La storia del Cobra in seno alla Israeli Air Force ha inizio ufficialmente l’11 aprile 1975, quando il primo AH-1 giunse in Israele venendo subito rinominato “Tzefa” (vipera in ebraico). La decisione della IAF di dotarsi di un moderno ed efficiente elicottero da combattimento arrivò dopo le esperienze maturate durante la Guerra dei Sei Giorni, dove circa 35 mezzi ad ala rotante (tra cui gli UH-1 e i Sikorsky S-58) contribuirono al successo delle operazioni spostando con rapidità le unità di paracadutisti sul teatro, e rappresentando un notevole vantaggio tattico. Al fine di fornire protezione alle forze a terra, e di garantirla per il maggior tempo possibile, gli Huey e gli S-58 furono dotati di armi brandeggiabili da 7,62 mm montati sui portelloni, ma era ovvio che questo accorgimento non fosse sufficiente per offrire la giusta capacità di reazione in caso di attacco nemico.
Per questo motivo, dopo attenta valutazione, il comando dell’aeronautica israeliana scelse l’elicottero da attacco della Bell che fu consegnato in sei esemplari della variante G, ex surplus dell’esercito americano (le cellule avevano già avuto ampio battesimo del fuoco nella guerra del Vietnam). Dopo appena un anno dall’entrata in linea, i vertici della IAF si resero conto che il sistema d’arma palesava delle nette carenze su almeno tre aspetti: la mancanza di un sistema di navigazione all’avanguardia, l’impossibilità di lanciare missili guidati e l’assenza di un sistema di visione laser e ad infrarosso (FLIR). Per tale motivo i sei elicotteri da poco operativi vennero nuovamente inviati negli Stati Uniti per essere convertiti allo standard AH-1 S, caratterizzato dalla più potente turbina Lycoming T53 da 1800 HP e capacità di impiego dei missili TOW. Contestualmente, per sopperire alla carenza momentanea, Israele acquistò anche sei AH-1 S ECAS “Cobra TOW” di nuova costruzione già dotati del cannone a tre canne rotanti M-197 e della nuova conformazione dei vetri della cabina. Nel 1978 gli esemplari convertiti furono, finalmente, rispediti in patria entrando ufficialmente in combattimento appena dieci mesi dopo, nel maggio del 1979, durante un attacco notturno ai danni di alcune abitazioni, all’interno del campo profughi di Al-Batz – in Libano, che ospitavano terroristi palestinesi.
Nel settembre dell’82 l’amministrazione americana autorizzò la vendita di un lotto di Cobra alla Giordania e, come controparte, fu concessa alla Israeli Air Force la possibilità di acquistare dozzine di nuovi AH-1 S Modernized (dal 1986 ri designati ufficialmente AH-1 F) che presentavano importanti upgrade tra cui un nuovo sistema di tiro, Head Up Display, ridotta traccia IR, maggiori capacità di auto difesa, early warning e Chaff & Flare dispenser. Proprio la variante F ha rappresentato la spina dorsale della componente da attacco per circa 30 anni, venendo impiegato in tutti i maggiori teatri operativi ed in particolare la striscia di Gaza e quello libanese.
Nonostante il Cobra sia uno degli elicotteri più famosi e diffusi al mondo, i kit a lui dedicati sono esigui e, in particolar modo, quelli relativi alle versioni più vecchie (qualcosa di più, invece, esiste per quelle più “late” come la W – “Whiskey” e la Z – “Zulu”). L’unico prodotto a disposizione per riprodurre un AH-1 F è il datato Monogram risalente al 1986, più di recente re inscatolato dalla Revell (con codice 04646) diversificandolo dalle precedenti uscite con un foglio decal che include anche un esemplare israeliano. Il modello risente del peso degli anni con le pannellature, poche anche sull’elicottero reale a dire il vero, tutte in positivo e dettagli molto basici. Tuttavia, raffrontandolo con i disegni in scala, è molto preciso come forme e dimensioni (la ditta americana, per i canoni dell’epoca, lavorava davvero bene).
Indubbiamente, lo stampo ha un pressante bisogno di essere aggiornato e portato a standard più confacenti le esigenze modellistiche moderne benché il mercato degli aftermarket offre davvero poco per tale scopo. A conti fatti ho potuto reperire solamente le comode mascherine pre tagliate della Eduard (codice EX-291), il cannone M-197 in ottone tornito della Master (codice 48-056), l’IR Jammer ALQ-144 in resina della Fireball Modelworks (codice FMR-018), la conversione “multimedia” (resina e fotoincisioni) della Isracast (codice IC-48028) e un set della Werner’s Wing che comprende i lanciatori dei missili TOW (di dubbia fattura, ma di questo parlerò in seguito). A completare il corredo ho aggiunto il foglio decalcomanie della Isradecal IAF-81 – IAF Attack Helicopters e, davvero fondamentale per la buona riuscita del progetto, la monografia della stessa ditta. La documentazione inerente i Cobra israeliani è scarsissima ed in rete si reperiscono solamente poche foto; senza disporre del libro trovare informazioni e foto di walkaround diventa un’impresa praticamente impossibile, per questo ne consiglio l’acquisto anche se, ultimamente, è diventato difficile reperirlo se non a prezzi decisamente troppo alti. Proprio sfogliandolo mi sono reso conto della mancanza di molti particolari che, purtroppo, non sono mai stati proposti neanche come accessori; grazie al fondamentale aiuto e collaborazione dell’amico Andrea, moderatore del forum di Modeling Time, ho ottenuto queste parti mediante progettazione e stampa 3D (approfondirò l’argomento più avanti nell’articolo).
Fusoliera e gruppo turbina:
Contrariamente a quanto sono solito fare, i lavori hanno preso il via dalle fusoliere che sono state interessate da vari interventi. Il primo ha riguardato l’apertura dello scarico del separatore di particelle del filtro anti sabbia eseguita incidendo la plastica con il cesello della Mr. Hobby, poi rifinito con una limetta piatta e striscioline di Plasticard per livellare i bordi.
Rimanendo nella stessa zona, nel punto indicato dalla freccia azzurra è prevista una finestra trasparente per il controllo del livello olio motore: anche in questo caso ho praticato lo scasso (con delle punte elicoidali sottili) che ho, poi, riempito con una “scheggia” di stirene trasparente adattata e lisciata a dovere.
La freccia blu indica il complesso delle griglie di aerazione della trasmissione e dello scarico motore: le due in alto sono già forate da scatola, al contrario quella più in basso è in plastica piena. Questa è stata la fase più delicata perché, oltre ad eliminare l’anti estetica griglia stampata, è necessario assottigliare lo spessore della fusoliera in modo che tutto risulti in scala. Per questo ho utilizzato varie frese montate sul trapanino elettrico e, con molta attenzione, ho asportato una cospicua quantità di materiale dall’interno. I bordi esterni degli alloggiamenti li ho successivamente rettificati con ulteriori striscioline di Plasticard da 0,13 mm per renderli lineari.
Una volta raggiunto uno spessore accettabile per la 1/48 (prestate molta attenzione a non “bucare” la superficie accidentalmente), ho incollato sul retro le griglie. Per simularle ho trovato perfetti i filtri a rete per il tè che, oltretutto, sono in materiale plastico e si incollano agevolmente con la Tamiya Extra Thin Cement. Per dovere di cronaca, le griglie sono fornite anche nella conversione Isradecal ma sono foto incise e molto più complicate da gestire; inoltre la maglia ha una trama, a mio avviso, assolutamente fuori scala.
Spostandomi sul troncone di coda, gli Tzefa montavano un’antenna VHF a lama sul lato sinistro, parzialmente annegata in un alloggiamento della fusoliera. Sul kit esso è delimitato da una pannellatura che torna molto utile per prendere le misure (N.d.R. attenzione alla forma dell’antenna stessa, negli anni è cambiata in base agli aggiornamenti subiti). Dopo aver praticato l’apertura ho incollato il fondo (ricavato dal solito Plasticard) e ho riempito i bordi con del Magic Sculpt.
A questo punto ho proceduto alla totale re incisione delle pannellature, aggiungendo quelle mancanti con foto del soggetto reale alla mano. Altri pannelli li ho replicati solo dopo aver chiuso le semi-fusoliere per evitare di perderli a seguito delle immancabili stuccature.
Nel corso delle mie ricerche per reperire documentazione e foto degli elicotteri reali, mi sono imbattuto in questo sito che offre buona parte dei manuali di manutenzione originali della Bell (sono di libero utilizzo e divulgazione oramai) approfondendo la conoscenza del mezzo e trovando molti spunti per dettagliare ulteriormente il modello. Primo particolare aggiunto, visibile anche nelle foto pubblicate sulla monografia Isradecal, è la copertura aerodinamica che protegge l’Intermediate Gear Box (e che mette in movimento il rotore di coda) – nello schema è contrassegnata dal numero 10.
Sul lato sinistro è protetta da una carenatura che ho riprodotto con Plasticard da 0,3 mm sagomato e raccordato alla carlinga col Magic Sculpt.
Sul lato destro, esternamente, si vede l’indicatore visivo del livello olio della scatola ingranaggi. Personalmente mi sono limitato a forare la plastica nel punto che potete vedere in foto e, a modello ultimato, simulare il vetrino con una goccia di Krystal Klear.
Rimanendo in tema di trasmissione e turbina, gli AH-1 F israeliani disponevano di filtri anti sabbia alloggiati all’interno del vano motore (evidenziati dalla freccia in rosso nello schema qui sotto).
Il kit prevede gli elementi filtranti classici e per questo vanno eliminati e sostituiti con quelli in resina forniti nel set Isradecal (fate molta attenzione durante il loro montaggio perché hanno una posizione e un’inclinazione specifica).
Come si nota anche nella foto sopra, al loro interno passa l’albero di trasmissione del rotore principale, particolare che ho rappresentato con un rod tondo della Evergreen da 1,2 mm.
La parte “calda” e il condotto di scarico li ho verniciati in Steel della Alclad, la zona anteriore è un primer anti corrosivo simile al Chromate Yellow, ma più chiaro (il mix suggerito è composto da Tamiya XF-4 e Gunze H-413).
La freccia in rosso indica una cornice sottile che tiene in posizione l’elemento filtrante anti sabbia, realizzato al plotter tagliando un foglio di Plasticard da 0,1 mm.
Dato lo spessore cospicuo dello stirene, anche in questo caso ho reputato opportuno limare con attenzione i bordi di attacco delle prese d’aria esterne evidenziati dalla freccia in blu. Inoltre ho costruito un supporto per dare al complesso turbina un incollaggio più saldo e il corretto allineamento.
Gli Tzefa erano dotati del kit per la riduzione della traccia IR, e questo comprendeva anche un “radiatore” che avvolgeva l’esterno dello scarico per favorire la dissipazione del calore. L’exhaust rappresentato dalla Monogram è del tipo intermedio senza soppressore, abbastanza approssimativo nelle forme e nei dettagli; ovviamente, non è corretto per i Cobra della Israeli Air Force.
Non esistendo un aftermarket dedicato, l’unica via per ricreare il pezzo è stata quella della stampa 3D mediante una stampante Photon della Anycubic, la flangia di fissaggio alla fusoliera e il rivestimento interno dello scarico sono in ottone tornito.
Il pezzo è stato progettato per essere modulare permettendo di verniciarlo separato dal resto del modello, accortezza che ha di molto agevolato le operazioni.
Ho migliorato anche il bocchettone del serbatoio carburante forando la superficie (anche in questo caso le pannellature originali sono state un valido riferimento) e incollando dall’interno due dischetti di Plasticard con spessore 0,13 mm sovrapposti.
Cockpit e parti vetrate:
Ad essere del tutto sincero, il cockpit di questo vecchio kit non è neanche troppo male per avere 35 anni sulle spalle. La Monogram aveva la buona abitudine di particolareggiare bene cruscotti e consolle, e anche in questo caso non si era smentita.
Di certo non sono comunque presentabili per lo standard attuale e per tale motivo ho deciso di carteggiare e fare tabula rasa di tutte le superfici, ripartendo da zero.
Dietro al sedile del pilota erano installati due pannelli dei circuit breaker: quello di destra è già fornito nelle stampate ed è accettabile. Quello di sinistra, al contrario, deve essere auto costruito con del Plasticard.
La scatola montata sulla paratia (già stampata dalla Monogram ma abbastanza approssimativa) è l’M136 Electronic Interface Unit: in pratica è l’elaboratore dei segnali che arrivano dall’Helmet Sight Subsystem, ovvero i sensori di puntamento montati sui caschi del pilota e del cannoniere. L’apparato era composto anche di altri elementi di cui vi parlerò nel prosieguo dell’articolo.
L’altra box, anch’essa già presente, è l’SCAS (Stability And Control Augmentation Sensor). Era parte di un sistema che il pilota e il cannoniere potevano ingaggiare durante il tiro (del cannone o dei missili TOW) per stabilizzare l’elicottero.
Le consolle sono state completamente rifatte col solito Plasticard sottile e alcune fotoincisioni provenienti dal set Scale Modern Jet Components della Airscale (codice PE-48 MOD). Le migliorie hanno interessato anche le paratie laterali dell’abitacolo del pilota e la zona alle sue spalle dove sono alloggiate diverse scatole avioniche riprodotte con varie sezioni di rod quadrati della Evergreen.
I cruscotti da scatola sono buoni ma devono essere modificati per rappresentare correttamente la configurazione degli Tzefa:
Frecce Rosse: indicano gli elementi ricostruiti e aggiunti prendendo come base le foto contenute nella monografia Isradecal. Nei vari anni di servizio la postazione del cannoniere è cambiata molto, l’esemplare che ho scelto presentava un aggiornamento intermedio stando alle foto che sono riuscito a reperire. Lo schermo centrale è formato da varie sezioni di rod quadrato, più una fotoincisione recuperata dal set Airscale sopra citato. Stesse PE (photoetched) utilizzate anche per aggiornare la parte sinistra del pannello strumenti dove trovavano posto una serie di pulsantiere per inserimento dei dati di navigazione e di tiro.
Frecce Arancioni: aggiunte le bocchette del sistema anti appannamento/aerazione.
Freccia Nera: indica uno strumento da eliminare sopra l’orizzonte artificiale perché non installato sugli Tzefa.
Freccia Blu: aggiunta la scatola di quello che dovrebbe essere il controllo dei lanciatori Chaff & Flare sulla palpebra della postazione del pilota.
Freccia Verde: allungata la consolle centrale, quella originale è davvero troppo corta.
Rimanendo sul cruscotto del pilota, ho eliminato l’Head Up Display stampato in plastica per sostituirlo con una copia, migliorata e corretta, anch’essa in resina 3D. La lente del proiettore è ricavata da un tondino di alluminio tornito e lucidato a specchio.
I seggiolini meriterebbero un capitolo a parte per quanto lavoro hanno richiesto. Partendo dal solido presupposto che quelli da scatola sono inutilizzabili e vanno cestinati (le forme e le dimensioni sono di pura fantasia), anche in questo caso non ho potuto far altro che chiedere l’aiuto di Andrea per riprodurre in 3D gli schienali blindati e i cuscini; le piastre delle sedute, invece ho preferito auto costruirle con del Plasticard da 0,2 mm sagomato per contenere gli spessori.
Per quanto concerne la verniciatura, per praticità ho riportato tutte le vernici utilizzate nell’immagine che segue:
Le cinture dei sedili provengono dal set HGW dedicato al P-51 che sono simili e compatibili (almeno in scala) con quelle installate sui Cobra. Le cinghie sono fatte del materiale chiamato “fabric”, una sorta di stoffa un po’ elastica che dà veramente un tocco di realismo poiché può essere conformata a piacimento. Il suo colore, però, è poco realistico per cui ho preferito riverniciare le superfici con il mix Vallejo che ho indicato. Tutti i volumi del cockpit li ho messi in evidenza con la tecnica del dry brush che si sposa benissimo col colore scuro del fondo. A tale scopo ho creato un mix non troppo chiaro miscelando del nero e del bianco ad olio per cercare di mantenere le luci ben bilanciate. A seguire ho profilato tutti i sottosquadri e le ombre con un nero ad acquerello steso con un pennello sottile: il metodo funziona e dona molta profondità e definizione ai pezzi, inoltre questo genere di pigmenti sono sfumabili e modulabili a in base all’effetto che si vuole ottenere.
La strumentazione dei pannelli proviene dal set di decal “Model Airplane Instruments” della Airscale (codice AS48 HAC), in più ho aggiunto altri particolari della Anyz che danno una marcia in più all’insieme.
Il tubo sagomato, che passa sotto al cuscino del cannoniere, veicola l’aria dal sistema di condizionamento e l’ho realizzato con un filo di acciaio armonico su cui ho avvolto a spirale un filo sottile di rame per simulare i rinforzi. Lo stesso sistema pneumatico è previsto anche per il sedile del pilota.
Per ciò che riguarda le grandi parti vetrate che chiudono gli abitacoli, andando ad analizzare quelle contenute nel mio kit ho trovato una brutta sorpresa perché durante le prove a secco mi sono reso conto che qualcosa non andava. Sistemando i pezzi sul lato destro si presentavano vistosi disallineamenti sul sinistro, e viceversa. Alla fine, dopo vari tentativi, mi sono reso conto che il trasparente che chiude il cielo cabina è completamente deformato.
Non è un problema di confezionamento degli sprue che potrebbero essere stati sottoposti a eccessive pressioni o schiacciamenti, bensì è un difetto dello stampo che, evidentemente, con gli anni e i vari re-box si è deteriorato. A riprova di quanto affermato, il vetrino in alcuni punti presenta degli spessori della plastica anomali che si notano ponendolo sotto la luce di una lampada; inoltre, controllando i work in progress di altri modellisti che si sono cimentati con la scatola Revell, ho notato gli stessi problemi da me riscontrati. Ho pensato a varie opzioni per poter superare l’inconveniente, tra cui quella di ricostruire da zero il telaio e riprodurre i singoli vetri con acetato, ma alla fine ho dovuto scartare tutte le idee perché la struttura sarebbe risultata davvero troppo fragile. Non mi è rimasta altra scelta che acquistare un altro kit originale Monogram (per fortuna se ne trovano ancora in circolazione) in cui il pezzo è perfettamente allineato. La differenza è netta:
Volendo riprodurre i portelloni di accesso agli abitacoli aperti, è necessario separare le porzioni di vetrino interessate. Per la parte sinistra l’intervento è semplice poiché basta sezionare il pezzo lungo la linea di taglio già stampata all’interno. Per la destra, al contrario, è decisamente più complicata perché il portello, oltre ad avere una forma meno lineare, è anche unito alla copertura superiore e al blindo vetro del pilota. Le incisioni le ho praticate mediante la seghetta a doppia lama della Razor e il cesello della Gunze con punta da 0,2 mm (ottimo per questo genere di lavori).
Le parti ottenute hanno spessori esagerati per la 1/48 e sono anche sottodimensionati: per riportarli alle giuste proporzioni ho deciso di incollare delle cornici esterne fatte del solito Plasticard tagliato al plotter. I pezzi ottenuti li ho sfruttati come master per la riproduzione tramite la tecnica del Vacuform (un nostro video tutorial lo trovate QUI) ricavandone dei nuovi con sezioni decisamente più in scala.
A questo punto mi sono dedicato al dettaglio interno: sul vetro fisso a sinistra ho ricreato l’alloggiamento per la sonda della temperatura esterna, e con un tondino di Plasticard ho simulato la veglia dello strumento; su quello alla destra del navigatore c’è una bugna che serve a dare ulteriore spazio di manovra al braccio quando si utilizza il joystick, posto sulla consolle, che comanda anche la torretta del sistema di puntamento. Lo scasso non esiste, per cui ho dovuto asportare la plastica in eccesso con il trapanino elettrico e rifinire il tutto con una striscia di Plasticard da 0,1 mm che simula il longherone di rinforzo della cornice.
Sulle parti apribili ho inserito la struttura di rinforzo che tiene i plexiglass in posizione, semplicemente sfruttando il progetto già usato per ricreare le cornici di dimensioni corrette e adattando i pezzi al nuovo scopo. Ho infilato anche i pin di riscontro utilizzando delle sezioni di cavo di acciaio armonico e, alla fine della costruzione, questo escamotage mi ha permesso di unire i pezzi solidamente senza rischiare indesiderati aloni di colla. Le sedi per i pistoni di sollevamento sono sezioni di tubicino di ottone da 1 mm limato e adattato, le piastre delle maniglie sono un mix di nastro d’alluminio adesivo e Plasticard.
Altre lavorazioni hanno riguardato, in ordine:
- Rimozione e rifacimento della piastra su cui verrà poi fissata la lama taglia cavi fornita in fotoincisione nel set Isracast. Ho preferito rimuovere l’originale, stampata assieme al trasparente, perché la struttura contemplava lo scasso per il pezzo che simula la lama stessa, e che da kit ha spessori inaccettabili. Quindi, via tutto e ho auto costruito i vari elementi col solito Plasticard.
- Dato che sui portelloni di accesso ho, come detto prima, realizzato dei perni di fissaggio, ho dovuto creare degli scassi ad hoc sulla parte fissa. Facendo estrema attenzione ho forato la plastica con delle micro punte da 0,3 mm… un lavoro da sudori freddi!
- Per ultimo ho aggiunto le piastre (dei pezzi di nastro Dymo tagliato a misura, che è già nero e auto adesivo (cosicchè incollarli in posizione è stato molto più semplice), su cui si montano gli elementi che compongono l’HSS – Helmet Sight System, ovvero il sistema di puntamento integrato nei caschi degli operatori. Sui Cobra americani l’HSS era utilizzabile sia dal pilota, sia dal cannoniere, ma guardando le foto degli esemplari israeliani mi sono reso conto che nella maggior parte dei casi era solo quest’ultimo a disporne (nell’abitacolo del pilota i rail erano solitamente rimossi e rimanevano visibili solo le piastre di fissaggio). Studiando i manuali di manutenzione e le foto on line (poche a dire il vero, ancora una volta è stata utilissima la monografia Isradecal in questo senso) ho cercato di riprodurre il pantografo che si agganciava al casco stesso con due magneti. Esso è composto da tre tondini di ottone da 0,8 mm piegati a freddo e montati su due striscioline di Plasticard da 0,2 mm; non è del tutto fedele ma la mancanza di spazio dovuta agli spessori del trasparente, e l’effetto scala da rispettare, mi hanno fatto scendere a compromessi. Per completare il lavoro ho aggiunto i cavi che collegano il link all’elaboratore elettronico posto alle spalle del seggiolino del pilota (una delle tante “scatole” presenti in quella zona) e che, normalmente, erano lasciati sul bracciolo destro della postazione del gunner o sulla relativa consolle.
Rotore principale e di coda:
Come molte altre parti del kit, anche i rotori soffrono di parecchie approssimazioni e mancanze. Inizialmente volevo limitare gli interventi al minimo sindacale ma, controllando anche la documentazione, mi sono reso conto che avrei fatto meno fatica a ricostruire quasi del tutto i vari meccanismi piuttosto che sfruttare quelli già esistenti. Il primo intervento ha riguardato quello principale a cui ho separato, con una seghetta foto incisa e molta attenzione, le pale dal piatto oscillante.
Mediante il mio fidato plotter ho tagliato i supporti cui sono assicurate le pale stesse (da eliminare subito dopo il taglio al fine di rappresentarli col giusto spessore), e così facendo ho ottenuto delle parti con le medesime dimensioni. Utilizzando l’originale come dima ho ricavato le misure per eseguire il foro di centraggio del mozzo che ho realizzato con un pezzo di rod circolare della Evergreen.
Le pale stesse sono state assottigliate, reincise e completate con i bulloni di fissaggio che ho rappresentato con piccole sezioni di tondino d’ottone. Anche l’albero motore ha subito delle migliorie, ma solo nella parte superiore che è l’unica visibile a modello ultimato.
Sul rotore anti-coppia mi sono limitato ad aggiungere alcuni braccetti e i contrappesi di equilibratura; i materiali utilizzati sono i soliti tra cui Plasticard (fustellato in dischetti), ottone e vecchie fotoincisioni provenienti dal provvidenziale magazzino spare part.
Pattini:
I pattini sono un altro elemento che denota tutto il peso degli anni del kit Revell/Monogram. I tubolari sono spessi, di sicuro non in scala e stampati in modo dozzinale con evidenti bave di plastica. Inizialmente non ero intenzionato a modificarli se non migliorando piccoli particolari ma, in definitiva, ho deciso di ricostruirli da zero anche per garantire al modello ultimato una maggiore solidità.
La prima operazione è stata quella di tagliare via tutto mantenendo solamente l’inserto che chiude la fusoliera nella parte inferiore. Successivamente, con un tondino di ottone da 0,7 mm piegato a freddo, ho ricreato la forma dei montanti basandomi sui pezzi originali. Non è stato semplice trovare il giusto metodo ma alla fine, sfruttando il manico in legno di una lima ad ago come una calandra, sono riuscito nell’intento.
I pattini, invece, sono due profilati tondi della Evergreen da 2mm di diametro (codice 212) modellati a caldo. I quattro alloggiamenti in cui si innestano i montanti (due per ogni elemento) sono tubicini, sempre della Evergreen, con diametro esterno da 3,2mm, ma che ho limato e ridotto per fargli assumere una forma tronco-conica.
Sul corpo centrale ho incollato due sezioni degli stessi tondini che hanno funzionato da invito in cui infilare l’ottone.
Il passaggio più complesso ha riguardato gli aggiustamenti per incollare tutti i nuovi pezzi in bolla, ed evitare che il piccolo Cobra possa assumere un assetto errato una volta concluso. Per tale motivo ho costruito una specie di telaio su cui ho riportato le misure dei pattini originali: allo scopo di tenerli fermi ho incollato delle palettine di legno, e sulla linea di mezzeria ho tracciato un riferimento per capire se il nuovo complesso fosse ben allineato e le distanze fossero correttamente riportate sia a destra, sia a sinistra.
Una piccola livella mi è stata utilissima, in più, per avere conferma che la struttura fosse centrata, ho sfruttato il classico metodo per lavori in muratura: due fili a piombo provvisoriamente fissati a poppa e a prua.
Dopo decine di prove a secco, e dopo aver trovato la quadra, ho inondato (letteralmente) i tondini di ottone con la ciano-acrilica per fissarli saldamente. Qualche aggiustamento è stato necessario per permettere ai pattini di toccare perfettamente a terra lungo tutta la loro estensione. Inoltre ho aggiunto ulteriori dettagli quali le piastre di rinforzo, con nastro d’alluminio adesivo, e relativi rivetti (provenienti dai set della Archer di cui parlerò più avanti). Con un tondino di ottone da 0,1mm, invece, ho simulato i ganci che tengono in posizione le coperture in tela dell’abitacolo.
Dal manuale di manutenzione ho ricavato le misure reali e da queste ho fatto un check per quelle in 1/48. Facendo la conversione tra pollici e centimetri, e riportando i valori in scala, tra i due pattini deve esserci un’apertura di 4,2 cm; misurando i pezzi ho riscontrato una misura di circa 4,1 cm.
Particolari esterni:
L’unione delle due semi fusoliere non presenta problemi di sorta e gli insiemi combaciano abbastanza bene. Al contrario, la parte inferiore crea molte fessure ed è stato necessario intervenire con abbondante uso di ciano-acrilica (come stucco) e, in qualche punto, anche delle striscioline di Plasticard per riempire al meglio i gap.
In questa zona ho migliorato il faro d’atterraggio retrattile (gli Tzefa ne avevano altri due fissi) che sul kit è rappresentato in posizione chiusa. Dato che a terra era spesso estratto, ho aperto l’alloggiamento con delle fresette montate sul fidato trapanino elettrico e ho rifatto il fondo con una lastrina, ancora una volta, di Plasticard incollato dall’interno. I fari veri e propri (frecce in blu) li ho ottenuti in ottone, tornendo le parabole con un tornio da banco: quello centrale e quello fisso più piccolo a sinistra sono a luce diretta, l’altro contenuto nella carenatura aggiuntiva (in resina bianca Isradecal) era schermato per le operazioni notturne in NVG. I vetrini sono in plexiglass sagomato, ancora una volta, con il tornio e rifiniti/lucidati a mano.
I particolari di colore bianco che vedete in foto sono i portellini di ispezione e le antenne circolari del radar altimetro, tutte rifatte col solito Plasticard e plotter da taglio.
Sul castello motore occorre aggiornare o rimuovere alcuni apparati che non erano previsti per gli Tzefa. L’antenna ADF e il ricevitore del radar per le contromisure non erano installati perché rimpiazzati da sistemi più aggiornati. Parte del sistema RWR (Radar Warning Receiver) era integrato in una nuova carenatura della luce anticollisione che, infatti, è stata sostituita con la resina dedicata della Isracast (la luce stessa è stampata male e l’ho eliminata in favore di un’altra tornita in ottone).
Subito dietro è visibile la carenatura del tubo di spurgo della sovrappressione del serbatoio olio, installato all’interno; tale tubo serviva, appunto, per eliminare la pressione in eccesso al di fuori del barilotto e, difatti, nelle foto si nota spesso l’area antistante abbastanza sporca di lubrificante.
Ad ogni modo il pezzo stampato dalla Monogram è molto abbozzato ed ho optato per rifarlo da capo, immagini dei Cobra reali alla mano, partendo da un rod tondo della Evergreen da 2mm (scavato all’interno per simulare l’alloggiamento della cannetta).
Con l’aggiunta delle ultime griglie di aerazione ho terminato il complesso dello scarico. I due sfoghi triangolari li ho tagliati su Plasticard da 0,2 (sempre col plotter) che, dopo averlo assottigliato ulteriormente, ho incollato direttamente sulla cofanatura. La retina proviene, ancora una volta, dal filtro da tè già usato in precedenza. A seguire ho montato la flangia di chiusura in ottone e l’anello di fissaggio del tubo di scarico esterno, su cui è necessario posizionare le staffe di fissaggio. Sono otto in totale, stampate in 3D e molto piccole; non è stato semplice allinearle per cui ho usato la massima cura e Attack Gel per avere più tempo durante le operazioni.
I tanti portelli che chiudono altrettanti vani sono stati tutti disegnati e plotterati sul solito Plasticard. Qui sotto vedete i pannelli di copertura rettangolari di vari apparati avionici tra cui il sistema di stabilizzazione degli assi, alimentazione del FLIR e l’EPS (electronic power supply); il portellino più piccolo è quello che copre l’external power plug, dove si inseriva il generatore esterno per l’alimentazione elettrica.
Sul lato destro, invece, si trovava il vano batteria (quello tondeggiante con griglie di aerazione) e il vano dell’Interface Control Unit (un altro sistema che fa parte del computer di tiro). Come avrete notato, i primi due pannelli li ho riprodotti con nastro kabuki adesivo, quello più grande in Plasticard, perché anche sull’elicottero reale avevano spessori differenti. Sempre in kabuki è anche la piccola piastra di rinforzo sotto il tappo del serbatoio carburante.
Altre piastre e coperture rifatte in kabuki si trovano sotto il troncone di fusoliera. Quella a destra è relativa all’antenna del transponder, quella a sinistra ingloba due griglie di aerazione per l’avionica dei ricevitori radar warning.
Sul frontale del castello motore c’è una presa d’aria che convoglia il flusso verso la turbina per il raffreddamento, e sugli elicotteri reali essa è protetta da una griglia anti fod. Per realizzare un lavoro pulito ho tagliato una cornice su cui ho incollato, all’interno, un altro pezzo di filtro da tè; il tutto è stato poi fissato sul modello stuccando con la ciano-acrilica (fortunatamente non ci sono pannellature da reincidere intorno).
Alla base della deriva, in prossimità dello snodo della trasmissione, ci sono due rinforzi sagomati (anche questi plotterati).
Noterete anche il pattino di coda che è formato da un tubicino di ottone e dall’elemento flessibile realizzato con dell’acciaio armonico; sulla fusoliera ho migliorato il relativo alloggiamento riempiendolo con un pezzo di rod tondo da 1,6 mm che ho poi scavato nuovamente utilizzando una fresa montata sul mio Proxxon, e varie limette ad ago. L’operazione si è resa necessaria perché, sul vero, il vano non è centrato sulla linea di mezzeria dell’elicottero, ma segue la forma dell’impennaggio verticale che è sbandato di qualche grado a sinistra per contrastare la coppia del rotore principale.
Alcuni AH-1 di determinati block costruttivi consegnati ad Israele erano dotati dell’ALT (Airborne Laser Tracker), sistema non sempre implementato sugli esemplari americani su cui la bolla in plexiglass era sostituita da una carenatura in vetroresina (così come rappresentato dalla Monogram).
Per essere più preciso, verso la fine della vita operativa delle cellule l’ALT fu scollegato e non più utilizzato (a riprova del fatto in alcune foto di taluni Tzefa si nota della sabbia all’interno della cupola). L’elicottero da me scelto ne era, invece, provvisto per cui non ho potuto far altro che auto costruire la bolla stessa partendo da una bacchetta di plexiglass da 5 mm circa di diametro. Il pezzo è stato lavorato grazie all’ausilio del tornio da banco che mi ha risparmiato un bel po’ di fatiche. La fase più complicata è stata quella per svuotare il tondino, che ovviamente era pieno, e creare l’alloggiamento interno per il puntatore vero e proprio; questo è stato simulato tornendo il solito ottone.
Replicata dal nuovo anche l’asta dell’ADS (Air Data System), perché il pezzo in plastica fornito nel kit non è assolutamente all’altezza. Ho usato un tubicino di rame tagliato a misura e piegato, la sfida è stata quella di non abbozzare il metallo nella parte curva. Il ricettacolo montato sul boom è stampato in 3D, mentre il sensore mobile è in alluminio tornito. Sul trasparente ho ricreato la piastra, su cui il complesso andrà poi alloggiato, con del Plasticard.
Cannone e missili TOW:
Come anticipato all’inizio di questo lungo articolo, per migliorare i lanciatori e i TOW mi ero affidato al set della Werner’s Wings. Quando ho aperto la confezione, osservandolo più da vicino, mi sono reso conto che i pezzi forniti non erano altro che le copie di quelli da scatola con minimi dettagli aggiunti e, a conti fatti, non contribuivano al realismo generale.
Per questo li ho quasi del tutto scartati preferendo ricostruire gran parte dei componenti utilizzando il già citato tornio da banco. In particolare, il corpo dei missili l’ho ricavato, dal pieno, partendo dal solito ottone (metallo dolce e malleabile che si presta bene ad essere modellato); così facendo ho anche potuto dare la forma corretta al tubo che sia la Monogram, sia la Werner’s, non hanno riprodotto correttamente.
La rastrelliera è un mix dei pezzi in resina (il travetto centrale è già rivettato e ho potuto sfruttarlo) ed altri totalmente auto costruiti. Le volate sono anch’esse tornite in ottone, come anche i tubi di scarico, ma quest’ultimi ottenuti da un tubicino di rame; ad entrambi ho assottigliato gli spessori delle sezioni frontali per renderli quanto più in scala possibile.
Le parti in Plasticard sono delle flange di rinforzo che ho ritagliato dal solito foglio da 0,1 e incollate in posizione con la ciano-acrilica.
Le ali (così vengono chiamate anche nei manuali di manutenzione), dove trovano alloggiamento i carichi esterni, sono state reincise e completate dei due piccoli pannelli circolari in rilievo per cui ho usato, di nuovo, il nastro Dymo; le sedi dei bulloni di fissaggio le ho riprodotte con un tubo Albion Alloy da 0,4 mm. Sotto ho riempito gli scassi per i piloni delle razziere (o dei serbatoi ausiliari) che sugli Tzefa, nell’ultimo periodo di vita operativa, non erano praticamente quasi mai installati.
Pur essendo, inizialmente, convinto di poter migliorare i pezzi forniti nel kit, sono stato costretto a scartare anche gran parte del cannone M-197 perché col materiale a disposizione non avrei ottenuto nulla di soddisfacente. Anche in questo caso il ricorso al tornio è stata la soluzione per ricavare gli elementi principali dell’arma, a parte le canne che (fortunatamente) provengono dal bellissimo articolo della polacca Master.
In rete, e sulla monografia Isradecal, si trovano parecchie foto del cannone ma, in realtà, quasi tutte non sono veramente utili. Inoltre, molto spesso in situazioni non operative veniva smontato il “feeder”, ovvero la “scatola” dove passano i nastri dei colpi e che alimenta il tamburo. Approfondendo l’argomento, preso anche dalla curiosità, ho compreso che esso è uno dei sistemi più soggetti all’usura e all’ossidazione per cui gli armieri preferivano salvaguardarlo da eventuale ruggine e, di conseguenza, inceppamenti. Girovagando in rete (che è una fonte inesauribile di ottima documentazione e, soprattutto, gratuita) ho direttamente reperito il manuale tecnico con l’esploso e i vari part number:
A questo punto ho acceso il tornio per lavorare il solito tondino di ottone e tirarne fuori il tamburo. Sulla destra c’è, appunto, il feeder che ho ricostruito con del Plasticard da 0,2 mm sagomato (ci sono volute decine di prove a secco e molta calma perché non è facile capire gli ingombri corretti in scala). Per simulare le ruote dentate che fanno scorrere le cartucce ho recuperato dei vecchi ingranaggi da un amico orologiaio (il suo aiuto è stato provvidenziale); anche se non sono del tutto in scala, fanno comunque la loro figura. L’alberino è in ottone tornito.
Sulla parte opposta, invece, ho rifatto da zero il motorino che controlla lo spostamento sull’azimut (Azimuth Drive) utilizzando, ancora una volta, del Plasticard e dei profilati Evergreen.
Più in basso ci sono due smorzatori che regolano il rinculo del cannone; sono davvero piccoli e li ho ottenuti da una base in Plasticard su cui ho applicato due sezioni di tubicini di ottone Albion Alloy da 0,1 e 0,2 mm l’una dentro l’altra.
Il telaio (saddle part nello schema sopra) su cui è fissato il cannone è sempre in Plasticard, ricostruito per seguire gli ingombri dei nuovi pezzi e della torretta originale del kit che è già buona di suo. All’interno ho anche inserito un pezzo di nastro munizioni prelevato dalla scatola “U.S. Machine Gun” della Academy, è in scala 1/35 ma la differenza non si nota anche perché, alla fine, i proiettili sono praticamente nascosti dalla struttura.
Montaggio finale e rivetti:
Uno dei passaggi più delicati è stato quello del montaggio delle grandi superfici vetrate. Ma prima di unirle al resto del modello ho inserito gli ultimi particolari mancanti:
Quella che vedete sulla destra dell’abitacolo anteriore, montata su uno stelo e col filo elettrico a spirale, è una luce da lettura. In alcune foto è ben visibile, in altre è nascosta perché spesso il cannoniere (o il pilota) la “collassavano” verso il basso per non intralciare la visibilità.
L’equipaggio era protetto da delle piastre balistiche poste sui fianchi dei seggiolini (per cui ho usato il Plasticard da 0,2 mm). Frontalmente sulla destra del cannoniere/puntatore, ho aggiunto una piccolissima consolle che alloggia la bussola di backup, l’orologio/cronometro e uno specchietto retrovisore.
Per incollare i vetrini ho adottato una sequenza ben precisa: per primo ho fissato il finestrino laterale alla sinistra del pilota con due gocce di Vinavil; l’incollaggio definitivo l’ho eseguito spennellando del metiletilchetone (va bene anche la Tamiya Extra Thin Cement) lungo tutte le giunzioni. È importante montare prima questo elemento poiché funge da battuta e da allineamento per il trasparente superiore che, ancora una volta, è stato saldato facendo filtrare il MEK in profondità nelle fessure. Sconsiglio l’utilizzo di ciano acrilica o Vinavil (se non per fermare momentaneamente le parti) dato il rischio di macchiare le superfici che sono davvero molto estese.
Gli Tzefa israeliani durante gli anni hanno subito molti upgrade e, tra questi, almeno tre hanno riguardato il sistema di puntamento. Quello montato sul mio esemplare presentava l’aggiornamento “Reshafim”, ultimo ricevuto prima della radiazione. La forma delle lenti e della torretta stessa era molto diversa dagli elicotteri americani, per questo la Isradecal le fornisce in resina da applicare sul pezzo da scatola che rappresenta il retro. Mancano, però, i pannelli d’ispezione imbullonati ai lati, che ho reinciso.
Ovviamente differiva anche la configurazione della barra antiurto che non è uguale a quella proposta nella scatola (tra l’altro anche abbastanza sproporzionata e fuori scala, quindi da scartare a priori). Alla fine, ho ricostruito tutto con il solito tubicino in ottone della Albion incollato su due supporti in Plasticard.
La piccola “antennina” che vedete è, in realtà, l’indicatore visivo della posizione della torretta che il puntatore poteva sfruttare per rendersi conto di eventuali incongruenze nell’allineamento. La base è un pezzo di ago di siringa rastremato su cui ho incollato una sezione di filo armonico d’acciaio che è sottile e proporzionato.
Spostandomi sul troncone di coda, ho preparato e predisposto i lanciatori dei Chaff/Flare in resina che, purtroppo, sono mancanti della griglia che racchiude le cariche. L’ho rifatta utilizzando una retina foto incisa della Eduard (codice 00106) che non è propriamente in scala ma, alla fine, fa il suo dovere.
In alto c’è l’IR Jammer che, in gergo, viene chiamato “disco ball”. Anch’esso è in resina poliuretanica ed è stampato dalla Fireball Modelworks con una buona qualità.
Le frecce in blu mettono in evidenza i tappi che sugli esemplari della IAF coprivano gli alloggiamenti delle antenne ILS (su entrambi i lati), sistema montato sugli elicotteri americani ma non sugli Tzefa. Ho chiuso i fori con dei dischetti di Plasticard fustellati.
Il set Isradecal fornisce praticamente tutte le antenne RWR e sensori aggiuntivi montati dagli israeliani (a tal proposito fate attenzione a cosa aggiungere perché, negli anni e secondo i vari aggiornamenti, alcuni sistemi non furono installati), eccezion fatta per questa piccola antenna trapezoidale che è stata completamente tralasciata. Poco male, l’ho rifatta con del Plastirod di sezione quadrata sagomato a colpi di lima.
Approfittando del tornio in funzione ho rimodellato anche l’antenna GPS posta davanti al parabrezza.
A questo punto ho anche incollato i pattini che mi hanno dato del filo da torcere, soprattutto per trovare il giusto allineamento e assetto finale. Ho usato del Vinavil colato all’interno degli alloggiamenti poi, dopo avere messo in bolla il modello, ho saldato il tutto facendo filtrare della ciano acrilica dall’esterno.
Ho completato anche i travetti laterali cui ho aggiunto le luci di posizione (provenienti dai set in resina trasparente colorata della CMK) e la flangia di copertura dei bulloni di fissaggio che ho riprodotto plotterando la forma sul nastro Kabuki.
Anche le superfici inferiori sono complete. In più ho anche tornito in ottone la sonda della temperatura esterna che si vede appena uscire da sotto. I due fori che vedete liberi sono di predisposizione per un gancio di “tie down” (cioè che veniva usato per ancorare l’elicottero a terra) che, al termine dei lavori, ho rifatto con del filo di acciaio armonico.
Sempre tramite tornitura di un tondino d’ottone, ho ottenuto il pitot (che ho poi piegato a dovere, a freddo).
Passo, ora, alla fase che mi ha tenuto impegnato per parecchie ore. Costruttivamente gli elicotteri, anche per le forze in gioco (vibrazioni, forze di coppia) e le basse velocità, sono pieni di particolari esterni e poco curati a livello aerodinamico. A maggior ragione, sono caratterizzati dalla presenza di molti rivetti e il Cobra non è da meno sotto questo aspetto. Il vecchio Monogram, da buon kit di una volta, ne includeva già un bel po’ in positivo e già dallo stampo originale, ma dopo tutte le lavorazioni, aggiustamenti e modifiche e per la totale re incisione delle pannellature, del dettaglio iniziale era rimasto ben poco. Ma dato che sull’elicottero reale ce ne sono tanti e si vedono, non ho potuto far altro che cercare di ripristinarli tutti (o quasi).
Dico “quasi” perché, foto alla mano, a livello modellistico sarebbe stato impossibile applicarli tutti e in tutti i punti giusti; ho cercato di mediare tra realismo e colpo d’occhio senza esagerare per non appesantire troppo le superfici.
Per riprodurre le varie file mi sono rivolto, di nuovo, alla Archer. Questa ditta americana commercializza dei rivetti di varie dimensioni e sono, fondamentalmente, dei piccoli “puntini” di resina fissati su un film trasparente unico adesivo, quello delle decal per intenderci, che va ritagliato e scontornato a dovere prima di applicarlo.
Il potere adesivo del supporto è praticamente nullo e, per esperienze personali pregresse, se trova una superficie liscia come la plastica nuda non sopporta la minima manipolazione.
Al contrario, se lo si adagia su un fondo trattato con il Mr.Surfacer Gunze e lo si fissa con una spennellata di Mr. Mark Softer della stessa ditta, diventa tenace a tal punto da reggere anche le mascherature più invasive.
Il metodo che ho usato è stato proprio quello appena descritto: mano di Mr. Finishing Surfacer 1500 Grey su tutto il modello che, una volta asciutto, ho lisciato con spugnette abrasive fini bagnate.
A seguire ho iniziato la posa delle strisce di rivetti prestando molta attenzione al Mark Softer: una volta che inizia ad agire non toccate nulla! il film diventa talmente morbido da piegarsi appena viene sollecitato, col risultato di perdere l’allineamento della fila che si sta posando.
Guardando le foto sulla monografia della Isradecal mi sono reso conto che sull’elicottero sono stati usati almeno tre tipi di rivetti con dimensioni e spaziature delle teste differenti; nel mio caso ho scelto il foglio 88146, 88145 e 88014.
Dopo un’ulteriore mano finale di primer, questo è il risultato:
Verniciatura e decal:
Messa da parte la lunga e complessa costruzione, dopo mesi di lavoro ho iniziato la verniciatura. L’obiettivo, sin da subito, era utilizzare meno decalcomanie sostituendole, dove possibile, con insegne direttamente verniciate sul modello. Questa scelta è stata quasi obbligata per vari motivi.
Il fregio del “Northern Squadron”, che corre lungo entrambe le fiancate, è davvero esteso e abbastanza invasivo. Utilizzando le decal dal set Isradecal avrei avuto maggiori difficoltà nel posizionamento. Fattore ancor più importante, queste non sono del tutto corrette perché il disegno della vipera è cambiato negli anni per semplificarne l’applicazione da parte degli specialisti. In particolare, la base del rettile non copriva più parte della struttura dei pattini ma rimaneva sopra, e la coda (il terminale che prende parte della deriva) aveva un andamento diverso. L’emblema rappresentato dalla Isradecal (tra l’altro ideato e disegnato per la IAF dallo stesso titolare della ditta, Raanan Weiss) è del primissimo tipo e permette di rappresentare solo gli Tzefa cui il motivo è stato applicato durante l’estate del 2002.
Oltre a quanto detto, ho constato che la “V” gialla è errata nelle dimensioni e non copre correttamente tutta la zona corrispondente sulle cofanature della turbina. Questo segno di riconoscimento fu applicato su tutti gli elicotteri israeliani a partire dal 1982, anno della prima campagna di Libano (Operation Peace for Galilee ) contro l’OLP (Organizzazione per la Liberazione della Palestina), per distinguere meglio i velivoli ad ala rotante israeliani ed evitare casi di fuoco amico.
Quindi, scartate le decal e con l’aiuto di un amico (Vincenzo, che saluto e ringrazio ancora), ho tagliato tutte le insegne col mio fidato e irrinunciabile plotter:
Le maschere sono state modificate, adattate e poi applicate sul modello. L’allineamento non è semplice, ma con un po’ di pazienza e usando le pannellature come riferimento, alla fine si riesce nell’intento.
Ho scelto anche di utilizzare la tecnica del pre shading (col Dark Earth Gunze) optando, però, per un effetto leggero e poco visibile sotto il colore definitivo della mimetica.
Già che c’ero, ho preferito verniciare anche le stelle di David (per il blu ho mixato ad occhio l’XF-8 Tamiya e il blu scuro Gunze H326).
Centrare i colori per questo soggetto è stato davvero complicato, devo ammetterlo. Il TAN, controllando decine di foto dei soggetti reali, ha delle tonalità diverse in ogni immagine (a volte è marrone, a volte è giallo… altre volte addirittura rosa). A peggiorare la situazione c’è il riferimento ufficiale, il 30145, che se visto sulla mazzetta Federal Standard è un marrone scurissimo!
Altra tinta che mi ha portato via tantissimo tempo, e decine su decine di prove, è quella con cui è verniciata la vipera sulle fiancate. Di primo acchito viene da pensare che sia nera, o grigio molto scuro… in realtà è verde, esattamente l’FS 34031.
Alla fine, dopo svariati mix (alcuni improvvisati sul momento, per cui non ho preso dei riferimenti precisi e me ne scuso) il risultato è quello che vedete in foto:
Piccola nota: sui pattini e relativa struttura v’erano delle zone anti skid per agevolare la salita dei piloti e degli specialisti. Queste erano spesso molto logore e impolverate; a volte neanche si distinguevano dal resto della mimetica. Per questo, come base, ho scelto l’Helo Drab RC-229 della AK Real Color che ho ulteriormente sbiadito con varie passate di XF-59, XF-60 e H-313.
La grande antenna ADF posta sulla superficie inferiore della fusoliera è, invece, in nero opaco. È interessante osservarla anche sugli elicotteri veri perché fa subito capire che, in realtà, la vipera non è del medesimo, bensì in Helo Drab.
All’interno dei portelloni di accesso all’abitacolo c’erano delle bande gialle che aiutavano ad identificare le uscite di emergenza per l’equipaggio. Sono realizzate col plotter usando il nastro Kabuki che, una volta verniciato con lo stesso mix della “V” identificativa, ho applicato direttamente sui pezzi sfruttandone il potere adesivo.
Lo scarico ha il radiatore in Steel Alclad annerito, come nella realtà, con il nero opaco Tamiya.
Per ultimo, ecco l’IR jammer AN/ALQ-144 ultimato:
A vederlo è davvero affascinante poiché tutti gli elementi riflettenti sono rivestiti con un trattamento prismatico che gli fa assumere tantissime tonalità diverse a seconda dell’incidenza della luce. All’inizio, per riprodurre l’effetto, ero orientato sulle tinte Prismatic della Alclad, ma dopo alcune prove l’idea è naufragata miseramente… queste vernici danno davvero risultati molto dubbi.
Fortunatamente in mio aiuto è corso l’amico Fulvio Spillone che mi ha fornito un nastro adesivo iridescente che ricorda le pellicole utilizzate per i DVD o CD. L’ho tagliato, come al solito, col mio plotter e i pezzi li ho applicati uno ad uno per aumentare i riflessi. Click Play sul video sotto:
Dopo tre/quattro mani di trasparente X-22 Tamiya diluito all’80% con la nitro, è giunto il momento dei lavaggi:
Ho preferito, come sempre, un tono su tono mixando il bruno Van Dyck, Terra di Siena naturale e il grigio di Payne per scurire e smorzare il tono rossiccio. Com’è possibile vedere dalle immagini, la consistenza dei colori ad olio preferisco mantenerla molto “grassa” per sfruttare un po’ di filtro che contribuisce a dare un aspetto vissuto alle superfici.
A seguire ho eseguito un piccolo assaggio di post shading usando il Sand Gunze H-313, ma su zone molto limitate e in accordo con le foto del mio esemplare.
Dopo altre due mani di lucido, è arrivato il turno delle decal. Le Isradecal sono, come al solito, di buona qualità anche se questo set è stampato in Repubblica Ceca e non dalla Microscale come gli accessori di qualche anno più recenti (che sono anche migliori come resa).
Purtroppo ho constato che lo stemma di reparto è errato giacché rappresenta un versione molto “early”; i badge più recenti non avevano il bordo nero intorno al disco e presentavano un verde di riempimento molto più tenue. Attualmente non esiste, almeno da quanto mi è dato sapere dopo le deludenti ricerche in rete, l’insegna corretta in commercio.
Per finire questa prima parte di invecchiamento, ho anche realizzato le zone scure investite dai gas di scarico sulla trave di coda. Le scie non sono molto evidenti sugli Tzefa grazie al soppressore IR che limita molto il fenomeno, ma sugli esemplari più usurati si notano e sporcano anche le stelle di David.
Qui ho usato un po’ di tutto: marrone scuro, nero, Panzer Grey, sabbia per de saturare… altro olio sfruttato come filtro per amalgamare… il bello di queste lavorazioni è che più si aggiungono layer, meglio è! ovviamente tutte le vernici sono state diluite fino a farle diventare quasi trasparenti.
A seguire ho aggiunto qualche altro spot di post shading, molto mirato nella zona delle cofanature motore, e un po’ di sporco e graffi sfruttando le matite acquerellabili con toni di marrone (sono tornate utili soprattutto sui pattini). Per sigillare il tutto ho usato il Matte Alclad (C-313), ma su alcuni punti (in particolare sulla trave di coda) anche il Flat (C-314) che ha un potere opacizzante maggiore. L’aggiunta degli ultimi particolari, quali gli anelli delle funi per il fissaggio delle pale a terra all’estremità anteriore dei pattini stessi, le antenne e le NAV light bianche sotto la deriva (anche in questo caso sono ricorso al set in resina della CMK), ha decretato la fine di questo lungo ed intenso progetto.
Conclusioni:
A dispetto del ragguardevole impegno che questo modello ha richiesto, “svecchiare” un vecchio stampo e dargli la giusta importanza mi ha regalato grandi soddisfazioni. Nonostante l’obsolescenza dei kit Monogram, dopo tanti anni riescono ancora a dare adeguate basi per tirare fuori qualcosa di buono. Se avete voglia di divertirvi sfruttando manualità, ingegno e tecniche/strumenti moderni (la stampa 3D sta aprendo un mondo nuovo e molto interessante), è quello che fa per voi.
Se poi cercate un soggetto particolare e poco visto come gli AH-1 F della IAF, la scelta si riduce al minimo e, per ora, non potete far altro che prendere in considerazione il kit che vi ho appena finito di presentare in questo articolo. Speriamo che in un futuro prossimo il mercato si accorga di questa importante lacuna e le ditte dedichino maggiore attenzione ad uno degli elicotteri che hanno fatto la storia dei mezzi ad ala rotante.
Buon modellismo!
Valerio “Starfighter84” D’Amadio.