giovedì, Luglio 17, 2025
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Video Tutorial: Highlighting & Dry Brushing di un Cockpit (prima parte).

Nuovo video tutorial di Modelingtime.com in 16:9 e alta definizione!!. Questa volta vi spieghermo la tecnica dell’Highliting e del Dry Brushing di un Cockpit. Non perdetevi anche la seconda parte del video… in arrivo tra qualche giorno!

 

A presto!

Starfighter84!

Group Build Modeling Time.com – Il diavolo rosso di Ghedi – Tornado IDS dal kit Italeri 1/48. Parte seconda: montaggio e preparazione alla verniciatura.

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Non perdetevi la prima parte dell’articolo! cliccate QUI !

Lo scorso settembre, si vociferava di dare il via al primo Group Build di Modeling Time.com ed io ricordo bene che proposi il Phantom dato che ricorreva il cinquantenario dal primo volo…La mia proposta non ha avuto successo e ci siamo tutti ritrovati ad armeggiare di li a poco con i nostri kit di Tornado, chi in 1/72 chi in 1/48…io scelsi l’Italeri in 1/48.

Leggendo le recensioni trovai che il kit era buono seppur datato, con linee di pannellatura incise ed un bel foglio di decal stampato dalla  Cartograph all’interno. Quando un bel giorno arrivò il postino col mio kit, aprii avidamente la scatola e vidi un kittone un po’ scomposto e con le plastiche appena ruvide in vago stile “short-run”. Non mi persi d’animo. Finii il mio F16 in 72 e mi misi al lavoro. Leggendo la cronaca di questa costruzione spero che vi farete un idea di questo kit, che all’interno del forum è stato rinominato “un kit da veri uomini”….

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Naturalmente, come ogni modello di aeroplano di questo mondo, ho iniziato a costruire questo Tornado ( il mio primo jet in scala 1/48) partendo dall’abitacolo. Essendo un amante delle costruzioni in scratch, o fatte in casa che dir si voglia, mi sono armato di monografie, plasticard, fili di rame di vario spessore, la mia fidata banca  pezzi avanzati e tanta buona volontà…ma non avrei mai immaginato cdi impegare altri dieci mesi di buona volontà per portare a termine il mio bombardiere preferito!

Grazie ai ragazzi del forum e al loro  supporto morale, sono riuscito a portare termine questo modello, che oltre a segnare il passaggio anche per i jet in scala 1/48 è stato il mio lavoro più duro e complesso in assoluto.  Questo kit per me è stato veramente un’impresa e ve la racconterò punto per punto, naturalmente esagererò coi toni raccontando la mia avventura. Nonostante la faticaccia mi sono divertito moltissimo, anche se la soddisfazione più grande è stata quando l’ho chiuso in vetrina una volta finito.

L’abitacolo non è disastroso come dettaglio ma è un po’ povero…potete ben vedere che i quadranti e i pulsanti sono in rilievo ma i pannelli strumenti  sono stampati in un unico pezzo…quello del pilota ha una parte in rilievo che ho tagliato e ricostruito separata con plasticard, stesso discorso per la parte degli strumenti del navigatore che aveva le due parti (superiore ed inferiore) del suo cruscottone unite, quindi ho dovuto tagliarle e montarle distanziate. Ho costruito questa separazione con dei pezzi di plasticard.

Questo è il “pilot’s office” con le modifiche che ho attuato per separare le varie parti del pannello strumenti

Questa è la separazione che ho dovuto effettuare per il pannello strumenti del copilota. Ho separato di 2,5mm, in pratica due lastrine di plasticard da 1mm ed una da 0,5mm.

Nella parte anteriore della strumentazione mancavano molti quadrantini, scatoline e pulsantini. Tutto quello che vedete è plasticard e sprue filato. Anche quei due strumenti circolari sulla destra. Un pezzetto di sprue tagliato a mò di “fetta di salame” per simulare strumentini e quadranti…

Ho ricostruito anche il sostegno della cloche del navigatore…non mi ero accorto che era incluso nel kit in quanto avevo notato solo il manettino da montare in quel buco che vedete sulla destra, dove va montata la barra negli IDS-Trainer….Il sostegno è stato ricostruito con una porzione di serbatoio di F 104 Hasegawa in 72, stuccato incollato e lavorato…

Dopo aver dato una mano di grigio chiaro come fondo al cockpit ho iniziato a provarlo a secco all’interno delle due parti che compongono il muso del Tornado. Naturalmente, come in tutte le mie autocostruzioni, non combaciava più niente ed ho carteggiato via ogni linea e punto di riscontro. Quello che mi ha stupito, o meglio la prima cosa che mi ha stupito in questo lavoro, è stata la voragine (segnata in rosso) che avrei dovuto colmare con plasticard e stucco per dare un po di continuità al cockpit del mio “Tonka”….

Dopo attente misuazioni e calibrazioni…(non è vero sono andato ad occhio più che mai) mi sono costruito questo spessore per colmare il gap che c’era tra le semifusoliere e il cockpit, altro plasticard tagliato ed incollato…a dirlo così sembra facile ma a farlo è stata tutta un’altra cosa perchè, oltre alla larghezza, dovevo rispettare anche l’altezza altrimenti il muso sarebbe rimasto aperto o avrebbe creato delle fastidiose fessure da tappare. In alternativa la vasca dell’abitacolo sarebbe rimasta più bassa del dovuto scontrandosi con il vano del carrello anteriore.

E qui siamo già passati alla verniciatura con annesso lavaggio in nero misto a bruno van dyck miscelati al 50%…il colore di fondo grigio chiaro è stato coperto con del Gunship Grey 36118, il dark grey XF 54 della Tamiya, una tinta molto scura per questo aereo che è molto pulito al suo interno nella realtà anche se molto usato. Dato che avevo iniziato a rendermi conto che il kit era veramente ostico, ho deciso di lasciare un po in disparte la realtà per concentrarmi sul colpo d’occhio. Sia per quello che riguarda la rifinitura, sia per quello che riguarda gli interni e la verniciatura in generale…volevo insomma un modello che una volta messo in vetrina non mi avesse fatto dire: “ma certo se in quel punto avessi scurito di più….”

Uno scatto della parte del cockpit riservata al pilota, tutta sporca e ancora da sottoporre a drybrush…tutti i quadrantini sono stati dipinti con un pennellino triplo zero ed uno stecchino e per verniciare l’interno degli strumenti. Ho usato anche un ago per avere un tratto più sottile…con  il drybrush ho spento un po’ i toni del rosso e del giallo per rispettare al meglio l’effetto scala…

Una volta chiuso il muso (senza dimenticare di metterci il cockpit dentro!) si passa a ricostruire tutte quelle scatoline messe sopra la postazione del navigatore…come sempre plasticard, sprue filato, filo di rame, pazienza e buona volontà. Nella foto potete vedere che avevo lavorato già un po’ di drybrush sui pulsanti…le parti scrostate le ho lasciate così dato che avrebbero ospitato i sedili…(due ottimi Pavla in resina…l’unica cosa che non ho auto-costruito  in questo kit).

Ora passiamo al sodo…si inizia a lavorare sul corpo del modello: la prima cosa che mi è saltata all’occhio è che i vani dei carrelli principali sono sottodimensionati e quindi c’è da lavorare all’interno della fusoliera per colmare questi piccoli difetti. Chi può venire in soccorso al modellista spaventato da un kit ostico come questo? Il buon vecchio e sano plasticard…prese accuratamente le misure si tagliano due lastrine di questo materiale…precisamente dello spessore di 0,5mm e si incollano all’interno della fusoliera con colla cianoacrilica. Ripetere per due volte ed il gioco è fatto. Non preoccupatevi se lavorando su questo kit qualche gocciolina di sudore sta già cadendo sul vostro Tornado…non avete ancora iniziato il lavoro duro!

Quando il gioco si fa duro, la soluzione migliore sarebbe scappare via in full afterburner, ma noi modellisti si sa siamo molto più duri della plastica e delle resine che ci troviamo a maneggiare tutti i giorni! Qui potete vedere le parti che compongono il kit. Il muso ve l’ho narrato punto per punto, la deriva avrà il suo tempo. Ora tocca al troncone posteriore di fusoliera  del nostro “diavoletto di ghedi”. Le ali si compongono di due parti ognuna ed hanno un punto di riscontro dove passerà il perno del braccetto che, volendo, farà rotare la nostra ala variabile. Il suddetto sistema di rotazione è molto fragile e ruotando le ali a modello ultimato si intaccherà la verniciatura oltre a rompere sicuramente il marchingegno. Suggerisco senza alcuna perplessità di incollarle bene in una posizione e di non pensarci più… I bordi delle ali andranno ben carteggiati e stuccati come al solito su ogni modello per evitare buchi, ma in questo caso una raffilatina al profilo non fa male perchè rimangono un po’ tozze da vedersi.

I piani di coda invece vanno incollati così senza riferimenti, essendo scomposti orizzontalmente anch’essi. Ricordo di aver faticato non poco per assemblarli, naturalmente una stuccatina al profilo e conseguente carteggiata non fa male nemmeno qui. Al momento di chiudere le due valve che compongono il corpo del modello, ci troviamo a dover mettere degli spessori per rispettare l’altezza di questo insieme e farlo combaciare con il muso. Il kit è scomposto così perchè la nostrana Italeri aveva in catalogo anche la versione ADV/F3 del tornado per la quale basta sostanzialmente cambiare il muso rispetto alla IDS. Questa è una delle parti più difficili da assemblare perchè combacia male in ogni suo componente lasciando scalini qua e là, e dimostrandosi molto debole come stuttura per un kit che finito sfiorerà i 40 cm ed avrà un notevole peso.

Ed il musone è su. Dopo aver finito di levigare e carteggiare all’interno dell’abitacolo le pareti dietro ai sedili, ho montato le due parti. Prima di questa fase ho montato i vani dei carrelli, anch’essi hanno subìto un forte incollaggio con colla cianoacrilica e sono stati dotati di rinforzi, specialmente quello anteriore. Questo vano è stato rinforzato con listelli di plasticard ed unito solidalmente con la parete inferiore del cockpit vero e proprio per rendere robusta  ed a prova di schianto la struttura. Il vano è  stato poi stuccato e carteggiato all’interno. Anche l’occhio vuole la sua parte no? E quindi ore di carteggiatura e stuccatura per tutti e tre i vani dei carrelli.

E’ ora di montare le due valve che compongono l’imponente deriva del Tornado, elemento di riconoscimento di questo fenomenale bombardiere. Una volta scaricato il tubetto di attak gel nella coda, al tatto rimaneva un po’ “morbida” e mi sono immaginato a maneggiare il modello completato con la deriva che si stacca e mi rimane in mano… un incubo! ho così dovuto effettuare la regola numero uno di questo modello: spessorare e rinforzare. Prese le misure esatte ed al centesimo (non è vero anche questa volta sono andato ad occhio), con dei pezzetti di sprue ho reso più solido il pezzo songiurando così il pericolo di crollo.

Dopo essermi consultato con i miei colleghi di Tornado  ho deciso di mettere 30 grammi di piombo nel muso per essere sicuro di non avere decolli inaspettati in vetrina…superata questa fase mi sono messo a carteggiare di gran lena per spianare gli scalini a discapito delle linee di pannellatura che se ne sono andate  a scomparire un po dappertutto.

Stuccatura critica superiore, risolta con stucco Molak e varie passate di colla ciano opportunamente carteggiata…

Stuccatura critica inferiore con relativi pannelli mangiati. Anzi divorati! In questa inquadratura si vedono gli spessori nei vani carrelli principali…

In questa foto potete vedere il cono del radome incollato e parzialmente carteggiato. Era molto più largo della fusoliera ed anche qui olio di gomito, stucco, attak e varie grane di carta abrasiva…

Motori montati, non sono stato a dettagliarequesta parte, anche se era prevista questa opera nel progetto iniziale…sto iniziando a dire paroloni, meglio avviarsi alla conclusione di questa seconda parte di articolo…resistete ancora un po’ mi serve qualcuno che mi appoggia e mi sostiene mentre ricostruisco con la memoria questo modello!

Assemblaggio della deriva e del vano della sonda per il rifornimento in volo: naturalmente non combaciavano bene  nemmeno queste parti, ed anche qui c’è stato da lavorare con il tubetto dello stucco in una mano e la carta da 1000 nell’altra…

L’ antennina sulla deriva è composta da due parti unite verticalmente. Come potete vedere è stuccata e carteggiata. Stesso trattamento per i piani di coda che con il loro fragile sistema di movimento (un traversino di plastica) rischiano la rottura. Quindi sono stati incollati, stuccati e lisciati. Con uno stecchino ho posato una pallina di stucco al margine della fessura e poi l’ho stesa con un cotton fioc. Ho asportato gli eccessi con un altro cottonfioc imbevuto di acetone. Stesso procedimento per stuccare la deriva. Dimenticavo. Ogni parte carteggiata è stata reincisa…

Le prese d’aria: verniciate in bianco all’interno come fondo. Le parti mascherate andranno verniciate in un grigio scurissimo. (36118)

Prese d’aria montate ed incollate. C’era da scegliere quale parte deturpare maggiormente con la carteggiatura ,ed ho optato per quella superiore. Avevo già una mezza idea per come sopperire a questa piccola catastrofe. Soprattutto c’era da rimediare al fatto che mancava lo sfogo superiore dello strato limite dietro alla presa. Un millimetro di spessore in meno ed eccoci qua di nuovo ad autocostruire. L’unico posto del tornado dove non dovrebbero esserci punti di riscontro…ce li troviamo belli e puntuali…quindi li ho asportati per montare le prese sul modello…e carteggia carteggia ci troviamo a sistemare questa zona.

Colpito come un fulmine a ciel sereno da un’idea malsana, ho sistemato due rettangolini di plasticard da 1mm sopra alle prese d’aria, preventivamente misurati, ritagliati, sagomati e quant’altro. Stavolta ho preso le misure sul serio!!!

Nella vista dall’alto potete notare la parte anteriore alle ali nella zona di rotazione. Quelle fessurone sono state riempite di stucco e carteggiate. Questa parte è stata la più delicata del kit in quanto le plastiche sono sottilissime e carteggiando si rischia facilmente di bucarle.

Ed ecco come si presenta la vista laterale delle mie prese d’aria rivedute e corrette. Naturalmente la superficie in plasticard l’ho stuccata, carteggiata lisciata e reincisa.

Come tutti ben sappiamo, il Tornado ha delle guaine in gomma nella zona dove l’ala variabile rientra nel “cassone”; Io le ho interpretate così: due “fette” di nastro dymo sagomate a misura (non è stato facile). Per realizzarle ho dovuto fare diverse prove, diverse misure, ma alla fine ce l’ho fatta. La zona circostante mostra le 1000 battaglie contro la carta vetrata che ha combattuto il kit. Ed anche le altre 1000 contro l’incisore. Alla fine hanno vinto l’incisore e la carta da 1000.  Anche quella da 500 si è ben distinta nella lotta!!

Visione d’insieme dopo due mesi di lavori, potete notare anche il disordine che regna sovrano sul mio tavolo. Ma non distraetevi dal mio aereo su!! Come vedete il radome necessitava ancora di cure ed il dorso non era ancora ben reinciso.

Leggendo le mie amate monografie ho deciso di cablarmi tutto l’abitacolo. Sedici filetti di rame sagomato solo per la parte anteriore. Per infilarli ho scaldato un ago e ho bucato la plastica per far si che, quando  veniva estratto,  tirava fuori un po di plastica per non dare l’impressione di semplici filetti infilati nel cruscotto… ma di dare l’idea di un po’ di guaina o di canaline di fili elettrici…

Visione d’insieme verniciata ed invecchiata…non fate caso alla zozzeria della palpebra era ancora in piena lavorazione…

E l’abitacolo finalmente è terminato e cablato. Sbaglio o mancano i sedili? Tranquilli alla fine ce li ho messi!! I miei pilotini  in scala hanno avuto il loro bel sedilino anche stavolta!

E questo è quanto. Siamo arrivati al primer. Tamiya XF53 (fs 36320)… per ora vi lascio qui. La terza ed ultima parte dell’articolo verterà sulla verniciatura, la rifinitura e la conclusione del modello. Per ora siamo a 2 mesi e 10 giorni di lavoro. Tanto impegno, tanta fatica ma anche tanta soddisfazione su un aereo che mi piace moltissimo. Il Tornado…che bell’aereo! Non immaginavo nemmeno a questo punto che ci sarebbero stati altri 8 mesi di lavoro sopra questo kit…però la soddisfazione di un Tornado IDS in 1/48 è impareggiabile!

A presto per l’ultima parte..

Mauro “CoB” Balboni…

Non perdetevi la prima parte dell’articolo! cliccate QUI !

Group Build Modeling Time.com – Il diavolo rosso di Ghedi – Tornado IDS dal kit Italeri 1/48. Parte prima: Storia e Tecnica.

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Il primo di ottobre del 2008 partiva il primo group build di Modeling Time.com. Come tema abbiamo scelto, dopo varie proposte, di costruire in gruppo il Panavia Tornado. Questo splendido velivolo, anche a guardarlo a terra, esprime potenza, aggressività, dinamismo. Ma soprattutto, per chiunque lo abbia mai visto volare a bassa quota sfiorando i tetti delle case e le cime di colline e montagne, di sicuro ha regalato emozioni. Il progetto comunemente chiamato Tornado il cui nome completo è ” Panavia PA 200 Multi Role Combat Aircraft”, è un aereo multiruolo da combattimento, come dice il nome appunto, ma la sua vera vocazione è il bombardamento a bassa quota ad alta velocità. Il consorzio Panavia vede “complici” nello sviluppo di questo velivolo Regno Unito, Germania ed Italia. Il primo volo avvenne il 14 agosto del 1974. 35 anni e non dimostrarli.

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Lo scopo della creazione di un bombardiere tutto europeo era quello di fronteggiare i paesi del Patto di Varsavia con un velivolo che consentisse alle nazioni del vecchio continente di non dipendere dagli Stati Uniti. Il progetto nacque come un aereo in due versioni: la prima, un monoposto dalle caratteristiche simili al russo Mig 23, monoposto bireattore con vocazione sia da difesa che da attacco al suolo, che nella nostra Aeronautica Militare avrebbe dovuto prendere il posto del mitico F-104; La seconda,  un bombardiere biposto bireattore.

La direzione definitiva che assunse lo sviluppo del velivolo fu infatti quella del bombardiere, anche se la versione monoposto si crede non sia mai stata concepita o non sia mai andata oltre lo stadio teorico. In quegli anni, in paesi come il nostro non era molto politicaly-correct discutere in parlamento di un aereo totalmente offensivo ad alta tecnologia, ne tantomeno lo era stanziare i fondi in un clima politico movimentato come era il nostro all’epoca.

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Il Tornado, o come veniva chiamato in fase di concepimento il “Panther”, si contese il titolo di primo aereo con comandi Fly by Wire con l’americano F-16. Il primo volo avvenne, come già detto, il 14 agosto ’74 ed il primo esemplare italiano volò solamente il 5 dicembre del ’75, ma rimase danneggiato e ci vollero due anni per ripararlo. Quindi l’Italia ha potuto contribuire in maniera solo marginale allo sviluppo degli esemplari di preserie che furono in tutto quindici. Il primo esemplare di serie, un “Tonka” inglese volò il 10 luglio del ’79 ed il primo tedesco una settimana dopo. Da noi si è dovuto aspettare il 25 settembre 1981. Anche per i motori venne creato un consorzio, chiamato Turbo Union, che vedeva al suo interno Rolls Royce, MTU e Fiat Avio. Per quanto riguarda il radar venne importato dagli “states” ed era lo stesso dell’F.111…

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Tecnicamente parlando, il tornado è stato sviluppato in tre versioni: la più comune è la IDS/Gr.1 (poi evoluta in Gr.4 con aggiornamenti di avionica e motori più potenti), questa è la versione da bombardamento a bassa quota sia in regime transonico che entrando di soppiatto in territorio nemico in regime supersonico. La versione ECR, sviluppata soprattutto dalla Germania ma utilizzata anche dall’Italia è studiata per le missioni “wild weasel” e per la guerra elettronica. La versione ADV o F3, è la variante da difesa aerea ampiamente usata dall’Inghilterra e per alcuni anni anche dall’Italia (trovatasi a secco di intercettori al momento dell’inizio della radiazione dell’F-104 a Gioia del Colle ) ed anche dall’Arabia Saudita. La variante “air defence” però è la meno valida in quanto questo straordinario bombardiere mal si adatta allo “scramble” iessendo nato essenzialmente come bombardiere che entrava nel territorio nemico già lanciato ad alta velocità…
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Tralascio l’impiego bellico di questo velivolo anche se si è ben distinto sui Balcani, in Iraq ed in Afghaninstan. Passo invece ad esporre la tecnica del velivolo poichè è quello che mi interessa di più. Questo stupendo bireattore ha come caratteristica l’ala a geometria variabile incernierata che gli permette una buona maneggevolezza alle basse e medie velocità, ed ottime caratteristiche aerodinamiche alle altissime velocità. I motori sono due  turboventole coassiali Turbo-Union RB-19934R Mk 103, con post bruciatori ed un avanzato sistema di inversori di spinta che lo portano alla velocità massima di mach 2,2 senza carichi esterni. Questo velivolo pesa al massimo 28 tonnellate al decollo, mentre senza load out esterno pesa circa 17 tonnellate. Puo montare diversi armamenti e diversi illuminatori di bersagli, ma la configurazione caratteristica italiana è composta da due serbatoi subalari, due pod Boz 107, due Sidewinder, quattro, cinque o otto bombe mk 82/83, o due GBU 16;  In passato i “nostri” stanziati a Gioia del Colle montavano anche i missili antinave Kormoran. Ci sono anche due cannoni Mauser da 27mm, installati sul musone.

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La caratteristica che potete notare al primo sguardo è l’imponente deriva, croce e delizia del velivolo. Aumenta infatti esponenzialmente la stabilità del Tornado in volo alle alte velocità ma, parallelamente, ne accresce anche la traccia radar. L’ala a geometria variabile, varia appunto la freccia da 25 a 60 gradi. Dopo aggiornamenti ed update vari ora questo meccanismo si muove intorno ai suoi cuscinetti rivestiti in teflon in maniera autonoma ed elettronica, mentre rimane manuale il movimento a terra per motivi di ingombro. Il computer di bordo riesce a far volare l’aereo con danni fino al 75% e controlla anche il sistema TFR (Terrain Following),  ossia il sistema che prevede il volo a bassa quota gestito elettronicamente con l’aereo che segue il profilo del terreno lasciando al pilota la concentrazione necessaria per lo sgancio degli ordigni.  Questo sistema funziona normalmente a 170 metri di altezza e 780 km/h, ma i tornado volano spesso e volentieri anche a quote di 60 metri. Il sistema era lo stesso dell’F.111 ed era costruito dalla TI. Il tutto gestito con soli 128 kbyte di RAM nel computer principale. A voi ogni commento. Io dico che è un grande aereo, non solo per le 28 tonnellate di peso…

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Il tornado che ho rappresentato nel mio modello è un IDS in livrea Strike Nato del 6° stormo di Ghedi, il principale stormo utilizzatore in Italia del nostro velivolo. Essendo il nostro primo bombardiere di elevate prestazioni ed il primo aereo moderno di un certo livello tecnico, ha anche costi nettamente superiori agli altri obsoleti velivoli che avevamo in carico quando il Tornado è entrato in linea. Il costo nominale  di acquisto era di 30 miliardi di lire negli anni ’80 per ogni esemplare, ed anche l’elevato costo di formazione dell’equipaggio e la manutenzione era livellato alla prestanza e al servizio che offre ed ha offerto il nostro bombardiere. Ad esempio istruire un pilota costava 5,5 miliardi e 3,6 la formazione di un navigatore, mentre l’istruzione di un pilota di 104 costava 4,4 miliardi di lire (il tutto aggiornato al 1992). Il costo orario di volo del Tonka era allora di 34 milioni e 300.000 lire a confronto con quello del 104 che era di 5 milioni e 900.000 lire. La spesa totale per mantenere i nostri Tornado in linea, all’epoca si aggirava intorno ai 240 miliardi annui senza contare armamenti ed eventuali danni.

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La situazione Tornado in Italia aggiornata al 2006 era di 84 velivoli in linea di volo. Io lo ritengo un aereo eccezionale e di indubbio fascino, frutto di un progetto tanto coraggioso quanto costoso (come del resto ogni aeroplano da combattimento). Oggi il velivolo è parzialmente superato dai missili da crociera, dagli aerei stealth e dai sensori radar disseminati ovunque, che rilevano anche velivoli a bassa quota. Per me, però,  vedere un Tornado sfrecciarmi sulla testa a bassa quota è sempre uno spettacolo sensazionale ed un’emozione che nessun altro aereo mi ha mai dato. Del resto ormai dopo 10 mesi di lavoro mi ci sono affezionato e questo velivolo lo sento anche un po’ mio. A presto con altri due articoli riguardanti la parte modellistica del nostro bombardiere. Si parlerà presto di plastiche e di vernici non vi preoccupate, intanto godetevivi le foto che ci vorranno due articoli per farvi vedere come è venuto fuori questo modello!

NON PERDETE I PROSSIMI DUE ARTICOLI!

Mauro “CoB” Balboni…

The Desert Cat – Jaguar Gr.1 dal kit Italeri in scala 1/72.

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Cenni Storici:

Il Jaguar nasce negli anni ’60 come programma congiunto anglo-francese: alla base c’era una specifica tutta inglese per un addestratore supersonico che andasse a prendere il posto del vetusto Folland Gnat, e da una specifica Francese che richiedeva un aereo che potesse essere usato sia come aereo da addestramento sia come caccia-bombardiere leggero. Successivamente ci furono alcuni cambi di programma e il progetto per un addestratore portò in Francia alla costruzione dell’Alpha Jet, mentre in Inghilterra nacque il BAe Hawk; allo stesso tempo cambiarono le specifiche tanto da parte della RAF, che cercava un aereo che prendesse il posto dell’inadeguato Phantom nel compito dell’appoggio tattico, mentre in Francia si cominciò a pensare a un aereo imbarcato che potesse sostituire gli Etendard sulle portaerei dell’Aeronavale.

Dall’unione di forze fra Bréguet (poi Dassault) e BAC (poi BAe) nacque il consorzio SEPECAT, che così si suddivise i compiti relativi alla produzione: in Gran Bretagna venivano prodotte le ali, le prese d’aria, il tronco posteriore della fusoliera e gli impennaggi, mentre tutte le rimanenti parti della cellula vennero prodotte in Francia. L’assemblaggio finale veniva curato in entrambi i paesi, a seconda delle specifiche esigenze. In totale furono costruiti 588 esemplari e l’aereo venne adottato, oltre che  dai paesi sviluppatori, anche da India, Oman ed Ecuador.

Per quanto riguarda l’impiego operativo, tanto i Jaguar di Sua Maestà quanto quelli francesi ebbero modo di dimostrare il loro valore in numerosi teatri operativi: nel Golfo Persico, sui Balcani ma anche – gli esemplari francesi- in Africa: essi furono impegnati in alcuni scontri nel Sahara Occidentale, in Ciad e in Ruanda.

Sia in Francia che in Gran Bretagna i velivoli sono stati radiati: nel 2005 in Francia e nel 2007 dalla RAF.Jaguar 002

Note Modellistiche:

Il Jaguar è un soggetto fortunatamente ben considerato dalle case modellistiche, soprattutto in 1/72 dove l’Italeri ha coperto tutte le versioni, sia mono che biposto tanto con livree  francesi che inglesi. In 1/48 la connection anglo-francese Airfix-Heller ha sfornato dei kit buoni ma non eccelsi: Gr.1 per l’Airfix e ovviamente la versione francese per la Heller.
Già che siamo in tema, le differenze principali fra gli esemplari francesi e quelli inglesi stanno innanzitutto nell’armamento di lancio: due cannoni DEFA da 30mm per gli esemplari Armée de l’Air, due cannoni Aden, anch’essi da 30mm per gli esemplari RAF. L’altra differenza sta nel muso, dal momento che le versioni Gr.1 e seguenti montano un telemetro laser, che le macchine francesi non hanno. Da ultimo la versione inglesi si caratterizza per due alette RWR (Radar Warning Receiver) montate sulla deriva, in maniera del tutto analoga al Tornado Gr.1.
Detto questo, per il mio modello ho scelto la scatola Italeri, recentemente riedita anche dalla Revell con nuove decals, caratterizzata dal numero di catalogo 063. All’interno della piccola scatola ad apertura laterale troviamo due stampate color sabbia – questo nel sempre biasimevole tentativo di venire incontro a quelli che il modello preferiscono non verniciarlo- e una piccola di trasparenti per un totale di circa una settantina di pezzi. Purtroppo i pezzi non sono incellophanati, anche se il mio corrispondente inglese che mi ha venduto il kit ha sagacemente imbustato a parte i trasparenti che così si sono salvati da graffi e danni vari!

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Un piccolo foglio decal fornisce le insegne necessarie per due esemplari: il primo in livrea desertica, ornato da una simpatica nose-art in cui un Saddam Hussein decisamente caricaturale viene preso a calcioni nel deretano da uno stivale coi colori della Union Jack. Il secondo è un esemplare nella classica livrea mimetica Dark Green/Dark Sea Grey, che in alternativa può essere rappresentato anche in livrea invernale con una copertura di bianco.

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Montaggio:

Per evitare il solito noioso incipit del tipo: il montaggio è iniziato dal cockpit, questa volta ho deciso che inizierò…dall’assemblaggio del troncone posteriore di fusoliere, lasciato giustamente staccato dal muso in previsione della realizzazione della variante francese e di quelle biposto. La giunzione dei tre pezzi che compongono questa sezione non comporta particolari problemi, anche se richiede qualche stuccatura lungo le giunzioni. Nulla di drammatico comunque.

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L’ala è in un sol pezzo e si incastra bene nel suo alloggiamento, anche qui con l’aiuto del solito amico stucco: apro una parentesi per parlare di stucchi. Io ne uso due tipi: quello classico della Tamiya, perfetto per le piccole fessure, mentre in caso di voragini e/o di scalini uso quello bianco della Gunze, che d’ora in poi, per evitare giri di parole chiamerò “lo stucco gommoso”!
Cercate di capirmi, credo che sulla piazza di modellisti (e non solo nel modellismo) pigri come me ce ne siano ben pochi! Forse non un record di cui andare fieri, ma pur sempre un record!
In questo caso, tornando al Jaguar, per la giunzione ala/fusoliera ho usato lo stucco gommoso. Una volta che ho montato la fusoliera e nell’attesa che lo stucco si asciugasse, ho rivolto le mie attenzioni al cockpit.
Pannello strumenti e consolles laterali sono in rilievo e il seggiolino ha già le cinture stampate in rilievo: niente di stratosferico, però vista la scala e il fatto che tutto andrà dipinto in nero, ci si può accontentare. Una bella passata di nero H-77 Gunze, un drybrush con grigio chiaro e siamo a posto. Stesso discorso per il sedile, tutto nero con il cuscino in verde (ho usato il US Marine Green della Agama) e le cinture in marroncino chiaro.
Prima di chiudere le fusoliere ho dipinto le pareti del vano carrello e lo stesso vano anteriore in Zinch Chromate, così come del resto anche i vani carrelli principali e i vani aerofreni. Per lo Zinch, ottimo l’Humbrol 81.
Qualche problemino lo danno le prese d’aria, ma anche qui l’intervento del nostro amico stucco gommoso risolverà ogni problema! L’interno l’ho dipinto con grigio chiaro H-308 Gunze, come del resto le gambe del carrello e i cerchi delle ruote! Ecco perché amo il Jaguar: non bisogna usare lo stramaledettissimo bianco lucido!!!

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Colorazione:

Malgrado il mio corrispondente inglese che mi ha venduto il kit mi abbia gentilmente omaggiato di un magnifico foglio Xtradecals che permette di realizzare svariati Jag in livrea Nato, fin da subito la mia idea è stata quella di fare un aereo in livrea desertica, colorato con il celebre Desert Pink. Si tratta di una vernice di tipo ARTF (Alcaline Removable Temporary Finish), ovvero di una vernice lavabile al rientro in patria. Questo comportava ovviamente che gli aerei si presentassero decisamente sporchi e con livrea usurata.
Bene, spiegato cosa è il Desert Pink, il problema che si pone è quella della sua realizzazione: infatti a parte l’Xtracolor a smalto, non esiste alcuna ditta che abbia in catalogo suddetto colore (molto simile e usabile è il 250 Humbrol), tanto meno questo colore compare nella gamma dei miei adorati Gunze. Che fare? La soluzione è semplice si prende come base il Flesh (color carne) H-44, un po’ di H-47 Red Brown, qualche goccia di bianco, buon occhio e un’ottima dotazione di… lato B!!! Ecco la mia ricetta per il Desert Pink!  E devo dire che in questo caso il fattore C ha fatto si che trovassi una buona corrispondenza con il colore reale!
Bene, una volta data la mano di base, con lo stesso colore ancora più diluito e schiarito con bianco si opera il post-shading quindi la solita mano di Future a lucidare il tutto.
Per quanto riguarda l’esemplare scelto, fin dall’inizio la mai scelta era caduta sull’esemplare desertico e il Saddam preso a calci avrebbe sicuramente fatto capolino sul muso del Jaguar se non fosse che in un negozio di Milano che tiene molti vecchi fogli decals, mi sono imbattuto in un foglio della Almark dedicato agli aerei RAF impegnati nella Desert Storm. Fra i vari soggetti, Tornado, Jaguar e Buccaneer, vi era un Jaguar con una particolarissima nose art: vi era dipinto un omino stilizzato che sappiamo dalla scritta chiamarsi Buster Gonad, il quale è dotato di… attributi decisamente grossi, tanto da doversi servire di una carriola su cui appoggiarli!! Certo non il massimo del politically correct, ma come fare a resistere?

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Le decals Almark sono buone anche se stampate su film unico e quindi è necessario scontornarle: purtroppo questo aspetto è poco indicato dalle istruzioni e quindi la nose art risulta contornata da un bel po’ di pellicola, per fortuna la Future sotto evita ogni brutta sorpresa!
Messe le poche decals, il modello ha ricevuto un ‘«inzozzatura» con olio nero e gessetti: non abbiate paura di esagerare, i Jaguar operativi nel deserto erano la quintessenza dell’aereo poco pulito!!
Una mano sigillante di Future e la finale passata di trasparente opaco Lifecolor hanno completato la mia opera!
Ora non mi resta che mettere il mio piccolo Jaguar in vetrina accanto al Dakota e al Tornado, così un altro pezzo si va ad aggiungere alla mia forza aerea in miniatura!!

Buon modellismo
Alessandro Gennari

Lo chiamavano Dakota… – Douglas C-47 dal kit Italeri in scala 1/72.

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Un pò di storia:

Derivato militare del leggendario DC-3 della Douglas, il C-47 si è guadagnato a buon diritto un posto nella storia dell’aviazione militare e non solo. Costruito in oltre 10.000 esemplari, esso è stato protagonista di tutte le operazioni più importanti del secondo conflitto mondiale, dallo sbarco in Normandia alle sanguinose battaglie sulle isolette del pacifico, che gli USA dovettero riconquistare una per una a prezzo di gravi perdite umane e di materiali. Durante il conflitto essi servirono principalmente con le insegne americane e britanniche, e furono usati in svariati ruoli: lancio di paracadutisti come mansione principale, ma anche traino alianti (alcuni Dakota furono essi stessi usati come alianti date le ottime caratteristiche di planata) e per il lancio di viveri e materiali durante il drammatico accerchiamento di Bastogne, nelle Ardenne, avvenuto nel 1944 durante l’ultimo colpo di coda tedesco. Alcuni C-47 furono protagonisti di episodi sfortunati ,su tutti quello avvenuto in Normandia durante le prime fasi concitate dello sbarco, dove numerosi aerei furono abbattuti dai troppo nervosi serventi della contraerea americana.
Terminata la guerra non è ancora tempo di riposo per il nostro Skytrain: infatti esso è impegnato nel ponte aereo di Berlino, per aiutare la popolazione della città posta sotto blocco dai sovietici. In quei convulsi giorni, il nostro buffo bimotore tornò in azione trasportando e sganciando sulla città tonnellate di viveri, carbone, medicinali e pacchetti di caramelle per i bambini. Nelle intenzioni dei comandi alleati c’era anche quello di paracadutare sula città un cucciolo di cammello, chiamato Clarence, da dare al locale zoo, ma purtroppo l’animale morì pochi giorni prima. Designato per il trasporto dell’inconsueto carico era nemmeno a dirlo, il nostro C-47, che infatti portava una sagoma di un cammello disegnata in fusoliera.
Entrò in azione anche coi colori israeliani nella guerra di indipendenza, e di nuovo sotto l’USAF come gunship in Vietnam, suscitando un terrore sacro nei Vietcong che se lo vedevano ronzare sulla testa…
E’ stato inoltre la star di alcuni film: chi non ricorda «Più forte ragazzi» con Bud Spencer e Terence Hill, dove si vedeva il nostro eroe a due eliche vestire un’improbabile e logora livrea rosa??
Da ultimo, se ci volesse anche questa di prova per confermare l’importanza del Dakota in seno all’aviazione, si possono trovare tracce nei fumetti Disney, dove spesse volte Paperon De’ Paperoni parte per le sue avventure a bordo di uno scalcinato bimotore le cui forme sono ispirate al C-47!

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Note modellistiche:

Ovviamente un soggetto così famoso non poteva sfuggire alle case modellistiche, e in molti si sono cimentate nella produzione del kit: in 1/48 ci sono i vecchi Monogram (bellissimi e per me dovermene liberare per poco spazio è stato un colpo al cuore!) e il più recente Trumpeter, magnificamente dettagliato e inciso in negativo, ma troppo freddo!! Il Monogram è sempre il Monogram!! Certo, va reinciso e non è affare da poco, ma trasmette tutt’altra emozione rispetto al kit cinese!  In 72 ci sono i kit Italeri, Esci e Airfix. Per il mio modello la scelta è caduta sul kit Italeri, che fra la comunità dei modellisti è un mito quasi se non più dell’aereo vero! Aprendo la scatola che riporta un C-47 americano con tanto di Invasion Stripes, troviamo due stampate in verde oliva più una trasparente per un totale di un’ottantina di pezzi. Le incisioni sono in fine negativo e i trasparenti molto limpidi. A completare la confezione un foglio decals minimale per due esemplari in Olive Drab su Neutral Grey. Uno americano e uno inglese, entrambi veterani del D-Day. Io ho deciso un back date e farlo senza strisce, ma ne riparleremo a tempo debito!

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Montaggio:

Anche qui come del resto per tutti gli aerei del mondo, il montaggio inizia dal cockpit. Chissà mai un giorno proverò a montare un aereo al contrario per vedere di nascosto l’effetto che fa…
Ok scusatemi, i troppi bicchieri per dimenticare le mie pene d’amore si fanno sentire!
Dicevo il montaggio comincia dal cockpit, per il quale la casa italiana fornisce: un pianale con già stampate le panche dei paracadutisti, i seggiolini, le paratie di divisione, i volantini e il pannello strumenti. Il colore di base è l’Interior Green H-58 Gunze, mentre le cloche e il pannello sono in nero opaco. Essendo sprovvisto del mio fedele H-77 Gunze, ho ripiegato sull’XF-1  Tamiya. Non sono stato molto a impazzire sull’interno e il dettaglio, dato che poi nulla resterà visibile. Ricordiamoci di mettere i finestrini prima di chiudere le fusoliere, e soprattutto il portello di ingresso: io non ho fatto quest’ultima operazione e mi sono trovato fregato. Per fortuna che alcune foto mostrano il portellino in questione rimosso e così mi sono salvato in corner con una parata alla Buffon!!!
Resta visibile però la carenza di dettaglio, ma fa nulla: alla fine è comunque un anfratto buio e poco percepibile.
Una volta chiuse le fusoliere, il montaggio procede spedito e senza intoppi, con l’uso dello stucco necessario come al solito nei punti topici, ma nulla di tragico. Non dimentichiamo che è un kit che quasi trent’anni se non di più sul groppone.
Meravigliosi a mia opinione i motori, con la doppia stella: per valorizzarli al meglio, dapprima ho dato una mano di nero  opaco, e poi ho fatto una serie di drybrush usando il polished alluminium Humbrol della serie Metal Cote e il metallo bruciato della Model Master. L’interno delle cappottature motore va in Zinc Chromate Yellow per cui ho usato l’apposito colore della Lifecolor. La giunzione delle due parti che compongono le cappottature necessitano di un filo di stucco, ma nulla di drammatico. Una volta fissate le ali alla fusoliera (anche qui una stuccatina risolverà tutto) e le cappottature alle ali, il nostro modello è pronto per essere inviato al reparto verniciatura.
Prima ho montato e mascherato il parabrezza, punto questo che mi ha creato non pochi problemi: l’incastro è abbastanza sommario e inoltre il pezzettino trasparente mi si è rotto mentre rimuovevo il Maskol costringendomi a un delicato intervento di ricostruzione.

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Colorazione:

Come mio solito mi sono affidato agli acrilici Gunze: i Dakota inglesi verniciati nella classica livrea verde su grigio mantenevano i colori originali americani, motivo per cui ho usato il Neutral Grey H-53 e il verde oliva H-52. Come mio solito ho diluito i colori all’inverosimile, usando del comune alcool rosa e riempiendo i barattolini con 3 piombini da pesca. Ero scettico su questo metodo, ma da quando l’ho provato mi trovo benissimo! Come detto in fase di presentazione, tanto il soggetto americano quanto quello britannico offerti dalle decals Italeri sono ambientati ai tempi del D-Day, ma si sa che la pigrizia mia è atavica e quindi…niente strisce di invasione, non avevo voglia di stare lì a lavorare di mascheratura e con un colore “bastardo” come il bianco!
Ovviamente, vista la mia passione per tutto ciò che vola con le coccarde della RAF britannica, la mia scelta non poteva che ricadere su un Dakota in servizio per sua Maestà la regina!
Questa volta ho messo le decals prima di passare al lavaggio con olio, posa delle decals preceduta da post-shading (verde oliva schiarito con giallo e poi bianco, ulteriormente diluito con alcol) e dalla solita mano di future che lascia l’aereo bello lucido e con il gradevole profumo della pesca!! Occhio soltanto a non farvi venire la tentazione di mangiarlo…potrebbe essere indigesto!!!
Ok, detta la mia scemata quotidiana, torniamo al modello: terminata la posa delle decals e i lavaggi, un’altra mano di Future ha sigillato il tutto, prima della passata definitiva di trasparente opaco, l’ottimo Lifecolor.
Ora il nostro Dakota è pronto a entrare nella vetrina!!

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Conclusioni:

Un onesto e simpatico kit per un mitico protagonista della storia dell’aviazione mondiale, un soggetto che non deve mancare nella bacheca di qualsiasi appassionato e che da la possibilità di creare un’infinità di soggetti dai classici americani a quelli più originali. Per me è stato un montaggio divertente e un impatto morbido con la 1/72, scala a cui, mio malgrado, sono stato costretto  a scendere. In più ho potuto aggiungere un altro tassello alla mia collezione di aerei britannici!

Buon modellismo
Alessandro “Ale85”  Gennari

The Guardian of Our Skies – F-104 G dal kit Hasegawa in scala 1/72.

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Questa volta lo prometto, non sarò smielato e nostalgico. Non mi farò sopraffare dal mio infinito amore per lo Starfighter e non ne tesserò le lodi dicendo che è stato, e rimarrà per sempre, la più bella macchina volante che l’uomo abbia mai costruito. Limiterò la mia eterna passione per il mitico “Spillone”, com’era affettuosamente chiamato qui in Italia da tutti! Addetti ai lavori, piloti o semplici appassionati…

Ops… scusate, mi sono fatto prendere di nuovo la mano! Passiamo alle cronache modellistiche che è meglio, altrimenti mi scenderà la classica “lacrimuccia” malinconica!

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Il modello:

La scelta del kit non poteva che ricadere sul classico Hasegawa, la migliore riproduzione in scala 1/72 (e aggiungerei anche nell’1/48) ora sul mercato. Uno stampo di ottima fattura con pannellature in fine e preciso negativo, che soffre però di una particolare scomposizione causata dall’intercambiabilità della maggior parte dei pezzi con la versione biposto – TF-104.

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Il cockpit:

Prima di elencare tutte le operazioni eseguite sul cockpit, faccio una piccola premessa: quello fornito dal kit ha una qualità più che onesta per la ridotta scala dell’1/72. La palpebra del pannello strumenti è errata nelle forme e molto spartana, e la zona alle spalle del seggiolino un po’ scarna, ma con qualche intervento di autocostruzione semplice ed economico si riesce ad ottenere indubbiamente un buon risultato. Al contrario, il sedile è da cestinare senza indugi e da sostituire con una copia in resina (qualsiasi versione si voglia realizzare).

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Per chi, come me, è un malato della resina e del super dettaglio, esistono vari prodotti in commercio creati dalle ditte ceche Aires e CMK; in particolare, quest’ultima offre un vero e proprio Update Set (numero 7057) con all’interno molte parti per il dettaglio di varie zone del nostro piccolo Starfighter.  Nel mio caso mi sono limitato a prelevare unicamente l’abitacolo e i pozzetti dei carrelli, ma la CMK offre la possibilità di particolareggiare anche diversi vani avionica, il radome, il compartimento del motore e gli aerofreni.

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Il cockpit non crea particolari problemi, e s’inserisce nel suo alloggiamento con relativa facilità. L’unico vero accorgimento, sarà quello di smussare gli angoli inferiori della vasca per evitare che questi premano troppo sulla fusoliera, impedendone il corretto allineamento. Dopo aver asportato la palpebra originale mediante un trapanino elettrico, ho eseguito delle prove a secco della copia in resina tralasciandone però il montaggio (che avverrà quando le due semifusoliere saranno unite). Ad ogni modo, essa necessita di una rifilata lungo i bordi e di essere leggermente abbassata in altezza a evitare “interferenze” con la successiva installazione del windshield.

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Apprezzabile la scelta di dotare il nostro set con una lastrina fotoincisa, piena di particolari di notevole fattura. Tra di essi vi è anche il cruscotto, diviso però in ben quattro pezzi più un foglietto in acetato per la strumentazione; proprio per la cervellotica scomposizione, e per la poca precisione d’incastro all’interno del cockpit, ho preferito tralasciarlo e preferire l’originale già presente nel kit.

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Veniamo ora ai colori: per la vasca e il cruscotto ho scelto il 36375, leggermente schiarito con due gocce di bianco per rispettare l’effetto scala. Le consolle laterali sono in nero opaco, con qualche pulsantino in giallo, rosso e grigio chiaro; la palpebra, essendo fatta per la maggior parte di stoffa, è stata verniciata in Green H-330 ad eccezione dell’aletta parasole regolabile in Green H-64 Gunze  .  Tutta la zona è stata sottoposta a un lavaggio in Bruno Van Dyck a olio, e in seguito ad un accurato Dry Brush ancora in 36375 per donare maggior profondità al tutto.

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A questo punto è doveroso aprire una parentesi sul seggiolino eiettabile: quello da me scelto, è uno dei primi F-104G facenti parte del lotto iniziale di novantanove esemplari costruiti dalla Fiat Avio di Torino – Caselle. Il velivolo fu poi assegnato al 6° Stormo Caccia-Bombardieri di Brescia – Ghedi nel 1964. Fino a tutto il 1967, sui nostri Spilloni era ancora installato il seggiolino Lockheed C-2, ma dall’anno successivo la Luftwaffe e l’AMI intrapresero un programma di aggiornamento che prevedeva la sostituzione del vecchio sedile con un Martin Baker I/GQ7-A (i suffissi I e G stavano rispettivamente per Italy e Germany). L’IQ7 aveva prestazioni nettamente superiori con capacità di lancio anche a quota zero; Per la velocità invece, fu inattuabile ridurre i parametri imposti dal C-2, per cui l’eiezione rimase possibile solo nel range tra i 120 e i 500 KIAS (Knots Indicated Air Speed). Quello che ne derivò fu senza dubbio un notevole incremento della sicurezza dei piloti, ma un sicuro peggioramento del loro… comfort! Parlando con uno di essi, infatti, mi raccontò che il C-2 permetteva ampia libertà di movimento ed anche i voli più lunghi erano alla fine meno pesanti. Con l’avvento dell’IQ-7A lo spazio vitale era talmente ridotto da avere la cloche praticamente attaccata all’addome. Ad ogni modo i piloti accettarono di buon grado la posizione un po’ scomoda del nuovo seggiolino, avendo in cambio la quasi certezza di riportare la “pellaccia” a casa in una situazione di pericolo. Si affezionarono a tal punto al Martin Baker che arrivarono a chiamarlo… “San Martino”!

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Per avere conferma dell’effettiva presenza del C-2 sul mio ‘104, mi sono rifatto alla documentazione in mio possesso: fortunatamente il “6-12” è un esemplare abbastanza fotografato, e si trovano immagini pubblicate sia sul volume Starfighters Colours di Nicola Malizia, sia sul piccolo libricino Lockheed F/TF-104G Starfighter di Stefano Cosci, entrambi editi dall’IBN Editore.

Per recuperare il duplicato in scala del C-2 non ho dovuto fare molta strada; esso, infatti, è contenuto nel già citato set CMK in nostro possesso, ed è anche stampato con un’ottima qualità. E’ stato verniciato in 36375, ad eccezione delle cinture di sicurezza in Green Gunze H-330. I cuscini erano due: uno per la zona lombare (in Olive Drab FS 34088) e uno per la vera e propria seduta in Green Gunze H-330). Il poggiatesta è in Red FS 11136, particolare che da un tocco di colore in più a tutto l’abitacolo. Se volete avere una referenza chiara ed esplicativa, il Lock-On della Verlinden è davvero consigliato.

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Montaggio:

Il montaggio abbisogna solo di piccole accortezze, necessarie e propedeutiche per chi, come me, deciderà di riprodurre uno Starfighter in livrea Natural Metal. Le lavorazioni critiche riguardano soprattutto l’unione dei due tronconi che compongono la fusoliera, e il montaggio delle caratteristiche prese d’aria. Analizziamole separatamente:

  • Fusoliera: la totale assenza di perni di riscontro, certamente non facilita l’unione dei due pezzi. La cosa migliore è ripetere più volte le prove a secco, e prendere come punto di riferimento le pannellature presenti sul dorso. Per la stuccatura della giunzione, ho preferito non fare ricorso al classico stucco bensì, utilizzare come riempimento la colla ciano – acrilica. Essa, infatti, una volta indurita e lisciata, non è porosa e assume la medesima consistenza della plastica. Se poi viene rifinita e lucidata con una passata di pasta abrasiva, la fusoliera risulterà davvero “saldata”.
  • Air Intake: Il sovradimensionamento dei condotti fa risultare le prese d’aria fuori sagoma. A tale scopo basterà limare il necessario la parte che andrà a contatto con la fusoliera per limitarne l’ingombro. Anche per questa stuccatura ho preferito il ciano-acrilico, limitando però le fessure che inevitabilmente si vengono a creare, con listellini di plasticard sagomato. Durante la carteggiatura, ho periodicamente “ripassato” le pannellature con un incisore allo scopo di ridare la giusta profondità alle stesse ed evitare di perdere il dettaglio di superficie.

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Sul mio esemplare la volata del cannone era chiusa, per questo ho utilizzato il pezzo già fornito dall’Hasegawa. Altra operazione da eseguire, è la completa asportazione delle due bugne delle antenne RWR stampate su entrambe i lati del terminale di coda; queste apparecchiature furono introdotte solo con successivi aggiornamenti della cellula. Stesso discorso vale per le due piccole antenne a lama presenti davanti al pozzetto carrello anteriore, anch’esse non installare sul nostro “cacciatore di stelle”.

Per il resto, il montaggio scorre veloce e senza particolari criticità; le ali s’innestano precisamente all’interno degli scassi e limitano molto l’uso del mastice. Attenzione però a montarle con il corretto diedro!

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Prima di dichiarare conclusa la fase del montaggio, ho dettagliato un minimo la zona sottostante la calotta trasparente posteriore. Sempre in accordo con la documentazione, in quest’area sono presenti due longheroni che sostengono il coperchio del vano avionica e da me riprodotti con due striscioline sottili di rod. Questa porzione di abitacolo è stata dipinta in nero opaco e lumeggiata con un dry brush in Grigio scuro XF-54 Tamiya. Prima di essere incollati, i vetrini hanno fatto il solito “tuffo” nella cera acrilica Future che ne ha esaltato la brillantezza e la trasparenza. Questi sono stati poi raccordati alla fusoliera mediante il normalissimo stucco Tamiya.

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Verniciatura e weathering:

Sicuramente, la verniciatura è la parte più impegnativa di tutto il modello. La particolare finitura metallica è da sempre lo “spauracchio” di ogni modellista… soprattutto per me! Per fortuna, oggi si trovano in commercio nuovi prodotti in grado di far ottenere buoni risultati e perdonare gli errori anche di chi ha poca pratica con i Metallizer. Primi fra tutti senza alcun dubbio, gli ALCAD II Lacquer, dei particolari smalti “metallici” la cui applicazione è demandata esclusivamente all’aerografo.

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Gli ALCLAD richiedono  un breve discorso introduttivo per la loro corretta applicazione:

  • Come tutte le vernici a effetto metallico, anche loro mettono in risalto il più piccolo difetto di montaggio, stuccatura o qualsiasi tipo di sbavatura; è quindi molto importante eseguire un lavoro quanto più pulito possibile. Ricordate inoltre che non sarà poi così semplice sistemare le imperfezioni dopo la stesa del primer… questo per la successiva motivazione che andrò a spiegarvi.
  • Gli ALCLAD devono essere aerografati su una superficie quanto più liscia possibile. Anche un granello di polvere è terribilmente messo in risalto! Quindi, e mi ricongiungo al discorso delle righe sopra, creare delle irregolarità sulla vernice di fondo può significare rovinare tutto il lavoro svolto finora.
  • Come base per gli ALCLAD va bene qualsiasi vernice a smalto, purché lucida. Essendo dei pigmenti “foto-sensibili”, secondo il colore utilizzato come fondo varia anche la tonalità del metallizer. Volendo ottenere delle gradazioni più scure si potrà usare un nero, viceversa un grigio chiaro. Questa peculiarità è spesso sfruttata dai modellisti per creare successivi effetti di luce e per dare una prima differenziazione dei vari pannelli. Alcuni utilizzano come primer la Cera Future (sfruttandone le capacità autolivellanti), altri non usano affatto il fondo lucidando semplicemente la plastica del modello e stendendo la vernice direttamente sopra. Per gli ultimi due metodi suggeriti non posso giudicare, non avendo provato di persona il procedimento.

Detto questo, non spaventatevi! È molto più facile a farsi che a dirsi…

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Personalmente, ho agito come segue.

  • Ho prima verniciato tutte le zone non metalliche, quindi le ali in Bianco Opaco Tamiya (ho scelto l’opaco perché la finitura non viene intaccata dalla colla dello scotch utilizzato per la mascheratura) e tutti i vari pannelli dielettrici delle antenne UHF (dietro al cockpit, sotto – davanti al pozzetto carrello anteriore e su parte della pinna ventrale) in Sky/Duck Egg Green Gunze H-74. Per il radome ho dovuto compiere molte ricerche, tentando di azzeccare la tinta esatta. In realtà essa non era una vera e propria vernice, bensì un particolare protettivo dielettrico per il cono radar. Alla fine ho scelto il 36375 per riprodurla, il colore che più gli somigliasse. Curiosamente, anche un piccolo pannello sulla deriva è ricoperto dallo stesso materiale, esso però non copre nessuna apparecchiatura elettronica essendo solamente il coperchio dell’attuatore idraulico del timone di profondità. Misteri del modellismo che mai nessuno risolverà!
  • Come primer per gli ALCLAD ho utilizzato il nero lucido Humbrol numero 21, diluito al 40% con lo specifico thinner. È incredibile l’effetto “specchio” che riesce a dare il pigmento, creando una perfetta superficie liscia. Le eventuali “pecche” formatesi, le ho risolte mediante carteggiatura con carta abrasiva grana 2000 e successiva nuova lucidatura con la pasta abrasiva Tamiya Rubbing Compound gradazione “Finish”. Prima di procedere oltre, ho atteso almeno quarantotto ore la completa asciugatura dello strato di base; mi raccomando, la pazienza è fondamentale!
  • A questo punto è stata la volta del primo ALCLAD, quello che formerà il tono di fondo del velivolo: il White Alluminium. L’ho steso con una pressione nel compressore mai superiore all’1,2 bar, cercando di essere il più lineare possibile senza mai soffermarmi troppo sullo stesso punto. Se concentrata, infatti, la vernice può dare atto a fenomeni di “spaccature” e crepe impossibili da recuperare. Dopo circa quindici minuti il modello è già maneggiabile, ma è sempre meglio attendere un’altra giornata prima di lavorarci sopra.
  • Per la differenziazione dei vari pannelli prodotti con leghe e materiali differenti ho utilizzato altre tinte (sia ALCLAD sia TESTORS), ma per rendermi bene conto dell’effetto cromatico ho ricreato delle Chips fatte in casa su un vecchio modello cavia. In seguito, ho scelto i seguenti pigmenti: Darkened Aluminium e Magnesium ALCLAD, e il Magnesium Testors giudicando quest’ultimo più adatto a ricoprire le zone scure che vedete sul terminale di coda. Gli ALCLAD resistono benissimo alle varie mascherature ed anche alle manipolazioni più pesanti, mentre per i Testors vale l’esatto opposto. Per risolvere il problema, basta mescolare un po’ dell’apposito Sealer all’interno della boccetta prima di aerografare il colore sul modello.
  • Per ultimo ho lasciato la realizzazione dell’ampio pannello anti riflesso in nero opaco, che sui primi esemplari con livrea Strike Nucleare debordava fino a sotto il canopy.

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Con la verniciatura ultimata, il modello è pronto per ricevere il weathering se così può essere definito. In realtà, sia per la finitura lucida, sia per le ampie zone lasciate senza vernice, i nostri ‘104 erano pressoché puliti; mi sono quindi limitato a enfatizzare le pannellature con un mix di 80% nero e 20% Bruno Van Dyck per le zone metalliche, e con un grigio scuro per le ali in bianco. Prima di fare tutto ciò, è fondamentale ricoprire il modello con un trasparente che sigilli il NMF (Natural Metal Finish)!

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Essendo a tutti gli effetti degli smalti, sia i Testors  sia gli ALCLAD reagiscono al contatto del diluente con cui si allungano i colori a olio (sia esso ragia, Humbrol, trementina…). A tale scopo, io ho utilizzato ancora una volta la cera Future passata in tre mani su tutto il piccolo Spillone a evitare che il washing potesse penetrare sotto lo strato protettivo. La Future, inoltre, non spegne la naturale brillantezza dei metallizer ma ne accentua l’effetto.

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Decalcomanie:

Per le decalcomanie la scelta è quasi obbligata, ovvero il foglio numero 72-572 della torinese Tauromodel. Il set è quasi completamente dedicato alle più recenti versioni ASA e ASA-M del ‘104 (con livrea grigia Lo-Vis), ma sono presenti anche le insegne per realizzare proprio l’esemplare 6-12 (M.M. 6520) proposto in questa pagina. Il prodotto della ditta di Carmagnola è uno degli ultimi aggiunti in catalogo, quindi gode di un nuovo metodo di stampa e di una qualità nettamente superiore rispetto ai precedenti. Sono correttamente forniti anche gli stencil riguardanti le informazioni di salvataggio e uscita d’emergenza dal cockpit, nel primo stile con fondo giallo e non con il fondo arancione caratteristico del periodo successivo.

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Le insegne di manutenzione, al contrario, sono state prelevate dal foglio numero 72-533 della medesima ditta. L’articolo in questione però è di vecchia data, e lo si capisce anche dal fatto che il film è molto opaco e una volta posato sul fondo in alluminio risalta con un bruttissimo Silvering. A nulla servono i vari liquidi ammorbidenti, l’unica alternativa è di scontornare il più possibile o optare per le decal originali Hasegawa. Per fortuna, questi stencil sono davvero pochi… quindi ci si può anche “tappare il naso” e posizionare le spesse decalcomanie Hasegawa (anche loro ritagliate per ridurre all’osso il film trasparente), o al limite, prelevare un giusto mix da entrambe i fogli. Una nuova mano di Future ha regalato l’aspetto finale al modello, proteggendo nel frattempo anche le decal stesse. Prima di montare gli ultimi particolari, ho mascherato molto velocemente le zone attorno al radome, alle antenne UHF e alle prese d’aria poiché su di esse ho spruzzato una passata di trasparente opaco Gunze.

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Montaggio finale e conclusioni:

Il montaggio finale è molto sbrigativo, grazie anche ai pochi pezzi da aggiungere. Dopo aver installato la gamba di forza del carrello anteriore, gli pneumatici, il gancio d’arresto, i serbatoi (unico carico esterno selezionato per non appesantire troppo la bellissima linea filante dell’F-104) e i portelloni, ho incollato in posizione lo scarico del motore tratto dal set in resina Aires numero 7114. Esso è stato verniciato interamente in Burned Metal Testors, e lumeggiato con un Dry Brush in alluminio per mettere in risalto tutti i meccanismi di apertura dei flabelli. Non ho perso molto tempo sull’exhaust poiché, anche dal vero, esso rimaneva sempre molto scuro a causa dei caratteristici (e pesanti) fumi che si lasciava alle spalle il J-79 GE-3.  Posteriormente al pozzetto anteriore è presente l’innesco della cartuccia per il rilascio rapido del paracadute del seggiolino, anche questa prelevata dal foglietto di fotoincisioni CMK. Ora non rimane che liberare i trasparenti dalle maschere protettive, e aggiungere all’interno del canopy i due specchietti retrovisori e la barra anti torsione montata alle spalle del pilota (scartata quella Hasegawa perché davvero fuori scala, l’ho auto costruita con un filo di rame elettrico).

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Che dire di più? Il mitico Starfighter è stato un velivolo eccezionale, colmo di contraddizioni e poco incline a perdonare gli errori di chi voleva domare con troppa spavalderia la sua incredibile potenza. Eppure, con stati d’animo contrastanti, nessuno è riuscito a rimanergli indifferente! Non ci sono state vie di mezzo, o amore o odio… ma, dico io, con una livrea così bella che mette in risalto le sue fantastiche forme, come si può disprezzare una macchina simile? Buon modellismo a tutti. Valerio Starfighter84 D’Amadio.

Aircraft Walkaround (clicca sull’anteprima per ingrandire):

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“Little but Bad…” – Douglas A-4 F “Ayit” dal kit Hasegawa in scala 1/48.

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Non c’è dubbio che l’A-4 sia uno dei miei aerei preferiti, e lo testimonia anche il fatto che ne ho costruiti già due nel giro di pochi mesi. Ma un altro mio grande interesse sono i velivoli impiegati dall’Israeli Air Force, a mio avviso una delle aeronautiche più interessanti esistenti al mondo. E allora, perché non unire questi due ingredienti per creare una “ricetta” molto particolare? Detto fatto, eccomi qui a presentarvi la mia ultima fatica: un A-4 F “Ayit” con la stella di David!

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Il modello:

Israele è stato il più grande utilizzatore mondiale del piccolo velivolo della Douglas. Ha avuto in linea la maggior parte delle versioni prodotte, di cui la più numerosa fu senza dubbio la “F”, e durante gli anni i velivoli appartenenti a questa variante furono continuamente aggiornati ed implementati con vari sistemi d’arma ed avionici direttamente installati in loco. Proprio per questo motivo, riprodurre in scala un “Ayit” (“Falco” in aramaico) necessita di una fase preliminare di studio molto approfondita. Purtroppo, in rete è molto difficile reperire informazioni, e l’unica fonte davvero attendibile è l’indispensabile libro edito dall’Isradecal Pubblications dal titolo “Douglas A-4 Skyhawk in IAF Service”. Davvero fortunati sono i possessori di questo volume, poiché esso è fuori catalogo da almeno un paio di anni e la sua reperibilità si è praticamente annullata. Ad ogni modo non mi sono fatto scoraggiare, e girovagando per la rete sono riuscito a reperire una buona quantità di immagini riguardanti un esemplare conservato presso il museo della IAF di Hatzerim (l’indirizzo Internet è il seguente http://www.primeportal.net/hangar/isaac_gershman/a-4f/): queste sono state la base da cui è potuto nascere e svilupparsi tutto il mio progetto.

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La scatola di partenza è la numero 09486 prodotta dall’Hasegawa, ma un qualsiasi altro A-4 E/F della ditta giapponese val bene al nostro scopo. La notizia più confortante è che la maggior parte dei pezzi specifici per lo Skyhawk IAF sono già contenuti nel kit, alcuni però catalogati come “spare parts” poiché non equipaggiavano gli esemplari dei Marines americani suggeriti dalle istruzioni del kit. Gli unici aftermarket che ho acquistato sono le decalcomanie prodotte dall’Isradecal, l’ottima modifica della Quickboost per installare il caratteristico scarico lungo adottato dalla maggior parte degli A-4 d’Israele, i due cannoncini DEFA da 30 mm. sempre della Quickboost, e per finire il bellissimo cockpit set della Aires.

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Il Cockpit Aires 4109:

Proprio dal cockpit hanno avuto inizio le mie fatiche. Esso necessita soltanto di piccole modifiche ed aggiustamenti per essere correttamente inserito nel suo alloggiamento, e per facilitare il compito a tutti i lettori ho redatto un piccolo quick tutorial che troverete qui di seguito:

1. Per prima cosa ho eliminato le paratie laterali dalla vasca del cockpit (che tra l’altro è stampata in un sol pezzo con il pozzetto del carrello anteriore), ed assottigliato il pavimento per evitare che il cockpit hub in resina risultasse troppo alto rispetto alla sua sede. Successivamente, ho incollato il pozzetto in posizione in modo da vere un punto di riferimento su cui basarsi per effettuare le prove a secco di tutti gli altri componenti in resina (FOTO 1).

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2. L’operazione successiva è stata quella di asportare tutto il dettaglio originale interno dell’Hasegawa dalle due semifusoliere, ed assottigliarle fino ad ottenere uno spessore molto ridotto. Durante le operazioni di carteggiatura, ho spesso posto in controluce il pezzo interessato per evitare di “bucare” la plastica.

3. A questo punto, ho separato dal master le paratie laterali fornite dall’Aires e le ho carteggiate per diminuirne ulteriormente l’ingombro. Poi, mediante colla ciano acrilica, le ho incollate al loro posto aiutandomi nel corretto posizionamento con la documentazione in mio possesso. In generale i due componenti devono sporgere dal bordo della fusoliera per creare un piccolo “dente”, come visualizzato anche nella foto qui sotto:

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4. Dopo numerose prove a secco, ho constatato che le due paretine laterali risultano sovradimensionate in altezza: per questo motivo, ho solamente appoggiato la vasca in resina sopra una di esse (FOTO 2) tracciando poi con una matita una linea di orientamento sotto alla quale tutto il materiale in eccesso va eliminato (FOTO 3). Questa operazione è stata eseguita mediante l’ausilio di una fresetta montata su di un Dremel (FOTO 4). Nella FOTO 5 potete vedere il pezzo finito e riportato al corretto dimensionamento. Ovviamente la stessa procedura è stata adottata anche sul lato opposto.

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A-4 "Ayit" FOTO 4 A-4 "Ayit" FOTO 5

5. Nella FOTO 6 si può vedere il metodo d’allineamento della vasca: io ho usato come riferimento quella pannellatura evidenziata con la linea rossa. Se la paratia posteriore è collocata nella giusta corrispondenza, il posizionamento è corretto e non avrete problemi nell’inserire il pezzo di resina che rappresenta il meccanismo di apertura del canopy (quello che va incollato alle spalle del seggiolino).

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6. In questa fase ho riscontrato un piccolo inconveniente: il cruscotto è troppo alto, toccando con la sua base contro le consolle laterali e facendo rimanere la relativa palpebra troppo scostata in altezza. Quindi, dopo aver ripetuto numerosi check, si creano sulle consolle dei piccoli “intacchi” con una lima: questi hanno lo scopo di creare un po’ di spazio, ed “annegare” parzialmente il pannello strumenti in modo che questo assuma la corretta posizione. Gli inevitabili gap che si verranno a creare con la fusoliera potranno essere eliminati con un po’ di stucco. Con le foto è tutto molto più chiaro:

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Terminate tutte le lavorazioni, il risultato dovrebbe essere questo:

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Come avrete notato, ho preferito sostituire il seggiolino fornito dalla Aires con una copia della True Details (codice 48406) molto più bella e con le cinture di sicurezza già stampate. Il Pilot’s Office è stato dipinto in XF-54 Tamiya (ad eccezione delle consolle verniciate in Flat Black), un grigio un po’ più scuro ma che comunque si avvicina molto a quello originale. Una volta asciutto, Ho eseguito il washing con il classico mix di 50% Bruno Van Dyck e Nero che, penetrando nei vari dettagli, ha dato molta profondità – soprattutto al bellissimo effetto della stoffa con cui sono ricoperte le pareti della cabina. L’accorgimento successivo per dare quel tocco di tridimensionalità estrema, è stato un uso intensivo del Dry Brush (eseguito con un FS 36375) ed esteso a tutti gli elementi… vi assicuro che a operazione conclusa mi è venuta voglia di spostare qualche levetta! L’aggiunta di un paio di bottoncini in giallo e in rosso (pochi a dir il vero, non esagerate) ha regalato quel tocco di colore in più a un’area altrimenti davvero scura. Per il cruscotto ho incollato le fotoincisioni fornite nel set, ma non ho utilizzato il foglietto di acetato su cui è riprodotta la strumentazione: al suo posto ho preferito fustellare, mediante un Punch & Die, ogni singolo indicatore prelevandolo direttamente dal foglio decal originale Hasegawa, per poi posizionarlo all’interno di ogni singolo quadrante aiutandomi anche con il liquido Micro Sol della Microscale per favorirne l’adesione. Il bellissimo Escapac True Detail ha la struttura nel suddetto grigio XF-54, mentre il cuscino e le cinture sono in Dark Green Gunze H-64. Anche qui la tecnica del pennello asciutto, eseguita prima in grigio chiaro e poi con un verde più schiarito, mi ha permesso di esaltarne i dettagli.

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Il montaggio:

Il montaggio è uno dei veri pregi di questo kit: semplice e lineare (aiutato anche dalle forme essenziali dello Skyhawk), scorre molto veloce e senza particolari difficoltà. Prima di chiudere le due semifusoliere, ricordatevi di inserire all’interno del muso una cospicua quantità di piombini da pesca per evitare che il modello ultimato si sieda sulla coda (rischio accentuato anche dal caratteristico assetto dell’aereo), e di verniciare i condotti delle prese d’aria e la ventola del turbo fan in bianco opaco.

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Come anticipato qualche riga sopra, ho acquistato la conversione per l’allungamento dello scarico della Quickboost, essa però necessita di un piccolo discorso introduttivo: questa modifica è stata introdotta dopo la fine del conflitto dello Yom Kippur, dove gli Ayit soffrirono di numerose perdite dovute all’aggancio di missili a guida IR R-700 Sam egiziani e siriani. Il “long tailpipe” fu studiato per creare una piccola camera dove i gas di scarico del reattore potessero raffreddarsi, e conseguentemente ridurre la tracciatura infrarossa del velivolo. Il nuovo scarico fu montato sulla maggior parte della flotta, ed in particolare sulle versioni F ed N e i biposto TA-4J ed F. Le macchine più anziane, quali le E ed H, furono quelle meno interessate ed è, infatti, molto facile trovare delle immagini di esemplari sprovvisti di tale trasformazione.

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Tornando al discorso prettamente modellistico, l’aftermarket della Quickboost (numero 48247 ) è molto ben fatto, correttamente dimensionato e relativamente facile da montare. Basta eliminare le classiche palpebre in plastica stampate sul terminale di coda del kit, ed incollare con colla ciano acrilica il pezzo in resina. L’unico appunto riguarda la lunghezza del raccordo: è leggermente troppo lungo e sporge troppo rispetto al bordo di uscita del timone. Dalle foto del velivolo reale, infatti, si nota come esso termini in corrispondenza del bordo di uscita stesso, ma poco male… qualche colpo di lima ben assestato risolverà ogni problema.

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Per dovere di cronaca, vi dico che anche un’altra ditta semi artigianale produce lo scarico “migliorato”, ed è l’Eagle Design. Al contrario però, quest’ultimo ha forme molto approssimative ed è carente come precisione nel diametro della circonferenza. A conti fatti, il Quickboost è davvero la panacea di tutti i mali, per il suo acquisto i soldi spesi (per altro un costo ragionevole di circa 8 Euro) valgono senza dubbio il risultato ottenuto.

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La caratteristica gobba che conteneva le apparecchiature avioniche supplementari degli A-4 F, dona al velivolo una sembianza molto “cattiva” che a me piace molto! Montarla non crea particolari difficoltà, e l’uso dello stucco è davvero ridotto al minimo. Discorso simile può essere fatto anche per le prese d’aria, che si inseriscono con molta precisione rimanendo pressoché in sagoma col resto della fusoliera. Al contrario il pezzo A-6 mi ha costretto ad un tedioso lavoro di carteggiatura e riempimento poiché sottodimensionato. Gli aerofreni, che l’Hasegawa fornisce separati per poter essere lasciati aperti, in realtà a terra sono spesso chiusi; così ho deciso di raffigurarli in questa posizione chiudendo e stuccando il tutto.

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La grande superficie alare s’incastra molto bene nel suo scasso lasciando solo piccole fessure. Personalmente, per non rovinare le numerose pannellature, le ho riempite utilizzando il Milliput con il solito sistema di creare un salsicciotto da spingere bene dentro il gap e portare via l’eccesso con una spugnetta bagnata di acqua. Terminato il grosso del montaggio ho iniziato ad installare tutti i pezzi specifici per realizzare un A-4 IAF, che come già detto in precedenza, sono tutti già presenti nella scatola. In particolare ho prelevato i seguenti:
• Stampata D, pezzo n°10 – stampata E, pezzo n°4: è l’alloggiamento per il paracadute freno con relativo tappo, da montare sotto la fusoliera in prossimità dello scarico.
• Stampata D, pezzi n°6 e 7: rappresentano le carenature del brodo d’attacco delle ali nella zona dei cannoni. In realtà gli A-4 israeliani non montavano i classici cannoncini Colt Mk.12 da 20 mm, bensì i più grandi DEFA da 30 mm contenuti in due pod aerodinamici posti sotto all’estradosso alare. Quest’ultimi, come già accennato all’inizio dell’articolo, provengono dal set Quickboost numero 48178.
• Stampata D, pezzo n°19: la carenatura per l’antenna ALR-45 di prua.
• Stampata A, pezzi n°5: le griglie per il dispenser di Chaff& Flare regolarmente installato su tutti gli Ayit.
• Stampata D, pezzi n°17 e 18: le bugne del sistema ECM Alta/Media frequenza ALQ-126.
• Stampata F, pezzo n°22: sotto al timone, in prossimità della luce di navigazione di coda, è installato il ricevitore del sistema ECM ALQ-100. Da notare però, che gli Skyhawk IAF non presentavano il caratteristico terminale di forma appuntita (da asportare con un taglierino affilato).
• Stampata E, pezzo n°13: la carenatura dell’antenna TACAN ANR-84.
Oltre a quelli qui sopra elencati, ho utilizzato anche altri particolari di cui parlerò a verniciatura ultimata del modello.

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Prima di incollare e raccordare il parabrezza (immerso assieme al canopy nella solita cera per pavimenti Future per donargli maggiore brillantezza), ho dipinto la palpebra sottostante in nero opaco e lumeggiato i particolari con il Tyre Black Gunze H-77, ed aggiunto l’HUD Head Up Display.) L’interno delle luci di posizione sono state verniciate in rosso (a sinistra) e blu (a destra) e, in seguito, incollate con ciano acrilico, rifinite e lucidate con pasta abrasiva. Con lo stesso criterio ho posizionato il piccolo indicatore di approccio integrato all’interno del bordo di attacco dell’ala sinistra.

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Conoscendo la mia solita pigrizia per la cura degli ultimi dettagli in prossimità della fine dei lavori, ho preferito preparare tutti i vari portelloni, pozzetti, gambe di forza e pneumatici dei carrelli con un po’ di anticipo: da premettere che ciò che ho elencato sopra va dipinto completamente in bianco opaco (ad eccezione delle gomme in Tyre Black H-77 cui ho evidenziato il piano di rotolamento del battistrada con una sbruffata di Grey 36375), l’insieme ha subito il solito lavaggio in Bruno Van Dyck molto diluito e fatto penetrare negli interstizi per esaltare la profondità. Ricordo poi che il ruotino anteriore era dotato del sistema di steering per la sterzata del pneumatico (pezzo E-25), quindi l’aggiunta di qualche cavo idraulico ed elettrico, seguendo come riferimento la documentazione, lo completerà a dovere.

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Verniciatura:

A mio modo di vedere, gli aerei impiegati dalla IAF hanno da sempre vestito una delle mimetiche più belle al mondo. Sarà anche che spezzare la monotonia delle colorazioni overall grey è sempre più difficile… bè, la livrea di questo modello senza dubbio può regalare un tocco di originalità alla vetrina di ogni appassionato.

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Sui propri Skyhawk la Israeli Air Force ha utilizzato principalmente due schemi: l’Original Vintage Scheme in vigore dal 1968 al 1999 (più articolato e con andamento irregolare), ed il New Vintage Scheme (aggiornato in stile “wrap around”) adottato dal 1999 in poi. L’esemplare da me scelto per la riproduzione in scala, adottava il primo schema essendo un velivolo appartenente al 141° Battering Ram Squadron che operò negli anni che andavano dal 1978 al 1984.

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Per l’attuazione del camouflage ho agito come segue: per prima cosa ho steso il Blue FS 35622 che ricopre integralmente le superfici inferiori del modello. In seguito è stata la volta delle superfici superiori, passando nell’ordine il Sand FS33531, il Brown FS 30219, e per finire il Light Green FS 34227. L’andamento delle macchie e delle linee di divisione è stato creato mediante l’uso dell’insostituibile UHU Pata Fix.

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Il procedimento è molto semplice: basta prendere una porzione di prodotto (che è autoadesivo, non unge e non lascia alcun residuo), modellarlo in dei lunghi salsicciotti, farli aderire alla superficie ed aerografare il colore con la mano più perpendicolare possibile alla superficie per ottenere una sfumatura definita e perfettamente in scala. La parte interna dei Flaps e degli Slats è in Rosso FS 11136, mentre il timone di profondità (segno distintivo dei velivoli del Battering Ram Squadron) è in Giallo FS 33538; Per favorire l’adesione di questi due colori primari, ho preferito stendere sotto a tutte le zone interessate una leggera mano di Bianco Opaco. In Nero Opaco, invece, andranno verniciati il terminale del musetto e i due rettangoli parafiamma posti in corrispondenza dei due cannoncini DEFA.

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La porzione finale del long tail pipe non veniva verniciata, ma lasciata in Natural Metal da me riprodotto con l’Humbrol 11 a smalto. Prima di dichiarare conclusa questa fase, si deve affrontare un’operazione molto delicata: lo stencil rosso per la zona di pericolo intorno alle prese d’aria è fornito sotto forma di decal, ma il rosso da cui è composta è veramente troppo scuro ed inoltre non è per nulla simile al Red con cui dovrebbero essere verniciati i bordi degli intakes. Cosa fare? Realizzare una miscela ad hoc più simile possibile alla decalcomania, o creare lo stencil per mascheratura ritagliando poi la piccola scritta “Danger” (in aramaico) per collocarla a lavoro concluso? Mio malgrado, ho scelto la seconda opzione che mi ha costretto a creare numerose mascherine e ad applicare pericolosamente il colore a verniciatura praticamente ultimata del modello. Con un pizzico di fortuna, e tanta cura nell’incellophanare con la carta Domopac tutto l’aereo per proteggerlo, sono riuscito nell’impresa… anche se vi assicuro che un risultato preciso e speculare è molto difficile da ottenere.

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Durante tutte gli interventi di verniciatura, sarà molto importante lavorare con pigmenti molto diluiti, sia per evitare l’anti estetico effetto “buccia d’arancia”, sia per non “intasare” le finissime pannellature del kit Hasegawa con il conseguente rischio che queste non trattengano i lavaggi del colore ad olio.

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Weathering e Decalcomanie:

Come mia consuetudine, prima di procedere con i successivi passaggi ho steso su tutto il modello un paio di mani di trasparente lucido Gunze; questo accorgimento ha lo scopo di preparare il fondo sia alle varie insegne, sia agli indispensabili lavaggi ad olio per l’enfatizzazione delle pannellature. Dati i toni terrosi che compongono la mimetica, ho preferito eseguirli con un mix di 80% Bruno Van Dyck e 20% in nero e lasciando la consistenza del composto molto densa in modo da avere una sicura penetrazione ed una buona definizione delle sottilissime incisioni del modello. Tre ulteriori passate di trasparente hanno sigillato i vari washing, e creato una superficie lucida e liscia per scongiurare il fastidioso effetto silvering delle decal. Quest’ultime, come già ricordato, provengono dall’ottimo foglio della Isradecal con codice di riferimento IAF-60: un prodotto davvero eccellente, di ottima qualità e fedeltà di riproduzione. Tutte le decal sono perfettamente stampate, in registro, dal film sottile e ridotto davvero al minimo. Non dimentichiamoci che il titolare della ditta di Tafar-Kevor è il Sig. re Ra’anan Weiss, uno dei più grandi esperti e fotoreporter mondiali della Israeli Air Force… come pretendere di più?

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Per il corretto posizionamento delle decalcomanie ho utilizzato gli indispensabili liquidi della Microscale, applicando per primo il Micro Set (confezione Blu), ed in seguito il Micro Sol (confezione rossa); il mio consiglio è di avere pazienza e di aspettare che il Sol faccia correttamente il suo dovere: basterà aspettare circa 25-30 minuti e vedrete che la decal si ammorbidirà a dovere “infilandosi” da sola nelle varie pannellature. Con un lavaggio ad olio selettivo sulle insegne trattate, il risultato è assicurato e l’effetto “painted on” donerà al modello un aspetto veramente realistico.

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Nel foglio istruzioni Isra c’è un piccolo errore che riguarda i codici individuali da usare sul nostro Skyhawk: quelli suggeriti sono del tipo “B”, ma in realtà il carattere corretto è il tipo “G” con linee intere e non spezzettate. Allo scopo di livellare tutte le decalcomanie ed uniformarle al resto della verniciatura, ho ripassato l’ennesimo strato di lucido e lasciato asciugare il tutto per un paio di giorni.

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A questo punto è stata la volta dell’invecchiamento vero e proprio, anche se chiamarlo così potrebbe risultare anche eccessivo. Infatti, gli A-4 IAF (come tutti i velivoli con la stella di David) sono sempre molto ben curati ed è difficile trovare delle livree usurate o particolarmente rovinate; ad ogni modo, anche per donare più volume al modello, ho eseguito un leggero post shading su tutti i colori della mimetica, utilizzando a tale scopo le tinte di base schiarite con varie percentuali (a volte anche del 60%) di bianco opaco. In taluni casi, li ho anche “incrociati” desaturando il centro dei pannelli in Dark Earth direttamente con il Light Green, e quelli in Light Green con il Sand. E’ stato un esperimento inventato sul momento che, a dir il vero, ha dato anche dei buoni frutti contribuendo a creare un’usura molto bilanciata e gradevole alla vista. Per il ventre del mio Ayit ho proceduto in maniera analoga ma aggiungendo, nei punti dove lo sporco si accumula con più facilità, dei leggeri “spot” con del Grey FS36320 diluito in proporzioni del 90%. Anche le decalcomanie sono state soggette al procedimento di invecchiamento, passandovi sopra una leggera mano di sabbia con una bassissima pressione dell’aerografo.

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Armamento ed ultimi particolari:

La scelta dell’armamento non è stata molto agevole, complice anche la totale mancanza di immagini di esemplari armati ed operativi in Internet. Non volendo però lasciare il mio “Falco” troppo sguarnito, ho deciso di mutuare una configurazione di carico utilizzata dai colleghi statunitensi in Vietnam. Questa si compone dei classici serbatoi subalari, due dummy bomb Mk.82 montati sotto ai travetti esterni, ed un MER (Multiple Ejector Rack) agganciato al pilone ventrale e carico di altre sei Mk.82. L’armamento è stato prelevato interamente dall’Aircraft Weapons Set A Hasegawa, e completato con vari accorgimenti; in particolare, sugli ordigni ho ricreato la caratteristica texture rugosa del rivestimento ignifugo, che “modellisticamente” parlando fa davvero un bellissimo effetto visivo. A tale scopo ho usato del comune stucco Molak (che ha una consistenza più liquida) allungato ulteriormente con dell’acetone per smalti da unghie; Successivamente, mediante un pennellino a setole piatte e dure, ho prelevato delle piccole quantità di mastice che ho poi “picchiettato” sulla superficie liscia. Il tutto è stato verniciato in Dark Green Gunze H-330 e lumeggiato con un approfondito dry brush in Grey XF-54 Tamiya per mettere in risalto il lavoro di dettaglio svolto. Le striscioline gialle che indicano il tipo di esplosivo contenuto nella bomba, è stato direttamente verniciato creando delle mascherine in nastro Tamiya sottile: non preoccupatevi se non verranno perfettamente dritte, perché anche nella realtà queste sono dipinte in modo grossolano e a pennello dagli stessi specialisti.

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Finalmente si giunge al montaggio degli ultimi dettagli, ed in particolare delle vistose ed abbondanti antenne installate sul velivolo: le due a lama del sistema di comunicazione UHF poste sulla gobba e davanti al cockpit si trovano nella stampata E pezzo numero 11 (in realtà un’ulteriore andrebbe “cannibalizzata” da un altro Kit Hasegawa), la più piccola del TACAN davanti al pozzetto del carrello anteriore è ubicata nella stampata F pezzo 5, mentre la più grande di forma triangolare nella stampata E pezzo 1. Inoltre, proprio di fronte al parabrezza è presente un piccolo tubo di venturi (stampata E pezzo32), accoppiato con un Pitot montato più avanti verso il muso (stampata F pezzo 24). Nella parte posteriore del velivolo, proprio accanto al gancio di arresto esiste un piccolo sfiato per la pressione del sistema idraulico (stampata e pezzo 24). A questo punto non mi rimane montare i pezzi rimanenti quali carrelli, portelloni e piani di coda (lasciati in ultima istanza sfruttando il pratico sistema ad incastro studiato dall’Hasegawa), dare al modello la giusta finitura opaca, “liberare” i trasparenti dalle proprie mascherature e rappresentare il canopy (dettagliato con due specchi retrovisori prelevati dal set di fotoincisioni Eduard n°48409 ) rigorosamente in posizione aperta!

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In conclusione, posso dire che questo Skyhawk è un modello che regala molte soddisfazioni. Grazie alla bontà dello stampo il montaggio scorre facile e con molto divertimento. Se poi si aggiunge che la livrea IAF si sposa alla perfezione con questo bellissimo velivolo… bè, non si può perdere l’occasione di aggiungere un così bel pezzo alla nostra collezione. Buon modellismo a tutti! Valerio – Starfighter84 – D’amadio.


Foto del montaggio (clicca sull’anteprima per ingrandire):

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Tabella riferimento colori:

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The Syrian warrior – MiG-21 Bis dal kit Academy in scala 1/48.

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MiG-21 sta a Unione Sovietica come il Phantom sta all’Occidente. Questa è la semplice proporzione matematica che regolava la guerra fredda e ben conosciuta da tutti gli appassionati di quel periodo. L’argomento MiG-21 è così vasto e così vastamente documentato che non ho né il tempo, né lo spazio né la voglia (sono pigro, non vogliatemene!) per approfondirlo! Basti solo dire che esso fu impiegato su tutti i fronti e in tutti i conflitti che hanno insanguinato il nostro pianeta negli ultimi cinquant’anni, da quelli più noti (Vietnam e Afghanistan) a quelli passati sotto silenzio nelle parti più sperdute del globo. Nelle mani dei tenaci piloti Vietnamiti si dimostrò un avversario più che valido per gli americani e non erano rari i casi in cui erano proprio gli spocchiosi Yankees a uscire con le ossa rotte e appesi a un paracadute! Phantom ed F-105 furono tra le vittime predilette dei Fishbed comunisti. E nemmeno il mitico Spillone ebbe vita facile contro i MiG: chiedere ai piloti pakistani suonati a dovere dai Fishbed indiani! Meno bene per il nostro piccolo eroe andarono nel teatro medio – orientale. Negli scontri contro gli aerei israeliani, superiori in tecnologia ma anche pilotati da uomini addestratissimi e determinati a combattere per la sopravvivenza del proprio Stato, i MiG-21 furono nettamente surclassati. Se già l’avvento dei Mirage III rappresentò un grosso problema, l’arrivo dei più moderni F-15 ed F-16 significò la fine: durante gli scontri sulla Bekaa nel 1982 i MiG arabi furono annientati senza che riuscissero nemmeno a sfiorare un aereo nemico.

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Note Modellistiche:

Da sempre convinto assertore del fatto che gli aerei con mimetiche a più toni fossero troppo difficili da realizzare (mai porsi dei limiti nella vita, tardi ma l’ho finalmente capito!!), quando finalmente mi sono deciso a fare “il grande passo” con il MiG-15 già pubblicato su queste colonne, mi si è schiuso un mondo! «Vuoi vedere» mi sono detto «che non solo non sono così difficili da realizzare, ma sono pure un sacco divertenti?»
Fine dell’Off Topic, veniamo a noi!
Per dare un po’ di colore alla mia vetrina, ho scelto un bel MiG-21 Bis Siriano, ambientato proprio nel 1982, molto probabilmente una delle vittime dei Falcon e degli Eagle con la stella di David. La scatola di partenza è quella Academy in 1/48, che contrariamente a quanto scritto sulla box art, non rappresenta un MF bensì un Bis. Essendo io del tutto ignorante sull’argomento, ho appreso ciò dalle recensioni lette in rete e da un confronto col guru dei MiG, Gianni Cassi, come al solito disponibile e gentile nel dissipare ogni mio dubbio! Dal momento che l’abitacolo è un po’ scarno, ho fatto ricorso a quello in resina della Neomega. A completare la lista della spesa le ruote in resina CMK e il foglio decals della Tally-Ho “Focus on Fishbed part 2” che offre una selezione di MiG ex jugoslavi tutti però nella livrea monogrigio che volevo a tutti i costi evitare oltre al mio siriano e un MF egiziano.

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Costruzione:

Da un po’ di tempo la mia filosofia modellistica mi porta a fare i modelli così come escono da scatola, senza troppi patemi d’animo, ma in questo kit l’abitacolo è davvero uno scherzo, forse anche per la più piccola 1/72. Quindi un bel tiro a canestro degno del miglior Michael Jordan e i pezzi sono finiti dritti nel cestino (ovviamente centrato con gran tiro da 3 punti!). i pezzi Neomega sono sublimi a mio modestissimo parere e hanno il pregio non da poco di adattarsi perfettamente al kit di destinazione. Il segreto? In pratica i pezzi Neomega altro non sono che i medesimi del kit dettagliati alla perfezione e stampati in resina.

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Capitolo colorazione: gli interni del 21 tarde serie sono in quell’azzurro turchese a detta dei piloti molto riposante (de gustibus…): ognuno ha la sua ricetta, personalmente pur avendo in casa la tinta Model Master, non volendo inquinare la cucina con i miasmi dello smalto (ho provato una volta, ci volevano le maschere anti-gas e cucinare il pesce non diventava il massimo della vita) ho usato il verde smeraldo della Gunze. Troppo verde? Troppo sparato? Può darsi, però me gusta mucho! Strumenti in nero opaco e successiva goccia di Future per simulare i vetrini, lavaggio con bruno Van Dyck e drybrush in bianco e questo primo capitolo si può dire archiviato. Per il resto il montaggio procede senza troppi patemi d’animo: gli incastri sono perfetti, forse lo scarico è da sostituire (fortunati i possessori del set MF Detail, purtroppo introvabile data la cessata attività della ditta Ungherese). Ricordatevi di appesantire il muso, altrimenti il vostro modello assumerà un poco piacevole assetto seduto.

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I vani carrelli sono in grigio H-308 Gunze con lavaggio con Grigio di Payne, così come i carrelli, mentre il cono radar e i cerchi delle ruote, così come i dielettrici sono in verde H-302 Gunze.
E così in men che non si dica, eccoci arrivati alla colorazione.

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Come mio solito da ormai un po’ di tempo, ho usato gli acrilici Gunze, diluiti come suggerito nei suoi articoli dal succitato Gianni Cassi: in un barattolino di Gunze metto tre o quattro pallini da pesca, poi riempio fino all’orlo con alcool rosa ed il gioco è fatto! Così sono un vera bomba e si stendono che è un piacere!
Come detto, la mia scelta è caduta su un esemplare siriano dipinto con un’accattivante mimetica a quattro toni: sabbia, con bande in verde e grigio per le superfici superiori, azzurrino per le superfici inferiori. Qui sotto i colori da me usati.

  • Sabbia: H-313
  • Verde: H-303
  • Grigio: H-317
  • Azzurro: H-67

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Stesi tutti i colori (a mano libera, con l’eccezione della delimitazione fra il sabbia e l’azzurro che era netta), ho proceduto a un leggero (forse troppo… i trasparenti hanno uniformato il tutto! È tutta esperienza che verrà utile al prossimo modello) post-shading: al colore di base già diluito, ho aggiunto una goccia di bianco opaco e ulteriore alcool. Provare per credere! Quindi mano di Future e lavaggio a olio nero. Altro errore, che vedrò di evitare la prossima volta: prima di fare il lavaggio, mettere le decals e poi fare il lavaggio! Messe le poche decals (uno dei pregi di questi aerei sovietici… l’F-15 sarà ben altra musica!) ho dato un’altra mano di Future a sigillare il tutto, e poi da ultimo una passata di opaco Lifecolor. Il montaggio dei piccoli particolari ha concluso il mio lavoro.

Mig 010

Conclusioni:

Un kit divertente, un lavoro breve, una macchia di colore nella mia bacheca. Tutto sommato questi cattivi sono proprio affascinanti, e infatti in men che non si dica il mio scaffale di scatole si è riempito di soggetti d’oltrecortina. Credo proprio che diverrà una tematica che porterò avanti in parallelo al mio grande amore che sono e restano gli aerei della RAF.

Buon modellismo.
Alessandro  Gennari.

Quick-Tutorial: Basette per miniature – Mini Diorami

Quando si iniziano a creare diorami, si pensa sempre in grande… a meno che non abitiate al castello della Games Workshop, vi consiglio di iniziare a ridimensionare le vostre aspirazioni da “dioramari” perchè a un certo punto lo spazio….finisce. Per questo ho pensato di mostrare un modo molto semplice per creare un’ambientazione per le miniature (versatile e quindi con possibilità di cambiare miniatura di tanto in tanto).

Ecco quindi un nuovo tipo di tutorial…un Quick-Tutorial. In questo potrete vedere come creare dei semplicissimi diorami da esposizione per le vostre miniature senza spendere molto e senza troppe pretese. Potreste anche considerarli dei diorami provvisori tanto per non lasciare le miniature appena sfornate in un luogo a loro sconosciuto.

I materiali necessari possono essere di varia natura: Legno, polistirolo, balsa spessa, cartoncino etc…

In questo caso ho utilizzato del sughero per gli elementi  e uno di quei cartoncini con all’interno la schiuma (molto resistente) per la base. Principalmente servono due cose: La basetta e gli elementi da incollarci sopra. Fate prima delle prove senza colla per cercare il risultato migliore.

Si sceglie quindi la dimensione preferita e si inizia a incollare gli elementi sulla base. In questo caso ho voluto creare un paesaggio nevoso al di sopra di un fiume.

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Quando tutto si sarà incollato per bene potrete iniziare a dipingere la basetta per realizzare un fiume, un lago…DELLA LAVA…insomma un po’ quello che vi pare.

P.S. l’effetto neve è stato realizzato con del comune stucco e dei fazzoletti.

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Un fiume innevato o ghiacciato…

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Un passaggio di rocce su un fiume di lava creato con basetta di faesite e polistirolo.

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Uno scoglio in un lago di Acido.

Al prossimo Quick tutorial!

Simmons

Kit Review – Messerschmitt BF 109 D – Academy 1/48.

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Siamo tutti d’accordo che la più nobile creatura tra tutte quelle del geniale Willy Messerschmitt è senz’ombra di dubbio il BF 109, di indiscusso fascino per tutti gli amanti dei velivoli WW2 e non solo. Con quella sua aggressività e quel suo aspetto da “cattivo” è presente nelle nostre vetrine al fianco dei suoi diretti rivali come Spitfire, Mustang e tutti gli altri che lo hanno combattuto, spesso tornando a casa sforacchiati. Scommetto però che pochi di voi hanno costruito la versione “D” (a.k.a. Dora) motorizzata Jumo 210 e magari dipinta nei colori della Legione Condor della guerra di Spagna e l’hanno affiancato ad un bel Polikarpov I-16. Teneteli però a debita distanza per il bene del piccolo I-16.

Togliendo il coperchio vi priverete della visione della bellissima boxart della scatola Academy ma allo stesso tempo vi troverete davanti ad altre belle sorprese, innanzitutto le stampate sono molto pulite e di una bella plastica grigio chiaro finemente incisa e con un dettaglio generale da far invidia alle due principali case giapponesi che tanto ci piacciono.

La seconda delle tre stampate principali riguarda la parte superiore delle ali, anche queste di ottima fattura con una netta distinzione delle parti telate da quelle metalliche, i piani di coda con i loro rinforzi di sostegno, (dall’F in poi sono scomparsi), un abitacolo da rimanere senza fiato e due ruote di ottima fattura, portelli dei carrelli, gambe di forza ecc…

Le ali hanno già i flap separati, gli slats non erano presenti nella versione D.

Una foto della semifusoliera di destra, tanto per rendere l’idea del dettaglio superficiale e della consistenza della plastica

La cosa che più mi ha impressionato è la qualità dell’abitacolo made in korea (come potete leggere anche dallo stampo), paragonabile ad un set in resina per quello che riguarda le pareti, il sedile ed il cruscottino.

Il sedile è già dotato di bellissime cinture di sicurezza ed il cuscino lasciano intravedere le pieghe della stoffa dello schienale, necessita solo di una pulitina dagli scarti di stampaggio, del resto dovrete farlo solo qui è l’unica cosa di cui necessita questo ottimo kit, oltre ad un accessorio che scoprirete tra un po’…

Il cruscotto ha tutti gli strumentini in rilievo con tanto di dettaglio interno corretto per ogni singolo quadrante con le lancette ed anche i riferimenti delle varie tacche all’interno di ogni singolo strumento.

I vari manettini circolari presenti nel cockpit sono molto più che accettabili come nella maggior parte dei kit rappresentanti aerei di quest’epoca ed anche la cloche e le varie antennine e pitot presenti nella scatola sono pronti da montare senza correzioni o migliorie. Il 109 al suo interno era di quell’ essenzialità funzionale  tipica dei prodotti dell’industria bellica germanica ma la nostra cara Academy ha fatto le pentole ma non i coperchi. Anzi ha fatto il coperchio troppo bene e ci priverà di vedere l’ottimo interno della pentola…guardate qui sotto…

Ci ritroveremo con un dettaglio interno finalmente ottimo, anche se da scatola,  occultato da un tettuccio che può esser lasciato solo chiuso.

Questo è il vero difetto del 109 D della Academy…ok ma tiriamo indietro la barra, diamo manetta e sorvoliamo…

Tiriamoci su il morale dopo la delusione con le belle ruote che troviamo attaccate allo sprue…già le vedo verniciate a sostenere il mio modello…

Le istruzioni sono chiare e precise e tutte da seguire passo per passo.

Le decal a differenza di molte scatole che paghiamo un botto sono perfettamente utilizzabili, hanno un film bello lucido e sottile anche se sembrano un po durette e prevedono la realizzazione di tre esemplari, due della legione condor (uno era pilotato dal celebre asso Werner Molders) ed uno mimetico, come potete vedere nell’immagine qui sotto.

Per i “centonovisti” che ancora non hanno questa scatola consiglio l’acquisto anche se il prezzo in negozio è abbastanza salato per essere un kit di pochi pezzi sebbene sia un bel modello. L’alternativa è il Classic Airframes ma credo che il prezzo sia ben più alto e quindi io optato per l’Academy e sto già cercando un tettuccio in vacuform da lasciare aperto per correggere l’unica pecca che ho trovato.  Non vorrei che lasciandolo vicino al Mustang venga colpito dalle mitragliatrici di Eagleston  ed il mio  Werner Molders in 1/48 non possa gettarsi col paracadute…

A presto Mauro “CoB” Balboni