mercoledì, Maggio 14, 2025
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Gundam Barbatos dal kit Bandai in scala 1/144.

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Eccoci nuovamente con un progetto che riguarda il mondo Gundam, questa volta il soggetto è il Frame Barbatos dalla serie Iron Blloded Orphan.L’anime è recente, prodotta dalla Sunrise nel 2015, ha argomenti e contenuti moderni inadatti a mio avviso ad un pubblico molto giovane.

La serie è ambientata trecento anni dopo un antico conflitto noto come “Calamity War” che vede scontrarsi le forze della Terra e di Marte. Il pianeta rosso è stato “terraformato” e colonizzato all’uomo, ma i marziani vogliono la libertà dal governo terrestre. Il protagonista è un orfano, che nella serie vengono definiti ratti spaziali e rifiuti umani, a voler sottolineare lo scarso valore attribuito alla vita di questi orfani/soldato. Mikazuki Augus fa parte di un gruppo di ragazzi che come lui lavorano per la compagnia di sicurezza privata CGS (Chryse Guard Security) nella città marziana di Chryse. Ai membri della CGS viene dato il compito di proteggere Kudelia Aina Bernstein, figlia del Primo Ministro di Chryse, intenzionata a viaggiare verso la Terra per chiedere ai governi di rendere la sua nazione indipendente.

Ma la scorta in partenza viene attaccata dal gruppo Gjallarhorn, organizzazione militare sotto il controllo del governo terrestre, per fermare il movimento indipendente. Per permettere la loro fuga durante l’attacco, gli adulti della CGS sfruttano i ragazzi come esche: il capo dei giovani decide di cogliere questa opportunità al volo e organizza una rivolta, lanciando un colpo di stato contro gli adulti rei di averli oppressi. Per difendersi dal nuovo conflitto, Mikazuki guida un vecchio Mobile Suit reduce della Calamity War, il Gundam Barbatos. La scena rappresenta proprio una delle battaglie che esso affronta nel viaggio verso la terra.

Il Kit:

Il Work in Progress completo lo trovate QUI!

La Bandai, come sempre, lavora egregiamente su tutti i suoi Gundam: incastri perfetti e interventi di adattamento praticamente nulli. Si parte, al solito, da un minimo di progettazione dei danni da battaglia che andrò a ricreare sull’anime, e per l’aggiunta dei led per l’illuminazione di alcune parti (cui parlerò più avanti):

 Per i fori di proiettile ho bucato la plastica con un trapanino a mano, mentre con una fresa ho assottigliato la plastica (allo scopo di rendere gli spessori più in scala) per poi rifinirla con un cutter ben affilato.

Con la stessa fresa ho creato lo scasso per l’alloggiamento dei led, fino a raggiungere la parete dove si trovano gli occhi.

Ora si passa allo studio per poter inserire i cavi dell’alimentazione e visto che un piede sarà posizionato su una base, userò lo stesso come partenza fino a tutti i punti dove è necessaria l’alimentazione elettrica.

Prima di chiudere la testa è necessario intervenire sugli occhi con del colore. Per donargli brillantezza ho passato delle velature leggerissime e diluite di White Alluminium Alclad. Successivamente ho aggiunto del Clear Green Tamiya diluito con nitro per dargli il colore finale.

Al fine di evitare che la luce filtri attraverso la plastica diffondendosi dove non deve, è importante stendere uno strato corposo di nero all’interno dei pezzi!

Ora è il momento di verniciare il capo partendo da una base di Sky Gray Tamiya su cui ho applicato delle mani leggere di bianco opaco facendo trasparire un po’ del colore di fondo. Con un grigio molto scuro Vallejo, e un pennellino tondo “0” dalla ottima punta, ho ricreato dei sottilissimi graffi. Il chipping, invece, è stato eseguito con una spugnetta, quella che protegge i set in resina per intenderci, leggermente inumidita di colore e scaricata su un pezzetto di Scottex.
In ultimo un lavaggio ad olio con nero, molto mirato sulle pannellature, senza base lucida, per ottenere un minimo di effetto filtro.

Il backpack ha bisogno di attenzioni: il fondo del condotto l’ho colorato con il Chrome Alclad che necessita obbligatoriamente di un primer nero lucido per aggrappare. Il tono cromato agevolerà la diffusione della luce che è garantita da quattro led blu.

Il vano dove è alloggiato il sistema di sospensione del cannone è particolarmente spoglio; dopo sverlo svuotato completamente da tutti gli incastri ho dato libero sfogo alla fantasia con una auto-costruzione fatta di cavi, rod e pezzi di plastica vari.

La verniciatura del backpack e degli altri pezzi segue lo stesso schema della testa, base grigia e velature con il bianco. Le parti metalliche sono in Alclad.

Giunti a questo punto, è il momento di assemblare i vari pezzi!

Allo scopo di applicare correttamente le decal ho steso su tutto il mio Barbatos una buona dose di trasparente lucido Tamiya X-22. Alla fine del procedimento ho opacizzato nuovamente le superfici con il Gunze H-20.

 

Anche il corpo del Gundam ha subito lo stesso invecchiamento già illustrato per la testa: chipping con spugnetta e graffi con pennello.

Sulle gambe ho passatolo Sky Gray Tamiya molto diluito per simulate l’effetto polvere. Dopo un’altra mano di opaco ho eseguito alcune colature di liquidi idraulici sotto le braccia e sulle giunzioni delle articolazioni. La tecnica è semplice: con il colore ad olio puro si fanno dei puntini dove parte la colatura, poi con un pennello piatto leggermente diluito o un cotton fioc, si tira il colore nella direzione voluta. Lo “streaking” (così viene chiamato in gergo) va poi protetto con uno strato di clear flat per proteggerlo dalle successive manipolazioni.

Le ultime scrostature in argento sui danni e una passata molto diluita di Nato Black Tamiya sugli stessi, chiudono il lavoro sul Barbatos che è pronto per prendere posizione.

L’asteroide:

Con il Vinavil ho unito diversi strati di polistirolo estruso fino a formare un cubetto su cui, poi, ho versato un po’ di diluente nitro per sciogliere le superfici in maniera irregolare. Il thinner non intacca, invece, la colla che dovrà essere rifinita con un taglierino affilato.

Per rendere ancora più discontinue le superfici, ho aggiunto della scagliola poco diluita mischiata a sabbia e sassolini: questo composto ha creato una texture molto interessante.

All’interno dell’asteroide ho ricavato l’alloggiamento per le batterie. Il blocco è stato colorato con acrilici della Maimeri, partendo da un grigio scuro, e via via schiarendo fino al bianco puro con diversi passaggi di dry-brush.

Un quadrato ricavato da un vecchio top di cucina ha funzionato da base. Il cotone è ottimo per ricreare la nuvola di polvere sollevata dal Barbatos. L’ho fissata alla base con il primer Tamiya grigio.

 

Manuale del piccolo elettricista:

I led che ho usato sul Gundam sono da 3 Volt e non necessitano di resistenze dato che con due stilo da 1,5V si ottiene una tensione sufficiente. Trovato il passaggio per i cavi li ho riuniti e fatti filare all’interno di un tondino di ottone, che oltre a fornire un robusto ancoraggio sul piede del Gundam, porta la corrente al vano batterie.

 

Un led prelevato da un vecchio mouse e una cannuccia di plastica simulano un bel effetto sparo dal cannone.

Ovviamente non poteva mancare un’esplosione! La già collaudata ovatta, e un pannellino led che si usa per le luci di cortesia delle auto, sono ottimi per lo scopo.

Per simulare il calore generato ho scelto delle carte trasparenti colorate poste all’interno; all’esterno ho spruzzato del giallo, dell’arancione e del nero acrilici ad aerografo.

Ora è giunto il momento di collegare le “utenze elettriche” ai pacchi batterie, uno da 3 volt per il Gundam, l’altro da 12v (otto batterie da 1,5) per l’esplosione simulata; nel mezzo del cavo positivo un fantastico interruttore per accendere a piacimento i led.

Buon modellismo a tutti! Denis Campanalunga.

Marlboro Classic! Aermacchi Mb.339A dal Kit Frems in scala 1/48.

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Uno dei soggetti che più mi hanno attirato da quando ho iniziato ad interessarmi di aeroplani e di modellismo è stato l’ Aermacchi Mb.339, in particolare gli esemplari con la colorazione “Early” (quella bianco/arancio dei prototipi e dei primi anni di vita operativa) comunemente soprannominata “Marlboro”.

Avendo in magazzino un paio di scatole del buonissimo kit Frems dedicate alla versione A, e sentendomi “pronto” alla sfida, ho deciso di provare a realizzarlo.

Prima di passare alle fasi di costruzione vorrei spendere due parole sullo stampo (leggete anche la nostra recensione): gli accoppiamenti e le misure sono ottimi, i dettagli sono quasi tutti ben riportati ma la nota negativa è la presenza di pannellature di spessore importante ma, anche se sembra un paradosso, non particolarmente profonde.

Con pochissime modifiche si riesce a riprodurre una copia in scala fedele dell’addestratore in uso nell’AMI e, di certo, sarebbe stato interessante e proficuo se la ditta vicentina avesse continuato a produrre altri modelli (in programma avevano un F-104S, ad esempio).

Costruzione:

Sono partito dalle vasche che devono essere modificate qualora si vogliano utilizzare seggiolini aftermarket (nello specifico io ho usato un “mix”, ma ne parlerò più avanti); nello specifico bisogna asportarne la parte posteriore portando tutto il pavimento sullo stesso piano. Essendo una zona non a vista, ho utilizzato Plasticard di scarto e non ho rifinito esternamente i pezzi.

Le altre modifiche (esterne) da apportare sono le seguenti:

  • Correzione dei pannelli sul muso, di forma quadrata, mentre in realtà sono trapezoidali con il lato inclinato verso il muso del velivolo.
  • Reincisione delle pannellature quadrate sul ventre, che sono riportate sfalsate ed in realtà sono perfettamente equidistanti tra loro.

Ho potuto sistemare queste piccole imprecisioni grazie alle pronte segnalazioni dell’amico di forum Maurizio, ottimo conoscitore del soggetto!

Successivamente mi sono dedicato ai seggiolini che, come anticipato qualche riga sopra, sono frutto di un “kit bashing”: avendo in casa un set AIRES nr. 4499 in eccesso, relativo ai Martin Baker MK.10A dedicati al Tornado, ho utilizzato le sedute e gli schienali in resina e vi ho innestato sopra i poggiatesta dei sedili originali, veramente ben fatti! In questo modo ho ottenuto un MK.10L corretto per il trainer dell’industria di Venegono Inferiore.

Già che c’ero ho forato la presa d’aria naca sulla parte destra della fusoliera, e ho realizzato col solito Plasticard di riciclo un tratto di condotto aria.

Prima di chiudere le semi fusoliere ho terminato la colorazione degli interni (fondo in F.S.36375 Gunze H-308, strumenti e console in nero Tamiya XF-1, lavaggio in grigio chiaro ad olio per risaltare quadranti e strumenti e successivo drybrush leggerissimo in grigio chiaro ed alluminio) e dei i seggiolini, aggiungendo le manette e le cinture di ritenzione per le gambe (azzurre) come consigliatomi da un altro forumista –  Fabrizio Pawn;  devo dire che aveva ragione, sono dettagli che aggiungono realismo all’insieme!

Arrivato a questo punto del montaggio ho inserito lo scarico, vano aerofreno (dettagliato con qualche cavetto in rame) e carrello anteriore per poi, finalmente, chiudere la fusoliera con abbondanti spennellate di colla Tamiya Tappo Verde. Ricordatevi, però, di appesantire il muso con dei piombini da pesca (o simili) per evitare che il modello si sieda sulla coda.

Le baie dei carrelli principali sono un po’ spoglie e ho deciso di dettagliarle quel tanto che basta con i soliti fili di rame – stesso procedimento l’ho applicato anche sulle gambe di forza. Ho anche provveduto a chiudere tutti i fori di riscontro per i perni dei piloni sub alari, dato che era mia intenzione rappresentare il piccolo ‘339 in configurazione “pulita”.

ccoppiare le ali e i piani di coda alla fusoliera è stato un gioco da ragazzi e ho dovuto usare solo un filo di stucco lungo le giunzioni; dopo la carteggiatura del filler e l’aggiunta del parabrezza, ho preparato il modello per la vernici finali stendendo un primo strato sottile di Gunze Mr Surfacer 1500 diluito con Nitro (80% thinner – 20% primer).

Poi è arrivato il turno del bianco (Tamiya XF-1 con la stessa diluizione del Surfacer), dopodiché ho cercato la giusta corrispondenza per le zone in arancio e le parti antiriflesso in blu scuro. Per il primo, dopo varie prove, ho scelto lo smalto Model Master 2022 (International Orange F.S.12197) mentre per il secondo ho utilizzato un mix di Tamiya XF-8 (2 parti) ed XF-1 (una parte).

Data la proverbiale difficoltà di stendere i toni della livrea (l’arancio non è mai un colore semplice da gestire) e di realizzare l’andamento dello schema, la verniciatura è stata ultimata in più riprese correggendo continuamente gli errori. Un piccolo trucco per limitare al massimo le infiltrazioni di colore sotto alle mascherature è quello di spruzzare subito un sottile strato di trasparente lucido lungo i bordi dei nastri in modo da sigillare tutto… provare per credere!

Per evitare scalini tra i vari toni ho steso mani molto leggere e ne ho atteso la completa asciugatura prima di procedere con ulteriori strati.

Prima di dedicarmi alle decal ho applicato due “layer” di Clear X-22 Tamiya diluito col Leveling Thinner Gunze. Le insegne si sono comportate ottimamente, dall’ottimo potere adesivo e sature –  forse un po’ troppo spesse le coccarde, ma con un buon ammorbidente si posizionano alla perfezione.

Un lavaggio uniforme in grigio medio ad olio ed una passata di Flat Tamiya XF-86 diluito, ancora una volta, con Leveling Thinner (in modo da renderlo “semiopaco”) hanno concluso le lavorazioni ed ho potuto dichiarare finito il mio “Cucciolo della Sperimentale”.

Come sempre, i dovuti e sentiti ringraziamenti a chi mi supporta e sopporta durante la costruzione del modello, agli utenti di www.modelingtime.com/forum, ed a chi ha avuto la pazienza di leggere queste righe.

Buon Modellismo a tutti!

Alessandro Argo2003 Gerini.

Mirage IIICJ “Shahak” dal kit Eduard in scala 1/48.

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Mirage_End 15Il Work in Progress completo lo trovate QUI!
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E’ impossibile negarlo, tutto ciò che vola e che “veste” le Stelle di David esercita su di me un fascino particolare!

Mirage_End 3Non conosco il motivo… ma per me la Heyl Ha’Avir ha lo strano potere di trasformare un aeroplano “brutto” (nessuna macchina volante lo è in realtà, perdonatemi il termine poco adatto!) in bello; a maggior ragione, un aeroplano bello in qualcosa di estremamente elegante.

Mirage_End 4In questa casistica, a mio avviso, rientra a pieno il Mirage III. Un velivolo dalle linee raffinate e dalle prestazioni, per l’epoca, estremamente all’avanguardia che la Forza Aerea Israeliana ha saputo portare a completa maturazione trasformandolo in uno dei caccia più letali della storia.

Mirage_End 21Un po’ di plastica…

Pur essendo un notevole successo commerciale e diffusissimo in molte aeronautiche mondiali, il Mirage IIIC è stato un soggetto poco considerato dalle ditte modellistiche fino, in pratica, pochi anni fa.

Mirage_End 2Per riprodurlo nella scala del quarto di pollice esistevano solamente due kit di qualità non certo eccelsa: l’Heller del 1979 (con pannellature in positivo) e l’ancor più vetusto, oltreché poco corretto, Fujimi del 1975 (poi re boxato anche dall’Academy). Abbiamo dovuto attendere ben 25 anni per avere un prodotto più aggiornato e all’altezza dei tempi: era, infatti, il 2004 quando una giovane Eduard si affacciava nel mondo dei kit in plastica ad iniezione con una scatola tutta nuova dedicata alla creatura di Marcel Dassault.

Mirage_End 22Proprio questa sarà oggetto dell’articolo… se avrete piacere e tempo di leggere le mie considerazioni ve ne elencherò pregi e difetti!

Il modello:

Quello da me scelto è il numero 8102, ma le valutazioni restano valide per le altre scatole commercializzate dalla ditta ceca poiché lo stampo è comune a tutte. A prima vista il prodotto è davvero accattivante: le pannellature e i rivetti sono in fine negativo e, già all’epoca, rappresentavano uno standard qualitativo molto elevato secondo solo a Tamiya e Hasegawa. Oltretutto i dettagli presenti nei vari sprue sono tanti e ben curati; ma è tutto oro quello che luccica?

Mirage III - 01Leggendo le varie recensioni già presenti on line da tempo, e osservando i vari Work In Progress degli amici che lo avevano già affrontato nel forum di Modeling Time, mi ero fatto l’idea che questo Mirage fosse un “tipo” un bel po’ scorbutico… insomma, non un modello da prendere sotto gamba. Ve lo posso confermare sin da ora… è proprio così!

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La lista della spesa:

Devo dire che il kit è onesto già di suo e potrebbe essere tranquillamente montato così com’è. Inoltre la Eduard nelle sue uscite “Profipack” fornisce le mascherine (nel mio caso specifico ancora in vinile) e una piccola lastrina in fotoincisione che permette di dettagliare il seggiolino, che non guasta mai.

Mirage III - 02Chi mi conosce sa bene quanto io sia appassionato di “resine”… e allora perché non dotarsene? Et voilà, ho fatto mio il bell’accessorio della SBS Model (codice 48014) che permette di elevare il livello di realismo sia del cockpit, sia dei pozzetti carrello.
Nella lista della spesa è finito anche il pitot in ottone tornito della Master (codice 48030), un ulteriore foglio fotoinciso della Eduard (codice 49261) da cui ho prelevato piccoli particolari, e le decalcomanie della Isradecal (IAF-71).

Tutto è pronto, passo al montaggio!

Cockpit e fusoliera:

E’ abitudine consolidata far partire i lavori dall’abitacolo, e anche questa volta non ho sovvertito la sequenza. La nuova vasca in resina della SBS calza come un guanto all’interno della fusoliera ed è talmente precisa da non necessitare neanche di un colpo di lima per adattarsi al modello.

Mirage III - 05Purtroppo la stessa affermazione non è valida per le paratie laterali, ben dettagliate ma sottodimensionate in altezza tanto da costringermi a riempire i vuoti con lo stucco bicomponente Magic Sculpt.

Mirage III - 03I cockpit dei Mirage IIICJ israeliani (e non solo) erano verniciati completamente in nero opaco, e allo scopo ho utilizzato l’XF-1 Tamiya. Il colore così scuro è una vera e propria istigazione alla tecnica del dry brush! Personalmente sono solito applicarla con i colori ad olio che sono più facili da gestire e più modulabili rispetto agli acrilici, ad esempio.

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Mirage III - 11Mischiando il bianco di Marte e il nero avorio Maimeri ho ottenuto un grigio non troppo chiaro che ho poi prelevato, senza diluirlo, con un pennello a setole piatte. Dopo averlo scaricato parecchio su un pezzo di carta assorbente, l’ho passato delicatamente sulle superfici mettendo in risalto i vari particolari.

Mirage III - 09I singoli strumenti del cruscotto provengono dall’articolo AS48SJET dell’Airscale che fornisce tantissime veglie per gli “early allied jet”, e direi che il mio Mirage è fiero membro di questa categoria. I quadranti sono stati fustellati uno ad uno e poi inseriti all’interno degli scassi con l’aiuto del Mr.Mark Softer Gunze che li ha conformati alla perfezione. Sopra alla palpebra esiste il proiettore del collimatore che ho riempito di Clear Orange Tamiya per simulare l’effetto lente.

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Mirage III - 10Il seggiolino in resina è ben fatto e completo di tutto il cinghiaggio. Le vernici utilizzate per rifinirlo le trovate nell’immagine sottostante:

Mirage III - 12Al sedile, oltre al dry brush, ho deciso di aggiungere anche un lavaggio mirato in Bruno Van Dyck scurito con del nero (parlo sempre di colori ad olio) per dare maggiore profondità ai cuscini della seduta e dello schienale.

Mirage III - 13Lo scarico del motore Snecma Atar9 così come lo fornisce la Eduard è alquanto spoglio. Fortunatamente il set in fotoincisione della stessa ditta ha già tutto il necessario per renderlo più gradevole! Prestate molta attenzione ai pezzi che simulano le strutture di rinforzo dei petali (quelli bucati e di forma semi circolare) perché sono estremamente delicati e si piegano anche maneggiandoli con cura.

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Mirage III - 16Già dalle prime prove a secco ho notato un vistoso svergolamento della parte anteriore delle due semi-fusoliere; dalla foto potete constatare voi stessi:

Mirage III - 07Purtroppo questo è un difetto conclamato dello stampo ceco (soprattutto dei primi messi in commercio) dovuto anche alla particolare scomposizione della carlinga. Ad ogni modo, dopo alcune valutazioni, sono giunto alla conclusione che era meglio non intervenire (magari scaldando la plastica in acqua calda per dargli, poi, la giusta forma), bensì incollare i pezzi facendo attenzione ad allinearli correttamente.

Mirage III - 06L’unione dell’intera fusoliera non è un gioco da ragazzi. La totale assenza di perni di riscontro e il difetto di stampa del muso mi hanno costretto ad un incollaggio progressivo partendo, appunto, dal radome. Alla fine me la sono cavata utilizzando quantità mostruose di cianoacrilica (colata dall’interno) rinforzata con un po’ di borotalco. Quest’ultimo si mischia alla colla indurendola ulteriormente e fungendo da “carica”, come si dice nel gergo degli stampi in resina.

Mirage III - 18Sulla base sinistra della deriva sono intervenuto con il bicomponente Magic Sculpt che ha riempito bene la fessura e mi ha evitato tediose carteggiature (l’eccesso di filler l’ho portato via con un cotton-fioc umido di acqua).
Da questo momento in poi iniziano i problemi veri e propri! lo stampo ha una “ingegnerizzazione” molto poco studiata e le conseguenze si notano soprattutto nella parte inferiore, nella zona del pozzetto. I due lembi delle semi fusoliere, infatti, tendono a chiudersi troppo verso l’interno portando grossi errori di fuori squadro ai pezzi che compongono le ali. Per questo ho iniziato ad incollare degli inserti di Plasticard all’interno della carlinga allo scopo di ridargli la giusta forma e mantenerla, nel contempo, sufficientemente rigida. Nella foto sotto potete vedere i primi due dietro all’abitacolo. Ma non è finita qui…

Mirage III - 21Lungo la quasi totalità della fusoliera ne ho dovuti inserire altri, ve li elenco con ordine:

  • Inserto n°1: questo è l’unico inserto “mobile”, ovvero ha avuto la sua funzione solo fin quando non ho incollato la parte inferiore delle ali; a seguire l’ho eliminato semplicemente sfilandolo dalla wheel bay. Non potendo inserire troppi spessori ai lati della baia anteriore per non deformare i pezzi in resina, ho applicato due piccole striscioline di Plasticard lungo i lati (di seguito la foto):Mirage III - 22Inserto n°2: va incollato tra le due “parabole” che simulano i condotti delle prese d’aria e ha lo scopo di allargare la fusoliera per permettere al bordo d’attacco dell’ala di allinearsi correttamente agli intake.
  • Mirage III - 19Inserti n°3: forse i più importanti, servono ad aumentare l’apertura la fusoliera e farla aderire al meglio alle semi ali superiori. Tutto questo nell’ottica di ridurre al minimo i gap e le relative stuccature per non inficiare la buona riuscita della finitura in Natural Metal.
  • Mirage III - 20Inserto n°4: posizionato sopra il condotto del motore, serve per evitare che la parte inferiore che copre il motore “sprofondi” all’interno. Anche in questo caso alla Eduard sarebbe bastato prevedere un pin di riscontro o uno scasso ad hoc.

Passo, ora, alle ali: prima di assemblarle ho provveduto ad aprire i condotti dei vari air scoop mediante un trapanino elettrico e una fresa sottile. Da scatola le prese d’aria sono tutte “chiuse” dalla stampata in plastica. Un paio sono andate perse durante la carteggiatura e le ho auto costruite con un rod semi tondo della Evergreen. Nella stessa fase ho anche incollato i pozzetti carrello in resina della SBS Model su cui ho aggiunto altri spessori per agevolare, nuovamente, l’incastro ali/fusoliera.

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Le tante ore perse per gli aggiustamenti hanno portato notevoli frutti quando è arrivato il fatidico momento di incollare il complesso delle semi-ali al corpo del modello: mi è bastato far quadrare a secco i pezzi e lasciarli in posizione utilizzando degli elastici e un pennello che ne ha “steccato” la parte inferiore (questo accorgimento mi ha, inoltre, aiutato ad ottenere il giusto diedro alare); fatto ciò ho spennellato abbondanti quantità di Tamiya Extra Thin Cement lungo le giunzioni lasciando riposare il tutto per almeno ventiquattro ore, in attesa che il collante “tirasse” a dovere.

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Mirage III - 27Nonostante tutto, alla fine si sono resi necessari dei piccoli interventi di “gap filling” che ho eseguito mediante colla ciano-acrilica. Più complicata è stata l’opera di lisciatura con carte abrasive fine (grana 1000 e 1200) a causa delle tante pannellature presenti nella zona. Al termine delle operazioni ho reinciso i pannelli andati persi e lucidato la plastica con i Compound Tamiya – di seguito vedete il risultato:

Mirage III - 28Le prese d’aria sono un altro capitolo delicato del lungo “libro” della costruzione sopratutto perchè la linea di separazione passa in mezzo a tantissimi dettagli e incisioni . Studiando la documentazione ho notato delle piastre di rinforzo all’interno della paratia che divide lo strato limite: le ho ricreate con il nastro d’alluminio adesivo per idraulica. Successivamente ho pazientemente incollato e stuccato i condotti optando, ancora una volta, per la ciano acrilica.

Mirage III - 33Mirage III - 36I flaperon vanno al loro posto senza troppi problemi ma anche in questo caso sono necessarie molte prove preventive. Consiglio di incollare per primo il pezzo centrale che fungerà da riscontro per gli altri due. Dopo aver visto alcune foto di Mirage III a terra ho deciso di non incollare le superfici di governo in posizione neutra scegliendo, invece, la configurazione che vedete in foto:

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Mirage III - 35Consultando nuovamente le foto a mia disposizione, ho deciso di aggiungere un “collare” di rinforzo intorno alle flood light delle ali. Questo particolare, inoltre, mi ha aiutato a pareggiare il gradino che si era formato incollando le parti trasparenti (non proprio precise) dall’interno. Per ottenerli ho tagliato, dal solito nastro d’alluminio, dei circoli utilizzando un plotter elettronico del tipo Silhouette Portrait.

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Mirage III - 39Uno dei tanti problemi del kit Eduard sono gli pneumatici, troppo stretti e magri rispetto al vero. Per questo ho inserito uno spessore in Plasticard da 0,8mm ricavato da una vecchia carta di credito. Per centrare le due valve con precisione (dato che erano saltati tutti i perni di riscontro) ho usato uno stuzzicadenti “passante” all’interno del mozzo della ruota.

Mirage III - 42Mirage III - 40Altro difetto lo si riscontra sui piloni sub-alari più esterni che hanno una forma del bordo d’attacco completamente errata. Per mio conto ho provveduto a rastremarla a colpi di limetta da unghie facendogli assumere un aspetto più realistico.

Mirage III - 50Osservando le foto degli Shahak israeliani mi sono accorto di una differenza sostanziale dei serbatoi supplementari supersonici. Quelli forniti dal kit non hanno le alette stabilizzatrici e sono del tipo utilizzato maggiormente da tutte le aeronautiche che hanno avuto in carico il Mirage III. Solo la Israeli Air Force usava i serbatoi con alette prodotti in loco dalla IAI (Israeli Aircraft Industries), ed in tutte le immagini che ho visionato esse sono presenti. Giocoforza ho dovuto modificare i pezzi originali del kit tagliando via la sezione di coda e sostituendola con una in resina proveniente dal set di conversione Isracast dedicato al Kfir. Si adatta abbastanza bene ma è comunque necessario un bel po’ di olio di gomito per raccordare al meglio le nuove parti.

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Mirage III - 64Rimanendo in tema di carichi esterni, per il mio Mirage III in scala ho optato per due missili aria/aria AIM-9B. La scelta non è stata casuale per vari motivi, primo tra tutti l’aver trovato questa foto che ritrae l’esemplare da me scelto con i rail Aero-3B montati:

Immagine inserita a scopo di discussione – fonte Photostock-Israel.com

Inoltre leggendo la monografia edita dalla Isradecal, di recente uscita e intitolata “The First Jet Squadron Mirage IIIC/B”, ho scoperto che il 101° Tayeset (a cui appartiene il mio velivolo) all’epoca utilizzasse solamente ordigni di derivazione americana, mentre al 117° Tayeset era affidato il compito di sperimentare ed integrare il missile di produzione israeliana IAI Shafrir 2.

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Per quanto detto, quindi, un Mirage del First Fighter Squadron (101° Squadron) è storicamente corretto rappresentarlo con i Sidewinder. Quest’ultimi li ho prelevati dal Weapons Set C e sono stati sottoposti ad un upgrade che ne ha aggiornato il dettaglio a standard più moderni (l’ogiva del seeker IR è stata ricostruita, ad esempio, con una sezione di Plexiglass circolare di opportuno diametro). I rail, invece, provengono dal magazzino spare part ed in particolare da un A-4 Skyhawk Hasegawa.

Un altro intervento assolutamente necessario è quello volto a ridurre l’estensione dell’ammortizzatore del carrello anteriore, completamente errata. Basterà separare la forcella con un seghetto fotoinciso (che è sottilissimo) e riposizionarla in modo che sia più “chiusa”. Ovviamente è necessario intervenire anche sulle gambe di forza principali, abbassandole per ripristinare il corretto assetto.

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Mirage III - 96Con il grosso del montaggio completato, le mie attenzioni si sono spostate su altri particolari. Ho completato la palpebra con relativo cruscotto (lasciati momentaneamente in stand by) aggiungendo anche il vetro del collimatore simulato con un pezzo di acetato trasparente. Dopo aver bagnato il parabrezza nella Future per renderlo ancor più brillante e cristallino, l’ho installato nella sua sede saldandolo con delle spennellate leggere di Tamiya Tappo Verde (Extra Thin Cement). Per la sua stuccatura ho utilizzato il Milliput Fine Black che ha il vantaggio di essere già nero e confondersi col colore scuro dell’abitacolo.

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Mirage III - 57Sotto al muso, in posizione frontale rispetto al pozzetto carrello, era posizionata una luce di atterraggio di grandi dimensioni. Nel kit è fornito solamente un trasparente che simula il vetrino esterno, mentre la parabola interna è completamente omessa. Oltre a non essere all’altezza di un modello nella scala del quarto di pollice, il pezzo non entra neanche nella sua sede e quest’inconveniente mi ha costretto ad apportare delle sostanziali modifiche.

Mirage III - 59Ho provato ad adottare diverse soluzioni che non si sono rivelate funzionali; poi, alla fine, sono tornato al vecchio metodo sperimentato all’epoca del mio T-6 Texan, ovvero un piccolo “diamantino” da bigiotteria smerigliato e sagomato per fargli assumere una forma realistica.

Mirage III - 60Per maggiore praticità ho incollato la pietra su un pezzo di sprue con della ciano-acrilica e, successivamente, ne ho smussato gli angoli con una limetta da unghie grana grossa (per la lucidatura, invece, ho utilizzato le lime a quattro facce). Unire la parabola al vetrino non è stato un gioco da ragazzi; ho provato ad incollarli con Attack ma la trasparenza non era il massimo. Stesso discorso anche con Vinavil o Kristal Kleer. L’unico prodotto che ha lavorato egregiamente è stata la Future! seccandosi ha funzionato da collante mantenendo, nel contempo, un’ottima trasparenza. Il metodo è un po’ lungo e laborioso, bisogna attendere che la cera asciughi e aggiustare la posizione dei pezzi di continuo, ma il risultato finale ripaga totalmente le energie spese.

Mirage III - 61Nei pozzetti carrello principale ho aggiunto delle tubazioni idrauliche e dei fili elettrici. I materiali usati sono i soliti: rod circolare Evergreen di vari diametri, filo di stagno della Plus Model e rame proveniente da un cavo. Alcune fotoincisioni prelevate dal set Eduard hanno completato il resto del vano.

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Mirage III - 68Qui varie viste del modello quasi pronto per la verniciatura e con il pitot della Master in posizione (quest’ultimo calza bene l’alloggiamento sul radome e richiede solo una piccola stuccatura).

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Mirage III - 58Passiamo alle vernici…

Verniciatura:

Un aereo raffinato come il Mirage non può che essere rappresentato con la livrea in metallo naturale, nudo e crudo in tutta la sua bellezza!

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Per questo motivo ho iniziato la fase di verniciatura passando su tutto il modello una mano leggera di Mr.Base Finishing Surfacer 1500 Black della Gunze diluito all’80% con il Mr.Color Levelling Thinner. Il prodotto è ottimo, si stende perfettamente e rimane compatto, setoso e liscio. La sua finitura non è lucida e questa caratteristica potrebbe insospettire tutti gli utilizzatori delle lacche Alclad che sono abituati ad aerografare un fondo lucido prima di applicarle. In realtà la superficie satinata non intacca minimamente la brillantezza dei colori, anzi! Provare per credere.

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Il primo metallizzato è stato il White Alluminium. Per evitare che la vernice “spolverasse” ho aggiunto poche gocce di Mr.Color Levelling Thinner direttamente nella coppetta dell’aerografo. Pressione 0,8 bar e mani molto leggere. Alla fine ho lucidato nuovamente le superfici con molta delicatezza e un po’ di pasta abrasiva grana “Fine” della Tamiya.

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Uno dei passaggi più delicati riguarda le zone rosse di pericolo attorno le prese d’aria poiché il “fregio” ha un andamento molto tondeggiante su una superficie, purtroppo, altrettanto tondeggiante. Nella mia confezione erano fornite le vecchie mascherine in vinile (non più in uso già da qualche anno) che ho prontamente scartato per il loro scarso potere adesivo e rigidità. In realtà non le ho buttate via, bensì le ho usate come master per riprogettarle e tagliarle sul nastro Kabuki (la Tamiya ha in catalogo dei fogli in formato A5 pronti all’uso) grazie all’ormai fidato plotter elettronico. Con l’occasione ho anche disegnato alcune altre “express mask” che vi mostrerò a breve!

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Prima di dipingere il Red (Tamiya XF-7 diluito con la nitro al 70%) ho aerografato uno strato leggerissimo di trasparente lucido X-22 su tutte le zone interessate; il clear funge da sigillante, isola i bordi del nastro ed aiuta a prevenire le infiltrazioni di colore. Inoltre rende gli stacchi nettissimi… risultato assicurato! Fatto questo, ho verniciato le parti rimaste scoperte con del bianco opaco Tamiya XF-2 che ha funzionato da primer (obbligatorio sotto al rosso).

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Arrivato a questo punto ho iniziato a differenziare i pannelli in Natural Metal. Documentazione alla mano (non facile da trovare, e per questo ringrazio l’amico Riccardo del forum di Modeling Time che mi è venuto in soccorso) ho delimitato le zone che avrebbero ricevuto il tono metallico più scuro (Alclad Dark Aluminium diluito con qualche goccia di Mr.Levelling Thinner Gunze). I piccoli pannellini d’ispezione sulle ali, in molte foto, rimangono del colore più chiaro (uguale a quello della fusoliera), per questo motivo ho deciso di lasciarli in White Aluminium sfruttando le mascherine tagliate ad hoc di cui vi parlavo prima.

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Per ultimi ho aggiunto tutti i dielettrici, dipinti in ADC Grey Gunze H-57 e i due anelli più scuri in fusoliera verniciati in Alclad Magnesium. Per praticità ho riportato tutte i toni utilizzati direttamente nelle foto:

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Per quanto concerne le superfici inferiori, i Mirage III avevano il pannello della gondola motore in un particolare color giallo; in pratica esso era un protettivo per evitare che gli acidi del razzo per il decollo assistito (il propulsore aggiuntivo veniva montato al posto della ventral fin) potessero intaccare i metalli circostanti. Per riprodurlo ho scelto per il Tamiya Yellow Green XF-4:

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Il fregio sul timone tipico del 101° Squadron viene fornito in decal, ma ovviamente ho preferito non utilizzarla e scegliere la via dei colori. Per la mascheratura ho usato lo stesso metodo vincente adottato per gli intake. Il fondo è in bianco XF-1 Tamiya, le bande in rosso XF-7 (entrambi diluiti con la nitro).

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I lavaggi hanno iniziato ad aumentare il livello di dettaglio, ma prima di applicarli ho lucidato il modello con due/tre mani leggere di X-22 Tamiya allungato con il Tamiya X-20A (tappo azzurro). Le pannellature Eduard sono molto precise e pulite, a tutto vantaggio della definizione delle linee.

Mirage III - 88Mirage III - 89

Ho utilizzato il soliti colori ad olio Maimeri: un mix di Bianco di Marte e Nero d’Avorio per ottenere un grigio non troppo scuro. Sulle zone in rosso, invece, Van Dyck scurito con del nero. Stesso tono anche per il lavaggio interno dei pozzetti che sono stati completati verniciando le tubazioni in rame:

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Decalcomanie ed ultimi dettagli:

Benché il foglio allegato al kit abbia un film molto ridotto e sottile, alcune decal sono stampate fuori registro e risultano pertanto inutilizzabili. Per questa ragione ho tirato fuori dal magazzino il vecchio e oramai introvabile prodotto della Isradecal con codice IAF-71, la cui qualità è nettamente migliore. Le relative istruzioni sono, però, molto approssimative e incomplete perché facevano parte di un set più vecchio (lo IAF-33) non più in produzione. La ditta di Kefar Tavor le ha sfruttate nuovamente senza aggiornarle e limitandosi a re-impaginarle (con grafica più moderna). In definitiva quasi tutti i numeri di riferimento delle insegne sono errati… e in più di qualche caso le informazioni sono sbagliate o lacunose.

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Foto alla mano, per esempio, ho capito che i Mirage III del 101° non avevano la scritta completa del propulsore riportata sulla fusoliera; gli aerei del 117° Tayeset presentavano lo stencil contenente la dicitura “SNECMA ATAR 9”, mentre il 101° utilizzava solo la parte “SNECMA”. Dato che nella documentazione questo particolare si nota, l’ho riportato pedissequamente sul modello.
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Inoltre, iniziando ad applicare i codici individuali ho individuato un altro refuso: La foggia del numero “2” non è corretta per il velivolo da me prescelto dato che questo particolare carattere è stato usato dal First Fighter Squadron in un periodo diverso. Per cui armato di pazienza e di un bisturi affilatissimo, ho eliminato la porzione in più e applicato la cifra sulla deriva…. non vi nascondo che per qualche istante ho sudato freddo per paura di rovinare tutto!

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Gli stencil di manutenzione sono un mix tra il foglio da scatola e l’aftermarket sopra citato: in entrambe i casi alcune scritte hanno poca definizione e i colori sono falsati. Comunque scegliendo bene da dove prelevare le scritte di servizio si ottiene un buon risultato.

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Al termine del posizionamento ho steso su tutto il modello altre due mani leggere di Clear Tamiya e ho completato i lavaggi anche sulle varie stelle di David e insegne di reparto. Per la finitura finale ho scelto l’ottimo trasparente semi-lucido della Mr.Paint, mentre sui dielettrici e sul radome ho applicato il Flat Clear Gunze H-20.

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A questo punto non mi è rimasto che completare il montaggio dei vari dettagli quali carrelli, portelloni, carichi esterni e le varie antenne e sensori disseminati lungo la fusoliera.

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Conclusioni:

Uno Shahak della Israeli Air Force non poteva assolutamente mancare alla mia collezione. Di certo non è un soggetto facile, rilassante e alla portata di tutti. Il modello Eduard, come detto in queste righe, necessita di un approccio molto scientifico e non perdona errori o distrazioni… e pensare che sui miei scaffali trovano posto altre otto scatole ancora in attesa di essere aperte!

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Buon modellismo a tutti!

Valerio “Starfighter84” D’Amadio.

 
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Messerschmitt Bf.109 G6 “9 Giallo” – dal kit Trumpeter in scala 1/32.

La storia del Bf.109 in Italia ha inizio nell’ Aprile del 1943, quando la Regia Aeronautica ricevette diversi caccia Messerschmitt nelle versioni F-4, G-2, G-4 e G-6 per un totale di circa 122 velivoli. Inizialmente assegnati al 150° Gruppo suddiviso su tre Squadriglie, gli aerei furono impiegati nella difesa dei cieli della Sicilia. Dalla fine di luglio dello stesso anno, un’aliquota di macchine ancora efficienti furono destinate al 3°, 4° Stormo e al 23° Gruppo per la protezione della Capitale.
Successivamente all’8 settembre, e dopo aver vinto la diffidenza dell “alleato” tedesco, l’Aeronautica Nazionale Repubblicana ricevette circa 200 esemplari di Bf.109, dapprima nella versione G-6, e successivamente G-10, G-12 biposto, G-14, e K-4, nei vari allestimenti di propulsore, di aerodinamica e di armamento.
Consegnati al I Gruppo e II Gruppo Caccia, gli aeromobili tedeschi  svolsero numerose missioni di intercettazione a difesa delle città settentrionali oggetto di continui bombardamenti alleati fino all’aprile 1945.
Il modello: 
Da sempre appassionato di aerei italiani, ho deciso di riprodurre il Bf.109 G-6 “9 Giallo” con W.Nr. 163164 del II Gruppo Caccia II^ Squadriglia A.N.R.basato sll’aeroporto di Verona Villafranca nel novembre 1944. A pagina 219 del Volume Camouflage and Markigs of the Aeronautica Nazionale Repubblicana 1943-1945 di D’Amico F. e Valentini G. è pubblicata una foto di un taccuino appartenuto al S.M. Bonopera dove risultano annotati i codici individuali dei ‘109 in dotazione alla 2^ Squadriglia “Diavoli Rossi ” e, scorrendola, il secondo dall’alto è proprio l’esemplare oggetto di questo articolo.
N.B. Non esistono fotografie del soggetto da me scelto, la ricostruzione è frutto di supposizioni e interpretazioni personali della documentazione.
 
 
Il kit partenza è il Trumpeter  in scala 1/32 N.02296 composto da tredici stampate in stirene (di cui tre trasparenti) e due lastre fotoincise; a corredo si trovano due fogli di decal con insegne Luftwaffe. Nella costruzione del modello non ho avuto problemi di sorta, anche grazie alla decisione di mantenere le confanature del Daimler Benz DB 605 completamente aperte. Allo scopo di rendere ancora più realistico il già ben dettagliato propulsore, ho aggiunto le tubazioni idrauliche e i cavi elettrici ricavati da fili di rame e rod Evergreen.
 
L’inserimento di tali particolari non è stato agevole a causa dei ristretti spazi di lavoro, sopratutto nella zona sottostante le bancate dei 12 cilindri a V, ma con pazienza e pinzette sottili sono riuscito nell’intento.
Dopo uno studio sui Werknummer, sono giunto alla conclusione che questo aereo potesse avere un poggiatesta corazzato simile a quello del BF 109 G-10; lo stesso l’ho ricostruito con Plasticard sottile.
 
La Colorazione:
La mimetica adottata dai Bf.109 G-6 A.N.R. era la classica comunemente denominata “Splinter & Mottles” in R.L.M. 74/75/76.
 
Ho utilizzato i colori Gunze Sangyo acrilici (H-68 ed H-69 per le superfici superiori e le macchie, H-417 per le superfici inferiori e laterali della fusoliera).
  
Dopo aver terminato il camouflage, ho steso due mani di trasparente lucido della stessa marca (H-30) al fine di favorire l’adesione delle decalcomanie e la rimozione dei successivi lavaggi ad olio (eseguiti con del nero molto diluito).
L’abitacolo è in Black Gray R.L.M. 66 (Gunze H-416), mentre le gambe carrello con relativi vani sono in R.L.M. 02 Grau (Gunze H-70).
 
Per terminare il lavoro sono state spruzzate ad aerografo più mani di trasparente opaco.
 
Grazie a tutti e spero che il mio lavoro vi sia piaciuto!
Buon modellismo a tutti – Angelo Battistelli.

Warhammer 40k: Asterion Moloc dal kit Forge World.

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La Forge World ha messo in commercio un set di miniature doppio comprendenti: Asterion Moloc ed Ivanus Enkomi.

Per questo tutorial ho preferito presentarvi Asterion.

Asterion è il Maestro Capitolare dei Minotauri, della saga Space Marine, la cui nascita è avvolta dal mistero e fa parte di uno dei capitoli creati durante la 21 fondazione (conosciuta come la Fondazione maledetta). In questa fondazione i Minotauri presentano una colorazione a bande giallo-rosse oblique e una testa di toro blu. Durante il 38 TH millennio i Minotauri sono spariti da tutti i registri e di loro non si conosce più nulla. Nel millennio successivo, ricompaiono alle dirette dipendenze dei Signori della Terra come forza d’assalto contro eventuali eresie e contro il chaos.

Presentano un nuovo schema di colorazione: armatura bronzata con il Toro rosso e corna nere.

Personalmente mi ha sempre colpito sia la storia di questo capitolo, sia la storia del personaggio, oltre al suo esplicito richiamo alla civiltà spartana.

Assemblaggio:

Come sempre le miniature devono essere attentamente studiate preventivamente per individuare il miglior processo di verniciatura.

Questo permetterà di ottenere i pezzi con la medesima identità di colore evitando così marcate diversità di toni. Dopo un’attenta analisi ho condiviso la medesima scomposizione proposta da Forge World.

Colorazione:

Il primo passaggio consiste nello stendere una base di primer nero dato ad aerografo per far aderire meglio i colori. A questo punto partiamo con il bronzo, che è il colore preponderante.

Base di Balthasar Gold su tutte le zone bronzate:

Un lavaggio con Agrax Earthshade porterà in risalto le varie “ombre” della miniatura e spegnerà leggermente il Bronzo.

Con l’Hashut Copper ho eseguito un dry brush per dare risalto all’armatura.

Ora che il bronzo è sistemato possiamo passare ai colori secondari. Partiamo sempre dai più chiari fino ai più scuri, momentaneamente possiamo dimenticarci della lancia e del mantello perché saranno affrontate più avanti. Il colore più chiaro è il Bianco presente nella cresta, nell’Aquila Imperiale dello scudo e nelle ali sul simbolo sulla gorgiera; per il bianco bisogna partire da una base grigio chiaro, personalmente ho scelto l’Administratum Grey.

Il secondo colore più chiaro è il verde presente nell’alloro, nella decorazione a sinistra nel petto; ho scelto il Loren Forest per dare la base.

Ora passiamo al rosso, come sempre base di Khorne Red (una nota personale: nelle bande sullo scudo e sulle gambe ci sono dei simboli in negativo, quindi con il rosso ho colorato l’interno sbordando).

Lavaggio di Nuln Oil per definire il tutto. Mi Raccomando non passatelo sopra alle incisioni che vi ho indicato prima altrimenti si perde tutto l’effetto!

Ora possiamo stendere il nero… ed ecco che i simboli compaiono rossi!

Ora con il Ceramite White possiamo fare, tramite la tecnica del dry brush, i rilievi delle zone in bianco.

Warpstone Glow per le prime luci sul verde.

Moot Green per le luci finali.

Mephiston Red per il rosso.

Nuln Oil molto diluito per il tocco finale.

Essendo il Maestro Capitolare (massimo rango per uno Space Marine), esso ha le corna dorate rispetto al classico nero (oltre a numerosi dettagli sparsi nell’armatura). Quindi per l’oro partiamo da una base di Retributor Armour.

Nuln Oil per “spegnere” la brillantezza dell’oro.

Stendiamo il metallo, scegliendo Leadbelcher come base.

Ora possiamo occuparci dei cavi presenti sull’armatura. Volendoli fare in blue per dare un tocco di colore, partiamo con una base di Kantor Blue.

Quelli che collegano le armi li preferisco in verde, nello specifico il Warpstone Glow come base.

Nuln Oil su Acciaio, Blu e Verde per avere i dettagli dei cavi e per “spegnere” il metallo.

Hoet Blue per le lumeggiature sui cavi.

Mooth Green per i dettagli verdi.

Con il nero andiamo a colorare le giunture dell’armatura.

Con l’Adeptus Battelgrey ho eseguito il dry brush sul nero per dare un pò di movimento.

Eliminiamo le materozze che sostengono le parti della miniatura.

A questo punto assembliamo alcune parti, quali la cresta e lo scudo sul braccio.

Una volta asciutto incolliamo il braccio in posizione.

Finalmente possiamo occuparci della Lancia!E’ la famosa “Lancia Nera” e, per questo motivo, ho deciso di rappresentarla il più fedele possibile. Iniziamo con le parti in acciaio con il classico Leadbelcher.

Sui sigilli di purezza ho steso una base di Ushabti Bone per il bianco pergamena, dopo andrà eseguito il lavaggio con l’Agrax Earthshade.

Tornando alla lancia stendiamo il Nuln oil per spegnere l’acciaio.

Nero per riprendere la lancia e il bastone.

Ora possiamo incollare l’arma in modo da completarla senza necessità di un sostegno.

Retributor Armour per i dettagli della lancia e del braccio.

Khantor Blue per il tubo dell’arma.

Base di Khorne Red sul mantello e lavaggio pesante con l’Agrax Earthshade.

Dry brush “pesante” con il Mephiston Red per le prime ombre.

Macharius Solar Orange per i punti luce più accesi.

Mephiston Red diluito per coprire il dry arancione (in questo modo abbiamo un effetto migliore con dei punti in cui traspare meglio l’arancione, dando un pò di volume ad un mantello altrimenti monotono).

Passiamo alla basetta! Base di Leadbelcher per definire meglio i vari confini tra le pietre e le lamiere.

Nuln oil per mettere in risalto le ombre.

Adeptus Battelgrey per la base delle pietre.

Dry brush con il Dawnstone.

Visto che la basetta sarà sabbiosa, Rinox Hide per il primo strato di fondo.

Balor Brown per la sabbia.

Agrax Earthshade pesante sulla sabbia.

Administratum Grey per le ultimissime luci sulle pietre.

Per un miglior posizionamento sulla basetta consiglio di incollare adesso i “rottami” alla miniatura.

Incolliamo la basetta e utilizziamo la sabbia per il tocco finale.

E con questo è tutto!!

Spero che questo tutorial vi possa tornare utile. Un saluto!

Jacopo Ferrari

A Very Special Phantom! F-4EJ Kai Phantom – dal kit Hasegawa in scala 1/72.

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Cosa c’è di più bello nell’avere tra le mani un kit Hasegawa e, magari, del tuo aereo preferito? Niente!

Ebbene sì, lo confesso, non vedevo l’ora di partecipare al Group Build Japan Style 2017 di Modeling Time con un bell’esemplare di F-4EJ KAI Super Phantom. La scatola scelta è la 01919 dedicata, appunto, all’F-4EJ KAI nella versione “Special 2010” appartenente al 302SQ ma, come vedremo, il modello che ho davvero realizzato è un altro.

Vi starete chiedendo, come mai? Nel consultare il web alla ricerca di informazioni sugli esemplari in carico alla JASDF, vengo richiamato all’attenzione da mia moglie che aveva visto l’immagine di un velivolo super coloratissimo appartenente al F-4 in livrea commemorativa per il 30° anniversario (1973-2003). Quale migliore occasione per accontentarla!Sono andato alla ricerca delle decal trovando un’interessante ditta del Sol Levante, la NBM (Natural Born Modelers), che produce un foglio espressamente studiato sulla base del kit giapponese.

A queste ho aggiunto un tris di accessori della Aires: cockpit (codice 7272), scarichi (codice 7246) e pozzetti (codice 7083); poi ho anche acquistato il pitot Master, gli pneumatici (codice 72036) True Detail TD72006 e le mascherine Montex. Il carrello della spesa è completo!

Un pizzico di storia:

Prima di passare al montaggio vorrei fare un breve cenno storico su questo Squadrone.

Il 301st Tactical Fighter Squadron fu istituito provvisoriamente presso la base aerea di Hyakuri il 1 agosto del 1972, all’interno del 7° Air Wing, inizialmente con due aerei. Il primo corso di conversione operativa per i futuri piloti di F-4EJ iniziò il 25 febbraio 1973, otto mesi prima della formazione effettiva del Reparto che avvenne il 16 ottobre del 1973. Il 2 marzo del 1985 l’Unità fu trasferita sulla base aerea di Nyutabaru, al 5° Air Wing e nel 1991 fu riequipaggiata con i Phantom aggiornati alla versione EJ Kai. Al 2013 il 301° risultava ancora in servizio attivo a Nyutabaru e, dopo un’assenza di 31 anni, il 31 ottobre del 2016 tornò nuovamente sulla base aerea di Hyakuri.

Lo stemma è molto singolare e rappresenta una particolare specie di rana, chiamata “Shirokuno-Gama”, che vive nei pressi del Monte Tsukuba (località prossima all’aeroporto). Sulla sciarpa che funge da base alla testa della rana ci sono delle stelle nere, tante quant’è il numero di reparto di appartenenza che inizialmente fu il 7th Air Wing (quindi sette stelle); trasferitosi al 5th Air Wing di Nyutabaru le stelle raffigurate furono portate a cinque.

Montaggio:

Come da prassi ho iniziato dal cockpit in resina Aires, dedicato alla versione “E”, cui andranno modificati i pannelli strumenti per portare il set alla versione “EJ KAI Super Phantom”.  Sul cruscotto anteriore ho eliminato parte della palpebra in resina per fare spazio a due display ai lati della consolle centrale modificando anche la fotoincisione. La palpebra è stata, poi, rifatta con del foglio di alluminio.

L’adattamento del pannello posteriore, invece, ha interessato i due display (uno centrale e l’altro in alto a destra) totalmente auto costruiti.

La colorazione dell’abitacolo è in XF-19 Tamiya leggermente schiarito con del bianco; a seguire ho applicato un lavaggio in nero ad olio diluito con acqua ragia. Con la tecnica del dry brush ho messo in risalto i piccoli bottoncini delle consolle laterali aggiungendone qualcuno in rosso e in giallo per dare dei tocchi di colore. I seggiolini hanno la struttura in nero e le varie imbottiture in Olive Drab e Olive Green. Le cinghie sono state colorate sempre con il grigio XF-19.

Prima di inserire il cockpit all’interno della fusoliera ho proceduto a sistemare il pozzetto carrello anteriore Aires che, in realtà, è dedicato allo stampo Revell. Si è reso necessario eliminare le pareti del vano originale in plastica e l’operazione si è dimostrata più delicata del previsto. Altro intervento ha riguardato il cielo della wheel bay in resina, in particolare la porzione che va a contatto, internamente, con il fondo della vasca: senza assottigliarlo i due elementi (pozzetto e abitacolo) non possono convivere.

Dopo aver forato la volata del cannone e aver predisposto tutti i pezzi, ho unito le due semi fusoliere anteriori livellando, successivamente, gli scalini con la colla ciano acrilica usata come stucco. Il secondo step ha riguardato il troncone posterie della fusoliera e le ali dove, purtroppo, ho riscontrato parecchi problemi di allineamento. Prima di procedere al loro assemblaggio ho aggiunto i pozzetti carrello principale in resina che sono stati assottigliati fino alla trasparenza (o quasi) per potersi incastrare senza creare interferenze.

Come potete notare dalle foto, le ali formano delle vistose fessure rispetto alla carlinga ed è necessario intervenire con del Milliput per chiuderle.

Il primo intervento di miglioria ha riguardato l’interno delle prese d’aria, che nel kit Hasegawa sono chiuse da una paratia di plastica. Non me la sono sentita di ricostruire l’intero condotto ma ho aggiunto la ventola del primo stadio del compressore per aumentare un po’ il realismo. Con l’aiuto di Plasticard e lamelle sottili ricavate sempre dal già famoso foglio di alluminio, ho ricostruito il “fan” come si vede in foto:

Altro intervento di “scratch building” ha riguardato le due piccole prese d’aria del sistema di condizionamento degli abitacoli poste ai lati della fusoliera, rifatte con la lamina di alluminio di cui sopra. Oltre a queste, ho aperto e rifinito anche i due piccoli sfiati posti nella zona degli scarichi.

Per questo modello ho scelto di posizionare i flap in posizione “down”; nel frattempo ho separato le ruote True Detail dalle materozze di stampa, ho dettagliato carrelli e canopy anche grazie alle fotoincisioni incluse nei set Aires e Eduard, e ho aggiunto le “lightning protection stripes” (le striscioline per lo scaricamento della corrente) sul radome ricavate da sottili listelli di Plasticard.

 

Verniciatura:

Eccoci giunti alla fase più bella del modellismo: la verniciatura. Vista la semplice colorazione di questo special che sarà coperto dalle decal per un buon 65%, non ho fatto altro che dipingere il mio Phantom in scala completamente in bianco utilizzando il Mr. Base Withe 1000 della Gunze: si stende perfettamente diluendolo con la Nitro, coprente già con un paio di passate, lo si può lisciare con carte abrasive sottili bagnate (ottenendo una superficie liscia) e trattare come un normale colore acrilico. Solo la deriva e il radome sono stati colorati di Black Tamiya X-1, mentre la parte metallica della zona motori è stata verniciata con Alclad Aluminium (Jet Exhaust per i flabelli degli scarichi).

Una piccola “variante” alla monotonia del bianco è arrivata dai serbatoi sub alari: come da immagini reperite in rete, sono stati verniciati con il grigio Gunze H-308 seguiti da post shading con grigio chiaro cercando di simulare il più possibile le varie “toppe” di colore dovute ad interventi di manutenzione.

Dopo tre o quattro mani generose di trasparente lucido Gunze H-30, il piccolo “Phantasma” è pronto per la fase più importante di tutta la costruzione!

Decalcomanie:

Il foglio decal, come accennato all’inizio di questo articolo, è l’NBM JD-29 con una qualità davvero eccellente. Il film è sottilissimo tanto che l’occhio fa fatica a percepire la differenza con il supporto sottostante! Lo spessore ridotto a zero fa sì, però, che i grandi fregi siano molto delicati ed è importante spostarli e maneggiarli con estrema cura per evitare rotture o strappi.

La difficoltà maggiore sta nel posizionare le due lunghe insegne laterali raffiguranti il sole d’oriente. Queste, studiate per il kit Hasegawa, coprono benissimo la fiancata fino alla zona metallica dei motori dove, purtroppo, la NBM ha commesso un piccolo errore: uno dei “raggi” risulta troppo corto e lascia scoperta una piccola porzione di bianco. Per ovviare al problema ho dovuto ricreare una tinta simile a quella delle decalcomanie con una miscela di rosso Gunze, nero e marrone in poche gocce e tutto usando il mio “occhiometro” di fiducia.

In ogni caso con l’utilizzo del Mr. Mark Softer Gunze le decal copiano perfettamente le finissime pannellature Hasegawa e si conformano a tutte le forme del modello.

 

Sigillato il tutto con passaggi di lucido e una velatura finale di opaco Gunze H-20 (la finitura del velivolo reale non era a “specchio”), ho ultimato gli ultimi passaggi prima di decretare la fine di questo mio progetto: Carrelli e relativi portelloni, canopy e una piccola antenna a lama sulla gobba ricostruita con del Plasticard sottile.

Un giusto omaggio và ai miei amici modellisti di Modeling Time che in questo Group Build mi hanno “supportato”, ed alla mia signora perché è grazie a lei che mi sono cimentato in questa bellissima livrea commemorativa.

Qui trovate il Work in Progress completo!

Buon modellismo a tutti!

Francesco “bonovox” Miglietta 😉

 

Un Folgore inaspettato! Macchi C.202 dal kit Hasegawa in scala 1/48.

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Capita proprio quando si è pronti per partire con un nuovo modello (scatola, eventuali aftermarket e documentazione pronta)…che accada qualcosa, che i piani saltino e che, infine, s’inizi qualcosa di completamente diverso!

E’ ciò che mi è successo con il Macchi C.202 oggetto di quest’articolo. Un po’ per cambiare, un po’ per vedere se ne ero capace, avevo deciso di accantonare per una volta le “italiche eliche” e, pronto per espormi al pubblico ludibrio, dedicarmi a un Jet americano…fino a quando una deliziosa discussione sulle “camo” della Regia Aeronautica su di un social network con due tra i migliori modellisti che conosca, Fulvio Felicioli e Massimo Giugnoli, mi ha fatto migrare verso altri lidi!

L’oggetto della discussione era la foto di un bellissimo e particolare Fiat G.50 in Libia, ma nel corso del dibattito Fulvio pubblica una foto (che riporto qui sotto con il consenso del proprietario) raffigurante un Macchi C.202 Folgore assegnato alla Scuola Caccia di Benevento nell’ottobre del 1942; osservate bene la colorazione, definirla inconsueta è poco!

Ovviamente, con questi presupposti, è superfluo dire che la vipera americana è tornata nella scatola e dallo scaffale è arrivata sul tavolo da lavoro una scatola Hasegawa del Macchi C.202!

Prima di mettere mano alle plastiche ho dovuto svolgere una serie di ricerche e “triangolazioni” per definire casa costruttrice, serie produttiva e matricola del “mio” esemplare. Dalle tre immagini in mio possesso sono risalito alle origini del velivolo e, quindi, sono riuscito a pianificare tutta una serie di modifiche necessarie per adattare lo stampo giapponese che, di fatto, è un ibrido tra un Macchi 202 e un Macchi 205 Veltro.

Partendo dalla data nella quale è stata scattata la foto e da particolari in essa visibili, ho stabilito con buona sicurezza che il mio ‘202 fosse un esemplare appartenente alle serie dalla III alla VII; dalla colorazione delle superfici inferiori (che a differenze di quelle superiori erano rimaste come da “fabbrica”) ho potuto risalire alla casa costruttrice (Breda) e, confrontando questi dati con gli ultimi numeri di Matricola (“03”), capire con cosa avessi a che fare: Macchi C.202 VI serie, costruito dalla Breda a Sesto San Giovanni, Matricola Militare 8103.

Avendo tutto più chiaro in mente ho iniziato ad apportare le seguenti variazioni:

  • Chiusura di tre su quattro portellini d’ispezione sulle ali (vale per tutti i 202).

  • Stuccatura e reincisione dei piani di coda (fino alla VI serie non compensati come invece appaiono nel kit).

  • Eliminazione armi alari compresa la relativa predisposizione (presenti dalla VII serie in poi).

  • Aggiunta dei tappi serbatoi supplementari alla radice delle ali (dalla III serie in poi).

  • Eliminazione di due delle tre bugne presenti nella parte anteriore (sui modelli con DB601, se il motore montato era un Alfa Romeo ne va eliminata solo una, l’anteriore).

  • Altre piccole modifiche come stuccatura di fori o incisione di pannelli le trovate nel W.I.P.

A questo punto ho iniziato il montaggio vero e proprio, partendo dall’abitacolo in resina della Jaguar (ottimo come fitting e dettaglio); il seggiolino, invece, proviene dal set della SBS Model cui ho aggiunto le cinture dal set foto inciso Eduard per le cinghie italiane WW2. Allo scopo di aumentare il livello di dettaglio sono stati aggiunti cavi e tiranti vari in sprue e filo di rame.

La colorazione di fondo è un mix di Gunze H-312 e H-324 (5 gocce a 1) cui ha fatto seguito un dry brush pesante con l’Alluminio Mr. Metal per far risaltare le parti metalliche. A seguito di una mano di trasparente lucido ho eseguito un lavaggio in Bruno Van Dick; poi uno strato di opaco e un secondo dry brush più leggero in Grigio, Bianco e Argento.

Il set Jaguar permette anche di montare il pozzetto carrelli del Folgore, con l’intreccio di cavi e tubazioni tipiche del caccia Macchi. Ho solo sostituito i montanti del kit con dei profili in Plastirod perché la forma e l’adattamento degli originali non erano proprio perfetti.

Il kit, come già noto, si monta in un attimo e in men che non si dica tutti gli elementi principali vanno al loro posto. Si forma giusto un minimo gap nell’accoppiamento tra le ali e la fusoliera e per pareggiarlo ho perduto il dettaglio delle piastre che coprivano i bulloni di fissaggio; poco male, visto che erano in rilievo le ho rifatte con Plasticard finissimo (prelevato da un bicchierino da caffè).

Ho anche inserito i flabelli nella presa d’aria del radiatore acqua e forato/realizzato ex novo le prese d’aria per il posto di pilotaggio sulla cofanatura.

Terminate tutte le dovute modifiche e migliorie è giunto il momento di passare alla verniciatura… senza dubbio la fase più impegnativa.

Come sottolineato all’inizio di questa review, del soggetto in questione esistono solo tre foto conosciute (tutte del lato destro e nessuna totale) e per questo ho dovuto riprodurre l’andamento delle macchie basandomi su quel che avevo a disposizione. Ho tentato di riproporre il medesimo schema anche sul lato opposto; spesso, specialmente se si parla di soggetti WW2, è l’unico modo per portare a termine il lavoro.

Per la colorazione ho usato questi mix:

  • Grigio Azzurro Chiaro per le superfici inferiori: 4 gocce Gunze H-334 + 1 goccia H-324.
  • Nocciola Chiaro 4 per il fondo: 30 gocce Gunze H-320 + 10 gocce Gunze H-34+ 2 gocce Tamiya XF63.
  • Verde Oliva Scuro 2 per le macchie: Gunze H-65.

Stesi il grigio e il fondo, ho realizzato le parti in Verde Oliva scuro lavorando con una diluizione molto spinta (10 gocce di diluente/2 gocce di colore) regolando la pressione tra 0,5 e 0,8 bar e cercando di trovare il giusto compromesso tra l’overspray “originale” dato dalla riverniciatura campale, e quello “naturale” dato dalla mia mano non proprio fermissima!

Dopo aver ripassato il modello con una mano di Nocciola chiaro per uniformare le superfici, e aver dipinto fascia e Croce Sabauda in bianco, ho applicato un paio di mani di trasparente lucido (X-22 Tamiya diluito al 70% con Leveling Thinner Mr. Color). Il Clear ha creato una base ottimale per le pochissime decalcomanie (fasci alari e numero di matricola), prelevati da una serie di fogli aftermarket che avevo già a mia disposizione.

Le insegne alari provengono da un set Cartograf, sinonimo di qualità per tutti gli appassionati…. ma non questa volta. Nonostante il lucido fosse ben steso e omogeneo, il film ha creato un anti estetico silvering molto evidente soprattutto dopo lo strato di opaco finale.

Preso atto della situazione ho sverniciato tutto optando, alla fine, per delle vecchie decalcomanie Tauromodel che hanno svolto più che egregiamente il loro compito (N.d.R. Se potete, ogni qualvolta sia possibile, preferite le maschere al posto delle decal, il risultato è sicuramente migliore…).

Soddisfatto del risultato, ho potuto sistemare gli ultimi dettagli (cavo antenna, trasparenti, portelli carello) e riporre il mio Folgore “particolare” sui ripiani della mia libreria…anche se per poco tempo! Ho pensato che il posto giusto fosse nella vetrina della persona che mi ha dato lo spunto per realizzarlo, sperando che abbia gradito il pensiero!

E’ stata una sfida ricostruire il corso degli eventi di questo soggetto insolito e, soprattutto, cercare di rendergli omaggio con una riproduzione in scala quanto più fedele possibile.

Un grazie doveroso a chi mi ha supportato e consigliato durante la lavorazione, a Fulvio Felicioli per l’autorizzazione a pubblicare e utilizzare il materiale…e a tutti voi per aver letto queste righe…

Buon modellismo a tutti!

Alessandro ARGO2003 Gerini.

 

 

 

Aftermarket Review: MiG-21 Lancer Conversion Set by LCaerodesign in scala 1/48.

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“…un 21 è per sempre…” così deve aver pensato un giorno un modellista romeno, ex pilota di Lancer e attuale pilota addestratore…

Ed è proprio così che, dall’unione della passione per il modellismo e quella per la “macchina”, è nata l’idea di creare la conversione oggetto di quest’articolo.

 Un po’ di storia:

Nei primi anni ’90, dopo lo scioglimento del Patto di Varsavia, la Fortele Aeriene Romane si è ritrovata a far fronte alla mancanza di sovvenzioni economiche che, unita al continuo sviluppo delle aviazioni occidentali, ha costretto i vertici a dover scegliere tra l’acquisto di un nuovo caccia o l’aggiornamento e lo sviluppo dei mezzi già in uso a quel tempo.

Non potendo affrontare il grande sforzo necessario per l’eventuale upgrade dei Mig-29 la scelta è ricaduta sul progetto “Lancer”, in altre parole la modernizzazione dei Mig-21 che la Forza Aerea Romena aveva in carico fin dai primi anni ’60.

Nel 1993 il programma è stato definitivamente affidato alla “Rumena Aerostar SA”, che in collaborazione con l’israeliana Elbit avrebbe dovuto aggiornare entro il 2003 un totale di centodieci Mig-21 così suddivisi:

  • 73 Lancer A, versione da attacco al suolo, su base Mig-21 MF
  • 23 Lancer C, versione da difesa aerea, su base Mig-21 MF
  • 14 Lancer B, versione da addestramento, su base Mig-21 UM

Oltre ad alcuni interventi esterni (tra cui possiamo notare i chaff/flare dispenser nella parte posteriore della fusoliera, una carenatura aggiuntiva per i cablaggi della nuova elettronica in corrispondenza del raccordo ala destra/fusoliera e l’aggiunta di numerose antenne), le differenze sostanziali riguardano il cockpit che, in funzione dell’avionica completamente aggiornata, è diventato molto più simile agli standard che siamo abituati a trovare negli aerei NATO.

I Lancer, inoltre, hanno acquisito la possibilità di impiegare armamenti occidentali mantenendo comunque invariata la possibilità di essere dotato degli ordigni sovietici standard.

Tra i nuovi carichi di caduta e missili aria/aria figurano Python 3, Magic 2, bombe Mk.82 e Mk.83 oltre ai classicissimi R73, K13 o alle bombe FAB; Rimane possibile l’utilizzo delle razziere, specialmente sui Lancer A. L’introduzione di un casco con display e tracking integrati completa l’evoluzione del jet, che dagli anni ’60 rimarrà in servizio probabilmente fino e oltre agli anni ’20 del 2000.

Mig21 Lancer C con POD Litening, fonte https://theaviationist.com

La conversione:

 

Il set ideato dalla LCaerodesign è concepito per essere montato sui kit Eduard del Mig-21 MF e comprende in totale quattordici parti in resina gialla, ventuno elementi in fotoincisione, un foglio decal, un foglietto in acetato per gli strumenti (fornito in doppia copia) e un altro foglio trasparente per l’HUD (cui ne è fornito un altro di backup, per sicurezza). Oltre alla già ricca dotazione, nella confezione troverete delle mascherine pretagliate e, ovviamente, le istruzioni a colori.

I pezzi che compongono il cockpit sono privi di difetti, ottimamente stampati e frutto evidente di una buona progettazione 3D. La qualità di stampa è ottima, e i dettagli perfettamente nitidi.

Pannelli laterali della vasca.

 

Parte posteriore della vasca, in questo caso la qualità è paragonabile ai set Brassin.

 

Parte inferiore della vasca.

 

Pannello strumenti: anche in questo caso l’accuratezza dei particolari è ragguardevole e i quadranti sono ottimamente riprodotti in positivo.

 

Parte superiore del pannello frontale.

 I dettagli dei chaff/flare dispensers sono molto puliti e con le singole cartucce ben visibili.

Altri pezzi in resina vanno a ricreare la carenatura a destra della fusoliera e le varie antenne aggiuntive.

 

Le fotoincisioni sono di buona fattura e non hanno niente da invidiare a quelle normalmente commercializzate dai produttori più rinomati. La lastra comprende i supporti dell’HUD, una griglia di sfogo del comparto avionico, alcuni pannelli e le varie antenne aggiuntive.

 

Passiamo ora al foglio decal che, spesso, è la nota dolente di questi set semi-artigianali Fortunatamente, non è questo il caso!

La definizione delle insegne è decisamente buona e il supporto è di fatto invisibile tanto da far pensare, a una prima analisi, a delle decalcomanie stampate su film unico.

 

Il foglio decal comprende le matricole e gli stemmi per realizzare due esemplari della RoAF.

 Il film delle decal è visibile solo in controluce, in questa foto si nota attorno ai numeri.

Altra ottima scelta è stata quella di fornire le mascherine pre-tagliate relative ai numeri e alle coccarde lasciando, così, al modellista la possibilità di scegliere tra le decalcomanie o la verniciatura delle stesse.

Prezzo:

Il set è acquistabile direttamente dal produttore al prezzo di 25€. QUI il link al sito.

Conclusioni:

Il valore del set che vi ho appena presentato è innegabile, com’è innegabile l’attenzione e la cura che la LCaerodesign ha impiegato nell’ideazione di quest’articolo. Indubbiamente il punto forte della conversione è che essa sia prodotta da un addetto ai lavori che con i Lancer ha avuto a che fare per anni. Il punto debole della conversione è la completa assenza degli stencil di manutenzione che sui Mig-21 sottoposti a update sono tutti nella lingua del paese utilizzatore. Altro piccolo appunto che possiamo fare riguarda le piastre di rinforzo che tutti gli esemplari romeni presentano sulle superfici superiori delle tip alari: esse hanno una forma abbastanza particolare e ai modellisti non sarebbe dispiaciuto trovarle già tagliate (in alluminio adesivo o vinile) all’interno della confezione.

Speriamo che i nostri suggerimenti stuzzichino l’attenzione dei produttori che, magari, decideranno di mettere in produzione anche un set di conversione per i Lancer A!

Per finire un ringraziamento particolare va al creatore del set, che dopo l’acquisto ha sopportato ogni sorta di domanda riguardante questo, per me, fantastico aereo!

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Vi lascio con qualche foto prelevate da un DVD, in vendita sul sito della LCaerodesign, contenente circa 900 immagini esclusive… praticamente un walkaround completo e ricchissimo!

 

Buon modellismo a tutti! Andrea “Manto87” Mantovani.

 

RX-78-2 Mobile Suit Gundam dal kit Bandai in scala 1/144.

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Il Work In Progress completo lo potete trovare QUI! 

l Gundam sono un viaggio nell’infanzia della maggior parte di quelli che hanno il “tre” come prima cifra dell’età, che sono nati in un’epoca dove tutto era diverso e la cosa elettronica più potente che avevi tra le mani era il Comodore64! la tecnologia “domestica” era ancora agli albori, ma quella è stata senza dubbio l’epoca d’oro dei mecha e del tema spazio, del quale genere Gundam è stato indubbiamente capostipite e maestro.

Il modello rappresenta il Gundam, quello vero, pilotato da Amuro Rey (o Peter Rey nella versione italiana) perché diciamocelo, le serie successive non erano minimamente paragonabilie: Unicorn, Wings…no non esistono, la nostra è Mobile Suit Gundam.

Dite la verità, state canticchiando la sigla….

Torniamo al modellismo!

Il kit è della Bandai, leader indiscussa del genere, incastri perfetti, un modello agita e gusta. Ha qualche anno sulle spalle, la “posabilità” è limitata ma il basso prezzo lo rende ottimo per gli esperimenti. E cosa c’è di meglio di ricreare una battaglia epica con una bella esplosione finale in pieno stile anime?

Si comincia con un minimo di progettazione, lo scudo è quello che riceve maggiori “trattamenti”:

Con il saldatore, temperatura abbastanza bassa, e la punta da pirografo si comincia a incidere.

Invece i fori di proiettile si ricreano facendo un invito con la punta del trapanino a mano (la dimensione varia a seconda del calibro) per poi lavorarla con il cutter.

Anche gli arti hanno ricevuto lo stesso trattamento, d’altronde lo scontro è stato molto duro!

Con una fresa ho ricreato uno scasso fino a raggiungere la parte trasparente per l’alloggiamento dei led che illumineranno sia gli occhi, sia il sensore rosso.

Il montaggio non ha particolari problemi e dopo un pre-shading abbastanza marcato, si passa a stendere i colori base.

Post- shading, poi lucido, successivamente decal e lavaggio con colore nero ad olio. Questi elementi completano la prima fase che procede abbastanza liscia.

Dopo una mano di opaco si passa all’invecchiamento, sporco e scrostature la fanno da padrone. I puristi del genere di solito non gradiscono un’usura così marcata, ma è pur semopre un esperimento ricordate? L’ho già detto che la battaglia è stata molto dura, vero?

I colori per questo invecchiamento sono principalmente dei marroni miscelati tra di loro di volta in volta, e un argento abbastanza compatto.

la tecnica consiste nel ricreare i tipici graffi e scrostature del metallo con una spugnetta strappata, soprattutto nei punti di maggior usura come ginocchia piedi e spigoli vivi in generale.

Con un pennellino molto fine, uno “zero” a punta tonda, si ricreano i graffi più sottili lungo gli angoli, e si uniscono alcune scrostature cercando di dare una coerenza all’intero weathering del modello.

In questa fase sono intervenuto anche con dei filtri ad olio abbastanza pesanti: sulle giunture di braccia e gambe a simulare colature di fluidi e sporco, sugli scarponi con un filtro uniforme per far virare la tonalità sul marrone.

La scelta cromatica, più che dalla logica, è stata dettata da un ragionamento estetico: marrone=ruggine, argento=metallo nudo.

Il modello è completo ma ovviamente mancano le luci! con molta cautela ho separato i pezzi principali del Gundam (arti e tronco) e con una piccola punta da ferro ho creato i passaggi per i cavi (colorandoli di nero dove erano visibili).

Lo schema elettrico è elementare, sono solo due fili – positivo e negativo. Dalla testa e dal braccio si uniscono nel Jetpack per poi attraversare il piede ed entrare nella basetta dove c’è la batteria. Le luci sono micro-led da 3V con un collegamento in parallelo (positivo con positivo e negativo con negativo) e non necessitano di resistenza dato che ho usato una batteria della stessa tensione.

I led dono mantenuti in posizione da una goccina di colla a caldo che smorza e diffonde la luce che altrimenti sarebbe lineare.

Una verifica dell’illuminazione…

…e si può procedere a rimontare il tutto.

Bene, il Gundam è pronto! ma manca ancora il nemico ridotto in una palla di fuoco!

Dopo vari esperimenti ho adottato questa soluzione: con un pezzo di rete per polli, ho fatto una palla:

Strappando del comunissimo cotone idrofil, ho creato delle palline da incastrare nei fori avendo però l’accortezza di non esagerare, la luce deve comunque riuscire a passare.

Seguendo le naturali linee che il fascio d’illuminazione crea, con l’aerografo ho colorato di giallo tutto il “batuffolo” sfumando sempre più con l’arancione e il rosso verso la sommità della varie “pallette” per poi passare il nero molto diluito al centro.

Bisogna andarci pesante con il colore, in questo modo fa anche da collante con i vari pezzi di ovatta.

Una lampadina al led fa il resto del lavoro

Ora manca solo la basetta.

Un pezzo di polistirolo estruso fa da base poi un mix di acqua, vinavil, scagliola e segatura, stese in maniera irregolare, simulano le asperità del terreno.

Con il composto ancora non completamente asciutto ho cosparso su tutto della sabbia di varie grane.

Lasciato asciugare per un giorno, ho spennellato una miscela di acqua e vinavil che la sabbia ha prontamente assorbito creando una patina “plasticosa” ottima per la stesura del colore.

Un mix di marroni dati ad aerografo, lavaggi con delle terre ad olio e un dry-brush randomico hanno finito il terreno.

Va ricreato l’attacco della lampadina (riciclo di una vecchia lampada) e i perni per fissare i piedi del Gundam.

Per finire, lo scontro ha lasciato delle tracce anche sul terreno… quindi con l’aerografo e un nero molto diluito ho ricreato i segni del duello.

Lavorando l’ovatta con il colore base del suolo ad aerografo, ho ricreato alcuni sbuffi di terra sotto i piedi dando dinamicità alla scena.

Ecco il Gundam RX 78-2 in tutti i suoi 15 cm di epicità!

Buon modellismo a tutti! Denis Campanalunga.

The Gray Dragon – Lockheed F-117 A “Nighthawk” dal CrossKit Academy/Hasegawa in scala 1/72.

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La storia:

Il Lockheed F-117A, conosciuto col nome di “Nighthawk”, fu il primo aereo operativo dell’USAF ad adottare la tecnologia stealth su ampia scala (da qui la fama di aereo invisibile). Le sue forme non convenzionali e il profilo a freccia ne hanno esaltato il fascino facendone, allo stesso tempo, un velivolo dalle caratteristiche uniche.

Si tratta di un aereo da attacco al suolo monoposto, bimotore a getto subsonico impiegato a partire dal 1983 in assoluta segretezza tanto che per i primi anni i Nighthawk volarono soltanto in missioni notturne; solo nel 1988 il Pentagono decise di rivelarne l’esistenza  attraverso una fotografia per poi essere presentato ufficialmente al pubblico nel 1990, nel corso di una manifestazione aerea.

Nel frattempo il bombardiere aveva avuto il battesimo del fuoco quando, nel dicembre del 1989, alcuni F-117 colpirono con ordigni laser obiettivi militari a Panama nell’ambito dell’operazione “Just Case” mirata a spodestare e catturare il dittatore Noriega. Successivamente parteciparono con successo nella Prima Guerra del Golfo, nel conflitto dei Balcani e nella guerra in Iraq fino alla radiazione ufficiale dal servizio avvenuta nel 2008.

Il kit:

Volendo realizzare questo splendido aereo in una colorazione alquanto inconsueta mi sono imbattuto nella scatola Hasegawa in 1/72 dedicata al “Gray Dragon”. Inizialmente, visti i pochi pezzi del kit, avevo scelto una realizzazione OOB (out of box) ma la mia curiosità ha avuto il sopravvento e grazie a uno studio approfondito della documentazione mi sono accorto di tante piccole lacune dello stampo. Proprio per questo motivo ho tentato un “crosskit” con il concorrente Academy dal quale ho prelevato i piani di coda (dalle proporzioni più corrette), gli elevoni già scomposti e ben riprodotti e i rilevatori radar posti a lato della fusoliera.

L’esemplare che ho rappresentato (matricola 835) vestiva una livrea sperimentale per bassa visibilità diurna a due toni di grigio (inizialmente 36375 e 36176) utilizzata dal dicembre 2003 fino al marzo del 2007, e realizzata dal “Dragon test team” operativo sulla base aerea di Holloman nel Nuovo Messico.

Il Work In Progress completo lo trovate QUI!

L’assemblaggio:

Ho iniziato rimuovendo parte della plastica intorno al cockpit per inserire la vasca fotoincisa offerta da Eduard e dedicata al kit Hasegawa (cod. 73253). Il seggiolino ACES II in plastica è stato sostituito l’ottimo accessorio Quickboost (cod. 72120) in resina al quale ho aggiunto le maniglie di espulsione e le rotaie provenienti dal citato set fotoinciso.

In seguito sono intervenuto sulla stiva bombe cercando di dettagliarne il più possibile l’interno (con foglio di rame, filo di rame da 0.2 e Plasticard di vario spessore) e i trapezi che sosterranno le due GBU-10 Paveway II scelte per rappresentare il velivolo in fase di carico, anch’esse della Eduard Brassin (cod. 672051).

 

Una volta aggiunto un peso di piombo nel muso per evitare che il modello si sieda sulla coda una volta terminato, è iniziata la fase più tediosa del lavoro: l’assemblaggio generale è a prova di pazienza a causa della scomposizione delle ali separate dalla fusoliera e dalle vistose fessure che si formano una volta incollati tutti i pezzi. Bisogna armarsi di pazienza e di tanti spessori in Plasticard, stucco e ciano-acrilato per chiudere i gap a dovere.

Per rappresentare il velivolo a terra occorre dar movimento alle superfici mobili controllate idraulicamente: in primis ho rimosso gli elevoni dalle ali Hasegawa sostituendoli con quelli forniti dall’Academy; poi lo stesso principio l’ho applicato anche per i timoni di profondità (che rispetto a quelli del kit giapponese hanno dimensioni più corrette). Ho scomposto e imperniato entrambe le derive per avere un incollaggio più forte ed un allineamento più semplice.

 

La verniciatura:

Una volta terminato il montaggio e la rifinitura di tutte le giunzioni si passa alla parte più interessante e divertente, la verniciatura; ho iniziato con lo stendere un nero opaco acrilico diluito con la nitro su tutto il modello. Ho scelto il fondo scuro sia per utilizzare la tecnica del black basing, sia per mascherare il nero col nastro Tamiya in modo da ricreare i ritocchi di RAM (Radar Absorbent Material) visibili sul dorso del velivolo.

 

Poi ho deciso di dar luce ai numerosi spigoli che caratterizzano le linee inconfondibili dell’F-117 utilizzando un bianco opaco Tamiya, anch’esso diluito con la nitro, e poi un grigio chiaro, Sky Grey (Tamiya XF-19), passato ad aerografo in prossimità delle centine strutturali dell’aereo sia sulle ali sia sulla fusoliera. Questo passaggio è importante per dare volume alle forme di un aereo che è quasi privo di pannellature.

 

La colorazione prevede due tonalità di grigio, rispettivamente il F.S. 36375 e il F.S.36176, e per questo progetto ho deciso di provare i colori Mr.Paint. Studiando le foto in mio possesso ho notato come il grigio più scuro della livrea (il 36176) sia cambiato nei pochi anni di utilizzo di questa mimetica; in particolare nell’ultima fase di vita operativa del velivolo il colore tendeva decisamente all’azzurro e a seguito di numerose prove ho realizzato un mix che mi ha convinto utilizzando sei parti di MRP-93 e due parti di MRP-202, sempre Mr.Paint.

Dopo ho differenziato il colore della parte inferiore del dorso con un grigio più chiaro rispetto al resto della cellula e ho dipinto la banda a scacchi presente sui timoni mascherando uno ad uno i fregi col nastro kabuki.

La zona degli scarichi è stata verniciata con un mix di Alclad Aluminium e Gold Titanium, la brillantezza però durerà poco giacché in seguito l’ho invecchiati e bruniti con del Red Brown, Smoke Tamiya e lavaggi a olio con diverse tonalità di marrone.

Una volta completato lo schema mimetico ho rimosso il nastro Tamiya rivelando le nastrature di RAM che danno un aspetto rattoppato al mio Nighthawk. Di “rattoppi”, però, ne ho aggiunti altri mascherando con pazienza tutte le zone evidenziate anche nelle foto del soggetto reale (in particolare subito dietro al canopy). Per quanto riguarda invece la superficie inferiore ho provveduto a dipingere i vani carrelli in gloss white.

 

Sigillato il modello con una mano di trasparente lucido Gunze H-30 è finalmente arrivato il momento delle decal! Purtroppo non avevo a disposizione alcun foglio decente: quello presente nella scatola Hasegawa era ingiallito, il foglio della Twobobs codice 72-055 è fuori produzione oramai da anni e comunque entrambi mi avrebbero permesso di realizzare il “Gray Dragon” al momento della sua prima colorazione (quindi con coccarde e stemmi in grigio FS36375 e non in bianco come sono state adottate in un periodo successivo). A tal proposito mi son fatto realizzare su commissione delle decalcomanie stampate in casa su supporto unico. La qualità del prodotto è eccellente, tanto da poter leggere il motto sui simboli di reparto, e il film ha un’ottima resistenza ai liquidi ammorbidenti. Lo scotto da pagare è quello di dover scontornare il più possibile ogni insegna per impedire l’eventuale “silvering”. L’aderenza è stata eccellente, ma anche le superfici in pratica piatte dell’aereo hanno dato una grossa mano.

 

Una volta posizionate tutte le decal, ho steso nuovamente il trasparente lucido Gunze e ho eseguito dei leggerissimi lavaggi a olio in bianco per simulare il deterioramento del RAM sottoposto alle condizioni climatiche diurne, delle colature di sporco, acqua e polvere su tutta la fusoliera.

L’ambientazione:

Mi sono immaginato il mio F-117 mentre viene caricato con delle GBU-10 da esercitazione (quindi con testa blu), e per tale scopo mi sono servito di un vecchio weapon loader MJ-1 preso dal kit Hasegawa dedicato ai mezzi di supporto dell’USAF. Il piccolo trattore è sempre un valido alleato per realizzare una scena di vita operativa ma per il mio scopo ho dovuto aggiornare il mezzo alla versione MJ-1C, cronologicamente più corretta da affiancare al 117, divertendomi con Plasticard e fotoincisioni di recupero per la sua trasformazione.

Una volta verniciato con colori acrilici Gunze ho aggiunto un piccolo meccanico (il mio primo figurino) dipinto con colori Vallejo, ho ricostruito il volante e il leveraggio sulla console e aggiunto la GBU preparata in precedenza con il nastro di ancoraggio e qualche RBF (Remove Before Flight) fotoinciso prodotto dalla Eduard.

 

Dopo aver terminato sia il modello, sia il weapon loader, è arrivato il momento della basetta: allo scopo ho utilizzato il retro di una cornice 25×30 su cui ho inciso il reticolato dei lastroni che compongono il piazzale con un taglierino. In seguito ho ricoperto il tutto con uno strato pesante di stucco liquido Gunze Mr.Surfacer grana 500 cercando di simulare la texture tipica del Tarmac aeroportuale aiutandomi con un pennello. Ovviamente lo stucco, dopo aver atteso la sua completa asciugatura, deve essere carteggiato delicatamente per pareggiarlo ed eliminare imperfezioni.

 

Terminata la rifinitura ho dipinto il tutto con acrilici Gunze e Tamiya utilizzando diverse tonalità di grigio dal Dark Gull Gray allo Sky Gray; per far risaltare lo spazio tra i diversi blocchi di cemento ho provato a utilizzare dei pastelli di colore bianco e nero e una matita che ho sfumato con un tovagliolino di carta.  Al termine di questa procedura ho realizzato le strisce gialle delle Taxiway in Flat Yellow e il pozzetto della messa a terra mediante un lavoro di mascheratura.

 

Giunto quasi alla fine ho realizzato il cavo “ground” da incollare sul modello PRIMA di ancorarlo alla base, e per realizzarlo ho provato diverse soluzioni: alla fine ho scelto un filo molto sottile di rame avvolto intorno ad uno stuzzicadenti. Rimosso con delicatezza, aveva le sembianze di una molla per le penne e con attenzione l’ho distesa e sistemata nella sua posizione definitiva.

Il tocco finale che non poteva mancare è stato la realizzazione della scaletta di accesso cui, purtroppo, non ho trovato aftermarket. Poco male mi son detto, in fondo con tutti gli accessori pronti spesso si perde il gusto di dare un tocco personale al proprio modello. Ho cercato qualche foto e l’ho auto costruita basandomi su profilati Evergreen di sezione rettangolare e poi qualche pezzo di Plasticard sottile per gli snodi e la superficie d’appoggio al cockpit. Un po’ di prototipi e di pazienza ma alla fine sono riuscito nell’intento!

 

Conclusione:

Giungendo alla fine del progetto ho, via via, assemblato tutti gli elementi preparati in precedenza. Devo ammettere che è stata un’operazione molto delicata quella di ambientare l’F-117 sulla sua basetta definitiva ma il piccolo diorama, e la mimetica insolita, hanno contribuito a rendere ancor più unico il modello di un velivolo che nell’immaginifico di tutti gli appassionati è sempre stato nero!

 

Spero che quest’articolo sia stato di facile lettura e vi sia piaciuto, approfitto dell’occasione per ringraziare e salutare i ragazzi del mio club “The Knights of Round Table” di Roma, ringraziare Valerio e tutti i fantastici amici conosciuti sul forum di Modeling time, una splendida comunità.

Grazie e buon modellismo a tutti.  Mattia “Pankit” Pancotti.