martedì, Marzo 25, 2025

Chase on Crait – Star Wars Millenium Falcon Diorama in scala 1/144.

Con molta trepidazione, e una sorta di timoroso rispetto, mi sono cimentato nella costruzione del mio primo Millennium Falcon. È stato come rendere concreto un sogno!

A più di quarant’anni di distanza ricordo ancora la sera in cui andai, nel lontano 1977, a vedere “Guerre Stellari” (quando ancora si chiamava così e non esistevano i vari Episodio 1-2-3-4-ecc…). Da allora ne è passato di tempo e, dopo tanti giocattoli e modelli approssimativi, è arrivata la Bandai che ha finalmente commercializzato il leggendario Millenium Falcon in scala 1/72. Non avendo il coraggio di mettere sul banco il fratello maggiore ho deciso di farmi le ossa prima sul più piccolo… ma allargando un pochino il progetto iniziale e ambientando l’astronave in un diorama.

I kit:

Il soggetto principale è il fantastico kit della ditta giapponese in 1/144 a cui ho aggiunto anche il set dei Tie Fighter nella medesima scala.

Le forme sono essenzialmente corrette e rispecchiano quelle del modello originale da cinque piedi del primo Star Wars. Non è però una copia fedele al 100% perché presenta molte delle modifiche introdotte nel modello da 32” utilizzato nell’ Impero colpisce ancora.

Infatti, non esiste una sola versione del Millenium Falcon. Già nel secondo film, a causa delle immense dimensioni di quello usato per girare Guerre Stellari, era stato necessario crearne un altro più piccolo e maneggevole. Inoltre, a seconda delle necessità della regia, sono stati impiegati anche diversi esemplari ancora più piccoli. Con l’avvento della computer grafica, poi, sono stati aggiunti nuovi particolari. Se quindi non esiste un unico Millennium Falcon, è anche vero che esiste un prototipo che ne ha segnato e guidato tutti gli sviluppi. In questo senso il kit Bandai è in ogni caso un’ottima riproduzione perché rispetta fedelmente le proporzioni della sua controparte dei film. In precedenza, in commercio era possibile trovare (escludendo il gigantesco e dettagliatissimo De Agostini) quello della AMT, con forme non proprio fedeli, e quello Fine Molds che invece si rifaceva al modello da 32”. Pur essendo ricchissimo di particolari (più di novecento pezzi), aveva delle proporzioni un po’ piatte e allungate. Come in ogni prodotto bandai i dettagli delle stampate sono sorprendenti per qualità e finezza. Le pannellature e i dettagli hanno un livello notevole. Questo kit, in particolare risolve, anche un problema delle fiancate laterali che, nella precedente versione prodotta in occasione del “Risveglio della forza”, non erano corrette perché specchiate quando avrebbero dovuto essere diverse tra loro. Ci sono ancora alcuni errori, come i sedili della cabina di pilotaggio, o alcuni “greeblies” errati, specie sul tunnel del cockpit (i greeblies sono elementi di dettaglio che nel modello usato nel film erano stati ricavati cannibalizzando pezzi da altre scatole di kit. Se ci si fa caso sullo scafo possiamo riconoscere parti di carri armati o di carrozzerie di automobili). In ogni caso, visto il livello della scatola, ci si può passare sopra. Sono presenti opzioni per posizionare il Millenium Falcon in volo o meno, cambiando la posizione dei piedi e della rampa, oltre alla solita scelta della Bandai di fornire sia decal, sia sticker, per riprodurre le parti colorate.

La struttura del diorama:

In questo progetto ho cercato di riprodurre la scena del film “L’ultimo Jedi” in cui il Millenium Falcon è inseguito da due Tie Fighter del primo ordine nelle grotte di cristallo del pianeta Crait. In realtà, partendo da una semplice idea, il diorama si è evoluto sempre di più man mano che provavo ad alzare l’asticella della difficoltà cercando nuove soluzioni. In origine la struttura era nata come una semplice basetta piatta per il Millenium Falcon ma poi, per dare l’idea della cavità sotterranea, ho preferito aggiungere anche uno sfondo e la volta della grotta.

Quest’ultima inizialmente doveva avere le stesse dimensioni della base ma, così facendo, il soggetto principale avrebbe perso la centralità della scena. Per questo motivo ne ho ridotto le dimensioni lasciando quel tanto che bastava per rendere l’idea di una cavità sotterranea. 

Ho creato un doppio fondo nei lati per farvi passare all’interno i cavi dei i led usati per illuminare alcuni cristalli, oltre a tutta la parte elettronica. Per realizzare le rocce ho usato degli stampi in gomma in cui colare l’Hydrocal, un prodotto della Woodland Scenics (più leggero del gesso) alternandolo con del polistirene inciso per colmare gli spazi rimasti. Al centro ho inserito un laghetto come nel film, in cui ho poi posizionato diversi cristalli.

Ho colorato il tutto con diversi grigi, utilizzando nella mescola anche dell’acciaio per aggiungere un riflesso metallico. Per dare profondità e far risaltare le fratture nelle rocce, ho utilizzato un colore ad olio grigio scuro molto diluito e, su alcune parti, ho effettuato anche un lavaggio tendente al rosso per variarne la tonalità. Per le alte luci sono ricorso alla tecnica del dry brush, impiegando diverse sfumature di grigi Vallejo. Per rifinire tutta la struttura in legno ho incollato sulle pareti esterne fogli di Plasticard che ho poi verniciato con un mix di Alclad (Pale Burnt Metal e Burnt Iron per il colore metallico scuro, e Ottone e Pale Burnt Metal per quello dorato). Sul retro ho disegnato, dopo aver ricavato delle mascherine con il mio plotter da taglio, due scene che ben rappresentano la vicenda degli ultimi tre film, ovvero il rapporto e la connessione tra Rey e Ben da una parte e i due aspetti del bene e del male, rappresentati dai simboli della resistenza e del primo ordine. In entrambe le immagini sono raffigurati come elementi in conflitto e in antitesi, ma che si completano a vicenda come parti di un unico insieme.

Sulla parte superiore della struttura, con gli stessi colori, ho verniciato il titolo del film da cui è stata tratta la scena.

Nella parte anteriore ho applicato la scritta “Star Wars” in rilievo e i due stemmi della resistenza e del primo ordine. Per ogni lettera in Plasticard sono serviti tre strati incollati sovrapposti per raggiungere lo spessore desiderato.

Per i cristalli ho utilizzato la resina effetto acqua Prochima che ho colorato con vernice per vetro della Pebeo. Fortunatamente questo colore, usato con moderazione, non mi ha dato problemi di catalizzazione e ha permesso di conservare una buona trasparenza. Per la realizzazione dei cristalli ho acquistato degli stampi in silicone già pronti.

Per i due cristalli più grandi al centro del lago, invece, ho creato due master in gesso da cui ho ricavato gli stampi per la colata. Uno dei due fa anche da sostegno per il Millenium Falcon. Al suo interno è presente una canalina per il filo elettrico che alimenta le luci della astronave. I minerali sono stati fissati alle rocce inserendo alla loro base spezzoni di filo di ferro e incollati con colla cianacrilica. Per le concrezioni che legano più cristalli tra loro ho fatto un mix di Binder acrilico glossy, colla vinilica e micro-sassolini in vetro. Ho colorato la pasta ottenuta con del Vallejo rosso e colorante alimentare (utilizzato per la torta red velvet). Devo dire che questo prodotto è fantastico: basta una punta per ottenere un rosso intenso.

Non contento del lavoro fatto fin qui, ho deciso di creare dei punti luce sparsi nella scenografia e illuminare alcuni dei cristalli. Ne ho realizzati alcuni con un foro nella base in cui ho inserito un led da 5mm e ho fatto passare i relativi cavi nella intercapedine della struttura in legno. Ne ho creati più di quindici, posizionati sui tre lati del diorama. Ho aggiunto qualche led anche sotto la superficie del laghetto il cui fondo, prima della colata di resina, è stato colorato con diverse sfumature di grigio e rosso.

Per dare una luce di riempimento alla grotta ho posizionato una striscia led sul bordo del lato superiore grazie ad una canalina debitamente coperta con un diffusore di plastica e, per impreziosire ulteriormente la scena, ho deciso di realizzare le scie dei laser dei Tie che inseguono il Millenium Falcon (ho utilizzato dei led a filamento come avevo visto fare in rete per altri diorami). Inizialmente mi sono procurato una lampadina alimentata a 12v che aveva questi led all’interno. L’ho aperta e li ho staccati delicatamente. Però i led operano ad una tensione di circa 70v ed è necessario ricorrere al trasformatore interno alla lampada che porta la tensione a 12v, ovvero quelli necessari per illuminarli. Alla fine, anche per evitare l’utilizzo di valori di tensione troppo elevati e aumentare la sicurezza, ho preferito acquistare direttamente dei led a filamento da 3v e 100 mA sul web. Li ho collegati a del filo di rame smaltato e isolato inserito all’interno dei cristalli che escono dal fondo della grotta.

La seconda sfida è stata quella di renderli “lampeggianti” come se i colpi fossero sparati in sequenza. Non bastava una semplice intermittenza perché, per simulare i fasci dei laser che si spostavano nello spazio, alcuni led si dovevano accendere e spegnere contemporaneamente e secondo un ordine preciso. Ho, quindi, deciso quindi di cimentarmi con Arduino, un microcontrollore con cui poter programmare e controllare luci e suoni della scena. Ho realizzato uno schetch (listato del programma) per far funzionare i vari componenti elettrici.

Componenti elettronici:

Per maggiore completezza darò un rapido cenno alla parte elettronica utilizzata: tutti i led, sia quelli classici tondi utilizzati per le rocce, sia quelli a filamento, necessitano di essere alimentati a 3v. Per questo ho scelto un alimentatore da 5v che volendo, in caso di assenza di rete fissa, posso sostituire anche con una Powerbank portatile (che non deve avere la funzione di auto spegnimento, pena il mancato funzionamento del sistema). Con opportune resistenze (una per led), sono riuscito a far funzionare tutto con tensioni bassissime. Sul lato della struttura ho montato tre interruttori: uno per le rocce e il Millenium Falcon, uno per la striscia led in alto e, il terzo, per alimentare i laser e Arduino che è stato indispensabile per rendere il diorama ancor più interessante. Tutta la parte elettronica è stata posizionata nella intercapedine inferiore.

Qui si vede in basso il piccolo altoparlante da 3 watt. Subito sopra c’è Arduino nano che ho montato su una shield con cui è possibile collegare i fili ai pin tramite viti a morsetto senza necessità di saldature. Piu in alto su una PCB ho saldato un modulo DFplayer che permette di leggere una scheda SD su cui ho memorizzato la colonna sonora.

I rumori dei laser e dei motori li ho trovati in rete e li ho mixati e montati con Audacity, un programma gratuito per elaborare i suoni. Vicino ad esso un convertitore di livello logico che traduce da 5 a 3v i segnali che Arduino trasmette al modulo Bluetooth. Qui invece si vede il modulo BT che permette di comandare il tutto dallo smartphone. Accanto vi sono i due mosfet che controllano l’accensione dei quattro led a filamento che richiedono 3v a 100 mA, un valore troppo alto da collegare direttamente ai pin di Arduino (max 20 mA). In questo modo ricevono il comando dal microcontrollore ma la corrente proviene direttamente dall’alimentatore.

Per comandare il tutto ho creato una app AppInventor, un programma del MIT che potete trovare qui (https://appinventor.mit.edu/). Permette di creare in pochi passi una app utilizzando un sistema di programmazione a blocchi, testarlo e infine trasformarlo in app standalone per il cellulare.

Il Millennium Falconmontaggio:

Memore della fragilità delle plastiche Bandai se sottoposte a diluenti troppo aggressivi, ho optato per la protezione di una mano di primer su tutti i pezzi. Ho usato il “One Shot” bianco della Mig che, in pratica, è il Badger Stynylrez reimbottigliato. Questo primer va spruzzato con una pressione medio alta ma alla fine si livella bene e, soprattutto, sembra evitare crepe e danni strutturali della plastica in seguito ai lavaggi ad olio. Prima di procedere alle fasi successive del montaggio ho dovuto pianificare un’attenta progettazione del lavoro per far passare cavi e fibre ottiche all’interno dello scafo. In 1/144 lo spazio è limitato e, per alloggiare i componenti, ho dovuto eliminare alcune parti interne divisorie nei due semi-gusci. Inizialmente avevo previsto di utilizzare un kit di luci a 12 v realizzato appositamente per il modello ma, alla fine, l’ho scartato perché prevedeva un numero ridotto di punti luminosi rispetto a quelli presenti nell’astronave del film. Per l’illuminazione ho così realizzato un impianto “ibrido” utilizzando diverse fonti di luci: in totale sono ventidue fibre ottiche per la pancia e fianchi, quattro SMD per le luci frontali, cinque led a striscia per il motore, due SMD per le torrette dei cannoni e un SMD con sette fibre ottiche per il cockpit. Per la maggior parte delle luci sono ricorso alla fibra ottica. È molto sottile e riesce a passare abbastanza facilmente ovunque. Con una punta adeguata basta forare la plastica infilare la fibra e poi fissarla con colla vinilica, tagliando a filo la parte in eccesso. L’importante è usare delle lame taglienti, più è pulito il taglio e maggiore è la diffusione della luce. Per illuminarne le estremità, con della guaina termo restringente ho bloccato al led un fascio di fibre ottiche che ho poi collocato in diversi punti dello scafo.

Per evitare troppi grovigli, ho realizzato diversi fasci di fibre con i rispettivi led. Tutti i cavi sono stati poi collegati ad una basetta messa nel vano predisposto per la batteria e, su di essa, ho saldato dei connettori a due pin per renderne il collegamento più agevole. Il filo principale dell’alimentazione esce dal Millenium Falcon nascosto nel cristallo che gli fa da supporto.

La fibra ottica è stata utile anche per tutte le luci di posizione bianche e rosse sotto lo scafo e sui lati, e per dar vita alla strumentazione all’interno del cockpit. Data la scala ridotta, non ho potuto rispettare l’esatto posizionamento delle luci ma, una volta chiuso il cockpit, si ha la stessa impressione dell’abitacolo illuminato come nel film.

Per i fari alle estremità delle ganasce sono ricorso a dei led SMD 5238 che ho inserito all’interno della plastica. Per renderli più realistici e diffondere meglio la luminosità, all’esterno del pezzo ho inserito un moncone di fibra ottica scaldata per renderla tondeggiante.

Per le torrette dei cannoni ho usato due led SMD 5038, piccoli ma molto luminosi.

Infine, per il motore ho optato per una sezione di striscia led da 5v che ho posizionato nel pezzo trasparente blu del kit. La scatola consente di scegliere se utilizzare questa parte, oppure altri componenti in plastica grigia nel caso non si abbia la necessità di rappresentare il Millenium Falcon con i propulsori in funzione.

Dopo tutti gli interventi l’interno della astronave è risultata piena di fili e fibre ma, fortunatamente, la progettazione iniziale dell’impianto mi ha permesso di chiudere le due valve senza particolari problemi.

Venendo al montaggio vero e proprio devo dire che, come da lunga tradizione Bandai, anche questo stampo va insieme praticamente senza uso di stucco e, in rari casi, solo con un filo di colla Tamiya Extra Thin Cement. Bisogna addirittura stare attenti a non eccedere con la vernice per come sono precisi gli incastri!

Il modello è ricco di particolari anche se in alcuni casi ho riscontrato degli errori. Nel cockpit, ad esempio, i sedili dei piloti hanno una forma sbagliata (ma in 144 si può sorvolare). L’unica modifica è stata quella di chiudere lo spazio della porta da cui, nel caso si decida di usare il kit di illuminazione bandai (carissimo, introvabile e alquanto povero come già detto in precedenza), dovrebbe filtrare la luce dell’unico led previsto. Usando del Plasticard ho ricreato la tipica foggia “a fasce” della porta che ho poi incollato in sede. Per far passare il led del mio impianto ho bucato chirurgicamente un pezzo del soffitto in modo che non si notasse il cavo. La Bandai propone due alternative per i vetri della cabina di pilotaggio. La prima consiste in un pezzo in plastica grigia da lasciare senza trasparenti (come, in effetti, fu previsto per il modello cinematografico originale); questa soluzione, però, mi dava l’idea che mancasse qualcosa. Si vedeva bene l’interno ma non mi soddisfaceva l’effetto generale. La seconda alternativa invece è data da un pezzo in plastica trasparente veramente troppo spesso che fa intravedere solo pochi riflessi di luce vanificando tutto il lavoro fatto negli interni.

Ho deciso, quindi, di optare per una terza soluzione. Utilizzando le stesse maschere previste per la protezione dei vetri durante la colorazione dei frames, con il plotter ho ritagliato del Plasticard trasparente finissimo che ho posizionato sul pezzo grigio; per fissare i nuovi vetri ho utilizzato la cera Future. Lo spessore ridotto mi ha così permesso di rendere giustizia all’abitacolo e ai dettagli che avevo precedentemente aggiunto.

Altre migliorie sono state apportate alle torrette dei cannoni. Per gli interni ho stampato e ritagliato delle immagini della strumentazione, incollandole sulle pareti. Ho anche colorato Rey che, essendo in scala 144, è praticamente una miniatura quasi indecifrabile con delle protuberanze per braccia e gambe. Ho cercato di trarre il massimo da quello che il kit fornisce…

L’unico vero aftermarket che mi sono concesso sono state le griglie fotoincise della Greenstrawberry per sostituire quelle troppo grossolane del kit.

Il resto del montaggio è filato via senza particolari intoppi.

Verniciatura:

Il momento più difficile è stato definire quale colore usare per il Millennium Falcon. La risposta più semplice e scontata poteva essere un grigio chiaro, ed in effetti in molte immagini sembrerebbe così. Ma per un amante della serie non era una risposta sufficiente. Il colore ha subito molti cambiamenti nel tempo: nei primi film, dove si usavano modelli reali e non la computer grafica, troviamo tonalità diverse in base alle astronavi utilizzate e alle scene girate. Infatti, in “Una nuova speranza” il modello era stato verniciato con un bianco sporco tendente all’avana sopra una base nera. Nel secondo film invece il Falcon, realizzato con dimensioni più ridotte per permetterne un più agevole movimento nelle scene in volo, aveva un colore tendente al grigio freddo chiaro. La tinta varia anche in base alle sequenze cinematografiche e alla esposizione della pellicola: più freddo e chiaro nello spazio e più caldo sui pianeti e nella atmosfera rovente di Tatooine. La rimasterizzazione e gli effetti di computer grafica dei film successivi hanno offerto ulteriori variazioni tonali. In ogni caso il kit ripropone il Millenium Falcon del “L’ultimo Jedi” che, come forme e colori, si avvicina molto all’astronave del primo film. Per questo motivo ho deciso di basarmi su quella colorazione. I tentativi sono stati molti… ho tentato diverse misture di grigi chiari senza che nessuno mi convincesse del tutto. Anche l’effetto del pre-shading fatto con il Rubber Black Tamiya non mi è piaciuto perché le velature successive facevano virare la tonalità verso toni freddi, mentre il bianco/ grigio che cercavo doveva essere più ”caldo”. Alla fine, ho capito dove sbagliavo. Cercavo di partire da quella che doveva essere il colore finale quando, al contrario, il Falcon è un mezzo sporco e che richiede moto invecchiamento. Tali passaggi avrebbero scurito ancor di più la base rendendolo diverso dal risultato che cercavo. Considerando il weathering che dovevo raggiungere e il fatto che, comunque, il colore base era fondamentalmente un off white, ho optato per un mix di bianco (quaranta gocce) sporcato con tre gocce di grigio Gunze H-51. Ho spruzzato questa base eliminando del tutto il pre-shading, rinviando agli oli la ricerca degli effetti e il volume, lavorando su più livelli successivi di invecchiamento, ognuno ad integrare quelli precedenti.

Anche i pannelli colorati presenti sulla superficie sono stati verniciati. La scatola fornisce ben due fogli (come detto all’inizio di questo articolo) per realizzarli facilmente senza ricorrere alla vernice. Però il colore dei grigi non mi convinceva, sembrandomi fuori tono. Alla fine, ho optato per colorare tutto ad aerografo. La mascheratura dei pannelli è stata una vera sofferenza in quanto oltre ad essere molto piccoli sono anche irregolari. Ho dovuto usare anche il Maskol per non coprire punti che dovevano essere coperti dai colori. Una volta data la base, ho iniziato con l’invecchiamento utilizzando i colori ad olio, in gran parte della marca Abteilung, con cui lavoro bene perché meno grassi e di asciugatura veloce. Nel caso di prodotti diversi basta “sgrassarli” stendendoli su un cartoncino che ne assorba l’olio in eccesso. Per prima cosa ho effettuato un primo lavaggio con il Terra di Cassel (un bruno caldo) per evidenziare i volumi e i particolari. In questo modo ho iniziato a spezzare l’uniformità del bianco e a creare le prime sfumature.

Poi ho creato un filtro su tutte le superfici con la tecnica del Dot Fading. Essa consiste nell’applicare sul modello delle piccolissime quantità di vari colori ad olio sottoforma di “puntini”; a seguire, con un pennello inumidito di diluente (nel mio caso l’enamel thinner della Humbrol) ho tirato e diffuso il colore cercando di rispettare la legge di gravità, seguendo le pendenze del modello. Il risultato è un filtro non omogeneo per saturazione e intensità che rende bene l’idea di uno sporco accumulato nel tempo. I colori utilizzati sono stati lo Starship Filth, il Dark Rust, il Basic Earth e il Faded Navy Blue. A parte il blu, sono tutti colori caldi per dare questa tonalità al bianco di partenza. Successivamente ho desaturato i pannelli colorati con del Faded Grey e del Dust (tonalità simile al Deck Tan). Da ultimo mi sono dedicato a realizzare delle striature più marcate tipiche del Millennium Falcon con lo Starship Filth (un grigio scuro tendente al marrone). Per dare l’idea di sporcizia trovo questo colore fantastico. Né troppo chiaro né troppo scuro e, variando la diluizione, si può variarne anche l’intensità. Poi mi sono dedicato alla zona motori. Anche qui ho preferito gli olii ma applicati con la tecnica del Dry Brush. Dopo un poco di Rust sulle zone interessate, ho usato lo Starship Filth per i fumi con qualche tocco di pigmento nero Rocket Exhaust della Mig.  

Spesso si vedono altri modelli in cui sono realizzati effetti sugli scarichi in modo molto più marcato, ma bisogna ricordare che i contrasti sono molto esasperati dalle riprese del film in cui i bianchi e i neri sono più accentuati. Per questo mi sono fermato prima di esagerare troppo. Alla fine, il risultato ottenuto è stato un mezzo abbastanza bilanciato come invecchiamento e, spero, verosimile come nel film.

I Tie Fighter:

I due Fighter fanno parte della serie più economica della Bandai che ripropone in 1/144 molti dei kit prodotti nelle scale maggiori. I caccia sono quelli appartenenti al Primo Ordine, caratterizzati dal colore nero ed alcuni particolari che li differenziano dai primi mezzi imperiali. Rispetto ai modelli in 1/72 hanno il difetto di non prevedere la superficie vetrata in plastica trasparente e questo ha comportato la necessità di utilizzare un colore semi metallizzato per dare l’idea della luce rossa interna all’abitacolo. Non ho accentuato il weathering perché è difficile vedere un Tie usurato, più che altro per il fatto di avere la fastidiosa tendenza a durare poche scene sotto il laser del Falcon…

Sono stati fissati ai cristalli con un tubicino in plexiglass trasparente in modo da farli sembrare in volo.

Concludendo, il progetto è stato impegnativo e ha richiesto molto tempo per acquisire le basi di molti aspetti all’inizio sconosciuti, come l’uso di parti elettroniche, di resine e stampi. Però, grazie anche alla passione per la saga di Star Wars, mi sono gettato nel lavoro senza tentennamenti, memore anche del motto del maestro Yoda: “Fare o non fare… Non c’è provare…”

Il risultato finale è stato questo e, anche se a posteriori avrei forse cambiato qualcosa, ne sono soddisfatto. Sicuramente è stata una esperienza utile perché mi ha permesso di esplorare nuovi campi lasciandomi la voglia di approfondire quanto appreso.

Al prossimo diorama e che la forza sia con voi… sempre…

Andrea “Nannolo” Nanni

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