Galeotta fu la Flying Legends del 2012. Incastonata nella splendida cornice dell’aeroporto di Duxford, nel Oxfordshire, la famosa manifestazione offriva ai miei occhi uno spettacolo incantevole: allineati sul verde manto erboso della pista, più di trenta splendidi Warbirds perfettamente restaurati e in impeccabili condizioni di volo.
Non era la prima volta che partecipavo all’evento ma, forse anche per l’età già più “avanzata”, guardavo con interesse diverso alcuni aeroplani; tra questi, uno Spitfire Mk. XIV che indossava la spettacolare livrea utilizzata nel teatro del pacifico durante il Secondo Conflitto Mondiale. Bè, da quel momento in poi c’è stata una costante ed irrefrenabile escalation all’acquisto compulsivo di kit dedicati a velivoli, inglesi e non, che avessero combattuto con le insegne della RAF nel teatro orientale.
Del resto si sa, quando un tarlo perfora la mente di un modellista, niente può fermarlo….!
Il modello:
Il 2014 ha visto la vittoria del Group Build “Forze Armate Britanniche”, scelto dai nostri utenti con ampio margine di voti (scoprite di più sui contest organizzati dal forum di Modeling Time cliccando QUI). Quale migliore occasione per mettere sul tavolo da lavoro un soggetto inquadrato nella campagna inglese nel sud/est Asia?
L’iniziale scelta era ricaduta su uno Spit con motore Griffon ma, dato che un paio di creature di Sir Reginald Mitchell albergano già nella mia collezione, la preferenza si è orientata verso un altro mostro sacro dell’aviazione: il P-47.
La RAF ricevette circa 826 Thunderbolts dagli Stati Uniti, suddivisi tra 239 “Razorback” (denominati Mk.I) e 587 “Bubbletop” (denominati Mk.II). Giunti nel teatro alla fine del 1944, i T-Bolts (come venivano chiamati dai piloti inglesi) del SEAC (South East Asia Command) furono accolti con freddezza perché ritenuti troppo pesanti e poco maneggevoli in combattimento. A dispetto di questi giudizi iniziali, i velivoli furono comunque impiegati su vasta scala soprattutto nel ruolo di caccia-bombardieri.
Il modello oggetto di questo articolo è un P-47 D-28 del 30 Squadron basato a Chittagong (India). Per la sua riproduzione in scala ho optato, alla fine, per il kit della Italeri (altro non è che il rebox del vecchio Academy) nella scala del quarto di pollice. Sebbene non sia proprio recente, esso regge ancora bene il peso del tempo e aprendo la confezione si rimane colpiti dall’ottima qualità delle incisioni (fini e precise).
Ovviamente non ci si può aspettare la ricchezza di particolari e le soluzioni tecniche all’avanguardia di cui può vantarsi il contendente della Tamiya, ma con un pizzico di attenzione e qualche lavoro di “upgrade” il prodotto della ditta coreana può far ancora bella figura.
Per aggiornare lo stampo e donargli nuova vita mi sono munito di alcuni indispensabili, a mio avviso, aftermarket. Di seguito la lista:
- Aires 4011 cockpit: il produttore ceco lo indica come adatto per la variante N; in realtà l’abitacolo in questione è compatibile solo con i P-47 D fino al sotto blocco costruttivo “25” compreso perché il pavimento della cabina presenta il caratteristico rivestimento “corrugato”. Dal block D-26 in poi (comprendendo anche i velivoli delle versioni M ed N), detto rivestimento fu sostituito con uno completamente liscio. Ho, quindi, l’obbligo di informarmi che questo cockpit non sarebbe compatibile nemmeno con il modello di cui sto scrivendo ma, complice un buon prezzo d’acquisto (viviamo in tempi di spending review) e il fatto che a lavoro ultimato tutta la zona sarà molto in ombra, ho deciso di concedermi una licenza e montarlo ugualmente!
- Ultracast 48121 – resin wheels with diamond tread: bellissime e dal costo non troppo elevato. Assolutamente consigliate!
- Quickboost 48056 – resin engine: il Pratt & Whitney R-2800 da scatola non è assolutamente all’altezza degli standard qualitativi attuali, per cui meglio sostituirlo con questo aftermarket in resina dal rapporto qualità/prezzo molto vantaggioso.
- Quickboost 48086 – resin undercarriage covers: sebbene destinate al Tamiya, i portelloni in oggetto si adattano alla perfezione all’Academy e danno un tocco di realismo in più a tutto il complesso.
- Quickboost 48291 Oil Cooler Exhaust e 48299 Intercooler Exhaust: anch’essi ideati su base Tamiya, possono essere utilizzati senza difficoltà sul kit Academy/Italeri.
- HGW 148008 – fabric seat belts: le cinture di sicurezza denominate comunemente “fabric” sono l’ultima frontiera del modellismo! Create con un tessuto che simula la tela, hanno un dettaglio fantastico e pari al vero. Di contro il loro montaggio non è dei più semplici ma con un minimo di pratica si ottengono dei risultati stupefacenti.
- Master 48002 – brassed gun barrels: un accessorio indispensabile al costo di pochi Euro.
- Eduard EX156 – Xpress Masks: comodo e pratiche da applicare, garantiscono mascherature dei trasparenti precise e veloci.
- Scale Aircraft Conversions 48239 – metal landing gears: esatte copie in metallo delle gambe di forza in plastica, le ho acquistate solo perché in offerta ad una cifra accettabile. Pagarle a prezzo pieno non avrebbe senso – consiglio di risparmiare i vostri soldi!
- Xtradecal 48115 – decal: un bel foglio ricco di soggetti accattivanti. Della qualità parlerò più avanti nell’articolo.
Ora che la “lista della spesa” è completa posso, finalmente, descrivervi le varie fasi della costruzione.
Ali:
Consuetudine vuole che i lavori inizino quasi sempre dall’abitacolo. Questa volta, al contrario, ho preferito dedicarmi subito alle ali e risolvere alcuni problemi che le affliggono. Il più evidente riguarda i portelloni dei vani armi che l’Academy fornisce separati dal resto per permettere al modellista di realizzare le gun bay aperte. Chi decidesse di chiudere tutto, come il sottoscritto, si accorge presto che i pezzi sono sottodimensionati (foto sotto – frecce in rosso) rispetto alla loro sede di quasi un millimetro e devono essere riportati a misura inserendo degli spessori di profilato Evergreen da 0,8 mm.
Un’altra “strana” peculiarità dello stampo coreano riguarda i tanti pannellini rettangolari disseminati sia sulla superficie delle ali (foto sopra – frecce in giallo), sia su quella della fusoliera; questi, nella realtà, sono perfettamente a filo con la “skin” metallica ma sul modello sono riprodotti tutti in rilievo. Armato di pazienza e di carta abrasiva 800, ho delicatamente ridotto il loro spessore annullandolo gradualmente.
Operando nella stessa zona ho deciso di aprire i fori per la fuoriuscita dei bossoli che, originariamente, sono chiusi. A tale scopo ho utilizzato una fresa da sgrosso montata su un trapanino elettrico che mi ha permesso di assottigliare la plastica fino a farla divenire quasi trasparente; a quel punto è facile “bucarla” e liberare gli scassi.
Sotto la semi-ala sinistra è presente il faro di atterraggio. L’Academy fornisce un trasparente piatto e poco realistico per simularne il vetro, per cui ho deciso di intervenire e migliorarlo. A tale scopo ho acquistato una bacchetta di Plexiglas del diametro di 5mm circa e, con una limetta da unghie, ho ricreato una forma stondata su di un’estremità per simulare la parabola interna. Al centro di essa, in seguito, ho praticato un foro abbastanza profondo con una punta da 0,4 mm e l’ho riempito con del nero opaco Tamiya. Così facendo ho ricreato la lampada…. Il risultato è davvero gradevole, giudicate voi stessi!
Per completezza vi dico che il fondo della parabola è stato verniciato in Silver della Testors per simulare il colore delle pareti riflettenti.
Cockpit e fusoliera:
Finalmente è il momento di passare al cockpit! L’aftermarket Aires, come già anticipato nel preambolo, non è del tutto corretto per la versione che ho scelto. Tuttavia il fatto di averlo già a disposizione in casa mi ha convinto ad usarlo comunque e a concedermi una piccola licenza (spero mi perdonerete). Bisogna comunque precisare che la ditta ceca non produce altri abitacoli dedicati allo stampo Academy per cui, in definitiva, il codice 4011 è l’unica opzione disponibile (a meno che non si riesca ad adattare un aftermarket per i kit Tamiya o Hasegawa).
C’è da dire che la grande quantità di dettagli che il prodotto in resina offre fa dimenticare presto qualsiasi imprecisione storica e, una volta montato all’interno delle fusoliere, è di grande effetto! A tal proposito sottolineo che l’adattamento dei pezzi è rapido e non comporta interventi troppo invasivi; basterà, infatti, eliminare le due “linguette” che trovate qui sotto in foto per lasciare abbastanza spazio alle nuove paretine laterali e al pavimento della cabina.
I cockpit dei P-47 di produzione Republic (durante il conflitto la casa madre decentrò la produzione dei Thunderbolt anche presso la Curtiss di Buffalo, NY) erano completamente verniciati in Dark Dull Green, un verde molto scuro simile al Federal Standard 34092. Per riprodurlo si potrebbe partire dal Gunze H-302 (che ha già un buon “match”) ma, personalmente, ho preferito affidarmi ad una ricetta che un del forum di MT mi ha gentilmente fornito:
- 70 gocce XF-26 Tamiya + 30 gocce XF-2 Tamiya + 30 gocce blu scuro Gunze H-326 (15044).
Il colore così ottenuto si presta benissimo alla tecnica del Dry Brush che io ho eseguito con i colori ad olio in luogo dei classici acrilici o smalti. Mescolando il Bianco di Marte e il Nero Avorio Maimeri ho ottenuto un grigio, non troppo chiaro, che non ho diluito. Con questa consistenza molto densa, ho prelevato la tempera con un pennellino a setole piatte e, dopo averlo asciugato su un pezzo di carta assorbente fino a quando non ho più notato tracce di pigmento ad occhio nudo, l’ho “strofinato” su tutti i dettagli con delicatezza. Il risultato è quello che potete vedere di seguito:
Il pannello strumenti è fornito sotto forma di fotoincisione con la strumentazione stampata su un pezzettino di acetato trasparente. Dopo averne verniciato il retro di bianco opaco per mettere bene in evidenza le varie lancette, l’ho incollato alla cornice in PE (PE, abbreviazione di photoetched) usando la Future. Forse vi sembrerà strano, ma la famosa cera per pavimenti quando asciutta funge benissimo da collante per parti delicate e poco soggette a sollecitazioni…. in pratica, ottima per questo genere di operazioni! Oltre a questo le proprietà lucidanti del detersivo americano hanno fatto letteralmente “brillare” le veglie della strumentazione mettendole meglio in risalto.
Vengo, ora, al seggiolino: la base è quella in resina prelevata dal suddetto set in resina, ma le cinture in fotoincisione sono state sostituite con quelle in “tela” della HGW (anche se definire veramente il tessuto con cui sono fatte non è semplice). Ad ogni modo la loro qualità (bellissime e ricche di particolari già stampati come, ad esempio, le cuciture di rinforzo di ogni singola cinghia) è pari solamente alla difficoltà nell’assemblarle!
Un pò di suggerimenti vi aiuteranno nell’ “impresa”:
- Non usate colle ciano acriliche per unire i vari pezzi del cinghiaggio. Il materiale con cui sono fatte queste cinture di sicurezza, infatti, reagisce molto male all’Attack o similari (personalmente ho notato che il Vinavil è la soluzione migliore).
- Quando le tagliate, fatelo su una superficie molto dura e preferibilmente con un bisturi nuovo ed affilato.
- Aiutatevi con una lente di ingrandimento e con una buona pinzetta a punte sottili quando dovrete far passare le cinture all’interno delle tantissime fibbie fotoincise, e rinunciate ad eseguire tutti i passaggi riportati nelle istruzioni…. è fisicamente impossibile eseguirli tutti!
Chiuso il capitolo relativo alla cabina di pilotaggio, mi sono dedicato ad alcuni interventi di miglioria a mio avviso necessari. Gli scarichi dei radiatori dell’olio (sistemati subito dietro al motore), e dell’intercooler, nel kit non sono affatto realistici perchè chiusi da anti estetiche paratie. Armato di limette di varie forme e del solito trapanino elettrico, ho eliminato la plastica in eccesso con molta cautela. A lavoro ultimato ho aggiunto i pezzi in resina provenienti dai set Quickboost citati all’inizio dell’articolo; questi hanno un costo irrisorio, simulano bene i condotti e aggiungono dei dettagli in piu’ (anche se, ad essere sinceri, quelli realitivi all’intercooler si notano con difficoltà al modello ultimato).
Anche lo scarico del turbocompressore, sotto la fusoliera, è stata sottoposto ad un piccolo upgrade; l’Academy ha curato molto poco questa zona e la scomposizione dello stampo lascia vedere una grossa fessura molto difficile da stuccare. Per risolvere il problema ho ricreato un piccolo “doppio fondo” in Plasticard di opportuna misura che ho forato nella parte posteriore. Nello scasso così ottenuto ho inserito un pezzo di cannuccia (quelle per le bevande) atta a simulare, anche in questo caso, il condotto di scarico. Il tutto è stato, poi, incollato all’interno dell’alloggiamento e stuccato con del Mr.Surfacer 500. Il risultato che ho ottenuto non rispecchia del tutto la realtà ma, a livello modellistico, fa comunque un bell’effetto.
Montaggio e pozzetti carrello:
L’unione delle due semi fusoliere scorre via senza particolari intoppi; basta un filo di stucco per eliminare eventuali piccoli dislivelli. Discorso diverso per l’accoppiamento delle ali alla fusoliera stessa dove, purtroppo, si formano delle vistose fessure. Per chiuderle ho utilizzato la colla cianoacrilica a guisa del classico stucco; la scelta, del resto, non è stata casuale perchè, sia lungo la linea di giunzione superiore, sia lungo quella inferiore, corre una pannellatura che andrà necessariamente reincisa (utilizzando un normale stucco, che si spezza alla minima pressione dello scriber, è molto difficoltoso ripristinare il dettaglio di superficie perso).
La pecca più evidente di tutto il modello, derivato dalla scarsa ingegnerizzazione dello stampo, riguarda i pozzetti dei carrelli principali. Il raccordo ala/fusoliera corre proprio al suo interno ed è praticamente impossibile stuccare il gap che si viene a formare; ancora una volta, come per il turbocompressore, ho utilizzato la soluzione del doppio fondo.
Con una matita e del nastro carta posizionato sopra ai bordi ho ottenuto la sagoma piu’ o meno precisa della wheel bay che ho, successivamente, incollato su del Plasticard; ho, poi, ritagliato la lastrina con una forbice ben affilata usando la mascherina precedentemente ottenuta come guida. Dopo numerose prove a secco e qualche colpo di lima per aggiustare le dimensioni dei pezzi, li ho saldati all’interno dell’alloggiamento usando la Extra Thin Cement della Tamiya e li ho stuccati con il solito Mr.Surfacer 500 della Gunze.
I piani di coda si allineano bene al resto del modello ma, purtroppo, hanno le parti mobili stampate assieme al pianetto fisso. Volendo “movimentare” un pò il mio Thunderbolt ho deciso di separarli e, per farlo, ho utilizzato l’incisore Trumpeter. Lo strumento è perfetto per questo genere di intervento e basta passarlo piu’ volte all’interno della pannellatura (aumentando, di volta in volta, la pressione sulla plastica) per separare con precisione i pezzi. Dopo il distacco ho rifinito i bordi e ho scavato, sul profilo della parte solidale alla carlinga, per ricreare la zona di rotazione della superficie mobile.
Oltre a questo ho incollato anche due piccoli parallelepipedi di profilato quadrato Evergreen per ottenere gli “Hinge Point (perni di rotazione) su cui erano incernierati gli elevoni stessi.
Il propulsore Pratt & Whitney R-2800 Double Wasp da scatola è stato sostituito con quello in resina della Quickboost decisamente più dettagliato. Ad esso, però, mancano tutte le aste delle valvole (ottenute tagliando a misura dei Rod tondi della Evergreen da 1 mm.). All’appello sono, ovviamente, assenti anche tutti i fili delle candele che ho riprodotto con del filo di rame proveniente da un cavo elettrico.
In fusoliera sul lato desto, disassato rispetto alla linea di mezzeria, si può trovare il dipolo ceramico dove si ancorava l’antenna a filo; è stato facile auto costruirlo forando la carlinga e innestandovi un’alta sezione di profilato (anch’esso da 1 mm. di diametro).
Gli unici carichi esterni di cui è stato dotato il mio Jug sono due serbatoi da 108 galloni in cartone plastificato (anche detti “paper tank”). Essi venivano spesso utilizzati sia sui P-47, sia sui P-51 ed in molte immagini d’epoca si vedono montati sotto ai travetti alari. Queste “taniche” erano usa e getta (soprattutto perché il combustile, dopo alcune ore, tendeva a sciogliere il materiale con cui erano fatti) e venivano sganciati prima di entrare in combattimento. Il kit ne fornisce una coppia ma essi sono divisi a metà lungo la mezzeria e risultano difficili da stuccare a causa del dettaglio (di fatto le pieghe del cartone pressato) stampato sull’ogiva e sul terminale posteriore.
Per non complicarmi troppo la vita ho deciso di acquistarne due copie in resina della True Details (codice 48530) già pronte all’uso. La loro qualità non è, comunque, al top per cui sono intervenuto modificandone i tappi e rendendo più visibili le piattine di rinforzo lungo la circonferenza che, inoltre, avevano anche funzione di punto di attacco al pilone (allo scopo ho usato una strisciolina di nastro Kabuki della Eduard).
Le canne tornite della Master, bellissime e davvero realistiche, ho preferito montarle prima della verniciatura per evitare problemi di allineamento e per poterle rifinire a dovere.
Il montaggio si è concluso con l’aggiunta del parabrezza (precedentemente trattato con la solita Future allo scopo di renderlo più brillane e cristallino). Il pezzo si adatta bene al modello e, personalmente, l’ho incollato usando la Extra Thin Cement della Tamiya. Se utilizzata con attenzione, questa colla permette di saldare le parti trasparenti senza il rischio di sbavature all’interno praticamente impossibili da recuperare. Basta usarne poco quantitativo spennellato con delicatezza lungo la giunzione e attende almeno 18/20 ore prima di lavorare nuovamente sulla zona trattata.
In seguito, per riempire le inevitabili fessure, ho utilizzato il Milliput Black. Questa versione del noto stucco bicomponente ha una colorazione già nera ed è ideale per canopy e windshield poiché, una volta applicato, si confonde perfettamente con il colore interno dei frames (solitamente neri o di colore scuro per assorbire i riflessi della luce esterna).
Verniciatura:
La mimetica South East Asia Campaign (SEAC) ricalcava il medesimo schema di quelle continentali con la sola riverniciatura delle macchie in grigio sostituite da quelle in marrone chiaro. I colori che ho utilizzato sono i seguenti:
- Dark Earth – Gunze H-72.
- Dark Green – Tamiya XF-81.
- Medium Sea Grey (superfici inferiori) – Gunze H-306.
Il primo colore che ho applicato è stato il Tamiya XF-4 Yellow Green all’interno dei pozzetti carrello principale, del ruotino di coda e dei relativi portelloni.
Successivamente ho eseguito la tecnica del Pre Shading solo sulle parte inferiore del modello coprendo, poi, il tutto con leggere passate molto diluite di Medium Sea Grey.
Per le superfici superiori ho iniziato con il Dark Earth e, attese almeno ventiquattro ore per la completa asciugatura delle vernice, ho steso il Dark Green. Tutte le separazioni tra i vari toni del camouflage le ho ottenute utilizzando il Patafix che permette sfumature dolci ma, comunque, sempre in scala. A tutte i colori sono solito aggiungere qualche goccia di Paint Retarder della Tamiya (funziona bene sia con i colori della stessa marca, sia con i Gunze) in modo da ottenere una finitura sempre liscia ed omogenea (con gli acrilici il rischio di effetto “buccia d’arancia” o “polveroso” è sempre in agguato).
Per le caratteristiche bande di identificazione sulle ali, deriva, piani di coda e muso ho scelto il Flat White Tamiya XF-2 che, a mio avviso, è il più facile da utilizzare tra tutta la gamma di acrilici oggi in commercio. Per farlo asciugare in tempi più brevi ed evitare che la vernice formasse uno spessore fuori scala, l’ho diluito con il Lacquer Thinner della Tamiya (quello con il tappo giallo a chiusura della confezione). Pur essendo un diluente specifico per le lacche o gli smalti, funziona bene anche con gli acrilici in generale! Aggiungendolo al pigmento lo rende più “secco” permettendogli di asciugarsi quasi istantaneamente una volta arrivato sul modello.
Weathering e decal:
Sul mio P-47 in scala non ho voluto esagerare con l’invecchiamento. In fondo, come ho ricordato all’inizio dell’articolo, queste macchine debuttarono nel teatro operativo solo alla fine del 1944 – quasi al termine delle ostilità.
Questa volta ho voluto sperimentare una nuova tecnica che ho elaborato partendo da alcuni spunti colti sul forum di Modeling Time (la condivisione è sempre fonte di ispirazione e crescita!); di fatto ho eseguito il Post Shading sostituendo le vernici di base della mimetica (in questo caso acriliche) con colori ad olio. Ho utilizzato l’Ocra Gialla della Maimeri (una nocciolina), leggermente scurita con del Van Dyck (una puntina di stuzzicadenti). Il mix è stato diluito come fosse un acrilico classico, quindi almeno al 90% con il thinner della Humbrol (che è più volatile e ha un odore leggermente più gradevole rispetto agli altri diluenti sintetici).
Devo dire che l’utilizzo dell’olio porta svariati vantaggi: le sfumature sono più dolci, i colori più facili da ottenere (mescolare gli olii è sempre più semplice). Inoltre, se non si è soddisfatti del risultato, basta una passata di straccio imbevuto di ragia e si ricomincia da capo!
Una volta asciutto il primo strato, ho “tirato” il colore con un Cotton Fioc pulito per ricreare delle leggere striature lungo il senso del moto. Insomma, questi pigmenti permettono molteplici effetti!
Prima di procedere oltre ho sigillato il primo abbozzo di effetti con tre mani generose di trasparente lucido X-22 Tamiya. Una volta asciutto, ho applicato i lavaggi con lo scopo di mettere in evidenza il bel dettaglio di superficie in negativo e creare una leggera patina di sporco su tutto il modello. Le tonalità che ho scelto sono le seguenti:
- Sul Dark Earth: Terra di Siena Bruciata al 50% con il Bruno Van Dyck
- Sul Dark Green: Bruno Van Dyck scurito con Nero D’Avorio.
- Sul Medium Sea Grey: una nocciolina di Bianco di Marte scurito con poco Nero D’avorio.
A seguito di questa prima sessione di Washing ho steso almeno altre quattro mani di Clear Tamiya per preparare al meglio il fondo alle decalcomanie. Come già detto quelle utilizzate provengono da un foglio aftermarket della inglese Xtradecal; sottili, nitide e dal buon poter adesivo, queste decalcomanie reagiscono benissimo ai liquidi emollienti della Microscale (SOL e SET) adattandosi senza grossi problemi alle pannellature sottostanti.
Prima di stendere un altro strato generoso di lucido (allo scopo di sigillare e livellare le insegne), ho eseguito nuovamente il Post Shading con l’ocra gialla per rinforzare l’effetto in vista dell’opaco finale (che, come sempre, attenua sensibilmente l’effetto).
Sulle superfici inferiori ho cercato di riprodurre sporcizia e colature dovute a perdite di olio e di liquidi idraulici utilizzando, in gran parte, i Weathering Set della Tamiya (in particolare la trousse contraddistinta dalla lettera D) che ho integrato e sfumato usando varie vernici Tamiya ad aerografo (Olive Drab, Panzer Gray e Smoke)
Ricordate, inoltre, che i gas combusti del propulsore non venivano espulsi dai due scarichi sotto la naca del motore (chiamati Waste Gate e che ne sopprimevano le quantità in eccesso), bensì rimessi in circolo verso il turbocompressore ed eliminati attraverso il relativo exhaust posto davanti al ruotino di coda. Non commettete l’errore di rappresentare le zone adiacenti alle Waste Gate fuligginose e sporche! Lo erano, ma non così tanto come si è portati a pensare.
Ultimi dettagli:
A questo punto il mio Jug è pronto a ricevere gli ultimi dettagli:
- Carrelli e portelloni: dopo averli completati con le solite tubazioni idrauliche e averli “lavati” con la stessa miscela ad olio impiegata sul Dark Green, li ho incollati usando colla ciano acrilica che assicura una presa forte e pressoché immediata.
- Penumatici: completati mettendo in risalto il battistrada utilizzando gessetti da artista polverizzati e sciolti nel diluente Humbrol. Ricordate che gli stessi devono essere protetti con un trasparente altrimenti, col tempo, tenderanno a volatilizzarsi.
- Filo antenna: aggiunto mediante l’elastomero SBM WIRE, una vera manna per questo genere di lavorazioni.
Una mano finale di Flat Clear Gunze H-20 (diluito al 50%) ha dato la finitura finale opaca al modello e, sopra di essa, ho simulato qualche piccola scrostatura concentrata soprattutto sul raccordo ala/fusoliera (le zone di maggiore calpestio). A tale scopo ho impiegato una matita argentata a cui ho accuratamente temperato la punta.
Conclusioni:
Nonostante necessiti di molti interventi correttivi e migliorativi, il kit Academy/Italeri può dare ancora grandi soddisfazioni. Si monta con relativa facilità ed assicura un sano divertimento. Un Thunderbolt non può mancare nella collezione di ogni appassionato che si rispetti… se cercate un’alternativa a basso costo rispetto ai vari Tamiya e Hasegawa, questo modello potrebbe fare al vostro caso.
BUON MODELLISMO A TUTTI! Valerio – Starfighter84 – D’Amadio.
Ho riletto con piacere la “storia” di questo modello. I tuoi interventi validi, efficaci e geniali ne hanno fatto un’elica in pieno stile “Valeriano”…..Complimenti!
Valerio il tuo lavoro è un gran bel vedere per gli occhi e appagante da leggere. Questo si che è fare modellismo e diffondere cultura.
[…] la fortuna di iniziare questo kit quando Valerio (Starfighter84) aveva da poco finito il suo Jug (cliccate QUI per il suo l’articolo “Jug over Far East”); avendo affrontato anche lui il modello Academy ho potuto approfittare della sua esperienza […]
[…] per cui ho deciso di ricostruirli con lo stesso procedimento usato sul mio P-47 RAF. Cliccate QUI per avere tutte le […]