è il 12197 e nessuna ditta lo produce in acrilico. Esiste il Lifecolor (da me subito scartato) e due smalti: l’Xtracolor e il Model Master. Li ho acquistati entrambi e non mi hanno convinto fino in fondo, anzi. C’è anche da dire che il colore dei velivoli reali è quanto meno particolare perché se esposto alla luce diretta sembra molto chiaro, in ombra diventa quasi rosso.

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Alla fine ho preferito ricreare la tinta tramite il seguente mix di smalti Xtracolor:

  • 177 gocce di X-104 + 20 gocce di X-103 (Insigna Red).

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L’X-103 è stato usato puro sui bordi d’attacco delle prese d’aria. Le vernici, essendo sintetiche, sono state diluite utilizzando della semplice ragia minerale (pochi Euro nei negozi di Fai da Te) attestandomi su percentuali prossime al 70%. Ho preferito non aumentare le dosi del thinner per evitare che i colori potessero infiltrarsi sotto ai nastri usati per le mascherature.

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Le zone anti riflesso sul muso e nella porzione interna dei serbatoi alle tip alari sono in Flat Black XF-1 Tamiya.

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A questo punto ho steso su tutto il modello almeno tre o quattro mani di trasparente lucido Tamiya (X-22) preparando le superfici a ricevere i lavaggi.

Lavaggi e decalcomanie:

Come mia consuetudine per il washing ho utilizzato i colori ad olio. Sulle parti lasciate in bianco ho miscelato una nocciolina di Bianco di Zinco con meno della metà della stessa di Nero d’Avorio (entrambi della Maimeri) per ottenere un grigio non troppo scuro.

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Sulle pannellature presenti nelle porzioni in International Orange, invece, ho steso il Bruno Van Dyck puro.

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Altri tre strati di Clear, sempre Tamiya, hanno ultimato la fase di lucidatura e aperto quella delle decal.

Insegne, stencil di manutenzione e codici individuali provengono sia dal foglio fornito nel kit, sia da quello che la Wingman Models propone all’interno della sua scatola contraddistinta dal codice 48007.

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Sebbene entrambi siano stampati da Cartograf, le decalcomanie Kinetic sono abbastanza rigide e reagiscono lentamente ai liquidi ammorbidenti (personalmente ho utilizzato quelli della Microscale); al contrario, le Wingman si conformano con estrema facilità e copiano perfettamente le incisioni.

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Le istruzioni Kinetic sono estremamente lacunose, soprattutto per ciò che riguarda il posizionamento delle scritte di servizio. Quelle Wingman sono più complete ma, nonostante tutto, fanno un po’ di confusione nel suggerire gli stencil corretti per Magister aggiornato.

L’esemplare che ho scelto di riprodurre è il 501, ovvero il primo Tzukit che lasciò le linee di montaggio della Israeli Aircraft Industries. Per celebrare il roll out sul muso fu aggiunta la scritta “Tzukit” in alfabeto ebraico.

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Finitura finale ed ultimi particolari:

Su tutto il modello ho steso una mano di Flat Clear XF-86 Tamiya. Benché sia un opaco, esso non crea una finitura “gessosa” sulle superfici e, anzi, tende a lasciarle quasi satinate.

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Ora è il momento di aggiungere gli ultimi particolari: carrelli e relativi portelloni, due antenne UHF (una sul dorso della fusoliera e un’altra sotto la semi-ala destra) e le due luci stroboscopiche (una in coda tra le due derive e l’altra sotto al ventre). Questi ultimi pezzi sono direttamente forniti dal set di conversione in resina della Wingman. Sempre in resina, e sempre del produttore tedesco, sono le ruote dei carrelli principali; quelle che troviamo negli sprue non sono corretti e si è resa necessaria la loro sostituzione con il set Wingman 48026.

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Osservando nuovamente le foto in mio possesso ho notato che i propulsori tendevano a sporcare i fianchi della fusoliera con i fumi di scarico. Sul mio modello sono stati riprodotti sfumando, ad aerografo, varie tonalità di grigio scuro e rifinendo l’effetto con le polveri Tamiya provenienti dal Weathering Set D.

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Anche le superfici inferiori, in particolare quelle in prossimità delle gondole motori, sono state completate aggiungendo colature di liquidi lubrificanti e sporcizia (ho usato sia i colori ad olio, sia i sopracitati gessetti Tamiya).

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Una volta incollati i canopy, con i caratteristici bracci ripiegabili di sostegno, il mio Tzukit è pronto per “atterrare” in vetrina!

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Conclusioni:

Il Group Build 2015 “Israeli Defense Force” del forum di Modeling Time mi ha dato Il giusto spunto per mettere sul banco questo soggetto poco visto e poco noto.

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Il kit Kinetic, a parte quei pochi difetti cui ho fatto cenno nell’articolo, è divertente è scorre via senza particolari problemi. Nella scatola è rimasto ancora l’altro stampo gemello… e penso che a breve finirà anche lui sotto le mie “grinfie”!

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Buon modellismo a tutti. Valerio “Starfighter84” D’Amadio.

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Phantom Never Die – F-4D dal kit Hasegawa in scala 1/72.

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Tra i miei miti modellistici/aeronautici c’è un velivolo, in particolare, che riscuote sentimenti di riverenza, rispetto, passione, amore (ma non ditelo a mia moglie). E’ IL modello che non mi stancherei mai di fare per l’appagamento che mi restituisce ogni volta che ne metto uno in vetrina (a tutt’oggi ne ho tre in vetrina ma negli anni ne avrò modellati almeno una ventina tra 1/48 e 1/72, di tutte le versioni). A Grosseto nel 1999 sono riuscito a godermi una delle sue ultime esibizioni di volo in Italia. Non sto parlando dello “spillone” ma del PHANTOM!

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“L’aereo che è un aviazione completa”

Così veniva descritto il Phantom in una pubblicità dell’epoca a testimonianza della sua duttilità operativa che lo ha portato ad essere tra gli aerei di maggiore successo di tutti i tempi con più di 5.000 esemplari costruiti. Non starò qui a fare una descrizione storica perché ci vorrebbero centinaia di pagine e perché ci sono ottimi testi in giro. Le uniche critiche, paradossalmente, vennero mosse proprio da uno dei suoi principali utilizzatori, l’USAF, ma questo perché la filosofia di questo aeroplano (nato per la U.S. Navy) mal si adattava ai desiderata dell’Air Force, o meglio, dei suoi piloti, che invece richiedevano un monoposto leggero, agile, veloce, esuberante e dotato anche di armamento fisso, cosa che ebbero solo con i successivi F-15 ed F-16 progettati molto diversamente.

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Il modello:

Come per il velivolo che rappresentano, anche la “Hasegawa Phantom family 1/72” sono kit leggendari per qualità. L’unica critica che si potrebbe muovere è la spartanità del cockpit e di alcuni altri dettagli (ugelli di scarico in particolare). Per il resto le incisioni sono stupende. Credo, forse, (ma è una mia opinione) che le versioni a “muso corto” del kit siano più fedeli come linee rispetto alle versioni E/G a “muso lungo”. La scatola di partenza è una delle tante proposte dal catalogo e permette di rappresentare una versione “D” post-Vietnam, mimetica SEA (South East Asia), con insegne varie del Bicentenario del 1976.

Ovviamente prendete la scatola come una ottima base di partenza perché il resto potete mettercelo voi tranquillamente (colorazione, migliorie, decals). Io al solito ho lavorato in scratch anche se per alcuni elementi (cornici tettucci, specchietti) mi sono affidato alle fotoincisioni Eduard.

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Un piccolo consiglio d’esperienza: i perni di riscontro dei piloni, dei serbatoi supplementari e degli stabilizzatori, se potete, segateli via e rifateli più robusti controllando l’incastro perché così come sono lasciano passare molta “luce” una volta posizionati e non sono per niente robusti. A me sono saltati via gli stabilizzatori (tutto già verniciato, velivolo compreso…. Arghhhh!!!!) e sono stato, quindi, costretto a dover rifare i buchi in fusoliera ed i relativi perni cosa non molto salutare per i miei nervi in quella fase. Per il resto un po’ di attenzione ci vuole anche per evitare che sparisca, causa carteggiature/stuccature, il bel dettaglio superficiale.

Coloriamo il Phantasma!

Le colorazioni rappresentabili di questa versione “D” possono spaziare davvero molto. Restringendo però alla sola USAF, possiamo limitarci (si fa per dire) alla già citata colorazione SEA a tre toni e le sue varianti successive “wrap round”, la  Europe 1, la “HillGray” e la “ADC gray”. Per movimentare un po’ la collezione la mia idea è stata di fare un esemplare dell’Air National Guard in ADC gray anche se la finitura lucida e pulita di questi velivoli un po’ mi faceva storcere il naso. Poi, per caso, sul web è uscita una foto ed è stato amore a prima vista (non ditelo ancora a mia moglie).

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Come vedete il velivolo ha una colorazione ADC Gray ma presenta una finitura non riflettente, bande rosse ed i serbatoi provenienti da un esemplare mimetico, nonché un livello, anche se minimo, di usura operativa. Inoltre sotto le ali è agganciata una bomba Walleye AGM 62. Questa fusione di colori e configurazione di carico ha attratto subito le mie simpatie!!!

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Il colore ADC Gray o meglio “Air Defense Command Gray” è un grigio celestino lucido usato sugli aerei in forza, appunto all’Air Defense Command, in pratica il comando responsabile della difesa del suolo Nord Americano, un colore che denotava subito un uso esclusivo aria-aria dei mezzi non contemplando altro utilizzo.

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Per rappresentare questa vernice mi sono affidato all’ottimo Gunze H-57. Ovviamente ho proceduto con uno schiarimento sul centro dei pannelli per ravvivare un po’ il tono. Su consiglio dell’ottimo amico Enrico (Enrywar67) di Modeling Time ho provato a diluire i colori Gunze con il diluente Nitro al posto del diluente Tamiya. Sicuramente puzza di più (a casa evitatelo) ma la finitura ottenibile risulta liscia e setosa (in pratica la Nitro agisce da “ritardante” ottenendo un tempo di essiccazione più lento del colore, rispetto alla diluizione con alcool, ma evitando così l’effetto cipria).

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Si passa poi all’elemento più caratteristico del velivolo: le bande rosse. Sulle foto il rosso assume una tonalità molto calda che vira verso l’arancio, quindi ho usato il giallo come colore di “taglio” del rosso. Ho usato i colori Vallejo perché il mix giallo/rosso risultante mi sembrava più giusto come tonalità rispetto allo stesso fatto Tamiya. Il rosso Tamiya puro risulta un po’ freddo e scuro rispetto al rosso Vallejo.
Ovviamente una buona mascheratura sarà fondamentale per la buona riuscita del lavoro. Una volta ottenuto il nostro schema ho lucidato il tutto e fatto un lavaggio grigio scuro nei pannelli sigillandolo ancora con la Future per la posa decals.

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Quest’ultime sono davvero minimali (Stars, numeri, scritte varie) e mi è bastato dare fondo al magazzino avanzi.

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Fatto questo, ho guardato il modello e mi sono detto “Wow”…e quando dico “Wow” vuol dire che sono soddisfatto! I colori, i numeri, le stelle, le scritte US Air Force, ha davvero un aspetto tipicamente Yankee! In pratica per me c’è tutta la quintessenza della definizione di “Americano”!!!!

Diorama:

Forse parlare di diorama è un po’ eccessivo visto che, alla fine, si tratta di una rappresentazione della pista. L’elemento di stacco in questo caso è un carrellino compressore proveniente dal Ground Equipment Set Hasegawa. All’epoca della foto (1973) questi erano dipinti in giallo (oggi le norme STANAG NATO prevedono l’uso del verde per queste dotazioni) quindi, dopo aver montato i vari pezzi, ho dato una base nera opaca al tutto e, dopo, il giallo Tamiya. La base nera, in pratica, costituisce un ombra artificiale nei recessi se avremo l’accortezza di non coprire tutto con la mano successiva di giallo. I lavaggi e l’usura completeranno il lavoro.

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Conclusione:

Eccolo qua terminato il mio F-4D Phantom II, 67-455, in forza all’U.S. Air Force Development Test Center (ADTC), rappresentato in questa foto nel 1973 durante un dispiegamento a Keflavik (Islanda) impegnato in chissà quali test.

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Sono abbastanza soddisfatto del risultato perché sicuramente è una colorazione originale, nel panorama delle livree usate dal Phantom, per la varietà dei colori e la particolarità di alcuni elementi. Ho tante scatole bellissime nell’armadio ad attendere pazientemente un mio cenno di attenzione modellistica ma, alla fine, mi piace sempre riavere tra le mani la sagoma aggressiva dell’F-4 (nella versione “D” in particolare), la cui silhouette particolare mi ha sempre affascinato fin da piccolo!

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Buon modellismo a tutti!

Massimo – PitchUp – De Luca.

 

 

Kit Review: RF-84F Thunderflash – kit Tan Model in scala 1/48.

Per anni i modellisti “italianofili” hanno vissuto in una sorta di limbo… costretti ad accontentarsi di vecchie scatole di montaggio, pur di aggiungere alla collezione un velivolo con le coccarde tricolori, oppure rassegnarsi e rinunciare al progetto.

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Negli ultimi mesi, però, il trend negativo sembra essersi interrotto, finalmente! In poco tempo sono apparsi sul mercato diversi kit dedicati a soggetti che mai prima erano stati presi in considerazione o di cui si reperivano, spesso a fatica, stampi obsoleti: basti pensare all’AMX (Kinetic e Hobby Boss), al Ro.43 (Special Hobby) e, appunto, all’RF-84F della Tan Model oggetto di questa recensione. Il prezzo medio di vendita di questo nuovo prodotto, in Italia, si aggira intorno ai 53€; non poco a pensarci bene… ma in linea con la tendenza del mercato degli ultimi anni, purtroppo.

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La confezione, ad apertura verticale, è robusta. Aprendola si scoprono cinque stampate di stirene color grigio chiaro (più due per i trasparenti) che racchiudono circa 176 parti. A corredo viene fornito anche un simpatico gadget, un tappetino per mouse con la stampa di un pezzo di taxiway che può essere usato anche come basetta per fotografare il modello ultimato.

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Le istruzioni sono chiare e complete. I disegni che spiegano i vari passaggi sono ricavati direttamente dal rendering e, tutto sommato, sono anche graficamente molto accattivanti.

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La plastica ha una finitura superficiale leggermente rugosa, ma tale da non pregiudicare una perfetta resa delle superfici a modello ultimato. Le pannellature sono in negativo: non sottili e precise in stile Hasegawa o Tamiya, ma neanche pesanti come le prime realizzazioni Kinetic. La presenza di alcune file rivetti, nei punti giusti, contribuisce ad aumentare il realismo generale del soggetto in scala. Il kit ha, indubbiamente, delle soluzioni tecniche molto attuali; basti pensare che per le prese d’aria i tecnici turchi hanno previsto, già da scatola, il condotto interno fino al primo stadio del compressore. Per le ali, invece, hanno ideato un perfetto incastro nella fusoliera che permette di montarle praticamente senza l’uso di stucco.

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Le superfici di governo sono interamente mobili, timone direzionale e flap inclusi. Quest’ultimi, purtroppo, risultano più corti di almeno un paio di millimetri e, una volta montati, lasciano un anti estetico vuoto rispetto alla carlinga. Anche gli aerofreni possono essere rappresentati aperti pur se gli spessori della plastica sono tali da farli risultare decisamente fuori scala. Stesso inconveniente anche con le alette anti scorrimento da montare sul dorso delle ali: forse, per una scatola dal costo così elevato, sarebbe stato meglio fornire delle fotoincisioni ad hoc.

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Non proprio all’altezza anche i portelloni del vano carrello principale sui cui la Tan Model ha stampato direttamente le gambe di forza. Una soluzione vetusta che negli ultimi anni non era stata più presa in considerazione da alcuna casa produttrice (la Monogram, all’epoca, riproduceva spesso i pezzi con questo metodo). Rimanendo nella stessa zona, gli pneumatici sono separati in due parti –  copertone e cerchione. Comoda la possibilità di poter verniciare i due insiemi a parte senza ricorrere all’uso di mascherine; peccato, però, che le ruote abbiano una diametro maggiore della loro sede risultando sovradimensionate. Al contrario il tubo di scarico è più piccolo del dovuto e a modello ultimato salta subito all’occhio come la circonferenza dell’exhaust sia più ridotta rispetto alla fusoliera stessa.

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A parte questi errori grossolani, dimensionalmente questo Thunderflash nella scala del quarto di pollice è pressoché fedele. Abbiamo avuto anche la possibilità di confrontarlo con il vecchio Heller, da molti considerato accurato, riscontrandone delle forme quasi del tutto simili. Anche alcune scelte nella scomposizione dei pezzi sono affini, segno che la ditta turca ha preso parecchi spunti dal vecchio kit francese. L’abitacolo è sufficientemente dettagliato ma non eccelle per dovizia di particolari. Il seggiolino, corretto per un esemplare AMI, è privo di cinture e non proprio bello a vedersi; di sicuro un aftermarket in resina è consigliabile.

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Il grande vano per le fotocamere sistemato nel muso può essere rappresentato completamente aperto. Per far ciò basterà asportare i portelloni, già stampati assieme a tutto il resto, incidendo la plastica lungo una linea di taglio già prevista all’interno delle semi-fusoliere. Coloro che preferissero lasciare invariate le linee del velivolo, al contrario, non dovranno fare assolutamente nulla!

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Sono, ovviamente, fornite anche le macchine fotografiche: non molto dettagliate, a dir il vero, ma già dotate delle intelaiature per un montaggio semplice e pulito. In generale questa zona del kit non brilla come qualità e quantità di dettaglio e bisogna lavorarci un pò per renderla accettabile.

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Interessante, invece, la quantità di parti trasparenti incluse: a parte le finestrature del vano fotocamere, è incluso anche un “one piece canopy” per facilitare il compito a chi vuole rappresentare l’abitacolo completamente chiuso. Ovviamente all’interno della confezione sono previsti anche i singoli vetrini separati. Se la fornitura è abbondante, l’accuratezza non è delle migliori. La parte mobile del canopy, infatti, ha un profilo troppo piatto e rastremato alla sua sommità, quando in realtà dovrebbe essere più a goccia e bombato. Questo difetto si nota immediatamente in posizione chiusa, da aperto l’occhio lo percepisce già meno.

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I carichi esterni sono limitati ai soli serbatoi, come anche per il velivolo reale. Sono compresi sia quelli da 230, sia quelli da 450 galloni.

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Veniamo ora alle decalcomanie, vero punto debole del kit: spesse, con colori completamente errati e, soprattutto, fuori registro. Per porre “rimedio” a quest’ultima problematica la Tan Model ha inserito un foglietto aggiuntivo che corregge, ironia della sorte, proprio le insegne turche… tedesche (stampate comunque non allineate) e francesi. Gli stencil, tranne alcuni, sono completamente inutilizzabili.

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Per concludere, l’RF-84F della Tan Model è una “croce e delizia”. Croce… perché, di sicuro, non vale ciò che costa. Delizia… perché, nonostante tutto, ci permetterà di rappresentare un velivolo che per molti anni ha servito nella nostra Aeronautica Militare. A voi la scelta: vale la pena acquistarlo?

Buon modellismo a tutti! Valerio – Starfighter84 – D’Amadio.