giovedì, Maggio 1, 2025
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Per tutti lui era… Il “Barchino” – M.T.M.dal kit Italeri in scala 1/35.

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Salve, colleghi modellisti!

Dopo il “Maiale, eccomi ancora una volta a parlarvi di un mezzo impiegato in azioni di guerra tra le più rischiose: il Motoscafo da Turismo Modificato, meglio noto come “Barchino”. Costruendo questi modelli è inevitabile calarsi nei panni di un incursore della “Decima MAS”, unità d’elite che tutto il mondo ci invidiava, e cercare di immaginare cosa provasse durante una delle sue ardite missioni. Sfido chiunque a dichiararsi pronto per immergersi sotto una corazzata, o di lanciarsi a tutta velocità contro lo scafo di una nave, con una carica da 300 kg a pochi metri dalle gambe, guidato per lo più da uno spirito patriottico e da un senso del dovere ormai raro! Quindi, prima di parlare di plastica e colori, ritengo doveroso fornire qualche cenno storico per rendere giustizia ad un mezzo che alcuni definirebbero “barchetta”.

Un pò di storia.

Nato da esigenze operative specifiche per la crisi in Etiopia, con l’affievolirsi delle ostilità il progetto del M.T.M fu accantonato per poi essere poi ripreso nel 1938 alla vigilia della Seconda Guerra Mondiale . Nacque così la prima e seconda serie di barchini trasportabili con navi d’appoggio, chiamati semplicemente “Motoscafo da Turismo” (M.T.). I primi M.T. evidenziarono da subito alcune carenze dovute principalmente alle limitazioni di peso vista l’idea originale dell’aviolancio tramite idrovolanti SM.55. Modificandone la struttura fu possibile aumentare il peso utile trasportabile sostituendo la copertura in tela della prua, causa di continue infiltrazioni d’acqua, e aggiungere lo zatterone di emergenza dietro il pilota.

Nonostante ciò le prestazioni del mezzo non erano ancora del tutto soddisfacenti e si procedette ad un’ulteriore revisione del progetto: nacque così l’M.T.M. – Motoscafo da Turismo Modificato. Le migliorie consistevano in uno scafo più lungo e più largo con carenatura a spigolo, carica da 300 kg disposta perpendicolare all’asse, inversore di spinta, compartimento del pilota stagno, sistema di innesco  “Taglia Barchino” elettrico e non più meccanico. Per capire bene di cosa stiamo parlando bisogna conoscere il profilo di attacco degli M.T.M. : Le azioni, al pari dei Siluro Lenta Corsa “Maiale”, si svolgevano principalmente nelle acque ferme dei porti nemici. I Barchini erano trasportati in prossimità del luogo prescelto da grosse navi di appoggio per essere poi calati in acqua dirigendo verso l’obbiettivo (quasi invisibili al nemico viste le dimensioni e la velocità ridotta). Ad una certa distanza dalla nave da affondare, il natante era lanciato alla massima potenza verso la metà dello scafo nemico. A questo punto il pilota bloccava i comandi e si buttava all’indietro utilizzando lo schienale della sua postazione come zatterone rigido. Nel momento in cui il Barchino impattava contro lo scafo, un sistema elettro-meccanico (denominato “palmola”)  innescava un cordone di cariche che ne tranciava in due la struttura. Ad una cera profondità, sotto la linea di galleggiamento della nave nemica, la carica di tritolo da 300 Kg era innescata da un congegno a pressione. L’azione di maggior successo fu l’affondamento dell’incrociatore pesante York e della petroliera ‘Pericles’ nel 1941. Per quanto possa sembrare rischioso, nessun uomo andò perso in azioni di guerra con questi mezzi.

 

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Costruzione.

Dopo un lungo lavoro su di un ben più “classico” Spitfire, ho voluto iniziare questo piccolo kit da una ventina di pezzi con l’intenzione di rilassarmi. Sfogliando il PRM (Photografic Reference Manual) compreso nella scatola, mi sono imbattuto nelle foto del piccolo impianto propulsivo, tra l’altro molto difficili da trovare in rete. E’ stato in quel momento che  il tarlo dello scratchbuilder (ovvero, per farla più semplice, dell’autocostruttore) ha cominciato a vagare nella mia testa fino a raggiungere l’area del cervello dedicata alle cattive intenzioni: “ma si, tanto è piccolo, ricostruiamo tutto l ’interno” mi sono detto ….e tanti saluti al modellismo rilassante e spensierato!

Purtroppo, trattandosi di mezzi “Top Secret” per l’epoca e sopravvissuti sino ad oggi nel numero di soli cinque esemplari, le immagini sono poche e non permettono di comprendere del tutto le forme e le caratteristiche del propulsore. Intuitivamente, ho pensato ad un motore con sei cilindri a V (in rete si parla di un Alfa Romeo,ma non se ne ha la certezza). Ho, quindi, iniziato a riprodurre in scala le due bancate da tre cilindri, ricavate tagliando in due una bancata da sei auto costruita e stampata in resina per un altro progetto. In seguito le ho incollate con la giusta inclinazione su un parallelepipedo fatto in Plasticard. Si,voi direte che è molto approssimativo come corpo motore … ma, come vedrete,  del basamento si vedrà poco e niente a modello ultimato!

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Le taniche del carburante sono state ricavate dalla sezione di un penna dal corpo perfettamente cilindrico.. conservatele, tornano utili molte volte! Il resto è venuto di conseguenza: collettore di scarico, tubazioni ,serbatoi dell’olio e riduttore. Tutto ricostruito con Plasticard, lamierino di rame e pezzi di scarto quali sprue..o ancora penne in plastica! Unica eccezione sono i condotti di aspirazione..copiati in resina da un kit di dettaglio per una Formula 1 in scala 1/20.

 

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Dato che il kit non prevede la possibilità di lasciare il motore in vista, bisognerà tagliare il pannello più grande come in figura:

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Ovviamente sarà necessario ricostruire le paratie taglia fiamma poste prima e dopo il vano; niente di complesso, basta un pò di Plasticard, un cutter ben affilato e tanta pazienza!  Per avere un’idea approssimativa della loro forma ho sagomato un filo di rame all’interno dello scafo che ha “copiato” parzialmente l’andamento del boccaporto. La paratia vera e propria l’ho ricavata da una lastra della Evergreen dello spessore di 1 mm. circa, ed è stata rifinita a colpi di lima.

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Conclusa questa prima fase, il comparto della carica esplosiva può anche essere lasciato come l’Italeri l’ha ideato. Completeranno l’opera qualche tubazione idraulica o elettrica, realizzate con filo di rame o stagno. Per cablaggi rettilinei e lunghi consiglio il primo materiale ,vista la maggiore resistenza a flessione (in questo senso, sarebbe ancora meglio l’ottone); per cavi che devono assumere forme curve meglio il secondo, molto duttile e reperibile presso negozi di modellismo ben forniti.

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Come potete notare le fotoincisioni fornite dal kit ,anche se molto spesse, contribuiscono a dare al modello un aspetto molto realistico. Per quanto concerne il miglioramento delle parti esterne del Barchino, mi sono concentrato  solo sul meccanismo di rilascio della zattera:

 

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Colorazione e invecchiamento.

La colorazione del Motoscafo è molto semplice: parte sommersa in nero, il resto in grigio chiaro assimilabile al classico “Grigio Cenerino Chiaro” usato dalla Marina Militare  Italiana. La Lifecolor lo fornisce già pronto (codice UA613), ma visto il mio cattivo rapporto con i colori vinilici ho deciso di ricreare il colore con un mix di vari grigi Tamiya. Sono andato molto ad occhio e non ho annotato le proporzioni…. e me ne scuso! In fin dei conti, è inutile impazzire cercando una tinta perfetta per un mezzo di cui si sa pochissimo. Senza contare che l’invecchiamento, molto pesante, ha attenuato e virato di molto i toni.

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Proprio per quanto riguarda il weathering, il bello dei mezzi acquatici è che a calcare troppo la mano spesso non si fa un errore ..anzi! Proprio per questo, dopo aver definito gli ultimi particolari e aver passato una mano di lucido protettivo, ho fatto un lavaggio ad olio pesante e non troppo preciso con il Nero d’Avorio diluito con ragia minerale. Fatto ciò, sono ricorso nuovamente a questo tipo di colori per ricreare colature lungo tutto lo scafo.Questa volta il pigmento va usato puro: se ne preleva una quantità minima con uno stuzzicadenti e la stessa si posizione sulla zona di accumulo dello sporco; successivamente si “tira” l’olio nel senso voluto usando un cotton-fioc. Se la colatura vi sembra troppo marcata basterà strofinare un altro po’ per attenuare l’effetto gradualmente…tanto impiega parecchie ore ad asciugare!! A completare l’opera di invecchiamento, qualche bel graffio sullo scafo fatto con la carta vetrata (fate attenzione e siate delicati)!

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Decalcomanie.

Sarò breve… anche perché è impossibile dilungarsi su questo aspetto, le decal da applicare sono solamente due! Ovviamente la colpa non è dell’Italeri..c’era davvero poco da scrivere sullo scafo di un mezzo segreto e dalla breve vita operativa. In ogni caso, il kit offre due opzioni: la prima non sono riuscito a contestualizzarla e sinceramente dubito dell’esistenza di un Barchino con matricola “154” stampata sul “cuscinone”. La seconda, quella da me scelta ,ha un riscontro fotografico nel PRM. Nella didascalia è riportato che si tratta di uno dei pochi barchini ceduti alla flotta israeliana ma nelle istruzioni si fariferimento all’esemplare “8b” come appartenente alla Kriegsmarine. Rimane il dubbio..ma ho preferito non approfondire ulteriormente portando a termine il mio modello.

 

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Per maggiori informazioni o domande vi rimando al Work In Progress sul Forum di Modeling Time!  Ringraziandovi per l’attenzione,come sempre non mi resta che augurarvi..buon modellismo!! Leonardo ‘thunderjet’ F.

Kit Review: Trumpeter F-106A Delta Dart in scala 1/48.

Nel panorama modellistico delle novità del 2014, la Cinese “Trumpeter” ci ha regalato la possibilità di costruire un altro bel modello a carattere aeronautico. Si tratta della riproduzione in scala 1:48 del caccia intercettore Americano F-106 Delta Dart, nella versione monoposto. Diamogli uno sguardo più da vicino.

Box Art

La box art è molto gradevole e le dimensioni sono abbondanti come è giusto che siano per un kit in questa scala, quindi fate attenzione perchè difficilmente passerà inosservata agli occhi delle vostre consorti/compagne

 




 

The Kit

Non avendo disegni in scala non posso fare un raffronto con questi e il kit, ma esprimere solo un giudizio da First Look.

Ecco le stampate principali:

 

 

Come si nota dalle stampate, la fusoliera è divisa per l’intera lunghezza in due valve mentre le ali sono rappresentate con una scomposizione abbastanza intuitiva e logica. Gli ingombri, una volta montate le parti principali, sono considerevoli. Il radome è separato così come pure la deriva.

 

 

 

In alcuni punti si nota una leggera rugosità superficiale a cui purtroppo da tempo ci ha abituati la ditta cinese ma nulla di insormontabile che l’abrasiva e la pazienza non possano risolvere; stavolta non ci sono le migliaia di rivetti ma se ne contano pochi e nei punti giusti.

Tutte le superfici mobili possono essere staticamente movimentate (scusate l’ossimoro) perchè già predisposte ad accogliere sia la posizione neutra che non.


Le pannellature sono ben definite ed hanno la giusta finezza per questa scala anche se in pochissimi punti sembrano essere meno profonde, richiedendo l’intervento dell’incisore.

 

Le prese d’aria rispetto l’esemplare reale presentano, purtroppo, una dicreapnza nella forma del labbro esterno rispetto al prototipo e, da come si vede, qualche intervento di limatura è necessario. La scomposizione di queste fortunatamente coincide al 90% con quelle più corrette dell’ F-106 presenti nel kit Monogram. L’idea di un cross tra le due coppie di parti è più che fattibile nell’attesa, speriamo quanto prima, di un aftermarket correttivo per questa zona.

Il condotto di queste termina con una brutta chiusura a muro in fusoliera che richiederà, per chi ne avrà voglia, l’asportazione e la ricostruzione di parte del condotto.

 

 

 

La Trumpeter non ha previsto parti in plastica per questo importante dettaglio che avrebbe impreziosito sia il dettaglio che la scomposizione. A mio avviso queste lacune denotano una progettazione e uno studio del kit molto marginale e poco approfondito sotto alcuni aspetti.

 

La qualità è nel solito stile della Trumpeter, molti particolari ben trattati e curati mentre altri, purtroppo, tirati un pò via: ruote anteriori, seggiolino, prese d’aria, griglie di sfogo e d’areazione, pitot.

 

 

 

 

 

 


Meritano, invece, di esser menzionati la vasca del cockpit e il pannello strumenti che hanno un bel dettaglio, così come pure tutta la zona dell’exaust e dei portelloni. Belli sono anche gli interni dei wheel bays e della stiva. A proposito di questa, essa è rappresentabile sia aperta che chiusa con pezzi appositamente dedicati.


 

Questa forse sarebbe stata meglio stamparla insieme al canopy trasparente; sicuramente avrebbe facilitato al vita al modellista durante il montaggio.

 

 




Separatamente da questa anche l’aerofreno caudale ha un bel dettaglio e nulla ci impedirà di scegliere se lasciarlo aperto o chiuso.


Lodevole il fatto di aver posto i segni di estrattori lontano da zone dettagliate e visibili; eccone un esempio:

Meno agevole e premiante è la scelta di dover montare prematuramente il carrello anteriore ancorandolo al suo pozzetto prima dell’ìnserimento in fusoliera; scelta operata sicuramente per ragioni di maggior realismo anche se complicherà non poco le successive fasi di montaggio e verniciatura.

Clear parts and extras

Belle, lucide e limpide sono le parti trasparenti. Queste sono composte da due stampate contenenti i due vetri principali avvolti dalla gommapiuma, mentre le parabole dei fari e gli altri pezzi sono lasciati liberi.


Le due parti principali che compongono la vetratura, permettono di rappresentare l’aereo con il cockpit aperto, aumentando il dettaglio grazie ai particolari stampati nel sottoscocca in plastica. La stampata “G”, presente nel kit Trumpeter, contiene il canopy nella versione late (quella più bombata) mentre manca quella early (più spigolosa). Questa scelta mi fa ben sperare in una futura release contenente anche questa versione iniziale del Delta Dart.

 

 

Il classico foglietto di fotoincisioni incluso nella scatola servirà a rappresentare cinture, specchietti e piccoli particolari.

 

Colors & Markings

Le istruzioni presenti nel kit, ben dettagliate e comprensibili, sono corredate da un foglio lucido e stampato a colori, raffigurante sia le indicazioni sul posizionamento degli stencils che quelle sulla colorazione degli esemplari proposti nella scatola.

 

Sono presenti in questo foglio gli stencils di reparto oltre quelli di servizio utili a rappresentare un solo esemplare a scelta tra i due disponibili.

Le decals che ho trovato nella mia scatola si erano attaccate alla pellicola protettiva, asportando parte della lucidità.

I colori sono molto vivaci e saturi, tutti a registro. Lo spessore di questi lo reputo buono anche se le decals di questa ditta tendono ad essere sempre rigide una volta posate sul modello.

 

 

 

Ad ogni modo permettono di rappresentare due velivoli per nulla anonimi in carico all’ US. Air Force nella classica colorazione dell’epoca in ADC grey:

F-106A, 59-0044, 117Th. TFW “Jersey Devils”, New Jersey Air National Guard


http://fc03.deviantart.net/fs51/i/2009/338/5/5/Jersey_Devil_Six_by_F16CrewChief.jpg

 Immagine inserita a scopo illustrativo - Fonte deviantart.net - Tutti i diritti del legittimo proprietario

http://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/3/35/F-106As_New_Jersey_ANG_in_flight_1984.JPEG

 Immagine inserita a scopo illustrativo - Fonte wikipedia.com - Tutti i diritti del legittimo proprietario

F-106A, 59-0060/04, 125Th. FW , Florida Air National Guard


http://rickmorganbooks.com/uploads/3/1/8/9/3189414/5822541.jpg?634

 Immagine inserita a scopo illustrativo - Fonte rickmorganbooks.com - Tutti i diritti del legittimo proprietario

http://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/3/37/Convair_F-106A_Delta_Dart_2.jpg

 Immagine inserita a scopo illustrativo - Fonte wikipedia.com - Tutti i diritti del legittimo proprietario

Armaments

Ci sono due stampate identiche per i carichi alari edi stiva che comprendono i serbatoi supplementari di carburante, e gli armamenti tipici di questo intercettore: 2 razzi non guidati aria-aria a testata nucleare Air-2 Genie ben rappresentati, anche se l’F-106 poteva trasportarne solo uno, e ben 6 Hughes AIM-4 a scelta tra la variante F/G e D ovvero GAR-3A/4A e GAR-2B.




Books references

Per chi volesse documentarsi a fondo, ecco un elenco di libri consigliati non solo di carattere modellistico.

ANGELS THREE SIX, Confessions, Cold War Fighter Pilot by Chuck Lehman, Col, USAF [Ret] (2006 )
Boneyard Almanac, Kindle Edition eBook (1st Edition) by Del Laughery (2013)
Century Jets: USAF Frontline Fighters of the Cold War by David Donald
Century Series Fighters: F100 Super Sabre – F106 Delta Dart by Peter R. Foster
Century Series in Color Fighting Colors series (6501) by Lou Drendel
Color & Markings of the F-106 Delta Dart, Vol. 1 by Bert Kinzey
Convair Deltas From Seadart to Hustler by Bill Yenne
Convair F-106 Delta Dar Aero Series 27 by William G. Holder
F-106 Delta Dart in Detail and Scale by Bert Kinzey
F-106 Delta Dart in Action Aircraft No. Fifteen by Don Carson & Lou Drendel
Fighter Interceptors: America’s Cold War Defenders by Rene J. Francillon, Peter B. Lewis, Jim Dunn
Interceptor Magazine 20th Anniversary Issue 1959-1979 by Interceptor Magazine
Ladies in Waiting Pictorial Review of Davis Monthan AFB by Scott Wonderly & Richard Dunham
Life In The Wild Blue Yonder: Jet Fighter pilot stories from the Cold War by John Lowery
ROGUE 6 Exploits of fighter pilot Rusty Markum… by Chuck Lehman, Col, USAF [Ret]
Scarecrow Season F-106, America’s Cold War Air Defense Against a Russian Attack by Jack Verneski
Supersonic Eagles The Century Series Fighters by W. D. Becker
The Century Series The USAF Quest for Air Supremacy 1950-1960 by Ted Spitzmiller
The Spirit of Attack: Fighter Pilot Stories by Bruce Gordon
U.S. Air Force Interceptors Military Photo Logbook 1946-1979 by Marty Isham & David McLaren
USAF Fighter Interceptor Squadrons FIS’s who defended American air-space by Peter R. Foster
Wings of Fame Vol #12 by David Donald

 

Afterword

Un bel kit che purtroppo non è esente da errori, alcuni grossolani di forme sulle prese d’aria. I dettagli principali sono una buona base di partenza rispetto al Monogram e c’è un’equilibrata ricchezza superficiale. Il kit si monta, ad una lettura delle istruzioni, molto facilmente avendo una scomposizione dei pezzi molto intuitiva nonostante le 190 parti. Le dimensioni sono importanti una volta montato ma nella norma se paragonate ai moderni jet di pari scala; qui si avranno 449 mm di lunghezza per 243 mm di apertura alare. La possibilità di lasciare la stiva aperta o chiusa, di movimentare le superfici mobili e di poter particolarizzare la costruzione del proprio kit, rendono stimolante l’assemblaggio.
C’è ampio spazio di miglioramenti sia a chi vorrà cimentarsi nello scratch che per le ditte di aftermarker che spaziano dalla resina alla creazione di fogli decals. A tal riguardo la Caracal ha appena stampato dei nuovi fogli proprio per l’F-106 ma pensate per il kit Monogram; credo non ci saranno problemi di adattamento anche sul Trumpeter.
Chi si ritrova già adesso nel proprio cassetto gli accessori per lo stampo Monogram, potrebbe anche iniziare a pensare di aggiungere quel quid in più a questa scatola, nell’attesa che le attuali ditte propongano i loro prodotti per questa scatola.
Prezzo?
La mia scatola l’ho acquistata su ebay per poco meno di € 30, s.s. escluse.

 

Aurelio Laudiero ® FreestyleAurelio

Porsche 934 Turbo RSR dal kit Tamiya in scala 1/12.

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In una sera d’inverno di molti anni fa, si era prossimi al Natale, ricordo con chiarezza l’arrivo a casa di mia moglie con una scatola quasi più grande di lei.  Questa confezione conteneva l’oggetto del quale mi appresto a scrivere: la riproduzione in scala 1/12 della PORSCHE 934 TURBO RSR della TAMIYA, all’epoca da poco messa in vendita in Italia.

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Recentemente, potendo finalmente disporre di più tempo libero e di uno spazio dedicato al modellismo, si sono realizzate le condizioni perché il modello  potesse smettere di dormire su uno scaffale !

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Dedico quindi questa realizzazione a mia moglie Yori, “complice” della ripresa della mia passione per il modellismo. Ecco di seguito alcune immagini scattate durante il lavoro, accompagnate da una descrizione delle modifiche apportate, rispetto a quanto previsto dal manuale di montaggio della TAMIYA.

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foto 3

 

Per rendere più verosimile la turbina (quella vera aveva il corpo in ghisa fusa) ho tentato di imitare la grana della ghisa grezza di fusione, mediante applicazione a pennello di un composto formato da acqua, vinavil e bicarbonato di sodio; successivamente ho applicato il colore gun metal.

foto 4

 

Al fine di dare un aspetto più simile al vero serbatoio, realizzato in vetroresina, ho trattato la superficie esterna con un solvente a base di trielina. Questa ha provocato una leggera fusione dello strato superficiale; successivamente “picchiettato” con uno spazzolino da denti

Ho quindi cercato di riprodurre la presenza della benzina (la vecchia super di colore rosso) nel serbatoio adoperando una miscela di vernice trasparente opaca, a cui ho aggiunto qualche goccia di rosso.

foto 5

– Pinze freno. Ciascuna pinza freno è stata munita di tubazione di collegamento in rame tra le due semipinze e di tubazione flessibile, connessa poi al circuito frenante anteriore.

– Tubazioni circuiti frenanti. Realizzazione di circuiti frenanti anteriore e posteriore in rame e tubo in gomma.

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Sono visibili le parti flessibili delle tubazioni già  fissate ai bracci pendolari (la foto è stata scattata quando il circuito frenante posteriore non era ancora completato).

 foto 7

Ho aggiunto anche le tubazioni dell’impianto frenante con del rame.

 foto 8

 – Scocca sedile: al fine di imitare l’aspetto del Kevlar, la scocca del sedile è stata rivestita con una decal; quest’ultima è stata prima verniciata di nero e successivamente spruzzata di giallo attraverso un retino.

– Rivestimento sedile: il sedile è stato rivestito con pelle di camoscio stirata, ad imitazione del tessuto “alcantara”.

– Imbottitura della traversa del rollbar nella parte a contatto con il pilota: l’imbottitura è stata riprodotta mediante l’utilizzo dell’isolante di un cavo elettrico da 8 mm2, opportunamente preparato e verniciato in blu.

 foto 9

Le cinture di sicurezza a 6 punti (non previste nel kit) sono state ricavate da fibbie foto-incise e nastro in raso.

 foto 10

 foto 11

– Aggiunta cavi positivo e negativo batteria;

– Costruzione tubazioni in ottone per impianto estinzione;

– Aggiunta tubazioni sfiato serbatoio carburante;

– Costruzione tubi e raccordi su pompe benzina

 foto 12

– Aggiunta di valvole di gonfiaggio pneumatici, realizzate con bulloni esagonali Hobby Design da 0,85 mm;

– Aggiunta di contrappesi di equilibratura, realizzati con lastra alluminio da 0,5 mm;

– Realizzazione di uno stencil in lastra di rame mediante tecnica di fotoincisione “casalinga” per verniciatura della scritta DUNLOP sui fianchi dei pneumatici

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foto 14

– Aggiunta ganci di sicurezza in fotoincisione della BBK codice ATS.FP12C-12002.

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foto 16

Aggiunti rivetti in alluminio da 1 mm.

Dopo aver steso un primer un primer in bomboletta su tutti i pezzi della carrozzeria, ho proceduto passando ad aerografo il tipico arancione “Jagermeister”. Per ottenere questo particolare colore ho mescolato, in parti uguali, il LIFECOLOR LC 04 (MATT DARK YELLOW) e LC 05 (MATT ORANGE). Ad asciugatura completata (almeno 24 ore, meglio se 48 ore), ho applicato due strati di trasparente alchidico lucido della TALKEN SMALTO 2000 (bomboletta spray), prodotto che ha la caratteristica di vetrificare formando una protezione molto resistente all’abrasione e al tempo.

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Sulle superfici così trattate ho applicato le decal da scatola. Infine, ho steso altri due strati leggeri di trasparente così da uniformare la lucentezza delle zone coperte dalle insegne al resto della carrozzeria.

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Nel ringraziarvi per l’attenzione e vi invito a contattarmi al mio indirizzo mail per ogni altra informazione: ing.luigi.niola@alice.it

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Buon modellismo a tutti! Luigi Niola.

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Hand Crafts Man Modeler.com

I.A.I. Kfir C-7 dal kit Kinetic in scala 1/48.

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Ogni appassionato ha un soggetto che lo coinvolge particolarmente e di cui vorrebbe assolutamente una copia in scala nella sua collezione. In alcuni casi (neanche troppo rari), però, questo soggetto non è affatto trattato dalle ditte modellistiche! Ma il modellista non è un tipo che demorde facilmente, e per poter costruire un modello del suo amato velivolo fa di tutto! Si informa, studia, acquista conversioni (complicatissime) e si rassegna all’idea di dover sudare sette camicie pur di ottenere ciò che vuole. Dopo aver pagato fior di quattrini per tonnellate di resina, monografie con disegni quotati (la documentazione è sempre importante) e, ovviamente, il kit di partenza (il più delle volte con pannellature in positivo… quindi da reincidere completamente!) da convertire, si rende conto che il lavoro da fare presume tempi lunghissimi e molto impegno… per cui preferisce accatastare tutto nella grande pila di scatole di montaggio che sormonta la sua postazione in attesa della giusta ispirazione.

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Però, il suddetto modellista, può finalmente dormire sogni tranquilli… sicuro del fatto che, per anni, i produttori del settore non si sono mai interessati a quel dato aereo e che, purtroppo, non se ne interesseranno mai. Lui, in ogni caso, ha tutto l’occorrente per portare a termine l’agognato progetto! E poi arriva il grande giorno dove legge per la prima volta una bella notizia: sta per uscire un kit ad iniezione del suo aereo! Euforia alle stelle… salti di gioia! Sogna in vetrina una schiera di modelli con tutte le mimetiche usate e tutti gli Squadron che lo hanno avuto in carico… tutte le combinazioni di carichi esterni mai viste e, perfino, qualche esemplare un pò più raro e magari poco visto!

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Ma poi… un dubbio… una domanda gli balena in testa…: e adesso che ci faccio con quella conversione in resina??

Spero di avervi strappato un sorriso! Se siete degli appassionati modellisti come chi vi scrive, credo proprio che almeno una volta nella vostra vita vi sarete trovati in questa situazione.

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A me è capitato spesso, l’ultima proprio di recente con il Kfir della Kinetic in 1/48. Un velivolo a cui ho sempre riservato un’ammirazione particolare e che, purtroppo, non è stato mai degnato di molte attenzioni. Per mia (ma anche per molti altri) fortuna è finalmente disponibile una scatola di montaggio pronta per essere montata senza troppi pensieri e sbattimenti. Data la lunghissima attesa (e poi dicono che per fare modellismo non occorre tanta pazienza!), non potevo che iniziarne la costruzione immediatamente.

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Il Kit.

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Composto da circa 224 parti in stirene color grigio chiaro, il kit ha pannellature in negativo nel classico stile Kinetic: un pò troppo profonde e con una definizione del dettaglio non al top della tecnologia attuale. Nonostante questa apparente carenza, il modello non è affatto male e ha un rapporto qualità/prezzo comunque invidiabile. Nella confezione sono fornite tutte le parti per poter ricreare sia la variante C2, sia la variante C7 – ultima ad uscire dalla catena di montaggio della Israeli Aircraft Industries. Le superfici di governo sono separate dal resto della struttura alare, per cui i grandi flaperon possono essere rappresentati in posizione abbassata (configurazione che, a terra, non era inusuale).

I carichi di caduta forniti sono molti e comprendono varie tipologie di ordigni, sia Aria/Aria, sia Aria/Terra. La loro qualità è, in qualche caso, non all’altezza di una riproduzione nella scala del quarto di pollice per cui, come spiegherò più avanti, ho preferito ricorrere a degli accessori in resina per sostituirne alcuni.

Bellissimo il foglio decalcomanie stampato dalla Cartograf e realizzato in collaborazione con la Isradecal (l’intero modello nasce da una joint venture della ditta cinese con quella israeliana). Del resto i frutti di questa cooperazione si rispecchiano anche nelle forme dello stampo: ponendo i pezzi principali sulle tavole quotate, infatti, si trova conferma che le dimensioni sono pressoché perfette. C’è solo una piccola discrepanza nella lunghezza del musetto ma questa non influisce minimamente sull’impatto visivo a modello finito.

Le note più negative arrivano quando si analizzano i serbatoi supplementari esterni; purtroppo la Kinetic ne ha pesantemente sbagliato la lunghezza totale, sia nel caso di quelli super sonici (più sottili nel diametro – si riconoscono immediatamente), sia di quelli sub sonici. La Wingman Model (altra associazione di marchi dove anche in questo caso la Isradecal è protagonista assieme alla tedesca AirDoc) ha prontamente creato dei set di correzione in resina per rimediare all’errore grossolano.

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Personalmente, avendo già a disposizione la mega conversione della Isradecal, ho direttamente prelevato i fuel tanks corretti. Oltre a questi, già che c’ero, ho selezionato anche tutti i piloni (ad eccezione dei sub-alari più esterni dedicati ai missili A/A) per sostituire quelli in plastica del kit poiché molto più poveri di particolari rispetto alle copie in resina. Diciamo che, oltre ad una funzione “operativa”, l’utilizzo degli accessori Isracast hanno anche tacitato la mia coscienza: almeno il loro acquisto non è stato del tutto vano, anzi!

Il cockpit:

L’abitacolo reale del Kfir era abbastanza “asettico” e poco complicato. I pezzi forniti dalla Kinetic, però, sono fin troppo semplificati e poco dettagliati! Anche i seggiolini (sia il Martin Baker Mk.4 dei C2, che il Mk.10 dei C7) sono scarni e poco fedeli.

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Spinto dalla ricerca di maggiori particolari e dalla curiosità di provare i nuovi prodotti della Wingman Models, ho voluto ordinare il set relativo al cockpit (numero 48011) ideato sulla base di questo kit. Purtroppo l’apertura della confezione è stata una grossa delusione perché, in pratica, i pezzi in resina altro non sono che copie di quelli in plastica leggermente rimaneggiati con l’aggiunta di qualche leva e pulsante. I cruscotti forniti sono identici agli originali, né più né meno. Le uniche parti degne di nota sono le paretine laterali (che nel kit sono rappresentate dall’interno piatto e liscio della fusoliera) e il sedile Mk.10 che è quasi corretto e già dotato di cinture di sicurezza. Il Martin Baker Mk.4 non è da scartare ma, data la presenza del set Aires numero 4587 sul mercato, consiglio vivamente l’acquisto di quest’ultimo.

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Ad ogni modo il “pilot’s office” Wingman calza alla perfezione all’interno del proprio alloggiamento. Non occorre alcun aggiustamento di sorta.

Discorso diverso per il Martin Baker Mk.10 che varie prove a secco hanno evidenziato essere troppo largo rispetto alla vasca. Per adattarlo bisognerà limare e ridurne la base ai lati della seduta.

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I lavori sull’ejection seat non sono, però, conclusi; in accordo con la documentazione ho auto costruito e aggiunto due piccoli rostri montati sulla sommità del poggiatesta. A tale scopo ho utilizzato due pezzettini di profilato Evergreen piatto sagomato a dovere.

Fatto questo ho potuto, finalmente, verniciare il sedile con i seguenti colori:

  • Struttura completamente in nero opaco Tamiya.
  • Cuscini in Olive Drab Vallejo.
  • Cinture di sicurezza in Tan Gunze H-310.

A completare il tutto, ho applicato un paio di “Placard” (prodotte in decal dalla Airscale) ai lati del poggiatesta, ed ho eseguito un lavaggio in Bruno Van Dyck ad olio per mettere in risalto luci e ombre delle imbottiture. Per meglio evidenziare i volumi, invece, ho optato per il Dry Brush delle superfici con un grigio chiaro ad olio (ottenuto miscelando una nocciolina di Bianco di Marte e la punta di uno stuzzicadenti intrisa di Nero D’avorio – Entrambe le tinte fanno parte della gamma Maimeri).

Per quanto concerne i colori dell’abitacolo, questo è stato verniciato in Ghost Grey F.S. 36375 – Gunze H-308, ad eccezione delle consolle laterali in nero opaco con bottoni e pulsanti vari in grigio chiaro, rosso e giallo.

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La strumentazione del cruscotto l’ho ottenuta fustellando le decalcomanie del foglio Mike Grant Decals che fornisce vari quadranti già pronti da usare. Per dovere di cronaca, il pannello strumenti della Wingman presenta le lancette già stampate sulla resina ma, purtroppo, la loro definizione non è eccelsa e non è possibile sfruttare i particolari facendoli apparire tramite la tecnica del pennello asciutto.

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Piccola, ma importante, nota: le istruzioni allegate alla scatola di montaggio non sono molto chiare in alcuni passaggi e traggono in inganno il modellista nella scelta di alcune parti “opzionali”. Tra queste c’è anche la paratia “bulk head” alle spalle del pilota; per la variante C7 quella corretta è riportata nella foto seguente:

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Fusoliera e prese d’aria:

Uno dei tratti distintivi del Kfir è la prominente presa d’aria posta alla base della deriva (nella realtà serviva a raffreddare alcuni stadi del potente motore J-79). La Kinetic è stata alquanto superficiale nel riprodurla e, giocoforza, sono dovuto intervenire migliorandola. In particolare, al suo interno era presente una paratia orizzontale che i progettisti cinesi hanno diviso a metà tra la semi fusoliera sinistra e destra. Inutile sottolineare che tale scomposizione non permette di stuccare la sopra citata paratia ed ottenere un lavoro pulito in questa zona molto visibile.

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Quindi, per prima cosa, ho eliminato il dettaglio interno mediante un trapanino elettrico; ho unito la carlinga e stuccato la base dell’intake (la fessura risultante è molto larga e difficile da raggiungere con carta abrasiva) con il Mr.Surfacer 500 della Gunze. Solo a questo punto ho ricostruito la paratia utilizzando la cornice di un vecchio set di fotoincisioni sagomata a dovere e inserita frontalmente con l’aiuto di una pinzetta sottile.

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Di seguito potete vedere la fusoliera completa delle prese d’aria principali. Mentre la prima si unisce senza difficoltà di sorta, le seconde fanno un pò di fatica ad incastrarsi nelle loro sedi perché leggermente sovra-dimensionate.

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Per evitare pesanti carteggiatura in zone ricche di pannellature e rivetti, ho preferito limare le air intake lungo i lati evidenziati dalla freccia rossa:

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In questo modo i pezzi sono tornati in squadro rispettando quasi alla perfezione il profilo dell’aereo. Le piccole fessure che, inevitabilmente, si creano, le ho riempite con colla ciano acrilica poiché più facile da reincidere una volta asciutta (sulla giunzione, infatti, corre una linea di pannello che va necessariamente ripristinata).

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Al termine dell’operazione ho aggiunto quattro supporti (come previsto anche sul velivolo reale) realizzati con delle striscioline di lamina d’ottone.

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La scomposizione dello stampo non è felice neanche nella zona della deriva dove, alla sommità, si congiungono le due valve (con la tip stampata in un unico pezzo e solidale alla semi fusoliera di sinistra). Per ottenere un lavoro pulito bisogna stuccare e pareggiare un leggero gradino che si viene a formare; è, quindi, inevitabile perdere il dettaglio di una striscia metallica di rinforzo già stampata sulla plastica.

Alla fine ho preferito rimuovere tutto, stuccare al meglio e ricreare la suddetta strisciolina con del nastro di alluminio adesivo rivettato. Dalla foto capirete meglio:

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Per finire, nella parte inferiore del muso (in prossimità dello sfiato dell’aria calda proveniente dal radar) esiste un altro rinforzo della struttura che ho riprodotto incollando un’ulteriore strisciolina di Plasticard.

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Ali e pozzetti carrello principale.

Mentre il pozzetto carrello anteriore ha un dettaglio già accettabile in relazione alle sue ridotte dimensioni, i vani dei carrelli principali sono grandi, ben visibili e molto poco dettagliati.

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Purtroppo non esiste ancora un set di dettaglio in resina, per cui mi sono arrangiato con un pò di sana autocostruzione utilizzando un pò di tutto! Per le tubazioni idrauliche che corrono lungo i lati, ad esempio, ho optato per della bava da pesca da 0,12 mm che si incolla facilmente con colla ciano acrilica. Ovviamente ho utilizzato anche dei cavetti di rame (provenienti da un cavo elettrico) e di stagno commercializzati dalla Plus Model (utilissimi in questi casi). Le bullonature stampate sul fondo non mi piacevano perché poco definite; le ho eliminate e sostituite con del profilato tondo Evergreen da 0,5 mm tagliato a “fettine” sottili.

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Studiando la documentazione in mio possesso ho notato che nella parte inferiore delle ali si notano abbastanza chiaramente delle file ordinate di rivetti. Le ho, ovviamente, aggiunte utilizzando la rivettatrice “Rosie The Riveter” da 0,75 mm di passo.

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Eseguendo delle prove di unione delle semi ali, mi sono accorto di un grossolano errore di progettazione; lo spessore della plastica delle parti superiori, infatti, è troppo accentuato e non permette alle inferiori di allinearsi correttamente. Per evitare la formazione di sgradevoli gradini, ho asportato molto materiale dalla parte interna della semi ala superiore utilizzando in taglierino a guisa di una piccola pialla. Il metodo, pur se improvvisato, ha funzionato benissimo!

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Qui sotto vedete le ali unite, finalmente, alla fusoliera. Dopo alcuni tentativi di allineamento, sono riuscito a centrare al meglio il complesso alare rispetto alla fusoliera creando solo lievi scalini facilmente eliminabili.

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Praticamente ho incollato con ciano acrilica solamente la parte posteriore (e inferiore) delle ali fissando, provvisoriamente, tutta la superficie; successivamente le ho forzate in posizione facendo una lieve pressione dal basso e le ho incollate definitivamente con abbondanti spennellate di Tamiya Extra Thin Cement (Tappo Verde) stese lungo la giunzione superiore. Se questa fase è ben studiata e supportata da numerose prove a secco, vi risparmierete tediose stuccature e, soprattutto, fastidiose reincisioni.

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Ultimi dettagli.

E’ questo uno dei passaggi che maggiormente preferisco. Lo studio della documentazione è stato fondamentale per capire quali zone del modello avevano bisogno di qualche intervento.

Una di questa è sicuramente quella relativa alle antenne RWR (Radar Warning) installate sul muso; intorno ad esse, ma solo sulle varianti C7 del Kfir, furono installate delle piastre di rinforzo facilmente individuabili perché di spessore abbastanza accentuato. Le ho ricreate con del nastro d’alluminio adesivo che si conforma sempre molto bene alle superfici, anche quelle più “difficili”. La grossa difficoltà, in questo caso, è stata tagliare con precisione il nastro stesso (soprattutto intorno al bulbo delle antenne), e per far ciò ho usato un bisturi affilatissimo e tanta, tanta, pazienza. Le sbavatura sono state corrette con una leggera mano di Mr. Surfacer grana 1000.

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La Kinetic ha inspiegabilmente tralasciato questa vistosa antenna (anch’essa caratteristica dei soli C7) sul muso. L’ho ricostruita, compresa la piastra alla sua base, con Plasticard sagomato.

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Vengo ora alla complicatissima disposizione dei tanti air scoop installati sulla superficie inferiori dei Kfir. Devo, purtroppo, far di nuovo presente che le istruzioni Kinetic danno delle indicazioni errate sul loro montaggio; studiando la monografia Isradecal le ho ricollocate nella giusta posizione.

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  • Le prese d’aria cerchiate in giallo (pezzi D39 e D38 del kit) sono state sostituite da quelle in resina della Quickboost (provenienti dal set 48587 – molto più sottili e meglio riprodotte) e spostate rispetto alla posizione originale (la Kinetic le collocava dietro alle prese d’aria cerchiate in rosso).
  • Gli air scoop cerchiati in rosso li ho ricostruiti dopo averli, purtroppo, persi in fase di carteggiatura. Ho utilizzato un rod mezzo tondo da 1 mm.
  • Gli air scoop cerchiati in blu, eliminati poiché davvero brutti e già stampati assieme alle superfici inferiori delle ali, sono stati sostituiti dai pezzi D43 del kit. A loro volta, i D43 sono stati rimpiazzati dall’aftermarket della Quickboost.

Ho, inoltre, eliminato e reinciso alcune pannellature (concentrate soprattutto nella zona posteriore al pozzetto carrello anteriore e ai cannoncini) perché quelle già presenti non rispecchiavano la realtà.

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Dal set sopra menzionato ho prelevato anche gli air scoop per il raffreddamento del propulsore. Le copie in resina sono un passo in avanti netto in quanto a realismo e fedeltà delle forme, ma vanno trattate con delicatezza poiché molto inclini a rotture accidentali.

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Il kit offre la possibilità di posizionare i grandi “flaperon” in posizione abbassata. Eseguendo le solite e provvidenziali prove a secco preventive ho potuto constatare che le superfici di governo sono sottodimensionate in larghezza e, una volta montate assieme, lasciano delle poco realistiche fessure tra l’una e l’altra. Per questo motivo ho deciso di aggiungere uno spessore di circa un millimetro sulla sezione più interna che, nella realtà, aveva anche funzione di trim.

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Ai lati del muso, in prossimità dell’abitacolo, trovavano posto due prese statiche per la strumentazione di bordo. Sul kit sono rappresentate, in modo molto semplicistico, da due pannellature circolari. Nella realtà, al contrario, esse non sono a filo con la fusoliera bensì leggermente più all’interno. Per questo motivo, con l’ausilio di una fresetta montata su di un trapanino elettrico, ho aumentato la profondità dell’alloggiamento dando un aspetto maggiormente realistico al tutto (freccia in rosso. In giallo l’apertura del foro in cui andrà installato il sensore AOA – Angolo d’Attacco).

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Durante le operazioni di raccordo ho dovuto, mio malgrado, eliminare qualche dettaglio dalla “ventral spine”. Non tutti i mali, però, vengono per nuocere! ho ricostruito le antenne con l’aiuto di una fustellatrice e del Plasticard sottile migliorando notevolmente i dettagli originali da scatola.

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Ricontrollando, per l’ennesima volta, la monografia Isradecal, ho osservato come le superfici inferiori dei velivoli sono disseminate di tante piccole cannette di sfogo (in alcuni casi relative al sistema di pressurizzazione del carburante). Per riprodurle ho utilizzato delle sezioni di ago da insulina che ha una sezione ridottissima e perfettamente in scala.

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Le luci di posizione alle estremità alari del kit sono, inspiegabilmente, sotto dimensionate. Per questo le ho rimpiazzate con due pezzi di sprue trasparente incollati e sagomati dopo che la colla aveva fatto buona presa. Dopo averli lucidato i nuovi vetrini con pasta carte e paste abrasivi fini, li ho colorati con tinte per vetro semi trasparenti (rosso a sinistra e blu a destra).

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Per ultimo ho lasciato il parabrezza. Il pezzo incluso nel kit non è molto preciso in larghezza, ma basterà forzarlo un pochino in posizione esercitando una leggera pressione con le dita della mano su di esso. In questo modo la plastica si allarga quel tanto che basta per far assumere al windshield la giusta dimensione rispetto al proprio alloggiamento. Per il suo incollaggio ho utilizzato della ciano acrilica… ma attenzione! Per evitare che i vapori del collante pregiudichino la trasparenza del vetrino è necessario “trattarlo” con la famosa cera per pavimenti Future.

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Carichi esterni e di caduta:

Come detto all’inizio di questo articolo, i piloni sub alari sono stati quasi del tutto sostituiti con quelli del vecchio set di conversione Isracast. Gli unici originali che ho mantenuto sono quelli estremi che comprendono anche la flangia per il movimento dei flaperons.

Prelevati dal kit anche i rail e i missili Python 3 che, già di per loro, sono ben dettagliati. Per impreziosirli ulteriormente ho eliminato l’ogiva in plastica sostituendola con un pezzo di sprue trasparente incollato con ciano acrilica e sagomato a colpi di lima. In questo modo ho simulato con discreto realismo la calotta del sensore Infrarosso.

Gli altri Hard Point forniti dalla scatola non sono granché precisi, in particolare quelli interni “bagnati” (ovvero, su cui possono essere agganciati i serbatoi). Il pilone “centerline” è accettabile ma, già che c’ero, ho preferito sostituire anche quello.

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I due piloni in resina sotto le prese d’aria erano ad esclusivo utilizzo per gli ordigni GBU-12B; quelli in resina sono leggermente sovra dimensionati ma, in ogni caso, migliori di quelli in plastica che, al contrario, risultano troppo piccoli e poco dettagliati.

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Ed ora, i serbatoi. Ho scelto una configurazione a lunghissimo raggio poco vista, ma comunque documentata nella monografia della Isradecal. Il General Electric J-79 che equipaggiava il Kfir erano un motore che richiedeva molto carburante per cui era raro non vedere i velivoli con almeno un external tank montato. Alla fine ho optato per due serbatoi sub sonici sub alari, più uno supersonico alla centerline station. Quelli forniti da scatola sono completamente sbagliati nelle forme e nelle dimensioni: di fatto inutilizzabili. Anche questa volta ho attinto dal vecchio set della Isracast sostituendo gli originali in plastica con questi in resina:

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Ed ecco un confronto:

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Verniciatura e invecchiamento.

Nel corso della loro carriera operativa (che, purtroppo, non è stata longeva) i Kfir C7 hanno “vestito” una sola mimetica composta da sabbia, marrone e verde per le superfici superiori, e da un grigio chiaro per quelle inferiori.

Proprio da quest’ultime ha avuto inizio la fase dedicata alla verniciatura; ho utilizzato il Light Ghost Grey F.S. 36375 – Gunze H-308.

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Il camouflage a tre toni è stato applicato, come mio solito, utilizzando il Patafix. Di seguito potete vedere le sole foto dell’ultimo colore steso (il verde) per non annoiarvi troppo; il metodo è stato il medesimo per tutti i toni dello schema mimetico.

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Le vernici sono state applicate in questo ordine:

  1. Sand FS 33531 – Gunze H-313. Diluizione 80% – 10 gocce di Retarder. Pressione 0,8 bar.
  2. Dark Earth FS 30219 – Gunze H-310. Diluizione 70% – 10 gocce di Retarder. Pressione 0,6 bar.
  3. Green FS 34424 – Tamiya XF-21. Diluizione 70% – 15 gocce di Retarder. Pressione 0,6 bar.

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Come avrete notato, tutte le vernici sono state addizionate con del Paint Retarder Tamiya per renderle meno “gessose” e più lisce. Oltre a questo, il ritardante mi ha anche permesso di ottenere delle sfumature più “dolci” tra i vari toni.

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Abbandonando temporaneamente il modello, ho rivolto la mia attenzione alla colorazione dei carichi esterni. I serbatoi, ad esempio, avevano le ogive in rosso per segnalare al personale tecnico, con maggiore enfasi, la presenza di elementi sporgenti e potenzialmente pericolosi. Le GBU-12B hanno il corpo centrale in Olive Drab Gunze H-52, ogiva e piani stabilizzatori in H-309. Per la fascia marrone ho utilizzato il Linoleum Deck Brown XF-79 Tamiya. Per quanto riguarda i Python 3, le alette e l’ogiva sono in bianco opaco, mentre il corpo è un mix di 10 gocce di Light Blue Gunze H-323 (10 gocce) schiarito con il Flat White Tamiya (2 gocce) e il Light Ghost Grey H-308 Gunze (5 gocce).

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Studiando le decalcomanie, seppur di ottima qualità, sono giunto alla conclusione che l’insegna di reparto dell’Arava Guardian Squadron sarebbe stata troppo complicata da applicare; data la particolare conformazione del velivolo in quella specifica porzione della deriva, la decal non si sarebbe mai conformata a dovere attorno alla bugna del sensore RWR sulla sommità dell’impennaggio. Per questo motivo ho deciso di verniciarla, parzialmente, ricorrendo a delle miscele appositamente ricreate per avvicinare le tinte del giallo e del rosso a quelle usate nella stampa delle decalcomanie. Tutte le vernici sono state aerografate su un fondo in bianco opaco:

  • Rosso: 40 gocce di XF-7 Tamiya + 20 gocce di Fluorescent Orange Gunze H-98 + 1 goccia di bianco.
  • Giallo: 45 gocce di Giallo XF-3 Tamiya + 2 gocce di Rosso XF-7 + 10 gocce di bianco.

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Il cono di chiusura del vano aerofreno, posto sotto la deriva, è stato verniciato in White Alluminium Alclad.

La fase relativa all’invecchiamento (anche se le foto a mia disposizione ritraggono sempre i velivoli in buone condizioni e con colorazioni mai scolorite o troppo “cotte” dal sole) ha preso il via dalle superfici inferiori stendendo un velo leggero di Extra Dark Sea Grey Tamiya estremamente diluito. Il colore scuro mi è servito per simulare una patina di sporco sul grigio chiaro della mimetica. A seguire, ho schiarito il 36375 (Gunze H-308) con qualche goccia di bianco e l’ho passato a “spot” (quindi con movimenti veloci e irregolari dell’aerografo) al centro dei pannelli (in particolare) e in altre zone.

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Sulle superfici superiori ho eseguito il Post-Shading direttamente sulla mimetica, schiarendo i toni di base, anche in questo caso, con qualche goccia di bianco opaco. I colori sono stati diluiti, in pratica, al 90% e il compressore settato ad una pressione di 0,5 bar durante tutto il procedimento.

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Allo scopo di preparare il modello ai lavaggi ad olio, ho steso su tutto un paio di mani molto diluite di Clear X-22 della Tamiya. Per i washing sono partito dal Bruno Van Dyck e dal Terra di Siena Bruciata ad olio della Maimeri per i colori sabbia e marrone; a queste tinte ho aggiunto un pò di Nero d’Avorio della stessa ditta sopra citata in modo da creare un colore quasi tono su tono rispetto alle tonalità di base della mimetica IAF. Questa scelta mi è stata, praticamente, imposta dall’eccessiva profondità e larghezza delle pannellature: se avessi creato dei lavaggi scuri avrebbero messo eccessivamente in risalto le incisioni dando un effetto finale troppo “pesante” al mio Kfir in scala.

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Per quanto riguarda il verde e il grigio delle superfici inferiori ho optato per un grigio medio non troppo scuro (ricreato mixando una nocciolina di Bianco di Marte a cui ho aggiunto la punta di uno stuzzicadenti “sporcata” di Nero D’Avorio).

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Decalcomanie e ultimi dettagli:

Altre due/tre mani di trasparente acrilico Tamiya hanno definitivamente preparato il mio modello per ricevere le decal. Le Kinetic sono davvero belle: stampate dalla nostrana Cartograf sotto la supervisione della Isradecal, sono sottili, lucide, perfettamente in registro e con il film ridotto al minimo. I colori sono saturi, il potere adesivo soddisfacente e reagiscono egregiamente ai liquidi emollienti della Microscale (Set e Sol).

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Ho deciso di non riprodurre uno degli esemplari proposti, bensì il velivolo raffigurato nel retro copertina della monografia Isradecal che è anche ben documentato all’interno. Per farlo ho attinto dal foglio aftermarket della casa israeliana (IAF-52) prelevando i codici individuali per formare la cifra “565” e le lettere in ebraico del nome dato all’aereo “Ra’am” (tutti i Kfir C7 avevano un nome proprio. Nel mio caso “Tuono”). A proposito di monografia, scartabellandola ancora una volta mi sono reso conto di un errore nella foggia dei numeri ripetuto, purtroppo, sia nel set Isradecal, sia nelle decal Kinetic. Nella foto seguente vedete, evidenziato dalle frecce, un taglio netto del numero “5” nel punto indicato. Originariamente questo “taglio” non era, ovviamente, previsto e ho dovuto asportare un piccolo triangolino aiutandomi con un bisturi affilatissimo.
Dalle foto dei velivoli originali non è semplice notare questo dettaglio… aguzzate la vista!

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A posa completata, un ulteriore strato di Tamiya Clear ha sigillato le insegne e livellato il loro spessore.

Proseguendo oltre, ho completato lo scarico Aires 4591. I petali esterni e interni sono stati verniciati in Steel Alclad (successivamente sottoposti ad un lavaggio in Bruno Van Dick, a un dry brush in alluminio opaco e al trattamento con le polveri del Weathering Set D Tamiya), mentre il condotto in verde (per simulare l’ossido caratteristico dei metalli) ottenuto mixando queste vernici:

  • 2 gocce di Escorpena Green (Vallejo Game Color 72032).
  • 4 gocce di Green Zinc (Vallejo Air 71094)
  • 1 goccia di Silver Grey (Vallejo Model Color 70883).

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Ho tagliato la gamba del carrello anteriore in corrispondenza dello snodo, ne ho forato l’interno e ho rinforzato la struttura inserendovi un tondino di ottone. Dalle foto in mio possesso ho notato che, spesse volte, i velivoli venivano spostati e i ruotini lasciati in posizione sbandata. Un tocco di movimento in più al modello che non guasta mai!

Ovviamente sia le gambe di forza posteriori, sia quelle anteriori sono state dettagliate con cavetti di stagno della Plus Model per simulare i vari condotti idraulici e i fili elettrici.

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Sempre controllando la documentazione, mi sono accorto che alcune volte i cerchioni dei Kfir (in particolare i C7) avevano delle scritte in ebraico fatte a pennello dagli specialisti. E allora perché non riprodurle?
Armato di Tratto Pen rosso ho cercato di ricrearle; non sono affatto precise ma rendono abbastanza bene l’idea.

Le ruote originali in plastica (con battistrada liscio) le ho sostituite con delle copie in resina della Wingman che, fedelmente, riproducono gli pneumatici con scolpitura.

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Il pitot e l’indicatore dell’angolo d’attacco provengono dal set 48077 della Master in ottone tornito. Ne consiglio vivamente l’acquisto perché l’accessorio è bellissimo ed economico al tempo stesso.

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Le varie antenne disseminate sulla gobba e sul muso del mio modello le ho prese dal set 48577 della Quickboost. L’unica eccezione è stata la grande antenna a lama montata sul portellone del pozzetto carrello anteriore, che era caratteristica dei soli Kfir C7; controllando nel mio magazzino pezzi ho trovato quello che faceva al mio caso utilizzandone una di un F/A-18 Hasegawa.

L’interno dei frames del canopy era totalmente spoglio. Di mia iniziativa ho aggiunto i due specchietti retrovisori dal set 48409 della Eduard, e una piccola maniglia ottenuta sagomando un filo di rame.

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A concludere definitivamente i lavori è stata una abbondante mano di trasparente opaco H-20 della Gunze che ha donato al modello anche la giusta finitura finale.

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Conclusioni.

Era da tanto che aspettavo questo kit. Lo stampo Kinetic, in definitiva, è divertente e abbastanza preciso negli incastri; i dettagli sono un po’ troppo poveri per la scala del quarto di pollice ma, con qualche dovuta miglioria, si riesce ad ottenere un’ottima riproduzione di questo bellissimo caccia bombardiere israeliano!

Per quanto mi riguarda questo kit mi ha talmente soddisfatto che ne ho presti bel altri quattro (per tutte le versioni). Mi sento, quindi, di consigliarlo a tutti!

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Buon modellismo!

Valerio – Starfighter84 – D’Amadio.

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Kit Review: Spitfire Mk.Vc Italeri in scala 1/48.

Box

Nonostante sia tra i velivoli più conosciuti al mondo, lo Spitfire, per noi modellisti, non è sicuramente cosa da prendere alla leggera. L’evoluzione di questo ottimo caccia ha, infatti, generato decine di versioni diverse, frutto di continui miglioramenti tecnici o derivati da particolari esigenze operative. Inoltre,  aerei della stessa versione potevano montare ali diverse per poter differenziare armamento e prestazioni e questo fattore contribuì a moltiplicare ulteriormente il numero di versioni impiegate.

Quindi è già abbastanza complicato districarsi in questo labirinto di sigle  e venire a capo della variante specifica per l’esemplare che abbiamo deciso di riprodurre in scala. Oltre a tutto ciò, bisogna anche incrociare le dita e sperare che qualche produttore abbia in catalogo quello che cerchiamo. Non è così scontato come potrebbe sembrare perchè, inspiegabilmente, alcune versioni (anche molto diffuse e prodotte in numero rilevante) non sono mai state trattate.

Il kit proposto dall’Italeri ci permette di riprodurre uno Spitfire Mk.V con ala “C” che va a colmare una delle zone d’ombra di cui parlavo precedentemente. L’alternativa, infatti, era utilizzare la versione Mk.Vb, prodotta da Airfix, Hasegawa e sopratutto Tamiya, modificandone l’ala con un lavoro di “taglia e cuci” e “crosskit” per nulla semplice. In alternativa si potevano sostituire le ali di tipo “B” con altre in resina che, a conti fatti, avevano un costo maggiore dei kit sopra citati.

Il kit.

La scatola in questione (N°2727), uscita nella metà del 2013, non contiene un nuovo stampo ma è il re-inscatolamento del kit Classic Airframe/Special Hobby. In pratica il modello oggetto di questa recensione è l’unico disponibile per riprodurre uno Spitfire Mk.Vc nella scala del quarto di pollice. Con questo “reboxing” continua la politica commerciale collaborativa della Italeri, adottata anche da altri produttori, che “rinfresca” e arricchisce vecchie scatole di montaggio con un foglio decal di prima qualità creando un valore aggiunto rispetto al prodotto originale.

La scatola ha il classico layout color blu ed una bellissima boxart disegnata da Vincenzo Auletta raffigurante un esemplare schierato in India (uno dei più accattivanti tra i sei proposti, a mio parere). Fortunatamente  la confezione non ha l’antipatica apertura laterale, bensì il classico coperchio superiore. Al suo interno una busta trasparente contiene le tre stampate principali, in plastica grigio chiara.

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Sprue 2

Nella stessa busta troviamo le tre stampate più piccole dedicate all’elica, al filtro Vokes e alle tip alari di tipo allungato.

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In una seconda bustina sono contenute le parti trasparenti (accuratamente tenute separate dal resto dei pezzi per evitare graffi o rotture)  che si presentano limpide e di spessore adeguato. Di materiale trasparente anche le tip alari di tipo corto (tecnicamente dette “clipped”), che offrono la possibilità di mantenere la trasparenza delle luci di posizione.

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L’Italeri fornisce anche una lastrina di fotoincisioni con le cinture di sicurezza e altri particolari per dettagliare gli interni.

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Il libretto di istruzioni, di ampio formato e facilmente consultabile, presenta nelle ultime pagine i sei profili a colori. Al suo interno il bellissimo foglio decal di cui parleremo più avanti.

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In dettaglio.

I modellisti più smaliziati sanno che quando si parla di Special Hobby e Classic Airframe parliamo di stampaggio Short Run. Solitamente questa tecnica assicura un costo minore nella produzione degli stampi ma restituisce, purtroppo, un prodotto non sempre all’altezza del corrispettivo realizzato con metodi tradizionali. Caratteristica più evidente di questi modelli è la totale mancanza dei perni di riscontro interni che non agevola, di certo, l’accoppiamento delle varie parti. Lo Spitfire riproposto dalla ditta bolognese è, al contrario, uno Short Run di ultima generazione che non ha nulla a che invidiare rispetto agli altri kit. Esaminando attentamente le stampate notiamo un prodotto di ottima fattura, inciso in fine negativo e, sopratutto, dotato dei sopracitati perni di riscontro.

Di seguito elenco i pregi riscontrati:

  • Forme ben rispettate: confrontando le ali e le valve della fusoliera con dei disegni in scala, si nota che le forme sono perfettamente riprodotte. Solo la fusoliera risulta leggermente più corta nella parte finale dove si collega al timone, ma questo non influisce sulle proporzioni generali. (Disegni in scala da pubblicazione “The Supermarine Spitfire, Part 1: Merlin Powered, 2nd edition – SAM pubblication”)
  • Superfici mobili separate: possibilità di posizionare in qualsiasi posizione gli alettoni e il timone di coda. Fissi invece gli elevatori dei piani di coda, peccato. Anche il portello di uscita del cockpit è posizionabile  aperto.
  • Assortimento di parti per differenti configurazioni: L’ala C, detta anche ala universale, aveva la particolarità di poter ospitare facilmente diverse configurazioni d’arma. Presenti nel kit quattro coppie di portelli di accesso alle armi con bugne di diversa foggia. Stesso discorso per i cannoni sulla radice alare. Forniti, inoltre tre tipi di cerchioni differenti, due tipi di scarichi (Fishtail a tre uscite e Hi speed a sei uscite) e il filtro antisabbia di tipo Vokes e la versione normale non tropicalizzata.
  • Cockpit dettagliato: composto da molte parti permette, con l’aggiunta di qualche cavetto e pochi paritcolari, una fedele riproduzione. Pannello strumenti in rilievo di buona fattura, presente a scelta anche in decal. Bella l’idea di consentire il movimento della barra (in realtà dell’ultimo pezzo e del volantino ovale, cioè quello che si muove realmente nell’aereo) per poter rappresentare coerentemente una configurazione con alettoni in movimento. Ben riprodotto nella forma anche il sedile.

wings

Cockpit details

I contro sono pochi ma significativi:

  • Dettaglio approssimativo in alcuni pezzi più piccoli: riscontrato sopratutto nei cannoni e negli scarichi che andranno sgrossati e rifiniti o ancora meglio sostituiti da aftermarket in resina o, meglio, in ottone tornito. Un pò incerto il dettaglio sulle superfici mobili.
  • Assenza dell’elica Rotol Jablo: presente solo il modello De Havilland Hydromatic in metallo. Un vero peccato anche se, fortunatamente, esiste un bellissimo accessorio della Ultracast che sopperisce alla mancanza dell’elica Jablo lignea.
  • Assenza di riscontri nelle tip alari: Il collegamento tra ala e tip  (non clipped) non ha un innesto di riscontro e sarà assolutamente necessario crearne uno per allineare al meglio i pezzi.
  • Accoppiamenti generali: Sommarie prove a secco hanno evidenziato un montaggio non semplice ma fattibile. L’uso dello stucco, e di molta attenzione durante gli incollaggi, sarà necessario.

Profili e decals.

Analizzo, ora, le decal; vero punto di forza del kit. Il foglio, in formato A5, è stampato dalla nostrana Cartograph. Siamo, a mio avviso, allo stato dell’arte delle decalcomanie per quello che offre l’odierna tecnologia. Altissima la definizione, perfettamente a registro e con colori pieni. Presente addirittura il metallizzato nelle cornici del pannello strumenti. Ridottissimo il film, sopratutto intorno alle decal circolari. Buona la dotazione di stencil.

Il foglio istruzioni ha tre pagine  a colori con quattro viste per ogni profilo. Presenti i riferimenti colore Federal Standard ed Acrilici Italeri.

DSC_4419

Esaminiamo nello specifico gli esemplari proposti:

  • VERSIONE A: Il bellissimo esemplare rappresentato sulla boxart. A seguito di ricerche si nota distintamente in una fotografia che l’aereo montava un elica Rotol Jablo, non presente nel kit. Un vero peccato, si potrà comunque facilmente sostituire con una in resina (la già citata Ultracast ne commercializza una versione ben riprodotta in scala) o, se fortunati, da un avanzo nella banca pezzi.
  • VERSIONE B: Strano errore nella didascalia del profilo. Lo squadron in questione è il n.91 (non 291) e il cognome del pilota è Oxspring (non Oxpring). Manca inoltre la bandiera di squadron leader, visibile chiaramente in una foto dell’epoca.
  • VERSIONE C: Altro bellissimo esemplare, questa volta in forza all’USAAC.  Le bandiere americane e il teschio sulla fusoliera lo rendono modellisticamente molto  appetibile. A confronto con foto dell’originale, risulta leggermente approssimativa la rappresentazione del teschio, anche se non eccessivamente errata. Assenti i tre killmark, forse perchè svastiche. Forniti anche (in decals) due dischi marrone e grigio per simulare l’obliterazione delle coccarde inglesi originali. Rimane purtroppo un grosso interrogativo su questo esemplare. Anche se non esistono foto che possano fugare completamente ogni dubbio, alcune pubblicazioni collegano il numero di serie (ER570) ad una versione Mk.Vb (fonte Supermarine Spitfire Mk.V by WojteK Matusiak – Mushroom Model Yellow Series)
  • VERSIONE D: Gli Spitfire di Malta sono un argomento controverso, da sempre. Questo esemplare viene proposto con le superfici superiori in “Non Specular Blue Gray”. Alcuni spitfire furono verniciati in blu sulle portaerei durante il trasferimento, anche si si parla di un colore più scuro (fonte “Malta Spitfire Vs – 1942: Their Colours and Markings – Osprey Pubblication).  Effettivamente in una foto l’aereo appare monocolore, in un altra è  chiaramente a due toni (forse precedente alla riverniciatura). Al modellista la scelta, le insegne sono comunque giuste.
  • VERSIONE E: Corretto nelle insegne anche se il disegno sulle istruzioni nasconde  una visibile peculiarità della verniciatura. Infatti, la linea di demarcazione del colore inferiore posta tra l’ala e il timone era vistosamente ondulata. Nelle istruzioni, la linea nera del profilo copre proprio la linea di giunzione rendendo poco leggibile il particolare.
  • VERSIONE F: Discorso analogo alla verione D. Seppur  rappresentato con livrea desertica nelle istruzioni, in una foto l’esemplare proposto è chiaramente riverniciato in monocolore ( forse il famoso blu già menzionato). Valido comunque il suggerimento precedente: le insegne sono corrette, all’appassionato la valutazione finale.

profiles

Conclusioni.

Personalmente sono favorevole alla politica dei rebox se ci dà la possibilità di acquistare un kit valido e non più in commercio (o raro da trovare) come questo Spitfire Italeri. Il nuovo foglio decalcomanie è curato e la sua qualità, come già segnalato, è più che all’altezza degli standard attuali. Forse il buon lavoro svolto sulle decalcomanie avrebbe meritato una maggiore attenzione nella ricerca storica e nella riproduzione dei profili delle istruzioni. Senza dubbio, però, i sei esemplari proposti, seppur con qualche imprecisione storiografica, sono davvero accattivanti ed invitanti.

In ogni caso mi sento di consigliare a tutti l’acquisto di questa scatola. In particolar modo i fortunati possessori del foglio decals targato Modeling Time avranno, in una comoda e unica soluzione,  la possibilità di realizzare forse il più particolare Spitfire  tra quelli in forze alla nostra aviazione militare.

Centocelle Spitfire

Buon modellismo,

Fabio “Fabio_lone” Santonocito.

Come realizzare un figurino step by step: gli Incarnati.

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La pittura di un figurino può rappresentare un’ardua sfida per un neofita, ma bastano pochi e semplici passaggi per poter ottenere dei buoni risultati sin da subito. Cercherò, per quanto è nelle mie capacità, di consigliare tutti voi partendo dalle semplici basi fino ad arrivare a pitture complesse, come araldiche o un Tartan (il classico tessuto scozzese).

 

Tartan_01

 

Frequentando vari forum ho notato che, nella maggior parte dei casi, la fase che gli appassionati trovano più complicata è la riproduzione dell’incarnato. Ora, premesso che non sono né Raffaello né Michelangelo, non esistono formule “uniche” e, io sicuramente, non sono depositario di queste.

Semplicemente proverò a spiegare come realizzo un incarnato tipo “razza caucasica”, secondo i miei gusti e la mia tecnica.

So già che alcune cose che scriverò saranno già conosciute dai figurinisti più esperti e smaliziati ma, come detto in apertura, questo articolo è indirizzato a tutti i neofiti o a coloro che si avvicina a questo affascinante mondo per la prima volta.

Ma prima….

La preparazione del pezzo:

Il pezzo, qualunque esso sia, deve essere necessariamente pulito; in questo caso specifico il busto è in resina. Può capitare che pezzi più piccoli siano attaccati allo zoccolo di colata quindi, con molta delicatezza e una lama affilata, si staccano per poi pulirli con acqua e sapone.  Nel caso il soggetto fosse in metallo, i pezzi vanno spazzolati con spazzolini di questo tipo:

Spazzolini

Anche in questo caso potrebbero esserci dei piccoli pezzi, cinture, sottogola ecc. che possono essere attaccati al canale di colata. In definitiva il processo di pulizia è identico a quello dei pezzi in resina. 

ATTENZIONE! questa operazione va eseguito a mano, e senza l’ausilio di un trapanino elettrico: correreste il rischio che l’alta velocità di rotazione della spazzola possa rovinare quei piccoli particolari che sono scolpiti sopra il soggetto, oltre che ad annerire il metallo stesso. La pulizia del pezzo, oltre ad eliminare bave di metallo, porterà via anche tutte le nocive sostanze di “fonderia”. Alla fine del processo è bene, anche in questo caso, lavare il figurino con acqua e sapone.

Prove a secco.

Le parti che compongono il soggetto vanno sempre provate a secco perchè raramente troverete riferimenti perni/fori come succede con kit in plastica; più semplicemente, nella maggior parte dei casi sui pezzi sono predisposti degli “inviti” che vi fanno capire dove posizionare i vari componenti. Allo stesso modo sarà rarissimo trovare istruzioni di  montaggio… dovrete fare riferimento alla box art!

In questo caso ho attaccato la testa ed il cappello al busto per darmi un’idea della massa che occupa il soggetto:

Soggetto intero

 

Questa operazione, che in questo caso ha un’importanza relativa trattandosi di un busto, diventa fondamentale quando si vuole realizzare il soggetto o più soggetti inserendoli in un diorama. La prova fornisce un quadro esatto della massa e del volume che i figurini occupano, e di come disporli sulla basetta.

L’INCARNATO – Croce e delizia dei figurinisti:

L’incarnato è quella parte della colorazione che più “spaventa” perché il volto è l’elemento che dà “vita” al soldatino; espressione del viso, degli occhi, soprattutto in un soggetto “dinamico”, vale un buon 60-70% del risultato finale. Personalmente parto stendendo un primer sul pezzo… e qui si apre un mondo! c’è chi usa uno smalto bianco, chi preferisce un primer grigio della Tamiya. Io, in questo caso, ho usato il Mr. Surfacer grigio 1200 perché avevo lo avevo già in casa! In ogni caso va steso molto diluito per non perdere quei piccoli particolari sul soggetto. Una sola passata ad aerografo è sufficiente, serve solo per “aggrappante”… non per stuccare. Una volta asciutto passo una base acrilica sul volto, a pennello. Oggi per fortuna ci sono diverse marche di colore, dalla Andrea alla Vallejo, alla Lifecolor ecc. che offrono delle basi incarnate già fatte ma, personalmente, la ricreo così:

Il colore base è una miscela di Terra di Siena Bruciata, Ocra Giallo e Bianco acrilici in tubetto; uso quello che ho in casa, dalla marca Pebeo alla Maimeri, spesso unendoli l’uno all’altro. L’importante è che siano acrilici. Mescolate il Bianco e l’Ocra fino ad ottenere un beige; poi aggiungete poco per volta la Terra di Siena Bruciata fino ad ottenere un colore simile alla “terracotta”, diluite molto il colore ottenuto con acqua meglio se distillata.

Alternativa: Lifecolor UA710 e UA709. Mettete il 710 (più scuro), in un piattino ed aggiungete il 709 (più chiaro) poco alla volta fino ad ottenere lo stesso risultato, più o meno.

Io mi trovo meglio con la versione a tre colori, ma è questione di abitudine. Una volta ottenuta la base, stendetela sul volto o comunque sulle parti della pelle che sono visibili, molto diluita e con più passaggi fino a coprire ciò che serve. Ho messo due busti solo perché un soggetto ha un solo occhio (sarà quello che svilupperò), mentre l’altro, essendo una prova di stamperia, manca di alcuni pezzi delle braccia ma ha gli occhi scoperti; lo userò solo per questa ragione.

a tavolozza colori:

La tavolozza dei colori ad olio che preparo è così composta:

Tavolozza_01

 

Prima riga, da sinistra: Nero Avorio, Terra d’ombra naturale, Terra di Siena bruciata

Seconda riga da sinistra: Giallo di Napoli scuro, Bianco di Titanio

Terza riga: Rosso cadmio

Poi ci sono due colori: Blu Cobalto ed un Azzurro che serviranno per gli occhi del Lanzichenecco.

Prelevate con una spatolina circa 2 cm di questi colori dai tubetti, metteteli e stemperateli su di un foglio. Ne va bene anche uno di carta da fotocopie con sotto un pezzo di carta da cucina, altrimenti correte il rischio che l’olio passi e vi sporchi il tavolo; non mettete assolutamente l’olio sulla carta da cucina, vi troverete “pelucchi” sul pennello. Lasciate i colori quanto basta perché l’olio venga, in parte, assorbito dalla carta. Questo perché a seconda del pigmento e anche della marca usata, nel tubetto ci sarà più o meno olio. Dato che la pelle è traslucida, ma non è un riflettore, se li usate “puri” il soggetto avrà una pelle lucida come se avesse usato una lozione da abbronzatura!

Un suggerimento: se conoscete un litografo potreste farvi “regalare” la carta che separa le lastre di stampa una dall’altra per non farle rovinare. In genere gli stampatori la gettano… ma per noi è oro colato. Una volta che l’olio è parzialmente assorbito, mettete i colori in un piattino e mescolateli in questo modo:

Dalla Terra d’ombra al Terra di Siena, dalla Terra di Siena al Giallo di Napoli, dal Giallo di Napoli al Bianco di Titanio. Evitate di “sporcare” con il Nero Avorio ed il Bianco di Titanio gli altri colori.

La tavolozza risulterà più o meno così:

Tavolozza_02 

Il Rosso cadmio andrà al centro e vi servirà per ottenere delle ombre medie. In questo modo avrete a disposizione tutti i colori per ottenere un incarnato e potrete, inoltre, mescolarli con delle tinte più scure per le ombre o con i più chiari per le luci. Questi colori non vanno diluiti! l’essenza di petrolio o l’acquaragia servono solo per pulire il pennello tra un passaggio ed un altro.

Gli occhi.

Da qui si inizia con la pittura ad olio. I colori ad olio possono essere “sfumati” molto bene ed è per questa ragione che li preferisco. Lo svantaggio sta nel tempo di essicazione più lungo.  Gli occhi sono fra le parti più espressive del volto umano, per cui bisogna prestare particolare attenzione alla pittura. In questo caso farò due esempi: un soggetto avrà gli occhi azzurri e l’altro neri. La rete è una validissima fonte di immagini per gli occhi e le varie parti del viso… scegliete quello che più vi piace come colore e che sia consono al personaggio; poi.. copiatelo! Come fonte di ispirazione sono ottimi anche gli occhi dei fumetti che, con tratti di matita, riescono a dare maggiore espressività.

La posizione della pupilla: riprodurre un soggetto che ha la testa girata a sinistra e gli occhi che guardano a destra (vi assicuro che ne ho visti alle varie mostre/concorsi) è, a mio avviso, orribile.

Occhi

Si inizia con la “sclera”, la parte bianca dell’occhio. Nei soggetti in misura 54 e 75 mm potete lasciare anche il colore base acrilico in quanto l’occhio ha sempre una punta di rosso dovuta ai capillari; come potete vedere in questa foto, agli angoli esterni degli occhi dei 90mm e dei busti bisognerebbe dipingerla (non fatela bianco latte poiché irreale). Personalmente mescolo del bianco con una punta di ocra, giusto per sporcarlo un pò.

Dalla tavolozza prelevate un colore ombra scuro e dipingete l’interno delle arcate sopraccigliari; poi con un ombra media le palpebre, ed infine con una riga scura simulate le ciglia.

Viso_01

Quando dipingete il colore “va tirato” dall’interno verso l’esterno, in modo che la parte più scura risulti all’attaccatura alta del naso. Ora decidete dove volete che il soggetto indirizzi lo sguardo, se lo volete fare che guarda frontalmente, dovete allineare le pupille. Il miglior sistema è quello di tirare una linea immaginaria che parta dagli angoli della bocca: fate un puntino del colore che avete deciso per gli occhi e poi poco alla volta ingranditelo. Le prime volte potrebbe essere un po’ difficoltoso, ma la pratica vale mille volte la teoria. Al limite fatta una pupilla (ad esempio la sinistra), potreste capovolgere il soggetto e fare l’altra, un po’ macchinoso, ma funziona. Se volete, mettete un punto di luce decentrato per dare vita agli occhi. Notate bene che nei soggetti in grande scala andrebbe SEMPRE fatto.

Pupille

Qui nel Lanzichenecco ho optato per una colorazione di occhi azzurri, essendo questi soldati mercenari dei tedeschi. Il colore ad olio usato è un “blu cobalto” schiarito con poco bianco per l’iride; per la pupilla lo stesso blu, ma con una punta di “Nero Avorio”.

Con del “rosso cadmio” ho simulato l’interno arrossato, verso il naso.

Nel post “Teoria del colore” (che trovate cliccando QUI!, avevo scritto di come, dato un colore base, si possano “vedere” le sue ombre e le sue luci, naturalmente tra l’ombra massima e il colore base ci sono altre ombre (medie), come così tra le luci massime (alte luci) ci sono luci medie.

Occhi Lanzi

In attesa che asciugasse ho cominciato a definire le zone d’ombra, le luci e le rughe sul volto. Le zone per ombre in generale sono otto il mento, il collo eccetto la zona del pomo di Adamo, destra e sinistra del setto nasale fino alle narici, all’interno delle stesse, contorno delle labbra, interno e retro delle orecchie. Se il vostro soggetto ha un cappello con visiera che copre in linea il volto, sarà da prevedere anche queste zone.

Dalla tavolozza, le rughe con una tonalità ombra scura, le ombre con una tonalità media. Le zone luce, in generale, sono il setto nasale, le narici stesse, gli zigomi, le labbra, la zona in primo piano del pomo d’Adamo. Tutte queste tonalità ombre/luci, le trovate nella tavolozza che avete fatto all’inizio, basta pescare il colore adatto.

L’incarnato.

La carnagione è diversa per ognuno di noi: uno svedese non avrà lo stesso tipo di tonalità di un latino… questo è poco ma sicuro! Dato per scontato che nessuno di noi ha uncolor “rosa porcellino”, iniziate a prelevare, sempre dalla famosa tavolozza, una tonalità media. Da qui dipingete il volto poco alla volta tenendo presente che il colore parte sempre dalle zone ombra e va “tirato” verso le zone di luce.

Pelle_01

A questo punto bisogna giocare con le ombre e le luci fino ad ottenere la carnagione desiderata; fate attenzione che non sembri uno di quei bambolotti in ceramica. In questa fase, purtroppo, non esistono mescole di colore definite, bensì bisogna “pescare” dalla tavolozza ed eventualmente provare mescolando più o meno fra loro i colori presenti.

La barba:

Essendo un lanzichenecco, e provenendo dalle regioni svizzere/germaniche, ho deciso di fare la barba e i capelli biondi.

Barba 

Colore Base: Ocra Gialla in acrilico.

Colore Olio:

Base: Ocra + Giallo di Napoli scuro

Ombre: Terra d’ombra naturale più una punta di nero avorio.

Luci: Giallo di Napoli più Bianco Avorio.

Il mantello.

Mantello

Base Rosso Acrilico

Colore olio:

Base: Lacca di garanza rossa.

Ombre: Bruno Van Dick più una punta di terra ombra naturale e una punta nero avorio.

Luci: Lacca di garanza più arancio (schiarendo il colore via, via con l’arancio).

Damascato: Blu Madonna profilato con blu imperiale e rombi in giallo ocra.

La camicia e la benda sull’occhio.

Camicia

Il bianco della camicia e della benda sull’occhio: Base Acrilico: Bianco titanio + Ocra gialla + una punta di Verde Smeraldo.

Colori ad olio:

Base: Bianco titanio + Ocra gialla.

Ombre: Terra d’ombra scura + una punta di nero avorio.

Luci: Bianco Titanio + una punta di Azzurro.

Alte luci: Solo Bianco titanio.

Medaglione e fregio sul cappello.

La catena, la corona del medaglione e il fregio sul fronte del cappello sono in acrilico oro della Citadel; le ombre fra gli anelli sono in terra d’ombra scura ad olio.

Le luci sono in oro, ma inchiostro tipografico.

L’interno del medaglione è in verde smeraldo acrilico con quei quattro “rettangoloni” in rosso lucido sempre acrilico.

Spalla destra.

Spalla dx

Base acrilico: Blu Madonna

Colori ad olio:

Base: Blu Madonna

Ombre: Blu imperiale

Luci: Azzurro Cielo

 Cappello e piume.

Cappello

Il cappello è in cuoio un po’ consumato.

Base acrilico Terra di siena bruciata + una punta di nero avorio

Colori ad olio:

Base: Terra di siena bruciata + Terra d’ombra naturale

Ombre: Terra d’ombra scura +  una punta di nero Avorio

Luci medie:  Terra di siena bruciata + una punta di Arancio

Alte luci : Giallo di Napoli e via via schiarito con pochissimo Bianco di Titanio

Piume.

Le rosse:

Base Acrilico: Rosso opaco medio

Colori ad olio:

Base: Rosso carminio medio

Ombre: Rosso carminio medio + una punta di Terra d’ombra scura

Luci medie: Lacca di garanza + una punta di arancio

Alte Luci: Arancio

La blu:

Base Acrilico: blu oltremare

colori ad olio:

Base: Blu imperale + una punta di grigio Payne

Ombre: Grigio Payne + una punta di nero Avorio

Luci: Blu Madonna

 

Finale_02

Finale_01

 

Non perdete i prossimi tutorial!

Un saluto a tutti. Luca “Warthog” Anelli.

 

 

 

Italians Do It Better! Spitfire Mk.IXc dal kit Eduard in scala 1/48.

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Potrei parlarvi della sua storia ,delle leggendarie battaglie ,degli assi che lo hanno pilotato, della poesia del suo raccordo Karman o dell’eleganza delle sue ali ellittiche ..ma …non lo farò! Dello “Sputafuoco” britannico si è parlato molto. Sono state scritte fiumi di pagine, scattate migliaia di foto. E’ stato studiato, sviscerato ,smontato dal primo all’ultimo rivetto .Posso io , piccolo ed insignificante modellista, competere con tutto ciò e darvi un’ idea di uno dei più eleganti e prestazionali aerei della Seconda Guerra Mondiale?? Certo che no.

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Per questa volta, quindi, salterò la solita l’introduzione storica e parlerò subito della nostra amata plastica… in fondo è una macchina che non ha bisogno di presentazioni!

Il modello:

Allo stesso modo, potrebbe benissimo non aver bisogno di presentazioni il kit da me utilizzato: lo Spitfire mk IXc 1/48 della Eduard, in versione Profipack. Immesso da poco sul mercato, questo kit è probabilmente la scelta migliore per riprodurre un Mk. IX: linee e dimensioni ben rispettate, bordi di uscita dell’ala e dell’elica sottilissimi, cockpit dettagliatissimo (quasi all’altezza del relativo aftermarket Brassin in resina) e, infine, superfici di governo orientabili. Se avesse avuto in dotazione anche il motore (come nella scatola profipack del Bf.109 E) sarebbe stato davvero il kit perfetto!

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La mia intenzione iniziale era di riprodurre un esemplare inglese così come proposto sulla box art.  Poi, però, spinto dai ragazzi della community, ho optato per uno Spitfire in forza nella nostra aeronautica.

Il montaggio:

Sul montaggio c’è veramente poco da dire… mi è bastato agitare la scatola ed il kit è andato a posto da solo!
A parte gli scherzi, questa volta dimenticate grandi lavori di scratch-building. Come vi ho già detto il cockpit è già dettagliatissimo, e le fotoincisioni comprese  danno un ulteriore tocco di realismo che non guasta mai. L’intervento più importante è stato aprire i fori del rack per le cartucce dei razzi segnalatori posti alla base del sedile. Una volta montato tutto, pareti laterali comprese, potete anche accantonare la bellissima vasca del “pit” e passare alla fusoliera (l’abitacolo potrete, poi, inserirlo comodamente dal basso).

Mi raccomando, fate sempre qualche prova a secco prima di incollare tutto! Anche un piccolo errore di montaggio potrebbe creare problemi che potevano essere risolti con una semplice limatura delle pareti laterali. Per completezza di informazione, il colore usato per gli interni è un mix di 60 gocce di Verde F.S.34227 (Gunze H-312) più 6 gocce di Medium Sea Grey XF-83 Tamiya.

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Le semi fusoliere si allineano bene e senza fatica; stesso discorso per la cofanatura motore superiore e inferiore del Merlin, forse già separati in vista dell’eventuale utilizzo dell’aftermarket dedicato al propulsore. Anche in questo caso prestate particolare attenzione agli allineamenti:evitando un eventuale lavoro di carteggio sul cofano,salverete i dettagli in rilievo presenti su tutta la zona.

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Passiamo poi alle splendide ali, caratteristica inconfondibile dell Spit. Le loro estremità, come per il cofano motore, sono da montare a parte poiché il kit offre la possibilità di realizzare anche la variante “Clipped Wing” – con terminali alari tronchi. Gli Spit Mk.IX forniti all’A.M.I. avevano tutti le estremità ellittiche che ho montato nella loro sede senza particolati problemi . La scomposizione del vano carrelli è, a mio avviso, eccessivamente cervellotica ma immagino che la Eduard abbia avuto i suoi buoni motivi facendo questa scelta. Per questo motivo bisogna prestare molta attenzione durante il montaggio dei pezzi,  soprattutto nell’innesto dei carrelli con le ali. Attenzione!

A questo punto la fusoliera è pronta… le ali anche…. basta unire il tutto per ottenere uno Spitfire! la degna conclusione di un montaggio facile e veloce passa, però, dal raccordo Karman (il raccordo ala/fusoliera). In tutti i kit dedicati al caccia inglese è questo il punto più debole e che necessita di maggiori attenzioni ma, anche in questo caso, con poche prove a secco e allineamenti mirati l’uso dello stucco si riduce praticamente a zero. Altro punto a favore nella scala della qualità dello stampo Eduard. Un vero gioiello!

karman

montato

 

Cosa manca ora? I trasparenti! Nel kit trovate sia una versione con la parte scorrevole separata dalla cupolino posteriore fisso, sia una versione stampata in un sol pezzo se preferite tenere il cockpit chiuso. Personalmente ho deciso di lasciarlo aperto..un vero peccato nascondere tutto quel bel vedere! Prima del fissaggio, ho bagnato i trasparenti nella famosa cera Future per donare lucentezza e proteggerli dai fumi della colla cianoacrilica. Per chi non lo sapesse, la Future è cera per pavimenti venduta principalmente in America, ma reperibile anche in negozi di modellismo online, visto il largo uso che se ne fa nel nostro ambito (ovviamente ad un costo maggiore). L’equivalente migliore  reperibile in Italia è la Livax 100 Carati.

Per quanto riguarda il montaggio di quest’ultimi..beh ,vale quanto detto per il resto del modello. Lo stucco è rimasto silente sul suo scaffale. La mascheratura dei vetrini è stata un gioco da ragazzi, grazie alle comode Express Mask adesive e pre-tagliate già fornite.

La verniciatura:

A questo punto è tutto pronto .Spostate la levetta del compressore su “ON” e.. mano all’aerografo!

Come detto qualche riga sopra, per questa volta niente pre-shading o post-shading. Non ci sarà nemmeno bisogno di impazzire nel trovare la tinta giusta dell’Ocean Grey! Per ottenere un ottima resa, praticamente uguale al vero, basteranno solo due vernici: smalto Humbrol 21 Nero Lucido e, rullo di tamburi, Alclad White Alluminium!

nero

Qual è lo scopo del nero lucido?

Più di uno: oltre a fornire una base liscia, splendente ed uniforme grazie al suo potere auto livellante ed alla sua lentissima asciugatura, il fondo scuro dona maggiore profondità e brillantezza al metallizzato che vi si aggrapperà sopra. Trascorsi tre giorni per l’asciugatura dell’Humbrol (il modellismo è fatto anche di attese e pazienza!), tocca finalmente all’Alclad…senza dubbio la scelta migliore per finiture metalliche . Il colore è già pronto per l’uso e non occorre diluirlo. Unica precauzione, quando adoperate questi tipi di colore indossate sempre mascherine con filtro e lavorate in ambienti ventilati!

colore 1

colore 3

colore 2

Pongo, ora, l’accento sul pannello antiriflesso,ossia quella zona anteriore al blindovetro dipinta in verde scuro opaco per evitare che un riflesso del sole disturbi la visuale del pilota. Osservando le foto del velivolo reale con le nostre insegne ,noterete che tale pannello può assumere forme diverse in prossimità del cockpit. In questo caso particolare, dovrete verniciare quasi fin sotto il frames del vetro frontale vero e proprio,lasciando solo una sottilissima striscia in alluminio. La parte in rosso nella foto sottostante indica la zona da colorare:

antiriflesso

Detto questo,la verniciatura vera e propria si può definire conclusa. Facile eh?? Effettivamente l’ottima qualità del kit e la semplicità della colorazione lo rendono un ottimo modello da “decompressione”… pregio che fino a poco tempo fa era a appannaggio dei solo Tamiya o di qualche Hasegawa ben riuscito. Completata, quindi, questa fase, ogni dubbio riguardo l’Alluminata è svanito. Indubbiamente la mimetica continentale ha il suo fascino, ma la finitura metallica sposa perfettamente con le pannellature e i rivetti finemente incisi del kit Ceco esaltandone ogni minimo particolare!

Fasi finali:

Ho scelto di rappresentare uno Spitfire Mk.IXc del 155° Gruppo, 51°Stormo ,caratterizzato da uno spicchio nero sull’ogiva dell’elica.

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Una volta applicate le decalcomanie, gli interventi di “weathering” si limitano al sopra citato lavaggio ad olio eseguito con un grigio molto scuro (Nero più Bianco d’Avorio diluiti con acqua ragia) ed alla riproduzione ad aerografo dei fumi delle mitragliatrici e degli scarichi motore. Mentre i primi saranno appena accennati, i secondi saranno abbastanza pesanti e mirati alla riproduzione di un colore tendente al nocciola. Questo perché i motori dei nostri Spit erano già stati ampiamente sfruttati  nel corso del Secondo Conflitto Mondiale, per cui le infiltrazioni di olio nelle camere di combustione erano all’ordine del giorno. La verniciatura dei fumi è stata eseguita con pressioni bassissime del compressore e con il colore diluitissimo, circa 80-90% di diluente, in modo da procedere con velature leggere e controllare meglio l’effetto che pian piano si definisce.

Generalmente a questo punto vi direi di passare l’opaco e mettere il modello in vetrina. In questo caso, al contrario, vi sconsiglio di farlo.
Opacizzando il metallizzato, infatti ,vi ritrovereste uno Spit in grigio chiaro. Molto meglio una finitura finale semi-lucida ottenibile mescolando al 50% l’X-22 Clear Tamiya e l’H-20 Flat Clear Gunze. Così facendo non perderete l’effetto metallico e, allo stesso tempo, non attenuerete neanche gli effetti usura.

Ora si… il modello è, finalmente, concluso!

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Spero di non avervi annoiato troppo con questo Spitfire tricolore praticamente costruito da scatola. Di certo non è colpa mia se la Eduard ha tirato fuori dal cilindro un kit che si monta praticamente da solo!

Ringraziandovi per l’attenzione , saluto e auguro a tutti..Buon Modellismo!!

Leonardo ‘thunderjet’ F.

 

Jordan 191 dal kit Tamiya in scala 1/20. Seconda Parte.

SECONDA PARTE DELL’ARTICOLO! la prima parte la trovate QUI!

Ora si può iniziare la verniciatura: per prima cosa do un paio di mani leggere di fondo, un semplice bianco satinato Humbrol.

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Poi inizio col verde Emerald Green n°2, sempre Humbrol, passandone alcune mani leggere e poi un paio più “pesanti” (bagnate) per formare uno strato uniforme e liscio. Questi strati “pesanti” vanno dati al limite della colatura del colore cercando di non esagerare e combinare qualche disastro! Anche se le vernici sintetiche impiegano molte ore per asciugare, ho proceduto stendendo  una mano pesante e poi, dopo pochi minuti, ho aerografato un nuovo strato ….è un “gioco”  pericoloso ma se viene bene si ottiene una superficie lucida e liscia che necessita di pochi interventi di lucidatura ad essiccazione ultimata( a meno di trovare i soliti “pelucchi” che, se visti in tempo, è a volte possibile rimuoverli prima che la vernice “tiri”. Se il pelucco salta fuori dopo l’asciugatura si utilizzano le solite carte abrasive fini, e finissime, e il compound Tamiya).

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Decido di non utilizzare le decals blu per la carrozzeria, ma di mascherare e verniciare direttamente usando French Blue n°14. Per precauzione faccio asciugare molto bene la mano pesante di verde per non correre rischi con il nastro Tamiya; nel frattempo mi dedico al motore.

Dopo la mano di primer, do il nero satinato e poi secondo le indicazioni Tamiya e le referenze fotografiche applico gli altri colori, Alluminio e Gun Metal  in particolare. E’ molto difficile mascherare il blocco motore/cambio per lasciare le parti che devono restare nere, per cui decido di fare a pennello (lo smalto Gun Metal, date le superfici limitate, viene steso comunque molto bene). Per l’Alluminio applico l’Humbrol Metalizer a pennello asciutto, o meglio (come dico io ) “quasi asciutto” così che possa coprire con un velo leggerissimo senza far vedere le pennellate che con i colori metallici sono sempre  in agguato.

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Le parti nere satinate vengono esaltate con un paio di grigi a pennello asciutto, mentre sul blocco motore applico una lavaggio con una miscela di nero e marrone cioccolato per simulare lo sporco dell’olio (pochissimo) ed accentuare le varie nervature e sotto squadri dei pezzi.

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Infine vernicio i vari attacchi delle sospensioni, e i connettori idraulici, con blu e rosso metallici e oro.

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Le scritte sui coperchi delle valvole sono evidenziate con argento a pennello asciutto.

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Vernicio di nero semilucido la parte bassa del cassoncino d’aspirazione e poi passo un mix di oro, nero e marrone molto diluito e lasciando che si vedano i “puntini” dorati per simulare la fibra di carbonio. Dettaglio i connettori con oro, blu e rosso metallici. Passo una mano di argento a pennello “quasi” asciutto sui tromboncini d’aspirazione.

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Passiamo agli scarichi:  dopo il primer e il nero semilucido, stendo ad aerografo il Polished Aluminium Humbrol Metal Cote e, successivamente, con oro trasparente, blu trasparente  e nerofumo (nero satinato + marrone cioccolato), simulo il surriscaldamento delle varie sezioni.

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Vernicio gli ammortizzatori posteriori (in gran parte auto costruiti) secondo le istruzioni Tamiya e le referenze fotografiche.

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A questo punto ho tutto pronto per finire il motore, e procedo ad assemblare tutti i pezzi: coperchi delle valvole, centraline, bobine, ammortizzatori, sospensioni, scarichi, la carrozzeria a carenatura del cambio, semiassi, porta mozzi, barra antirollio, scudi termici fra motore e scarichi, cassoncino d’aspirazione. Inserisco, inoltre, anche alcuni cablaggi: ad esempio quelli fra le testate e il serbatoio dell’olio e fra i radiatori olio cambio e la fusione del cambio. Questi radiatori erano stati dettagliati in precedenza con raccordi Modeler, e sono quelli che vedete assemblati sulle carenature blu del cambio.

Ed ecco il risultato finale, anche se a dire il vero mancano ancora parecchi cablaggi che realizzerò successivamente:

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Il verde è ora ben asciutto e, avendo scartato l’ipotesi di usare le decals blu, preparo le mascherature usando una fotocopia delle decals da cui ricavo delle sagome. Su di esse applico il nastro Tamiya che ritaglio a misura…

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…e che, in un secondo momento, riporto sul telaio e sul cofano motore. A proposito, sul cofano motore non uso la dima ma, essendo la linea di divisione fra verde e blu una semplice linea dritta, la traccio seguendo le referenze fotografiche.

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Nell’alettone anteriore c’è una linea verde chiaro che dovrebbe essere realizzata con una decal; decido, invece di verniciarla, dato che una decalcomania si sarebbe adattata con difficoltà alle varie curvature del profilo dell’ala. Quindi maschero e spruzzo. La parte inferiore non serve mascherarla… andrà poi verniciata di nero.

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Maschero, quindi, tutto il telaio per dare il nero satinato con successiva finitura in oro, nero e marrone per simulare la fibra di carbonio.

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Qui si vedono le parti basse delle fiancate con gli scudi termici realizzati con nastro adesivo di alluminio comprato da un negozio di accessori per automobili.

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Vernicio il fondo piatto con la solita procedura: primer, nero satinato, oro/marrone/nero satinato a simulare la fibra di carbonio, e due toni di grigio a pennello asciutto. Poi realizzo gli scudi termici con nastro adesivo di allumino facendo prima della sagome di carta.  Infine, con dei listelli di Plasticard opportunamente sagomati, creo delle aree di incollaggio, come dire – “maggiorate”, per facilitare l’assemblaggio e la tenuta fra telaio e fondo piatto (in questo modo si evita che la colla debordi sulle parti già verniciate).

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Come ho già detto, auto costruisco le cinture di sicurezza che erano in origine stampate sul sedile  e che avevo rimosso. Le faccio con cerotto di seta (venduto in farmacia) che è bianco e si può facilmente verniciare del colore necessario. La tessitura propria di questo cerotto simula bene la trama delle vere cinture; le fibbie sono fotoincise. Per realizzarle e dipingerle è indispensabile mettere il cerotto su una piastra di vetro anche per non perdere il potere adesivo.

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Le assemblo al sedile, simulo le cuciture a pennello, e dettaglio con il tubo dell’aria medica fatto con sottile cavo blu e con un ago come connettore. Nelle foto si può anche vedere il dettaglio del cruscotto e il filo elicoidale (realizzato con cavo elettrico) che va al volante.

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Decido di rifare i tiranti dello sterzo perché quelli della scatola sono un po’ grossolani e perché avendo auto costruito la flangia di attacco del triangolo superiore della sospensione anteriore, non sarebbe possibile utilizzare i pezzi da scatola. Il tutto utilizzando ,come al solito, fissaggi tramite aghi e quindi senza colla.

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Dopo aver dato il nero sotto al musetto, riproduco con filo di rame questi tiranti secondo le referenze fotografiche. I relativi innesti non sono direttamente nella plastica, bensì ancorati in due spezzoni di ago a misura  per migliorarne e la tenuta.

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Vernicio, sempre in base alle referenze, l’asta di rinvio del cambio ricostruita che sarà fissata da una parte al telaio, e dall’altra alla scatola del cambio negli alloggiamenti che avevo già predisposto.

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Realizzo con Plasticard il filtro dell’aria e lo vernicio secondo la documentazione.

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Ci avviciniamo alla fine!

Faccio le prove a secco mettendo insieme telaio, gruppo motore/cambio/sospensioni posteriori: tutto si assembla alla perfezione e dalla Tamiya non potevo aspettarmi niente di diverso! anche le varie parti riprodotte “in scratch” non danno problemi.

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Assemblo definitivamente le parti inferiori delle pance laterali, il motore/cambio e i  radiatori; prima di incollare il telaio monto anche le sospensioni anteriori con i relativi gruppi porta mozzi/freni, e inizio ad applicare alcune decal.

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Piccola nota tecnica: molti modellisti di auto di F1 solitamente passano il trasparente sopra le insegne. Personalmente non lo faccio mai semplicemente perché, nella realtà questo, non avviene; tutte gli adesivi sono applicati direttamente sulla carrozzeria e per ovvie ragioni di peso non vengono sovra verniciati.

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Nelle paratie laterali dell’alettone posteriore, a livello del bordo d’entrata del profilo più alto, è stato inserito, prima di verniciare, un piccolo spezzone di ago. Stessa operazione è stata eseguita anche sul cofano motore davanti e al di sotto del logo “Ford” (si possono vedere nelle foto sopra). Questi saranno i punti di attacco di un paio di tiranti che servivano per stabilizzare l’alettone e che vedrete nelle foto del modello finito. Decido di non usare le decalcamanie per le scritte “Goodyear” e “Eagle” sugli pneumatici, ma di riprodurre le scritte come nella realtà… cioè aerografandole tramite l’uso di queste fantastiche mascherine in metallo fotoinciso! Le ruote sono poi ulteriormente particolareggiate con due grigi a pennello asciutto. A seguire, appongo le decal e qualche “sgrenzatura” fatta con piccoli e dosati tocchi di Metallic Grey da pennarello Tamiya nelle parti più esposte a sfregamenti. Aggiungo le valvole aria in metallo tornito (aftermarket) e aggiungo a pennello, a mano libera, le scritte secondo le foto della monoposto reale.

Carteggio con grana 400 il battistrada degli pneumatici per simulare l’abrasione della pista.

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Siamo ormai pronti per l’assemblaggio finale. A questo punto, avendo tutti i componenti e i sottogruppi finiti, basta metterli insieme ed ecco cosa viene fuori:

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Il dettaglio delle centraline lato di sinistra…

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…e del lato di destra, in entrambe le foto si vedono, tra l’altro, i “chiodini” fatti con gli aghi che tengono le carenature sopra i radiatori (dove scorrono i cablaggi) e che assumono l’aspetto di rivetti.

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Foto col cofano motore montato, per via di tutte le parti aggiunte non si ha una perfetta chiusura per cui non si riesce ad ottenere un allineamento ottimale fra i fregi della livrea.

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Ed ora i dettagli.

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Qui il tirante dell’alettone posteriore lasciato lento com’era quando la vettura veniva lasciata senza cofano motore. E’ fatto così: spezzone di ago posizionato nello spessore della paratia laterale dell’alettone prima di verniciarla, piccolo occhiello di filo di rame incollato dentro con epossidica bicomponente per evitare i pericoli del cianoacrilato sulla vernice, cavo di rame da 0,15 mm e capocorda con ago da 0,6mm. Stessa lavorazione per l’altra estremità.

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Antennina con filo di rame da 0,15mm, pallina con epossidica bicomponente, “vitine” di fissaggio del pannello con chiodini fatti con i soliti aghi.

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Le ruote.

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Il gruppo motore cambio e la meccanica posteriore.

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E’ stata un gran fatica ma penso che il risultato finale ricompensi di tutto l’impegno e il tempo dedicato a questo bellissimo modello.

Un saluto e buon modellismo a tutti!  Paolo “F14″ Benacci.

Jordan 191 dal kit Tamiya in scala 1/20. Prima Parte.

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La Jordan 191 è stata la prima F-1 costruita dalla Jordan Gran Prix partecipando alla stagione 1991 di Formula 1. La vettura fu progettata da un gruppo di tre specialisti capitanati da Gary Anderson quale responsabile. Cinque piloti si alternarono alla guida nell’arco delle sedici gare della stagione, e fra questi Andrea De Cesaris fu l’unico a prendere parte a tutte le gare nonostante l’eliminazione nelle pre-qualifiche nel GP di Phoenix (gara di apertura del Campionato). Andrea De Cesaris ottenne anche il miglior piazzamento stagionale per il team con il quarto posto sia nel GP del Canada, sia in quello del Massico. Bertrand Gachot conseguì, come miglior piazzamento della sua breve stagione, un quinto posto ad appena 2 secondi da De Cesaris. La stagione di Gachot fu, comunque, breve a seguito di una condanna a due mesi di reclusione per aver aggredito un tassista a Londra.

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Altri tre piloti presero il posto di Gachot nelle ultime sei gare della stagione: Alessandro Zanardi, Roberto Moreno e Michael Schumacher. Quest’ultimo fu una rivelazione nella sua unica gara disputata con la Jordan, nel GP del Belgio, qualificandosi sorprendentemente al settimo posto nella griglia di partenza; De Cesaris ottenne solo l’undicesimo posto. Purtroppo la frizione tradì Schumacher alla partenza obbligandolo al ritiro. Il pilota tedesco firmò, in seguito, per la Benetton e questo portò ad una vertenza legale fra la Jordan e la stessa scuderia. Gachot disputò altre due gare prima di essere sostituito dall’esordiente Alessandro Zanardi nelle tre gare finali della stagione. Due noni posti furono i risultati migliori conseguiti da quest’ultimo sostituto di Gachot.

Nella sua prima stagione di Formula 1, la Jordan 191 terminò il campionato al quinto posto totalizzando, complessivamente, tredici punti. La vettura vinse anche  il premio come Auto Da Corsa dell’Anno 1991.

Il modello:

Si studiano come al solito le istruzioni, si staccano i pezzi, si fanno le prove a secco e si pianificano gli interventi di super dettaglio. Decido di iniziare dal gruppo motore/cambio: nei coperchi della valvole sono integrati i due spinterogeni ma sono incompleti e opto per rifarli secondo le referenze fotografiche; a tale scopo utilizzo spezzoncini di ago da 0,8mm e una striscetta di piombo ricavata dallo schermo di protezione per le lastre radiografiche. Questi piccoli rettangoli di piombo dallo spessore di 0,1 mm sono utilissimi nel modellismo, chiedetele al vostro dentista, tanto normalmente vengono buttate via dopo aver sviluppato la radiografia. Bene… a parte la divagazione, noterete che ho anche aggiunto un paio di connettori per l’impianto idraulico fatti semplicemente con cavo di rame e spezzoni di ago, ed ecco il risultato:

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Il gruppo motore/cambio necessita di parecchie modifiche per renderlo più rispondente al vero; la Tamiya ha scelto una scomposizione dei pezzi abbastanza inconsueta soprattutto per l’attacco del triangolo inferiore della sospensione posteriore che, se assemblato come da scatola, risulta assolutamente non fedele all’originale. Anche gli altri attacchi dei vari componenti delle sospensioni, della carrozzeria e degli ammortizzatori posteriori sono inadeguati, per cui decido di riempire i vari fori con del tondino di Plasticard e realizzare innesti diversi e più adeguati con filo di rame da 0,5 mm. Anche gli attacchi degli ammortizzatori sono assai grossolani e mancanti di entrambe le flange interne che ho realizzato col solito Plasticard.

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Il cambio manca del tutto delle  nervature di rinforzo che realizzo con filo di rame da 0,4 mm. Completano il gruppo motore/cambio alcuni connettori degli impianti idraulici e di lubrificazione realizzati con cavo di rame e aghi di diverso diametro. Ecco le foto che penso siano molto più eloquenti di tutte le spiegazioni:

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Ho modificato anche l’assemblaggio delle placche di supporto dei tromboncini d’aspirazione per renderle a incastro (e senza uso di colla), aggiungendo due semplici spezzoni di cavo di rame da 0,5 mm.

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Ho separato e rimontato i tubi di scarico stampati a due a due dalla Tamiya per ottenere un miglior realismo; le linee di saldatura sono realizzate con sprue filato su una candela. Ho creato quello che dovrebbe essere un dissipatore di calore nella parte terminale realizzato con filo di rame da 0,3mm e, infine, ho realizzato il terminale in tubo di Plasticard. Questo terminale nel modello è integrato nel fondo piatto ma, così fatto, è molto poco realistico. Con l’aiuto delle referenze fotografiche ho tirato via il terminale sul fondo piatto e l’ho ricostruito come nella realtà, la foto chiarisce tutto:

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Le centraline presenti già stampate sulle carenature dei radiatori sono da eliminare e rifare con Plasticard, aghi e lamierino d’ottone da 0,1 mm; tutto ciò ha migliorato il realismo e mi ha permesso di ricreare, tra l’altro. i connettori dei cablaggi:

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Con tondino di Plasticard e lamina di piombo delle lastrine Rx ho realizzato questa tubatura (che sarà molto evidente nel modello terminato) passante sopra la bancata sinistra dei cilindri (particolare dimenticato dalla Tamiya). Ho aggiunto, inoltre, l’asta di rinvio del cambio:

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Ho eliminato e ricreato le astine di rinvio della barra antirollio posteriore…

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… e deciso di non utilizzare  la centralina e le due bobine da porre fra motore e cambio fornite nel kit, bensì di realizzarle ex novo col solito Plasticard, aghi e lamierino d’ottone. Ecco il pezzo autocostruito con accanto quello del kit.. la differenza è evidente!

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Ho realizzato questi connettori che andranno sul coperchio delle valvole destro con i soliti aghi e lamierino d’ottone.

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Ho chiusi, col Plasticard, i buchi sulle carenature dei radiatori dove avevo asportato le tre centraline in precedenza auto costruite. Potete anche vedere gli spezzoni di ago per fissare ad incastro le carenature al telaio.

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Ho dettagliato con aghi, che fungeranno da connetori per i cablaggi, i serbatoi del gas per gli ammortizzatori posteriori, e inserito il solito spezzone di rame da 0,5 mm per il loro fissaggio ad incastro al cambio.

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Nella vettura originale erano presenti due scudi termici tra blocco motore e scarichi che, ovviamente, non sono presenti nel kit. Dalle documentazione questi scudi sono fogli di metallo con una tessitura come un “bugnato” fine che assomigliava tanto a quella presente in un tipo particolare di foglio di piombo che le ditte produttrici mettevano in alcune lastrine per radiografie endorali. La scala, effettivamente, non è del tutto rispettata ma l’aspetto è molto simile al vero. La parte superiore (una piccola striscia) dove erano unite al blocco motore era, invece, liscia. Per il fissaggio decido ancora di non usare colla ma i soliti pernini fatti con ago (da anestesia) di 0,3mm, ecco il risultato:

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I porta mozzi posteriori sono da modificare poiché la vettura di Schumacher era dotata di prese di raffreddamento dei freni a periscopio e non basse e piccole come fornite nel kit. Da notare anche il piccolo tondino forato per l’attacco ai bracci inferiori della sospensione fatto con i soliti aghi da siringa di 0,7 mm. La presa d’aria è realizzata con Plasticard dopo aver realizzato una sagoma, prima in acetato e poi in cartoncino.

Nella prima foto i pezzi originali e, a seguire, la modifica.

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I porta mozzi anteriori devono essere migliorati chiudendo la presa d’aria e sostituendo l’attacco del braccio superiore del triangolo della sospensione e del tirante dello sterzo che la Tamiya ha realizzato in modo errato; la foto spiega tutto.

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Più in basso i bracci inferiori della sospensione posteriore e i semiassi con le modifiche per l’assemblaggio a incastro coi soliti perni:

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Un paio di raccordi che andranno nel gruppo motore cambio:

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Gli ammortizzatori posteriori del kit sono inadeguati, stampati in un pezzo unico che comprende sia la molla, sia l’ammortizzatore, con un attacco al cambio assolutamente non corrispondente al vero. Sul cambio avevo già rifatto gli attacchi per cui decido di autocostruire tutto il pezzo con plasticard e filo di rame per la molla; lo stelo è realizzato con filo di rame e un ago da 0,8mm. Si vedono anche il connettore per il circuito a gas dell’ammortizzatore e l’ago da 0,8mm che servirà come attacco del pezzo al cambio.

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Qualche dettaglio aggiunto sulla base del cassoncino d’aspirazione, i tubi in cavo di rame e i connettori sul serbatoio olio posto sopra il cambio.

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la Tamiya nella scala 1/20 solitamente esclude diversi particolari che devono, necessariamente, essere rappresentati. Fra tutti quelli che avete visto prima e che vedrete anche in seguito, ci sono i tubi dei radiatori principali che ho ricostruito in Plasticard e lamina di piombo da 0,1mm per i manicotti e le fascette; si vedono anche i perni di fissaggio dei radiatori al fondo piatto realizzati con filo di rame da 0,5mm.

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Altre parti mancanti sono due carenature poste alla fine delle prese d’aria per i radiatori che hanno anche una canalina per il passaggio di alcuni cablaggi. Le ho realizzate, secondo le referenze fotografiche, con lamierino di ottone da 0,1mm.

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Sostituisco i pessimi attacchi della parte di carrozzeria che carenerà il cambio con un paio di tondini di rame da 0,5 mm. Nelle piccole aperture che vedete andranno alloggiati due radiatori dell’olio del cambio che dettaglierò con connettori in scala prodotti dalla Modeler’s. Di questa elaborazione non ho foto ma si potranno vedere i pezzi finiti e assemblati nelle foto di dettaglio del gruppo motore/cambio.

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Il sedile ha le cinture di sicurezza già stampate ma, poichè le rifarò completamente, le elimino dal pezzo. Ecco il sedile “ripulito”:

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Due foto del fondo piatto dopo aver eliminato i terminali di scarico e tappato i fori per l’incollaggio dei radiatori.

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L’abitacolo dettagliato con gli attacchi delle cinture di sicurezza fatti in rame e aghi.

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Nella parte posteriore del telaio, nella zona del bocchettone di rifornimento, mancano parecchi particolari che auto costruisco con Plasticard, rame, e aghi. Nelle foto mancano i vari connettori che sono in parte riprodotti in “scratch” e in parte derivati dai raccordi della Modeler’s. Questi ultimi particolari saranno visibili solo nelle foto del modello finito. Taglio via anche il Rollbar per poterlo verniciare meglio e, soprattutto, per dettagliarlo con i rivetti mancanti realizzati in filo di rame.

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Buon modellismo a tutti. Paolo “F14” Benacci.

Legno e tela… poco più delle ali di Icaro – Bristol F.2b dal kit Wingnut Wings in scala 1/32.

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Girovagando nella rete mi sono imbattuto nel sito della casa produttrice Wingnut Wings e, scorrendone le pagine, sono rimasto rapito dalla bellezza senza tempo dei biplani presenti nel loro catalogo. Ogni aereo è un piccolo gioiello, riprodotto in ogni minimo particolare dai tecnici. Il fondatore della società è Sir Peter Jackson, famoso regista del Signore degli Anelli. E’ anche un grande appassionato di storia della Prima Guerra Mondiale e, tra le altre cose, possiede una società di restauro di aerei d’epoca: la Vintage Aviator. Con tali premesse era naturale che i modelli della Wingnut divenissero subito pietre di paragone per la fedeltà di riproduzione in scala dei più famosi velivoli della WW1.

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Detto fatto, ho approfittato delle spese di spedizione gratuite e mi sono accaparrato il bel Bristol F.2b scala 1/32. Appena ho iniziato a sfogliare le istruzioni ricchissime di foto è stato amore a prima vista: immaginavo l’aereo in volo, vero e proprio veliero con le ali, impegnato in duelli tra le nuvole di un cielo di cento anni fa. Poi ho visto, tra le tante, un’immagine di un Bristol messo in moto con un Hucks Starter, una Ford T modificata per facilitare la rotazione dell’elica.

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In quel momento ho deciso di iniziare a costruire il modello, ma non da solo, bensì inserito in un vero e proprio diorama completo di figurini.

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Il kit:

Già al primo impatto si rimane estasiati dalla cura del packaging. Sulla scatola, con i bordi in inchiostro metallizzato, fa bella mostra di se un’accattivante box art dell’aereo (devo ammettere di averla conservata anche una volta finito il kit…).

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Ma è aprendola che si rimane sorpresi: stampate che non hanno pressoché alcun difetto, set di fotoincisioni e infine le istruzioni, vero e proprio valore aggiunto al modello.

Infatti, oltre a una breve storia del F.2b, nelle pagine troviamo, affiancate a ciascuna fase di costruzione, delle foto prese da un Bristol restaurato. Un walkaround che ti prende per mano e ti segue passo passo, semplificando il lavoro del modellista. Inoltre sono presenti anche immagini d’epoca che, oltre ad essere bellissime, danno ottimi riferimenti storici su come erano gli aerei originali nei primi anni del ‘900. L’unico appunto che posso fare riguarda la grafica: i pezzi che compongono il kit sono disegnati in 3D e a volte si ha un po’ di difficoltà nel capire l’assemblaggio di alcuni particolari. Però è tale l’ingegnerizzazione del modello che gli incastri chiari e precisi permettono di fugare subito ogni dubbio. Non contento di tutto questo ho affiancato alla scatola anche un set di fotoincisioni della HGW (cod. 132051) per migliorare alcuni dettagli del cockpit, delle mitragliatrici e del rack porta bombe. Oltre a questo, mi sono procurato il necessario per la realizzazione dei tiranti: filo elastico della EZline, tondino di ottone da 0.5 mm di diametro e terminali fotoincisi della RB Production per riprodurre i ganci quadrati.

Il montaggio:

La pulizia dei pezzi non ha presentato difficoltà. Gli unici segni degli estrattori erano presenti al di sotto della pedana del cockpit e all’interno della fusoliera, in posizioni comunque invisibili. La scomposizione dello stampo impone di procedere, prima di tutto, alla costruzione delle parti principali (motore, ali, fusoliera, carrello) per poi passare al loro montaggio finale. Infatti, data la conformazione dell’aereo, sarebbe stato impossibile assemblare tutto e, successivamente, verniciare. Naturalmente ho iniziato dal cockpit, ed il seggiolino del pilota è stato il primo pezzo su cui ho operato con un pò di autocostruzione. Le istruzioni indicavano di eliminare delicatamente la plastica per far apparire il traforato della spalliera in Vimini ma, visto che il risultato non mi soddisfaceva, ho deciso di scartare l’intera parte e ricostruire la trama con filo metallico da 0.2 mm.

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La struttura e il pannello comandi sono stati verniciati ad olio per ricreare le venature del legno. Inoltre, con del filo elastico e tondino di ottone da 0.5 mm ho ricreato i cavi tra i montanti.

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In seguito ho iniziato ad assemblare i vari pezzi (seggiolino, cloche e serbatoio). Ho sostituito il supporto della pedaliera con una fotoincisione e aggiunto la tiranteria che va ai pedali e alla cloche. Inoltre ho auto costruito, con del rame, il tubo del serbatoio carburante da raccordare sotto al quadro strumenti (con relativo manicotto nero).

semi pit

 

Assemblato tutto il cockpit, il risultato è stato un “modello nel modello” da posizionare all’interno dell’aereo (a malincuore…). L’unico difetto riscontrato riguardava la fotoincisione che doveva rappresentare la sacca posteriore porta oggetti; essendo troppo rigida ho preferito sostituirla con un pezzetto di foglio di stagno, molto più malleabile. Ho, inoltre, aggiunto dei tubi che vanno dal comando di selezione carburante del quadro fino al serbatoio. Infine, per evitare che il pilota si perdesse, ho inserito nella tasca due mini mappe…!

Le cinture sono quelle fotoincise fornite nella scatola, veri e propri gioiellini, colorate a pennello con colori Model Game Vallejo, così come il cuscino del seggiolino.

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L’inserimento del cockpit all’interno della fusoliera ha richiesto una leggera stuccatura nelle giunzioni, a causa di un microscopico disallineamento delle due valve; si è formato un fastidioso scalino che ho dovuto affrontare armato di stucco e Mr.Surfacer 500 della Gunze. Per rinforzare la struttura, l’incollaggio è stato completato con qualche goccia di colla cianacrilica.

Sono, quindi, passato alle ali. Per la parte inferiore si indicava come colore il Clear Doped Linen da ottenere con il Tamiya Deck Tan XF-55. Non soddisfatto del risultato (troppo tendente al grigio), visto che da alcune foto il C.D.L. era più un crema- giallognolo (complice anche l’invecchiamento della vernice), ho preferito cambiare. A tale scopo ho utilizzato l’H-85 Sail Color della Gunze. Poi ho mascherato le centinature con del nastro Tamiya da 1.5 mm e usato un pò di Flat Earth Tamiya a cavallo del nastro stesso per evidenziarne le ombre. Una serie di mani successive di H-85 hanno smorzato il Pre-Shading, al quale ho aggiunto un po’ di Post-Shading al centro della centinatura con il solito H-85 schiarito con del bianco. Per variare il colore e dare l’effetto vissuto alla tela, ho aerografato qualche macchia giallognola con il Desert Yellow Tamiya e successivi ritocchi a pennello sulle parti in rilievo con colore ad olio marrone.

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Per il resto dell’aereo la Wingnut indicava come colore il classico PC10, da ottenere con un mix 2 a 1 di XF-62 e XF-10 Tamiya. Questa tinta, nella realtà, era un verde che a causa dell’ossidazione virava presto su un marrone. Quindi, non esistendo un riferimento chiaro ed univoco, ho deciso di attenermi a quanto indicato nelle istruzioni. Anche qui dopo una mano di colore, ho proceduto con la mascheratura (usando il sopracitato nastro da 1.5 e 0.5 mm) della centinatura delle ali e della struttura lignea sotto la tela della fusoliera.

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In seguito ho proceduto spruzzando una velatura, solo sui bordi del nastro, di colore base scurito con un pò di nero; successivamente ho attenuato le ombre con un velo di XF 62 e poi, solo al centro tra una centina e l’altra, ho schiarito le superfici usando il PC10 con l’aggiunta di poche gocce di bianco.

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La fase delle decals non ha richiesto particolari accorgimenti, eccetto l’uso di ammorbidente per adattarle al meglio su qualche punto più difficile e non cancellare particolari in rilievo sulle ali. Le insegne sono di buona qualità anche se, forse, un pochino troppo spesse. Una volta applicate sono state desaturate con il solito colore di fondo schiarito per simularne l’invecchiamento. Ho usato anche del pigmento della Mig  (Russian Earth e Graveyard Dirt) per sporcare e dare l’aria vissuta all’aereo, specie sotto l’ala inferiore.

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Ho così iniziato una delle fasi più divertenti del modello: il motore.

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Il bristol era dotato di un Rolls Royce Falcon, perfettamente riprodotto dalla Wingnut. Di per sé è già ricchissimo di particolari ma, preso dal sacro fuoco dello “scratch” (autocostruzione), ho pensato bene di complicarmi un pò la vita. Per prima cosa ho modificato la posizione delle candele sui cilindri che è errata, sostituendole con piccoli pezzi in Plasticard. Ho, poi, aggiunto le molle delle valvole inserendo del filo da 0.2 mm piegato a spirale intorno ad una punta elicoidale da 0.3mm. I cavi delle candele sono stati riprodotti con due fili di piombo da 0.2 mm intrecciati assieme. Ho usato il piombo e non il rame per ottenere un effetto più “morbido”. Altri interventi minori hanno riguardato alcuni manicotti di raccordo realizzati con nastro Tamiya verniciato in nero e stretto da anellini di filo metallico da 0.2mm, e ulteriori tubi che mancavano ai carburatori. Come colori ho usato l’Alluminium Alclad su cui ho eseguito vari lavaggi con Terra Bruciata ad olio e qualche goccia di Grease della Mig per simulare le colature di lubrificante.

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Una volta finito ho fissato il motore alla fusoliera cercando di aggiungere tutti quelle tubazioni che si vedevano nelle foto. Alcuni s’inseriscono nella piastra metallica parafiamma su cui, in precedenza, avevo predisposto gli alloggiamenti (poi verniciati in rosso). Anche il serbatoio dell’olio è stato modificato aggiungendo un rubinetto e un tubo di sfiato. Le marmitte sono state verniciate con un mix di Burnt Metal e Copper Alclad e invecchiate con pigmenti Rust e Rocket Exhaust della Mig.

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Concluse le varie parti principali ho assemblato la mitragliatrice posteriore Lewis.

Lewis

Le uniche modifiche sono state il mirino e le fibbie del caricatore provenienti dal set HGW, e l’aggiunta della corda di supporto del meccanismo che ne permetteva il brandeggio.

A seguire mi sono dedicato al carrello. Una volta verniciato e invecchiato con lavaggi e pigmenti ho fissato i caratteristici cavi di gomma che servivano da ammortizzatore. Per farlo ho usato del filo elastico da cucito di opportuno diametro, colorato e usurato al punto giusto.

carrello

Infine ho affrontato le parti lignee dell’elica e dei montanti delle ali. Come al solito ho utilizzato gli oli su una base acrilica di XF-59 Desert Yellow Tamiya e “tirati” delicatamente con il pennello per ottenere le tipiche venature. Una volta asciugato l’olio ho steso un velo di Clear Orange Tamiya molto diluito per risaltare le linee del legno. Alla base dei montanti ho aggiunto anche del nastro Tamiya verniciato per simularne i rinforzi.

elica

Finalmente sono giunto all’assemblaggio finale! Il Bristol ha la particolarità di avere la fusoliera che poggia su otto supporti che partono dall’ala inferiore. La peculiare forma costruttiva del velivolo ha comportato qualche difficoltà nell’allineamento delle ali con la fusoliera. Il modello è molto fragile ed è stato necessario applicare del collante a più riprese per rinforzarne la struttura.

Per montare l’ala superiore ho utilizzato un supporto in legno che ha tenuto in posizione l’aereo mentre incollavo i supporti.

montaggio ala sup

La parte del lavoro che forse ha richiesto più tempo è stata quella del fissaggio dei tiranti. Per il cavo ho utilizzato il prodotto della EZ line, un filo da 0.15 mm che è molto elastico e resistente a patto di non fargli sentire neanche l’odore di colla ciano acrilica! In caso contrario si arriccia e diviene inutilizzabile. Per fissarlo alle ali ho realizzato dei piccoli anellini che ho incollato alla struttura. Per simulare i tenditori ho utilizzato del tubo di ottone da 0.5 mm e delle fotoincisioni della RB production, usandoli alternativamente in diversi punti dell’aereo.

Prima ho fissato i tiranti che corrono lungo la fusoliera e in coda.

filicoda

Fissata anche l’ala superiore, ho proseguito con il resto dei cavi. Il procedimento ha richiesto molte ore di lavoro, fatto tutto in punta di “pinzette a spillo”! Per ogni tirante ho dovuto far passare il filo nel tenditore, poi nell’anellino e infine di nuovo nel tenditore dando la giusta tensione al cavo. Una goccia di ciano con molta attenzione per fissare il tutto e via così….

tiranti

Dopo una novantina di anellini e corrispettivi ganci (e qualche diottria persa) ho messo la parola fine al Bristol.

I coprotagonisti del diorama:

Un elemento importante del set era l’Hucks starter. Non esistendo un modello già pronto, mi sono procurato una Ford T dell’esercito inglese della ditta RPM. Una volta aperta la scatola, però, ho constatato la pessima qualità della plastica. Inoltre ho capito fin da subito che avrei dovuto lavorare molto di autocostruzione. Ho mantenuto la sola parte inferiore con le ruote e il cofano motore mentre il resto è stato realizzato con Plasticard. Per la ricostruzione mi sono basato sulle foto in rete di esemplari restaurati tra cui quello conservato presso l’Imperial War Museum di Duxford.

Non è stato semplice trovare una catena (che trasferiva il movimento del motore mettendo in rotazione l’elica) adatta al modello: alla fine, ho risolto “cannibalizzando” un pezzo da un kit di bici da corsa riadattandolo con la curvatura esatta usando il calore di un asciugacapelli.

huck1

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Infine un cenno ai figurini, della Tommy War e della Kellerkind Miniatures, tutti in resina e di ottima qualità. Per dipingerli ho usato i colori Vallejo Model vinilici.

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Se per l’ufficiale dell’esercito e il pilota non ho avuto problemi nella colorazione, per i due RFC Soldiers (Royal Flying Corps) ho trovato molte discordanze sul tono da usare per le divise. Infatti, sebbene il colore dovesse essere il Khaki, in rete ho visto uniformi originali che andavano dal marrone chiaro al verde bottiglia. Alla fine mi sono deciso ad usare una tonalità marrone chiaro, ricavata da un mix uniforme inglese  (70.921), di khaki e Md.824.

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Per la basetta ho utilizzato una tavoletta di legno, rifinita con una cornice, su cui ho prima posizionato un piccolo “tappeto” di DAS e, in seguito, uno strato di pasta Vallejo Brown Earth per dare la tipica consistenza della terra. Ho trovato questo prodotto utile perché basta stenderlo a pennello (o con una spatola), aspettare qualche minuto che inizi a asciugare e poi, con le setole pulite, dare la texture che più ci aggrada semplicemente picchiettandone la superficie.  Sono seguiti poi diversi lavaggi con varie tonalità di marrone e un leggero dry brush per schiarire le parti in rilievo.

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Per l’erba ho utilizzato un prodotto sintetico, piantato con il classico attrezzo ricavato da una racchetta anti-zanzare, su uno strato di colla vinilica. Ho mescolato erba da 0.3 e 0.6 mm per non ottenere un campo da tennis troppo rasato ….

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Infine, come elementi di contorno, ho costruito con listelli di tiglio la baracca degli attrezzi, le due scalette in legno e la cassetta con le bombe. Riunire tutte le parti sulla basetta è stato il momento più emozionante dove, finalmente, vedevo realizzata l’idea che avevo sin dall’inizio del lavoro.

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In conclusione devo dire che montare questo kit Wingnut Wings è stato piacevole ma che impegnativo. Le difficoltà, però, non sono derivate dalla poca precisione degli incastri o difetti dei pezzi, bensì dalla necessità di valorizzare al meglio l’estrema accuratezza delle parti. Montando un biplano in scala 1/32 si è quasi costretti ad una maggiore attenzione ai particolari, e questo ha comportato un ulteriore lavoro di studio delle fonti fotografiche (facilitato, in parte, da quelle reperibili nelle istruzioni e nel sito della casa produttrice).

bn

In definitiva, è stata una bella esperienza che mi ha riportato indietro di cento anni quando valorosi piloti sfidavano il cielo su ali fatte di legno e tela… poco più delle ali di cera di Icaro.

Buon modellismo a tutti!

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Andrea “nannolo” Nanni.

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