sabato, Aprile 26, 2025
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“..And kill Migs..” MDD F4E Phantom II dal kit ESCI in scala 1/48.

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A proposito di armadi.

Credo che ogni modellista debba fare i conti con “l’Armadio”, cioè il posto ove custodiamo (o meglio occultiamo) tutte le scatole di montaggio comprate negli anni in cui l’unica legge che regna sovrana è quella dell’accumulo. Tutti i giorni, come dei Gollum, ne guardiamo rapiti il  “tessoro” contenuto e se da una parte l’Armadio ci ammonisce con una vocina che dice “ma quando mai le farai centinaia di scatole se a malapena fai 3 modelli l’anno e continui a comprarne altre???’”, dall’altra, la vocina con soddisfazione ci dice anche: ”…hai fatto bene a prendere altre 10 scatole di Phantom, non si  sa mai..”, oppure, a giustificazione del tutto, ci fa sognare investimenti improbabili del tipo “…hai visto mai che questo kit fra qualche anno varrà milioni di Euro?? (manco avessero le “box art” dipinte da Van Gogh in persona!).

L’Armadio dunque si nutre di scatole accumulate e, come una creatura Lovecraftiana, ne reclama sempre di più, mai pago. Mai sentito di modellisti scomparsi, fagocitati dall’Armadio perché non avevano portato a Lui il tributo di nuove scatole essenziali per il Suo nutrimento…  solo leggende??? Paura eh??? Scherzo ovviamente (non su tutto però).

 Il kit.

La scelta di montare questo kit riflette tale premessa: kit ESCI “F4E Nam Raider” 1/48, vecchissimo, comprato nel 1988 o giù di lì (stampo primi anni ’80) sepolto e seminascosto tra svariate altre scatole che mi ero completamente dimenticato di avere.

Pur ben conscio delle difficoltà che avrei incontrato nel montaggio eppure, alla fine, preso come da un impulso, ho cominciato ad armeggiarci su!

Inutile dire che il kit ESCI è povero come dettaglio superficiale,  le pannellature sono in negativo un pò pesante, gli interni sono strabasici, gli incastri grossolani e con alcuni particolari sballati (a proposito il reinscatolamento Italeri di qualche anno fa è lo stesso kit con decals migliorate quindi valgono le stesse considerazioni). Se però sorvoliamo su queste “piccole” cose e vediamo il bicchiere mezzo pieno vi dico anche che: le linee generali, secondo me, sono più azzeccate dei  Phantom “E” dell’Hasegawa… è ben fornito di carichi… la plastica è morbida e lavorabile… le incisioni pesanti alla fin fine, viste le tante stuccature/lisciature cui sarà sottoposto il modello e la mimetica tipo SEA, non danno fastidio più di tanto, anzi, ecco che abbiamo quella che si definisce una buona base di partenza per il dettaglio.

La versione del Phantom proposta dal kit ESCI è una “E” dei primi lotti di produzione e vengono pertanto correttamente forniti l’ala detta di tipo “hard”, cioè priva degli slats di manovra, gli stabilizzatori slatted e la scelta tra due tipi di volata del cannone M61.

 

Questo kit però nasce attorno alle versioni a naso corto del phantom (C/D/J) ed alcuni particolari tradiscono questa impostazione: le piccole prese d’aria anteriori sul muso sono infatti di forma sbagliata ed in coda è presente un pitot in più. Nel primo caso bisogna sostituirle o ricostruirle, nel secondo  basta un colpo di lama!

Quindi in definitiva come debba essere considerato il bicchiere dipende solo da noi: se guardiamo il kit con gli “occhi della tigre” questo è consigliabilissimo…. Se invece preferiamo dedicare prezioso tempo libero ad altri dettagli, lasciamolo perdere.

Montaggio: “..Redrum….redrum…..redrum….”

La pazzia si è impossessata di me e visto che nessun esorcista girava da queste parti per liberarmi da tale forza malefica, come Jack Nicholson nel film “Shining”, ho cominciato a brandire…. il taglierino e mi sono messo a rivettare piano piano tutto il velivolo, buco per buco, un buco, alla volta, ali e fusoliera!

Soddisfatto lo spirito immondo ho provveduto a rifare le piccole prese d’aria laterali del muso usando l’alluminio di una lattina arrotolato su una limetta di sezione convessa usata come dima.

Per gli interni ho sfruttato alcuni pezzi ESCI (vasca) incrociandoli con altri di un kit Hasegawa del Phantom  (sedili e cruscotti), migliorando il tutto con autocostruzione ed aggiunta di cavetti. Il cinghiaggio dei sedili proviene da un set Eduard. Volevo anche sostituire gli scarichi dei motori J-79 ma qui i pezzi Hasegawa non si adattano bene in quanto troppo larghi ed allora ho migliorato quelli della scatola.

Ho aperto e ricostruito, per sfizio più che altro, il ricettacolo per il rifornimento in volo ed aggiunto, ricostruendola, la piccola presa d’aria di sfiato del cannone presente sul lato dx superiormente al muso che rimane normalmente aperta quando il velivolo è spento a terra.

Vi ho brevemente esposto solo su cosa sono intervenuto io perché i margini di miglioramento sono talmente ampi che alla fine l’unico limite al lavoro possibile rimane l’abilità e la voglia di fare .

Fatto ciò che precede (dopo mesi!) è cominciato il montaggio e qui, purtroppo, si nota tutta l’anzianità del kit, un vero festival del “crick e crack”, di gemiti dovuti a forzature della plastica a prendere un corretto posizionamento e fiumi di cianacrilato. Qui c’è poco da fare: tanta colla, stucco, pazienza e olio di gomito.

Verniciatura

Ho proceduto in maniera un po’ particolare in quanto posseduto anche qui da forze malefiche che mi hanno messo in testa una cosa: perché verniciare sempre allo stesso modo e invece non provare, usando gli stessi concetti in maniera un po’ diversa, qualcosa di nuovo??? In altre parole nel verniciare i miei modelli ho sempre seguito la regola del postshading con il colore nei pannelli (guardando dall’alto) che va schiarendo man mano che si procede verso l’interno come nello schema seguente.

Vedendo invece come i colleghi carristi sfruttano la modulazione del colore per verniciare i loro modelli mi sono riproposto di provare qualcosa del genere quindi ho semplicemente spostato il punto di vista: anziché “guardare da sopra” (luce zenitale come nel postshading classico) mi “sposto” un po’ più al lato (tipo guardando parallelamente) ottenendo in questo modo:

Ovviamente sto solo parlando di teorie e forzature nella rappresentazione di come la luce, colpendo una superficie colorata può modificare la percezione visiva del colore stesso. Questo perché alla fin fine, in realtà, un verde sempre verde rimane! Inoltre teniamo presente che un aereo è diverso come forme da un mezzo corazzato (ampie superfici piatte e angolate) quindi prendete tutto con le pinze ed immaginate che il modello sia un quadro.

Detto ciò in pratica, immaginando un ala, quello che mi sono riproposto di fare è questo:

In effetti è un po’ inquietante, diverso da ciò che normalmente viene fuori con un posthading classico, però alla fin fine la cosa mi intricava, mentre l’unico dubbio era: quanto i successivi trattamenti avrebbero spento e reso meno enfatizzato tale effetto?? L’esperienza mi diceva di lasciare tutto così ma. non avendo mai provato nulla del genere, ho comunque provveduto ad ammorbidire un po’ i contrasti spruzzando ulteriori tonalità della mimetica meno schiarite (vi anticipo che i successivi passaggi hanno però smorzato di molto quanto vedete nelle foto precedenti).

Fatto ciò i successivi passaggi sono stati i classici lavaggi, vernici trasparenti finali e scrostature varie nelle zone di camminamento (nel frattempo erano passati quasi 6 mesi dal primo colpo di cutter!!!).

Per i carichi, volendo rappresentare un Phantom impiegato durante il conflitto del VietNam nei primi anni ’70, ho cercato una configurazione tipica del periodo. Ho optato quindi per una configurazione MigCAP:

4 AIM7 Sparrow,  4 AIM9 Sidewinder  e tre serbatoi supplementari. Inoltre ho modificato, prelevandolo da un F111 Academy, un pod ECM ALQ-87 in uso in quel periodo come disturbo elettronico. In realtà avrei voluto metterne due, tipicamente montati sotto gli agganci ventrali anteriori al posto degli Sparrow, ma ahimè uno mi si è rotto in fase di modifica, quindi ne ho messo uno solo sotto al pilone interno Dx.

Si è rivelato molto utile il volume “…and kill Migs” della Squadron Signal dedicato appunto ai MigKiller USAF/UsNAVY della guerra del VietNam. In questo volume troviamo moltissime foto di Phantom con stelline rosse di accreditamento di vittorie sui Mig avversari, tra i quali, l’esemplare che ho scelto di riprodurre.

La mia scelta è caduta sul Phantom F4E “JJ – 68-493” del 34° TFS – 388° TFW, basato a Korat nel 1972 (le lettere J J in coda e la “sharkmouth” sono state dipinte con mascherine….  i numerali no, sono decals: ahimè… non sono così bravo).

Il 5 ottobre 1972 l’equipaggio ai comandi dell’F4E “JJ-493” call sign “Robin1”, pilota Cap. Coe e dal WSO Ten. Webb, nel corso di una missione di protezione ad una forza di attacco abbatteva nei cieli del Nord Vietnam un Mig21 (più forse un altro probabile ma non confermato).

Una domanda alla fine mi è rimasta in testa: fù vera gloria quella dei Phantom in VietNam???? Qualche dubbio mi viene leggendo le cifre delle perdite (più di 400 velivoli) e le critiche mosse principalmente dai piloti dell’USAF (non dimentichiamo però che il Phantom era nato per l’UsNavy e i suoi diktat ed imposto successivamente all’Air Force) compendiate secondo me nella frase del Ten. Col. Berke: “il Phantom non era il miglior velivolo … era solo il meglio di cui potevamo disporre” ed in effetti, vedendo l’inventario dell’USAF di quei tempi, alla fine l’adozione del  Phantom fu’ una benedizione.  I successivi caccia F15 ed F16  infatti sarebbero stati progettati con filosofie molto diverse!

 

Conclusioni e considerazioni.

Al termine del lavoro ammetto che questo Phantom ESCI me lo guardo e riguardo con soddisfazione. In questa scala, pesantemente caricato, è un modello poderoso ed accattivante anche se necessita di molto lavoro. Riuscire a portare a compimento tale kit, che avevo già affrontato da “teen ager” nelle versioni C e J, mi ha permesso però di poter applicare su di esso l’esperienza accumulata negli anni regalandomi, oltre ai ricordi (e rimpianti?), la possibilità di poter agire diversamente in situazioni modellistiche già vissute. Peccato ciò non possa accadere anche nella vita.

In conclusione amici spero che il risultato vi piaccia e, soprattutto, non mancate di farmi conoscere critiche, pensieri e consigli relative alle “filosofie” di verniciatura usate su questo modello e possibili  miglioramenti!

Un doveroso ringraziamento va a tutti gli amici del forum “Modeling Time” (nelle cui pagine trovate il W.I.P con foto scattate durante la lavorazione) per gli aiuti, i preziosi consigli e gli incoraggiamenti durante questa lunga maratona modellistica!

Saluti

Massimo M. “pitchup” De Luca

The Entebbe Raider – KC-130H dal kit Italeri in scala 1/72.

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27 giugno 1976. Il volo Air France 139, originario da Tel Aviv, trasporta 239 passeggeri e dodici membri dell’equipaggio. Dopo uno scalo tecnico, l’Airbus A-300 della compagnia aerea francese lascia Atene per dirigersi verso la destinazione finale, Parigi. Pochi minuti dopo il decollo, due terroristi palestinesi del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina, e due estremisti di origine tedesca aderenti al movimento di estrema sinistra “Revolutionäre Zell”, dirottano il volo e costringono il comandante a fare rotta verso Bengasi, in Libia. Dopo sette ore fermo a terra per rifornimento, il volo 139 decolla nuovamente alle 15.15 del 28 giugno, quasi ventiquattro ore dopo la partenza originaria dalla capitale israeliana, con destinazione finale Entebbe, in Uganda.

Nel 1976 l’Uganda era oppressa dal dittatore Idi Amin che appoggiava e aiutava apertamente i movimenti pro palestinesi. Con l’aiuto di Amin, al primo gruppo di dirottatori si aggiunsero almeno altri quattro terroristi. Poche ore dopo l’arrivo a Entebbe, i sovversivi avanzarono le prime pretese richiedendo la liberazione di quaranta palestinesi trattenuti in Israele, più altri dodici presenti in prigioni svizzere, francesi, keniote e della Germania Ovest. Minacciarono, inoltre, che nel caso di mancato accoglimento delle loro rivendicazioni, dal primo luglio avrebbero iniziato a uccidere gli ostaggi.

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I dirottatori divisero le vittime in de gruppi distinti: da una parte i cittadini Israeliani, dall’altra coloro che appartenevano ad altri stati. I terroristi dichiararono esplicitamente agli ostaggi che il loro era un atto di forza contro lo Stato d’Israele e non contro gli ebrei in generale; da sottolineare, infatti, che sul volo Air France erano presenti ebrei che non avevano cittadinanza israeliana, come due studenti di origine brasiliana.

Gli attentatori spostarono le vittime del dirottamento all’interno della Hall per i transiti dell’aeroporto e lì li costrinsero per circa una settimana. Al termine dei sette giorni, il portavoce della cellula dichiarò che tutti i cittadini non israeliani sarebbero stati liberati e spostati su un altro volo Air France appositamente inviato a Entebbe per il trasferimento delle vittime.

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Il comandante del volo 138, Michel Bacos, comunicò ai dirottatori che il personale e i passeggeri erano sotto la sua diretta responsabilità e non accettò di essere evacuato. Presero la stessa decisione anche i membri dell’equipaggio. Una suora francese si offrì di cedere il proprio posto, ma fu costretta a salire sul volo di evacuazione dai soldati regolari ugandesi. In totale gli ostaggi rimasero ottantacinque, più altre venti persone (in gran parte personale dell’Air France).

Oramai era chiaro a Israele che la liberazione degli ostaggi poteva avvenire solamente attraverso un’operazione militare, ma nelle settimane che seguirono l’avvenimento ci furono molti tentativi di risolvere la questione per vie diplomatiche; molte fonti indicano che il governo israeliano iniziò i preparativi per il rilascio dei prigionieri palestinesi come contromossa a un eventuale fallimento del piano militare di liberazione degli ostaggi. Alle trattative partecipò anche un alto ufficiale dell’Israeli Defense Force oramai in congedo, Baruch “Burka” Bar-Lev, che conosceva personalmente il presidente ugandese Idi Amin. Più volte Bar-Lev ebbe con lui un colloquio telefonico diretto, ma tutti gli sforzi furono vani. Esponenti israeliani chiesero anche agli Stati Uniti di intercedere con l’Egitto affinché, quest’ultimo, convincesse Amin, ma non vi furono risultati.

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Il primo luglio del 1976 il governo di Tel Aviv chiese di estendere il termine ultimo delle trattative al giorno quattro dello stesso mese. La richiesta fu accolta dai terroristi e questo slittamento di date fu cruciale per il seguito delle operazioni. Il 3 luglio, infatti, il parlamento israeliano approvò una missione di salvataggio sotto il comando del Generale Yekutiel “Kuti” Adam. L’ultimo atto della vicenda diplomatica fu affidato a un esponente egiziano, Hanni Al Hassani, che provò a negoziare sia con l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina, sia con il governo ugandese ottenendo solamente un nulla di fatto. Ufficiosamente, l’elaborazione di un piano per l’incursione a Entebbe prese il via. Il Mossad (i servizi segreti israeliani) ricostruì un identikit fedele dei dirottatori grazie alle testimonianze delle vittime che furono rilasciate e rimpatriate a Parigi. Inoltre, riuscì a ricreare un modello a grandezza naturale della palazzina aeroportuale grazie ad alcuni “contactors” civili israeliani che progettarono e realizzarono l’edificio qualche anno prima.

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Per il trasporto delle truppe e del materiale furono designati quattro Lockheed C-130, ma fu subito chiaro che un volo di trasferimento diretto dall’Israele verso l’Uganda non era possibile. I vertici del Mossad sapevano che nessuno dei paesi della costa orientale dell’Africa (che non volevano rappresaglie da parte dell’Uganda, all’epoca il paese più forte della zona) avrebbe prestato supporto al governo Israeliano permettendo il sorvolo del proprio spazio aereo; per questo una richiesta di aiuto fu inviata al presidente del Kenya, Mzee Jomo Kenyatta. Quest’ultimo, grazie a varie pressioni politiche ed economiche avanzate da proprietari ebraici di alcune importanti strutture alberghiere presenti a Nairobi, diede il suo appoggio all’operazione.

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Il 4 luglio 1976 ebbe inizio, ufficialmente, l’Operation Thunderbolt – meglio conosciuta come Operation Entebbe o Entebbe Raid. Quattro C-130 dell’Israeli Air Force decollarono con il favore dell’oscurità e puntarono direttamente su Sharm El Sheik volando a una quota di appena 100 piedi (30 metri) per eludere la sorveglianza radar dell’Egitto, del Sudan e dell’Arabia Saudita. Al confine con il Mar Rosso la task force virò facendo rotta su Djibouti e, sorvolando la Somalia e l’Etiopia, arrivò un waypoint a sud est di Nairobi. In formazione con i C-130 volavano anche due B-707: il primo conteneva materiale per allestire un presidio medico e atterrò al Jomo Kenyatta International Airport di Nairobi, il secondo proseguì la rotta assieme agli Hercules e rimase a circuitare sopra l’aeroporto di Entebbe durante il raid.

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La forza d’intervento israeliana atterrò in Uganda alle ore 23.00 del 4 luglio eludendo completamente il controllo del traffico aereo del paese ostile. Gli Hercules, con le rampe già aperte, scaricarono in pochi minuti una Mercedes nera del tutto simile a quella presidenziale usata dal dittatore ugandese, più una Land Rovers che formava un corteo atto a creare l’impressione che Amin Dada fosse di ritorno dal viaggio ufficiale presso le isole Mauritius che lo stava impegnando proprio in quei giorni. Le forze speciali israeliane condussero i mezzi in modo da non destare sospetti, ma due ufficiali ugandesi erano a conoscenza che il presidente Amin aveva, recentemente, acquistato una nuova Mercedes color bianco per sostituire la più vecchia verniciata di nero. I militari ordinarono al convoglio di fermarsi, ma gli incursori israeliani spararono vari colpi di pistole munite di silenziatore per eliminarli; sfortunatamente i proiettili non andarono a segno e gli ufficiali di Amin Dada fuggirono per dare l’allarme. La reazione fu immediata e dalla Rovers partirono raffiche di mitragliatori non silenziati che centrarono i fuggitivi, ma allertarono precocemente i terroristi.

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I commando si mossero velocemente verso il terminal aeroportuale e, poco prima di fare irruzione, avvisarono gli ostaggi con i megafoni, gridando in inglese e in ebraico: “State giù! State giù! Siamo soldati israeliani!”. Un diciannovenne francese, Jean-Jacques Maimoni, fu scambiato per un terrorista e ucciso. Sempre per errore, Pasco Cohen, 52 anni, fu colpito da una raffica. Una terza e ultima vittima tra gli ostaggi fu Ida Borochovitch, un’ebrea di origine russa raggiuta da alcuni proiettili esplosi nello scontro tra forze speciali israeliane e soldati ugandesi. Venne eliminato anche un terrorista, Wilfried Böse, freddato prima che potesse puntare il suo Kalashnikov. A questo punto i militari israeliani chiesero, in ebraico, dove fossero i restanti tre dirottatori; gli ostaggi risposero indicando una porta che congiungeva la sala con la hall dell’aeroporto. Prima di entrare furono lanciare varie granate poi, completarono l’assalto entrando e uccidendo gli ultimi tre terroristi. Nel frattempo, dagli altri C-130 furono scaricati svariati mezzi blindati che servirono alla protezione degli ostaggi nel trasferimento sulla pista e protessero i velivoli durante le necessarie operazioni di rifornimento. Una squadra di artificieri piazzò delle cariche esplosive sui sette Mig-17 ugandesi in parcheggio, evitando che questi potessero decollare e inseguire gli Hercules durante il rientro.

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Dopo il raid, la reazione ugandese non tardò ad arrivare: soldati aprirono il fuoco contro gli ostaggi, e gli israeliani risposero con le armi automatiche infliggendo perdite ingenti al nemico. In questo breve ma intenso, scontro, perse la vita il capitano Yonatan “Yoni” Netanyahu (fratello del futuro primo ministro Benjamin), centrato al petto da un cecchino che sparava dalla torre di controllo. Yonatan Netanyahu fu l’unica vittima del commando, altri cinque, invece, furono feriti. Gli israeliani terminarono l’evacuazione, caricarono la salma di Yoni su un aereo e decollarono; l’intera operazione durò circa 53 minuti, di cui solo 30 per l’assalto. Tutti i dirottatori e circa quaranta soldati ugandesi furono eliminati. Dei 106 ostaggi, tre furono uccisi per errore e uno lasciato in Uganda; si trattava di Dora Bloch, 75 anni, di origine britannica. In seguito fu trasportata al Mulago Hospital di Kampala, dove fu assassinata da due ufficiali su ordine di Idi Amin. I suoi resti furono ritrovati nel ‘79 in una piantagione di zucchero a 20 Km da Kampala dopo che la guerra tra Tanzania e Uganda pose fine al regime di Amin Dada.

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Lo stato d’Israele ricevette il supporto di numerose nazioni occidentali: la Germania Ovestdefginì l’Operazione Entebbe come un “atto di leggittima difesa”, mentre Francia e Svizzera si complimentarono per la buona riuscita dell’incursione. Regno Unito e Stati Uniti D’America definirono quella di Entebbe come una “operazione impossibile”. In seguito, il presidente Kissynger si lamentò, in forma privata, con l’ambasciatore israeliano Dinitz per l’utilizzo di materiale bellico americano nel raid. Questa rimostranza, comunque, non fu mai resa pubblica. L’Operation Entebbe è, tutt’ora, riconosciuta come una delle più grandi e meglio riuscite operazioni anti terroristiche e di liberazione di ostaggi mai avvenuta. Su questo modello, molte forze armate hanno creato corpi speciali appositamente addestrati ed equipaggiati e, tra questi, il più famoso è sicuramente il Delta Force americano.

Il modello:

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Il progetto di realizzare un “Entebbe Raider” è iniziato nel 2011; il mio intento era di ricordare questa vicenda, non a tutti nota, a 35 anni esatti dal suo svolgimento.

Il C-130 è un aeroplano molto diffuso a livello mondiale e ben conosciuto anche da chi non è appassionato di aeronautica; eppure il suo successo su “larga scala” non è adeguatamente riportato in “piccolo”, e sia nell’1/72, sia nell’1/48 (tralasciando i rapporti minori), sono presenti pochi kit risalenti a svariate decine di anni fa.

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Personalmente, essendo un soggetto molto grande, ho preferito dirottare la mia scelta su una scala che potesse essere un buon compromesso tra dimensioni ridotte e possibilità di dettaglio: la 1/72. Quasi subito ho scartato l’idea di utilizzare il vecchissimo ESCI per la riproduzione del mio modello; nonostante lo stampo dell’Ente Scambi Coloniali Internazionali sia inciso, non convince molto per le forme generali che si rifanno, per lo più, ai primi prototipi del Cargo progettato dalla Lockheed. L’unica altra alternativa è l’Italeri, abbastanza datato anch’esso e totalmente in positivo, ma che cattura meglio le dimensioni e i profili dell’Hercules.

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La vecchissima scatola da me utilizzata è la numero 0140, oramai fuori catalogo da molto tempo (oggi l’Italeri ha in produzione l’articolo 0015 cui voi potrete optare); la dicitura sulla box art ci dice che essa è dedicata a un KC-130F, ma in realtà all’interno della confezione si trovano dei pezzi abbastanza “generici” che permettono di riprodurre molte versioni. In pratica, con un kit Italeri si possono ricavare quasi tutti gli Hercules (escludendo quelli per le operazioni speciali) prodotti, fino al più recente – il “J”.

A corredo del kit mi sono dotato, come sempre, di alcuni aftermarket che si sono rivelati fondamentali per riprodurre correttamente uno dei quattro “Entebbe Raider”. Ve li cito di seguito:

    • Flighpath Hercules Detail Set: il mega set della ditta inglese offre due lastre in fotoincisione ricche di dettagli aggiuntivi. Non tutti sono stati utili per la buona riuscita di questo modello, ma comunque mi sento di consigliarne l’acquisto.
    • Flightpath Allison T-56 – A – 15 Engine Set: il set in resina comprende quattro gondole motori complete da sostituire a quelle del kit che riproducono i vecchi propulsori T-56 – A-7 installati solamente nelle versioni più vecchie degli Hercules (B e E).
    • Flighpath C-130Bulged Wheels: nella confezione si possono trovare i quattro pneumatici del carrello principale e i due più piccoli di quello anteriore. Da aggiungere al carrello della spesa giacché le ruote fornite nel kit hanno delle fattezze dei cerchioni non proprio corrette.
    • Sky’S Decal 72011: il foglio decal della Sky’s è l’unico attualmente in circolazione che permette di realizzare un C-130 (in 1/72) impiegato nel raid in Uganda. Del prodotto avrò modo di parlare più approfonditamente nel corso dell’articolo.

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Montaggio:

Normalmente sono abituato a iniziare dall’abitacolo ma, questa volta, le operazioni preliminare hanno riguardato la totale reincisione delle pannellature. Come già ricordato qualche riga sopra, il kit Italeri presenta un dettaglio di superficie abbastanza preciso e fine ma, purtroppo, completamente in positivo.

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In accordo con l’ottima documentazione fornita dalla monografia Verlinden, ho iniziato la reincisione aiutandomi con uno scriber della Flex-I-File; la costruzione degli Hercules prevede dei pannelli rivettati alla struttura (metodo costruttivo classico), misti ad altri elettrosaldati tra loro. Per questo motivo, non tutte le zone del modello dovranno essere incise, bensì alcune (concentrate nella parte anteriore della fusoliera) saranno lasciate in rilievo. Per eliminare le “bavette” di materiale plastico che, inevitabilmente, si formano, basterà passare un velo di Tamiya Extra Thin Cement lungo tutte le incisioni: la componente trielinica del collante scioglierà gli eccessi. In seguito basterà lucidare bene le superfici interessate dalla lavorazione mediante carta abrasiva a grana 2000 bagnata in acqua. Inizialmente avevo optato per un’autocostruzione e dettaglio della stiva di carico ma, a un’analisi più approfondita, il lavoro sarebbe stato davvero lungo e noioso anche a causa della totale assenza (o quasi) di particolari forniti dal kit. Anche il cockpit soffre di varie mancanze ma, alla fin fine, una volta chiuse le semi fusoliere si vedrà molto poco dell’interno.

Quindi, cambiando in corso d’opera i miei buoni propositi, ho preferito montare i pochi pezzi forniti dalla scatola arricchendoli con delle fotoincisioni della Flighpath (pedestal centrale con il gruppo manette, cloche e pedaliere) e verniciando il tutto in Light Grey F.S. 36375. Qualche attenzione in più l’hanno ricevuta i seggiolini cui ho aggiunto i poggiatesta (sempre in fotoincisione), l’imbottitura dei cuscini (realizzata incidendo delle scanalature direttamente sul Plasticard) e le cinture di sicurezza ricavate da striscioline sottili di nastro Kabuki Tamiya. I sedili hanno la struttura nello stesso grigio prima impiegato, mentre lo schienale e la seduta sono in rosso F.S. 11105.

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Il completamento dell’abitacolo è sbrigativo, e dopo un paio d’ore di lavoro si è già pronti per unire le due valve che formano la fusoliera. Ricordatevi di appesantire il muso con una buona quantità di piombini da pesca, altrimenti il vostro Hercules rischia di “sedersi” sulla coda con un risultato finale anti estetico.

Un processo che richiede molto tempo e attenzione è il corretto montaggio dei grandi portelloni che chiudono la stiva; la precisione degli incastri denota tutti gli anni che questo stampo si porta sulle spalle, e per questo occorreranno svariate prove a secco per verificarne l’allineamento. Il mio consiglio è di incollare parzialmente a una semi fusoliera, da prima, la porzione superiore (quella più immediatamente sotto la deriva), in seguito aggiungere anche il pezzo di dimensioni maggiori con il medesimo metodo descritto. Una volta trovato il miglior risultato si potrà procedere “saldando” gli elementi con abbondante uso di colla cianoacrilica.

Un altro particolare da aggiungere è un piccolo oblò (la cui vetratura è stata ricavata da un pezzo di sprue trasparente), come riportato in foto:

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Conclusa la fase dedicata alla fusoliera, le mie attenzioni si sono rivolte alle ali. Per prima cosa, ho cercato di migliorare gli scarichi dei propulsori che sul kit sono appena accennati e totalmente inadeguati per gli standard modellistici moderni. In realtà, anche in questo caso, sono dovuto scendere a un compromesso per evitare complicate autocostruzioni in una zona del modello che, alla fine, rimarrà poco visibile agli occhi degli osservatori. Quindi, mi sono limitato a “bucare” la plastica in corrispondenza delle sedi già previste, e inserire all’interno un tubicino di PVC di opportuna misura trovato in ferramenta (di quelli che si usano nell’idraulica). L’accortezza che ho adottato è stata quella di ridurre lo spessore del profilato tondo per riportarne le misure più in scala possibile.

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Veniamo, ora, alla modifica più invasiva e delicata che ho dovuto affrontare: la sostituzione delle gondole motore. Come già anticipato in precedenza, quelle fornite dal kit non sono adatte perché rappresentano versioni installate sulle prime serie costruttive degli Hercules e, soprattutto hanno una forma decisamente troppo squadrata e poco veritiera delle lamiere nella parte superiore, in corrispondenza dell’innesto con il bordo d’attacco alare. Nella foto qui sotto le diversità sono subito evidenti:

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 La problematica più grande da risolvere è quella di raccordare al meglio i pezzi in resina eliminando gli spigoli vivi stampati sul kit:

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La prima operazione ha riguardato l’asportazione di una porzione di materiale plastico come indicato nell’immagine che segue:

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Rifinito il tutto con limette da unghie e cercando di ottenere una superficie quanto più piana e lineare, ho incollato le turbine con abbondante utilizzo di colla cianoacrilica. L’enorme scalino che si crea rispetto alle forme originali del modello va parzialmente eliminato riducendo lo spessore della plastica nei punti indicati dalle frecce; a tale scopo sarà utile utilizzare un trapanino elettrico munito di una fresa abrasiva.

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Eseguito il lavoro di “sgrosso” sulla plastica, le fessure che rimarranno potranno essere colmate, ancora una volta, con la colla Attack e delle striscioline sottili di Plasticard usate come riempitivo. Usando questa combinazione di materiali carteggiati a dovere, si ottiene una superficie liscia e dura da poter essere reincisa senza particolari problemi. A fine lavorazione è bene stendere su tutte le zone interessate dalla lavorazione, una cospicua quantità di pasta abrasiva atta a lucidare ed eliminare i graffi che si formeranno a causa della carta vetrata.

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Un altro intervento da dover compiere riguarda l’aumento della profondità delle prese d’aria dei motori in resina. Così come sono stampati, i condotti sono molto corti e danno un effetto ottico non proprio piacevole. Personalmente mi sono fatto aiutare dal solito trapanino su cui, per l’occasione, ho montato una punta diamantata di forma sferica che si è rivelata perfetta allo scopo. Mi raccomando di porre spesso i pezzi contro luce poiché, durante la fresatura, è facile assottigliare troppo la resina e “sfondare” il pavimento dell’intake.

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I lavori sulle ali sono terminati aggiungendo le due luci di navigazioni installate sulle tip; a riguardo, ne ho ricreato gli alloggiamenti intaccando la plastica con una lima piatta e, successivamente, auto costruendo i vetrini con due “schegge” di sprue trasparente incollate con Attack e sagomate a colpi di carta abrasiva grana 320. Il tutto è stato lucidato e rifinito con il Tamiya Rubbing Compound gradazione “Course” e cera Future.

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In corrispondenza delle stesse ho anche collocato le due luci di posizione (rossa a sinistra e verde a destra) prelevate dal set dedicato della CMK.

L’unione della fusoliera con le ali non presenta difficoltà di sorta ma, dato il peso cospicuo di quest’ultime, è bene rinforzare i punti di ancoraggio con tondini di ottone passanti da una parte all’altra del cassone alare. Quest’operazione eviterà che, con il tempo, le giunture siano sottoposte a uno sforzo eccessivo “aprendosi” nuovamente.

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Anche i piani di coda si montano con relativa facilità, ma lasciano delle fessure abbastanza vistose. Sia in questo caso, sia in quello prima descritto, sono ricorso nuovamente all’Attack e al Plasticard per riempiere i gap; lo stucco l’ho utilizzato come ritocco finale.

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Con il montaggio, in pratica, ultimato, mi sono dedicato all’aggiunta di alcuni dettagli. Sulle ali sono presenti portelli di accesso ai serbatoi del carburante e ai vani idraulici che il set di fotoincisioni della Flightpath fornisce già pronte all’uso; inoltre, osservando la documentazione, ho notato delle “costolature” di rinforzo applicate sulla parte superiore e inferiore della fusoliera, e lungo tutta l’apertura del grande vano di carico. Per riprodurle ho utilizzato del nastro Tamiya tagliato nelle giuste dimensioni che, oltre ad avere il giusto spessore, è già adesivo e facilita il posizionamento dei supporti.

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Il grande parabrezza è fornito, nel kit, in un sol pezzo; la sua trasparenza è buona e l’incastro nel suo alloggiamento abbastanza preciso. Esso è stato immerso nella cera Future che, oltre a donargli una maggiore limpidezza, mi ha permesso di poterlo incollare senza che i fumi del collante ne intaccassero la trasparenza. Ad ogni modo si è resa necessaria una veloce stuccatura eseguita con lo stucco classico della Tamiya, il Basic Putty. Per mascherare le grandi finestrature mi sono avvalso del pratico set di mascherine pre-tagliate dell’Eduard con codice CX148.

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A questo punto si è pronti per una mano di primer. Normalmente evito sempre di utilizzare una vernice di fondo sui miei modelli ma, nel caso specifico, il mio Hercules è stato interessato da elaborazioni tali da prescriverne l’uso. Allo scopo ho utilizzato il Mr. Surfacer 1000 della Gunze, utilissimo! L’ho diluito con il Lacquer Thinner della Tamiya (quello con tappo giallo sulla confezione) e steso con aerografo a pressioni di 0,7/0,8 bar. Il Surfacer ha il doppio vantaggio di chiudere, già di per sé, eventuali piccole fessure non perfettamente trattate, e di essere carteggiabile (con una carta 2000) fino a rendere la superficie del kit ben liscia e lucida.

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Verniciatura e invecchiamento:

I C-130 in carico all’Israeli Air force hanno, da sempre, vestito la classica mimetica a tre toni (Sand, Dark Earth e Green) con superfici inferiori in Light Blue. Non nascondo che questa livrea rappresenta, per me, una delle più belle al mondo e, in assoluto, tra le più accattivanti mai vestite dagli Hercules.

Prima di iniziare la vera e propria fase di verniciatura, ho steso sulle superfici superiori del Nero Opaco come mostrato nell’immagine sottostante:

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Una volta asciutto, il colore è stato mascherato con del nastro Jammy Dog da 0,75 centimetri per ricreare le walkways che corrono lungo tutto il dorso alare e della fusoliera. Il lavoro è abbastanza noioso e necessita di una precisione accurata per tracciare linee dritte, ma alla fine i nostri sforzi saranno ripagati da un effetto ottico di gran lunga migliore rispetto a quello che si otterrebbe utilizzando delle “stripes” di decalcomanie.

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Procedendo con il camouflage, per la sua attuazione sul modello ho iniziato con il Blue F.S. 35622 spruzzato sulla pancia del modello. Lasciati trascorrere un paio di giorni per una corretta asciugatura, ho mascherato il tutto con nastro Tamiya Kabuki ed ho iniziato ad aerografare i colori delle superfici superiori secondo quest’ordine:

  1. Sand F.S. 33531
  2. Dark Earth F.S. 30219
  3. Light Green F.S. 34227

La separazione tra i vari toni l’ho ottenuta mediante l’utilizzo di “salsicciotti” di Patafix, materiale che, oramai, reputo indispensabile per ottenere dei camouflage precisi e perfettamente in scala sui miei kit.

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Il muso degli Hercules israeliani è nero come su tutto il resto della flotta, e nello stesso colore vanno ricreate anche delle zone intorno alle gondole dei motori in corrispondenza degli scarichi delle turbine.

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I pozzetti carrello e la parte interna dei relativi portelloni, le gambe di forza dei carrelli e i cerchioni degli pneumatici sono in White Alluminium della Alclad.

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Prima di procedere alla stesa del trasparente lucido per i lavaggi, ho ricreato alcuni particolari molto ben visibili nella parte inferiore della fusoliera. In particolare:

    • Due antenne UHF circolari: per questi dettagli ho sfruttato le stesse mascherine Eduard che, inizialmente, erano previste per la verniciatura dei cerchioni degli pneumatici. Le dimensioni sono compatibili con la scala e possono essere utilizzate senza problemi.
    • Uno scambiatore di calore a ridosso del portellone di carico: aggiunto mediante il nastro da idraulica già utilizzato in precedenza. I due fori circolari sono stati ottenuti con una fustellatrice.
    • Un’antenna di forma rettangolare vicino al pozzetto carrello anteriore: ricreata, anche questa volta, con due rettangolini sovrapposti di nastro metallico adesivo e verniciata in nero.

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Il colore che ho scelto per il “washing” è il Bruno Van Dyck scurito, leggermente, con del Nero Avorio. Per le superfici superiori questa tinta è perfetta perché mette in risalto le pannellature senza creare un contrasto eccessivo, a mio avviso; per quelle inferiori ho utilizzato un grigio medio mischiando del Bianco di Marte e del Nero Avorio.

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Inizialmente ero molto indeciso sul metodo più indicato per realizzare un invecchiamento credibile del mio “Herky” (com’è affettuosamente chiamato dai propri equipaggi); c’è da dire che gli esemplari in carico alla IAF non hanno mai avuto particolari problemi di fading delle vernici, anzi sono da sempre ben tenuti e ridipinti di frequente.

Questa volta, però, ho deciso di “calcare” un po’ la mano realizzando un weathering più visibile e che potesse valorizzare meglio le forme di un modello che, altrimenti, sarebbe risultato un po’ “giocattoloso”. Quindi, ipotizzando una cottura delle vernici a causa dell’impietoso sole della Terra Santa, ho schiarito i pigmenti di base con del grigio chiaro e sbiadendo il centro dei pannelli del kit usando la tecnica del post shading. Da sottolineare che l’ombreggiatura è stata ripetuta, in modo graduale, dopo ogni mano di lucido data al modello, poiché il trasparente tende ad attenuare molto l’effetto facendolo quasi sparire del tutto.

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Per le superfici inferiori, invece, ho cercato di riprodurre le colature e la sporcizia che si accumula a causa dei detriti e dell’acqua piovana sollevata dagli pneumatici (in particolare l’anteriore). Usando un mix di grigio, verde scuro e anche marroncino estremamente diluiti, ho aerografato degli “spot” di colore che poi, man mano, ho amalgamato tra loro. Il tocco finale è stato dato da scie di liquidi riprodotte con colore a olio tirato via da un cotton fioc pulito e asciutto.

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Decalcomanie:

Le decalcomanie, purtroppo, meritano un discorso a parte. Il foglio da me utilizzato è l’unico disponibile nella scala 1/72, ed era prodotto dalla Sky’s Decal. Ho usato l’imperfetto poiché l’articolo 72011 è oramai fuori produzione e di difficile reperibilità.

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In corso d’opera mi sono reso conto che le decal della ditta israeliana non sono corrette e mancanti di alcuni codici. Per chiarire quello che ho sopra accennato, all’epoca del Raid su Entebbe i C-130 dell’Israeli Air Force avevano delle registrazioni civili (tecnicamente dette “marche”) riportate sopra e sotto le ali, e sulla deriva. Queste marche erano in nero e staccavano molto rispetto ai colori chiari della mimetica. Nell’aftermarket della Sky’s, per errore, le marche civili previste per le superfici inferiori delle ali sono state realizzate in bianco… colore, tra l’altro, mai adottato e che, inspiegabilmente, è stato usato per le insegne in scala. A oggi, queste registrazioni civili non sono più presenti sugli Hercules israeliani, quindi non è possibile un raffronto diretto con una documentazione di riferimento, ma da una vecchia foto scattata agli inizi degli anni ’80 è raffigurato un esemplare colto di profilo in cui si nota chiaramente la marca sotto la semi ala sinistra in nero.

Per farla breve, per completare il vostro modello avrete bisogno di due fogli decal da cui prelevare un’ulteriore marca di colore nero, oppure di armarvi di santa pazienza e ricreare i codici al PC o mediante mascheratura. Insomma, un lavoro sicuramente tedioso. Personalmente ho preferito la prima opzione reputandola più immediata, anche se più costosa.

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Ad ogni modo i problemi con le decalcomanie non sono finiti qui: esse, infatti, hanno la brutta tendenza a strapparsi con estrema facilità, oltre ad impiegare un tempo enorme per separarsi dal supporto di carta assorbente. Al primo inconveniente ho rimediato, parzialmente, immergendole in acqua abbastanza calda; al secondo…. con tanta pazienza, qualche “preghiera” e tante imprecazioni!

Per finire, non sono rimasto contento neanche del loro potere adesivo e della loro capacità di reagire ai liquidi emollienti della Microscale. Non provate, inoltre, a usare dei “decal softner” più aggressivi (quali il Mr. Mark Softer ad esempio) poiché i colori tendono a sciogliersi, letteralmente.

Montaggio finale e ultimi ritocchi:

Gli ultimi particolari da aggiungere sono relativamente pochi, e quest’ultima fase del lavoro scorre via veloce. Per la finitura finale del modello ho creato un mix di 60% Cera Future e 40% di Flat Base Tamiya, il tutto diluito con tre spruzzate di detersivo Chante Clair. Il metodo è ottimo, provare per credere! L’importante è non esagerare con la base opaca, altrimenti c’è il rischio di ritrovarsi il modello con un bruttissimo “effetto porcellana” sulle sue superfici.

Ho aggiunto alcune antenne a lama fotoincise che ho prelevato dal solito set della Flightpath. Sempre in fotoincisione sono i due supporti delle antenne a filo che dalla fusoliera (dietro all’abitacolo) corrono fino all’impennaggio. Per la realizzazione dei cavi ho utilizzato l’ottimo elastometro “SBM Wire” verniciato in Nero Opaco.

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L’ultimo tocco è stato l’aggiunta dei serbatoi supplementari (in pratica sempre presenti) e delle eliche quadripala che hanno parti in Nero Opaco, Grigio F.S.36375 e le tip in Arancione Fluorescente della Revell (Fluorescent Orange Matte – mi raccomando di stendere questo colore solo su una base di bianco opaco per favorirne il grip).

Conclusioni:

Il mio lavoro è una memoria per tutte le vittime del dirottamento del volo Air France 139, del terrorismo e di Yonatan “Yoni” Netanyahu. Spero, anche, che il mio modello possa ricordare un avvenimento importante della nostra storia contemporanea, purtroppo spesso dimenticato o messo poco in risalto.

Un saluto a tutti. Buon modellismo!

Valerio – Starfighter84 – D’Amadio.

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Uno Starfighter venuto dal freddo – F-104 G dal kit Hasegawa in scala 1/72.

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Ormai si sa, gli F-104 sono come le ciliegie: uno tira l’altro!

Questa volta ho voluto riprodurre un esemplare un po’ inusuale, un F-104 danese: a parer mio ha una delle più belle colorazioni adottate dallo “Spillone”, benché fosse monocolore verde assumeva un invecchiamento (che io chiamo “ragnatela”) che sbiadiva il colore formando quasi una vera e propria mimetizzazione . E proprio sulla colorazione che mi soffermerò, mentre andrò un po’ veloce sulle fasi di montaggio; il kit hasegawa in 1/72 non necessita di presentazioni …

Costruzione:

Ho voluto rappresentare l’aereo con il vano avionica e il vano dell’ossigeno aperti, quindi ho utilizzato il set in resina della CMK . Sempre in resina ho utilizzato lo scarico della Cutting Edge.

 

Come sempre la costruzione ha inizio dal cockpit , dove ho auto costruito le pareti laterali mentre il resto è da scatola.

La costruzione fila veloce e l’adattamento delle resine non da particolari problemi.

 

Colorazione:

Per colorare i miei modelli utilizzo sempre solamente i pennelli e colori acrilici . Le varie tonalità le faccio io mischiando i vari pigmenti fino a raggiungere il colore che mi soddisfa, per esempio su questo modello per ottenere il colore di base  ho mischiato verde e nero …

La colorazione ha inizio passando sul modello una mano di bianco per non dare il colore di base direttamente sulla plastica. Dopo di che si passa alla colorazione vera e propria: si stendono varie mani di colore abbastanza diluito fino a  coprire tutto . Fatto questo, per togliere eventuali segni di pennello utilizzo la tecnica del drybrush: prendo un pennello piatto e lo intingo nel colore di base , poi lo scarico togliendo il colore su della carta assorbente e lo passo con un movimento rotatorio sui pannelli . Alla fine i segni del pennello non si vedranno più .

 Invecchiamento

La parte che preferisco di un modello è l’invecchiamento. Per l’invecchiamento di questo modello mi sono basato su varie foto , e ho proceduto sempre con la tecnica del drybrush . Ho lavorato a parti e ho proceduto nel modo che descrivo di seguito.

Ho iniziato schiarendo i vari pannelli , sempre con il pennello a secco dato con movimenti rotatori  utilizzando verdi sempre più chiari  fino ad ottenere un risultato che mi convincesse.

La parte usurata dal calore dello scarico del motore e stata fatta sempre con il dry brush.

Passo con un pennellino un nero-marrone diluitissimo all’interno delle pannellature e schiarisco ancora un po’ i pannelli.

Il procedimento sarà uguale per tutto l’aereo…

Ora faccio la “ragnatela” con il colore di base con una punta di nero.

Ed ecco la colorazione finita, non ho voluto invecchiare troppo la parte inferiore perché dalle foto questa zona non era soggetta a deterioramento come le superfici superiori.

Purtroppo, che io sappia, non esistono decals complete per riprodurre F-104 danesi, pertanto ho dovuto arrangiarmi con vari fogli di decals avanzate e molte le ho riprodotte a mano con pennellino fine e tanta pazienza (ad esempio alcuni stencil).

 

Alla fine si aggiungono i carelli, i portelloni e si fanno i soliti ritocchi finali.

 

 

Ringrazio tutto lo staff di Modeling Time per avermi dato l’opportunità di pubblicare questo mio articolo.

 Un saluto a tutti!

Andrea – Trachio001

Kit Review – CH-47D “Chinook” + Detail Set – Italeri in scala 1/48.

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Tra i “mostri sacri” della storia dell’aviazione, un posto di prim’ordine spetta al Boeing CH-47 Chinook. Derivato dal Vertol CH-46 (poi Boeing/Vertol), l’YCH-47 effettuò il primo volo il 21 settembre 1961, entrando l’anno successivo nelle file dell’U.S. Army come CH-47A. Dal lontano ’61 ad oggi ne sono stati prodotti circa 1200 esemplari, ed anche se molto anziano, il suo progetto si è rivelato estremamente valido continuando a succedere a se stesso con sempre nuove versioni. Il Chinook è il più diffuso elicottero tra le forze aeree occidentali, le quali possono contare su un mezzo dalle elevate capacità di carico sia interne e sia esterne. In Italia l’interesse verso il CH-47 iniziò nel 1967 a seguito di un tour nel nostro paese di un esemplare statunitense a Pratica di Mare, Frosinone e Bolzano. In previsione dell’adozione da parte dell’Esercito Italiano, l’Agusta (ora AgustaWestland) ne acquisì la licenza di produzione, consegnando i primi due esemplari nel 1973. A un primo ordine per 26 esemplari nella versione C, negli anni 1980/90 ne è seguito uno ulteriore per la variante C “Plus” con turbine più potenti, pale in materiale composito, trasmissione rinforzata e peso massimo portato a 22.680 Kg. Nelle file del nostro Esercito il Chinook si è dimostrato un mezzo validissimo trovando largo utilizzo nei più svariati impieghi, quali l’appoggio alle truppe paracadutiste e alpine, trasporto e collegamento nonché velivolo insostituibile nelle diverse missioni di pace dei nostri contingenti all’estero. Dalla Somalia nel 1992 al Mozambico nel 1993, dall’Albania nel 1997 al Kosovo nel 2000, per arrivare poi all’Iraq nel 2003 fino all’attuale missione in Afghanistan.

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Un elicottero così importante non poteva non attirare l’interesse delle ditte modellistiche, e tra queste non poteva mancare la nostrana Italeri che, dopo avere prodotto nella classica scala 1/72 vari kit del nostro Chinook nelle versioni C/D ed MH-47E SOA, ha ora immesso sul mercato un bel modello di CH-47 D nella più grande scala del quarto di pollice. Contraddistinto dal numero di catalogo 2672 la scatola riporta un’accattivante “box art” di un velivolo olandese con le insegne della SFOR. All’interno, le cinque differenti stampate in plastica grigio chiaro più e due relative ai trasparenti, rivelano le imponenti dimensioni del modello, che una volta ultimato raggiunge ben 34 cm. di lunghezza. Chiare e di facile consultazione le istruzioni per il montaggio, ma in questo caso si può tranquillamente parlare di libro istruzioni, composto com’è di ben venti pagine, che mettono al meglio in risalto le differenze tra una versione e l’altra. I pezzi a disposizione permettono la realizzazione di modelli nelle varie serie costruttive A-B-C e D. Ottimo il dettaglio di superficie con pannellature precise anche se leggermente larghe e stupendo il dettaglio interno, con il materiale fonoassorbente che riveste le pareti finemente riprodotto. Altrettanto ben riprodotta la cabina di pilotaggio e ricco di particolari il vano di carico, tanto da invitare il modellista a realizzare il kit “tutto aperto”.

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Da un primo esame a secco, i vari particolari sembrano combaciare perfettamente, specialmente la grande fusoliera, riducendo al minimo l’uso dello stucco. Buona la zona motori così come ben realizzati i due grandi rotori, pale comprese. Come detto, due le stampate dei trasparenti dalla buona trasparenza, con dotazione di due differenti “musoni” da scegliere (uno per le versioni A-B e l’altro per le versioni C-D). Notevole, non solo per dimensioni, e ricco il foglio decals realizzato dalla Cartograf, grazie al quale è possibile scegliere quattro differenti “soggetti”. Si va da un CH-47 D del 289 Sqn. Olandese ad un esemplare dell’Ejército de Terra Spagnolo, ad un Chinook della versione C dell’Esercito Italiano impiegato in Afghanistan nel 2007. Per finire non poteva mancare un esemplare con i colori dello “Zio Sam” di base in Texas ed utilizzato dalla National Guard. Per concludere, un ottimo e fedele kit di CH-47 alla portata di tutti i modellisti, con l’unico problema “dell’esposizione al pubblico”, viste le sue generose dimensioni una volta ultimato.

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CH-47 CHINOOK DETAIL SET.

Al fine di rendere ancora più “appetibile” il suo già ottimo CH-47, l’Italeri ha pensato bene di arricchirlo con un set di dettaglio di pregevole fattura. Commercializzato con il numero di catalogo 26002, il set si compone di ventidue parti in resina, un foglio di fotoincisioni “classico” ed uno con dettagli PE (photo etched) pre-verniciati. Questo set permette di super dettagliare le zone più “calde” del modello, a partire dall’abitacolo, migliorandone in particolare i cruscotti ed i sedili dei piloti, la zona motori, con griglie in lamierino, e il portellone posteriore, parte assai visibile, specialmente se si vuole montare il modello al parcheggio. Molte delle parti in resina, rappresentano inoltre i numerosi dispositivi di auto protezione e sensori montati retroattivamente durante l’impiego operativo e di cui ne è costellata la fusoliera. Come già detto un set veramente pregevole, grazie al quale si potrà realizzare un modello di Chinook assai fedele alla realtà, con la sola differenza che questo non potrà, purtroppo, “spiccare” il volo.

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Buon montaggio e buon modellismo a tutti.

Il “Macchino” della Sperimentale – MB.326K dal kit ESCI in scala 1/48.

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Io credo che nella vita di ogni modellista un tema principe, un filo da seguire ,durante la costruzione dei vari modelli sia una cosa essenziale ed innata in ognuno di noi. C’è chi predilige i velivoli dell’U.S Navy o degli “Yankees” in generale,c’è chi preferisce gli aerei della Israeli Air Force, e cosi via; e c’è chi come me ha un debole per i velivoli della nostra cara Aeronautica Militare Italiana. Proprio per questo, modello dopo modello, scatola dopo scatola, in me è nata l’idea di rappresentare tutti i maggiori aeromobili appartenenti ed appartenuti alla nostra A.M.I. Progetto ambizioso, lo so, ma anche piacevole da fare, considerando che, un appassionato del volo militare come me, si sente profondamente onorato a rappresentare i velivoli che portano in corpo il fregio tricolore. Ovviamente non tutti i modelli sono molto facili da reperire specialmente perchè, essendo aerei appartenuti ad una singola nazione (come l’Italia ad esempio), sono kit che di rado vengono tenuti in considerazione dalle case modellistiche,  oppure sono kit così vecchi da esser poco reperibili sul mercato.
Quindi allargare la mia collezione di velivoli italiani con un MB-326K era abbastanza difficile dato che l’unica rappresentazione nel quarto di pollice la offriva l’ESCI con una scatola datata 1982. Le ricerche sono durate veramente tanto ma, grazie alla complicità di un amico, dopo un bel po’ di tempo sono riuscito ad avere il kit sotto mano.

Detto ciò è giusto specificare che a livello storico l’MB 326K non fu un aereo “attivo” nella nostra forza aerea (si preferì utilizzare altri candidati per ricoprire il suo ruolo), ma riscontrò un grande successo all’esteronin paesi come Brasile, Australia, Sud Africa  divenendo, insieme al suo fratello addestratore (l’MB-326 E), il velivolo italiano più venduto dal dopoguerra ad oggi con totale di 800 esemplari distribuiti tra circa 12 nazioni.

Il kit:

Come detto precedentemente l’unico kit presente sul mercato per rappresentare la versione monoposto del “Macchino” è l’ESCI (intitolato Aermacchi MB-326K Impala). Lo stampo non è affatto male per gli anni che ha sulle spalle; esso si presenta suddiviso in quattro stampate di colore grigio, con dettaglio in fine negativo e una scomposizione che dà luogo ad un montaggio semplice e lineare. Anche se è sostanzialmente ben fatto, il modello soffre di un leggero problema di incastri nelle giunzioni ali/fusoliera e nell’allineamento delle due piccole prese d’aria.Inoltre, con disegni quotati alla mano ,la fusoliera risulta essere circa 2 mm più corta rispetto all’originale e necessiterebbe di essere allungata. Questo, però, è un lavoro che andrebbe affrontato ancor prima di iniziare il montaggio vero e proprio dei pezzi.

Costruzione:

Premesso ciò iniziamo a parlare di modellismo “pratico”. Vista la rarità del kit era mia intenzione rappresentarlo al massimo delle mie potenzialità e proprio per questo  il mio occhio non tollerava del tutto il cockpit (totalmente privo di dettagli); poichè era, sin dall’inizio, mia intenzione rappresentare il modello con il canopy aperto, l’unica opzione a cui potevo ricorrere era quella di un auto-costruzione integrale dello stesso. Premetto di non essere uno “scratchbuilder” incallito anzi, quando posso, ricorro il più possibile ai tanti aftermarket oggi in circolazione. Vista l’anzianità e la poca popolarità della scatola di montaggio, però, sono dovuto ricorrere all’autocostruzione. Dopo aver raccolto quanto più materiale documentativo possibile, armato di santa pazienza ho cominciato a lavorare sul cockpit del K. Inizialmente ho ricreato i vari tubicini posti dietro il sedile del pilota, avvalendomi di fili di rame e sprue sagomati, arrivando a questo risultato:

Ovviamente anche la vasca necessitava di una “aggiustatina” considerando che per la strumentazione delle consolles laterali venivano fornite delle semplici decal. Documentazione alla mano, e con tutto il supporto del forum di Modeling Time, il lavoro di autocostruzione è andato avanti riproducendo con del plasticard e della lenza da pesca tagliata a fettine, tutto il pilot’s office.


I materiali sono stati i più disparati: partendo dai classici fili di rame per creare le levette, arrivando ad utilizzare vecchie corde di chitarra per fare il tubo dell’erogazione dell’ossigeno per il pilota. Altro problema da me affrontato riguardava il dettaglio del cruscotto: per realizzare i quadranti avevo, inizialmente, scelto di sagomare dei quadratini di Plasticard di opportuna misura ma, purtroppo, esso risultava troppo spesso. Alla fine ho deciso di ripiegare su delle vecchie fotoincisioni che, tagliate e forate in modo opportuno, hanno dato il giusto dettaglio al pannello frontale.

Perfetto, tutto era pronto! Non vi nego che una certa soddisfazione scorreva dentro di me, per la prima volta ero riuscito a crearmi qualcosa da solo senza ricorrere ad aftermarket o quant’altro… ma si sa, il lupo perde il pelo ma non il vizio! Anche grazie al suggerimento dell’amministratore di Modeling Time – Valerio (che più di me ne è un cultore) – ho pensato: “perché non utilizzare la vasca rielaborata e ricavarne una copia in resina?”.
Sfruttando come master il “Pit” auto costruito e grazie all’ utilizzo di gomma siliconica e resina, ho tirato fuori il mio primo accessorio aftermaket!  esso è stato, poi, corredato di  seggiolino in resina della OzzMods (rifinito con maniglie di espulsione e cinture di sicurezza) che ha completato il tutto.

Ovviamente essendo il mio cockpit un pezzo derivato da quello da scatola non ho avuto il benchè  minimo problema di adattamento negli scassi delle due semi fusoliere.

Come resto, il montaggio generale  non è stato particolarmente difficoltoso; basta avere un po’ di cura ed il modello, davvero ben fatto come incastri, fila via che è una meraviglia. Ovviamente quando credi che tutto il lavoro che stai facendo vada per il verso giusto ti accorgi di altri dettagli che proprio non riesci a mandare giù. Nel mio caso si è trattato dei due cannoni presenti in la fusoliera che, nella scatola, sono rappresentati più che altro da due “sporgenze” senza forma! anche lo scarico è davvero corto ed irreale. Per quanto riguarda i primi c’è da fare una piccola premessa: il velivolo da me rappresentato, l’RS-24(I-AMKK), montava due cannoni da 30mm ADEN le cue canne, a differenza dei DEFA adottati successivamente, sporgevano solo un un paio di centimetri dalle carenature che li contenevano. In definitiva i pezzi forniti da scatola risultano essere tremendamente inadeguati a riprodurre il sistema d’armamento del K.


Per eliminare questo errore ho deciso di prelevare i cannoncini contenuti nella scatola Frems dedicata all’MB.339 (fortuna che io sono uno di quei tipi che non butta mai niente) e, ricavando l’alloggiamento nelle carenature in plastica del mio 326, vi ho inserito i due profilati in ottone.


Per ciò che riguarda lo scarico, ecco è stato ricostruito praticamente da zero utilizzando il corpo di una penna per il condotto interno. Il pezzo originale, invece, è stato usato come dima per il corretto inserimento del nuovo “tubo” all’ interno della fusoliera.


Detto ciò, avendo colmato le lacune più significative del modello, la costruzione è proceduta senza particolari intoppi. Mi sono semplicemente soffermato a ricostruire alcuni dettagli come il pozzetto anteriore, i flap, il collimatore di puntamento sul cruscotto ed altre piccolezze, quindi dopo aver effettuato alcune doverose reincisioni ed aver passato una buona mano di primer, mi sono sentito pronto per la verniciatura.

Verniciatura:
L’MB 326K presentava, ai tempi della dimostrazione all’Air Show di Farnborough, una mimetica a tre toni di colore (2 tipi di verde ed un colore sabbia) su tutta la sua parte superiore. Le superfici inferiori erano di un colore grigio riconducibile all’FS 36222 (Gunze H-311). Quest’ultimo riferimento non è frutto di note reperite nella documentazione (che, per altro, non dà suggerimenti a tal proposito), bensì una mia interpretazione basata su esperienza e accostamento cromatico di varie tonalità di grigio rispetto alle foto in mio possesso. Partendo da questo presupposto ho iniziato a stendere i primi colori sul mio modello partendo, proprio, dal 36222 della “pancia”.

Successivamente, ho inziato ad applicare la mimetica a tre toni utilizzando, a tale scopo, la validissima tecnica del Patafix. Ho prestato attenzi0ne nel realizzare i bordi, che delineano un colore dall’altro,  più netti possibile. Per far ciò ho schiacciato i salsicciotti di Patafix il più possibile, curandomi di spruzzare le vernici quanto più perpendicolarmente alle mascherature, quindi dopo una lunga serie di mascherature ritocchi ecc ecc ,creandomi vari mix di colore che mi soddisfacessero, ho ultimato la verniciatura. Questi i colori utilizzati:

  • Verde chiaro: 50% di Gunze H-303 e 50% di H-309. Per rendere la tinta più simile alla realtà vi ho spruzzato sopra una leggera velatura di Olive Drab Tamiya.
  • Verde scuro: 8 gocce di H-309 con 2 di nero opaco.
  • Marrone: base di Gunze H310 schiarito con 10 gocce di H-310,5 gocce di H-318 e 5 gocce di XF-4 Tamiya.
  • Bordi di attacco dell’ala, della deriva e musetto: Gunze H-308 con una goccia di blu e 2 di bianco.

Il cono di scarico è stato colorato internamernte con il Burnt Metal della Model Master, ed esternamente con il White Alluminium Alclad (imbrunito con leggerezza con dello smoke Tamiya). L’interno dei vani carrello, dei flaps e dell’aerofreno sono stati vernciati in Zinch Chromate Green Model Master; le  gambe di forza e l’interno dei  portelloni con l’Alluminio 11 della Humbrol.

Washing e Decals:
Un aspetto fondamentale, che sin dall’inizio ho tenuto in considerazione per realizzare il mio K, è stato il grado di usura da riprodurre. Realizzare un velivolo dimostratore che, sostanzialmente, non è granchè soggetto all’usura delle itemperie può risultare abbastanza complicato perchè si tente sempre a “calcare” troppo la mano con l’invecchiamento. Quindi, esclusa  in partenza la possibilità di un postshading, ho preferito adottare un semplice lavaggio con colori ad olio utile, nel mio caso, a delineare solo i pannelli. Per il washing ho utilizzato un grigio abbastanza chiaro passato su una superfice più lucida del solito così da non incappare in alcun tipo di “effetto filtro” (il filtro appare quando la superficie del modello è opaca o satinata per cui l’olio viene assorbito dalla vernice di fondo sporcandola).

Dopo i lavaggi ho sigillato il tutto con ulteriori due mani di lucido.

Decal:
Il kit in mio possesso era stato riposto in un umido garage per molti anni. Pur datato 1982, l’unico componente che ha subito un deterioramento irrimediabile è stato il foglio decals. Purtroppo, nel già ristretto panorama degli aftermarket dedicati ai velivoli italiani, non è mai esistito un foglio decal accessorio per il 326K; quindi l’unica via per ottenere delle “nuove” decalcomanie era la stampa “home made”, ovvero fare tutto in casa. Grazie alla complicità di un amico molto bravo nell’utilizzo di Photoshop, armati di una  buona dose di pazienza e di un buon Mac abbiamo iniziato a riprodurre graficamente tutte le insegne che all’epoca erano applicate all’RS-24.

Se il lavoro al PC è stato relativamente facile (il mio ruolo si è limitato a quello di supervisore) la stampa, e specialmente l’applicazione delle decal custom non è stata per niente facile. Quando si tratta di questo tipo di lavorazione, l’ideale sarebbe disporre di una stampante ALPS (che è in grado di stampare anche il colore bianco); non possedendo questo particolare tipo di periferica, mi soono dovuto limitare all’uso di una ink jet fotografica con una buona risoluzione.

Altro problema principale delle decalcamonie “casalinghe” è lo scarso potere adesivo del foglio e dello spessore dello stesso (personalmente ho usato i fogli trasparenti dell’americana Expert Choice) , oltre all’obbligo di scontornare al massimo ogni singola insegna poichè esse sono stampate su un unico supporto di film. Ho cercato di limitare al massimo il rischio di silvering derivato utilizzando i prodotti della Microscale (Micro Set) come fissativo, ed il Mr. Mark Softer della Gunze (prodotto molto più aggressivo del Micro Sol) come ammorbidente; oltre a questo, necessariamente la superficie del modello deve essere più che lucida.


Una volta applicate tutte le decalcomanie è stata mia cura passare più di  due abbondanti mani di lucido per ridurre lo spessore che l’adesivo creava con la superfice, oltre che  rifinire delicatamente la superficie del modello con della carta abrasiva finissima (grana 10.000 in pratica) per appianare ulteriore i dislivelli.

Montaggio finale:
Perfetto, adesso tutto è al proprio posto e manca solo l’opaco finale .


Che dire? è stato un progetto tanto difficile quanto piacevole da realizzare. Ho cercato, nel mio piccolo, di dettagliare il modello al massimo delle mie potenzialità. Ricapitolando, i lavori di miglioramento per questa scatola di montaggio sono stati:

  •  Autocostruzione completa del cockpit e clonazione in resina dello stesso (l’intervento più evidente).

  • Modifica delle carene dei cannoni con l’aggiunta delle canne in ottone.
  • Autocostruzione del collimatore di puntamento posto sulla palpebra frontale.
  • Lavoro di dettaglio sulle gambe dei carrelli (tubi,tubicini ecc.).
  • Ricostruzione  di tutto l’interno del pozzetto del carrello anteriore.
  • Miglioramento e modifica dei piloni subalari.
  • Lavoro di dettaglio nell’interno del canopy.
  • Aumento della profondità del condotto di scarico.
  • Posizionamento corretto della NAV Light inferiore con ricostruzione delle due scatolette inferiori.
  • Separazione dei flap dalle ali ed aggiunta delle superfici mobili in resina della OzzMods.
  • Riproduzione delle decal “custom”.

E’ stato veramente bello riuscire a portare a compimento questo stampo “anzianotto” ,specialmente perché a quest’ora sarebbe rimasto a marcire in un’umida cantina senza mai riuscire a vedere la luce. Se la riuscita del kit è avvenuta in maniera discreta è stato grazie al supporto ed all’aiuto che il nostro bellissimo Modeling Time è stato in grado di darmi.
Happy modelling a tutti!

Un saluto.
Giuseppe “Snake88” Virgitto.

Tested on Workbench! Recensione nuovi trasparenti acrilici Tamiya (Semi-Lucido e Opaco).

Finalmente arrivati e provati i due nuovi trasparenti della Tamiya, forse i più attesi da noi modellisti,presenti tra la nuove tinte sfornate da qualche mese dalla casa Nipponica. Sto parlando del SEMIGLOSS CLEAR X-35 e del FLAT CLEAR XF-86. Questi due prodotti vanno a colmare la lacuna presente da tempo nella gamma di trasparenti della Tamiya ma anche a sopperire a vari problemi di Finishing con altri prodotti. Infatti con questi due Clear si è smesso di combattere con i vari flat base ma anche con la scarsa reperibilità dell’ottimo opaco prodotto dalla GSI Creos,meglio conosciuto come Gunze H-30.
Ecco come si presentano:

 

Ovviamente la prova sul campo non poteva mancare. Ho adoperato un FW-190 in 1:72 della Academy che avevo realizzato molti anni fà come palestra per i Vallejo Air.Ebbene dopo aver glassato il modello velandolo con 1 mano di Tamiya Clear Gloss X-22 diluito al 70% con l’X-20A, dato sopra al precedente gloss Vallejo è iniziata la prova vera e propria.

Premetto che il prodotto gloss vallejo dato anni fà non mi reso la superfice regolare e liscia per mia colpa, quindi qualche irregolarità visibile controluce non è imputabile ai prodotti tamiya che si sono comportati in maniera eccellente. Ma veniamo a noi adesso ed alla prova di fatto. Ho aerografato metà modello con il semigloss e l’altra metà con il flat. Entrambi i prodotti sono stati diluiti con percentuali del 70% di X-20A ed aggiungendo almeno un 7% di paint retarder Tamiya, direttamente nella coppetta dell’aerografo. E’ fondamentale diluire questi due clear,come tutta la gamma dei clear tamiya, con il loro diluente e non con altri prodotti per evitare aloni biancastri o risultati irrimediabilmente disastrosi. Lo stesso vale per la pressione da settare sul manometro; chi ha avuto modo di provare il clear X-22 Tamiya sà benissimo che non bisogna superare le 0,8 – 0,9 atm per evitare la comparsa di aloni e macchie biancastre. Questi due prodotti non fanno eccezzione;stesse accortezze del Gloss Clear e tutto fila liscio come l’olio.
La pressione di spruzzo per questa prova è sempre stata intorno alle 0,5 atm e mai oltre.

FLAT CLEAR:

All’apparenza torbido, appena diluito si chiarifica molto e scorre nell’aerografo senza problemi lasciando nellaria l’odore caratteristico delle vernici tamiya. Con questa diluizione la mescola è ottima e non lascia la superfice subito opaca e dall’aspetto polveroso o con rusodità simile alla terraccotta come alcuni flat. L’opacizzazione è modulabile e la luce viene assorbita e riflessa in maniera uniforme lasciando la superfice setosa e liscia ma assolutamente non ruvida. La luce ed i riflessi tipici della vernice lucida si attenuano completamente dalla 3 velatura, evitando di bagnare la superfice ed avendo l’accortezza di aspettare che sia asciutta la precedente passata di clear.La luce che colpice il modello crea come dicevo prima un effetto setoso sul modello creando dei riflessi molto mobidi e assolutamente piacevoli. La prova volutamente effettuata su una mimetica scura ha voluto testare se questo prodotto lasciasse antiestetici aloni o cambiasse la tonalità sbiadendola o spegnendo alcuni effetti speciali. Ebbene no:niente aloni o cose strane.
Schiarisce di pochissimo i toni e,almeno se ben diluito come ho fatto io, questo XF-86 opacizza e non lascia aloni di alcun genere, a patto di non andarseli a cercare; soprattutto quello che mi ha positivamente colpito è la finitura che lascia: liscia ma al tempo stesso opaca al punto giusto da creare quella gradevole e morbida diffrazione della luce sui volumi. L’asciugatura completa avviene in circa 3 ore e molto dipende dalla temperatura ambiente oltre che dall’uso o meno del paint retarder(che io consiglio caldamente di utilizzare per i migliori risultati) Con 4 mani diluite al 70% e velature molto leggere si ottiene un’ottima opacizzazione della superfice.
Se non basta su può ripetere l’applicazione a patto di aspettare la completa asciugatura per avere una idea più veritiera.

SEMI GLOSS CLEAR:

Stessa diluizioni e stesse pressioni d’esercizio usate per l’X-35.
Valgono le considerazioni fatte per il flat riguardo odore, aggiunta di paint retarder ed uso del diluente Tamiya. Questo semigloss è proprio….. un semigloss!Un satinato vero e proprio. Infatti lascia la superfice liscia e legermente più lucida ma lontana anni luce dall’aspetto che si ottiene dal classico gloss. La smorzatura dal gloss al semigloss da me effettuata sul modello è molto evidente già dalla seconda velatura. A fine applicazione, e ad asciugatura del prodotto, il modello aveva già perso l’aspetto giocattoloso regalando rei riflessi di luci più unifomi e meno forti del gloss.Davvero piacevole da osservare in controluce. Ovviamente lo stacco tra flat e semigloss c’è e si vede ma l’idea di qualcosa dalla finitura satinata è molto convincente. Questo semigloss è più qualcosa che si avvicina alla finitura lucida che a quella opaca, semmai si puo smorzare ancora di più quel leggero effetto lucido con l’aggiunta di un 20% di flat XF-86 nel semigloss. Anche questo prodotto non mi ha lasciato nessun alone o cose strane se diluito e spruzzato seguendo dei piccoli accorgimenti peraltro arcinoti a chi utlizza già altri clear Tamiya.
Ecco le foto dei due prodotti sul Test-Model:

 

Direi che, pur non avendo mai provato il prodotto Flat Clear della Gunze, queste due new entry, serie clear, della Tamiya mi hanno lasciato positivamente colpito,anzi molto di più e vi consiglio di provarli da subito. Personalmente avento provato altre marche di flat, o di clear in generale, e sapendo che problemi danno vista la loro consistenza lattiginosa e biancastra questi due prodotti mi hanno letteralmente convinto e credo proprio di poter affermare che tutte le rotture di utilizzo dei clear siano solo un brutto ricordo oramai.
La facilità e la leggerezza con cui li ho testati unita agli ottimi risultati ottenuti hanno reso questa fase una regolare routine di aerografia e non un’incontro di pugilato come avveniva con gli altri prodotti di refinishing. C’è chi ama i colori tamiya e chi li odia ma alla fine è tutta questione di gusti e soprattutto di abitudine…..ma chi li ama, come me,dal nostro canto si ha un prodotto più facilmente reperibile,almeno su suolo Italinao, del Gunze e con risultati ottimi,easy and very smooth!

Builder-Tester
Aurelio Laudiero @ FreestyleAurelio

Una lunga dinastia di fratelli e fratellastri. Sukhoy SU-11 Fishpot C – Conversione KAZAN su base SU-7 Fitter della OEZ in scala 1/48.

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L’evoluzione della famiglia SU 7 -17 -22 e Su9-11-15:

L’ufficio tecnico (OKB) SUKHOY mentre sviluppava il caccia bombardiere SU 7 FITTER con ala a forte freccia che diede vita alle versioni successive con ali a freccia variabile su 17 e Su22,   parallelamente portava avanti gli studi per una versione con ali a delta da destinare alla difesa aerea e che venne designato SU 9 (FISHPOT nel codice Nato). Questo caccia aveva un radar ALMAZ ( diamante) ed era armato con missili R5MS ( AA1- ALKALI )i quali erano però piuttosto limitati nel loro inviluppo di volo. Per sopperire a questi limiti i progettisti svilupparono una nuova versione con un nuovo e più potente radar l’OREL ( Aquila) designato SKIP-SPIN dalla Nato e nuovi missili con una migliore portata utile, gli R8M (AA3 ANAB ) in numero di due al posto dei quattro del SU 9. la nuova designazione fu SU 11 FISHPOT C.


Per far posto al nuovo e più ingombrante radar il muso venne  riprogettato con una presa d’aria ingrandita, ma fu subito chiaro che il cono radar più grande  e la maggior sezione della presa d’aria facevano perdere in prestazione,diminuivano la tangenza pratica,l’accelerazione e la velocita massima. Durante i collaudi si decise quindi di sostituire l’originale motore LYUL’KA AL-7F1 con la più potente versione F2, in questo modo si recuperava parete della resistenza aerodinamica per la nuova presa d’aria anche se le prestazioni restarono sempre inficiate dalle notevoli dimensioni della nuova istallazione.


Il caccia entrò in servizio nel 1962 e vi rimase fino agli anni Ottanta, anche se nel frattempo aveva volato in ben più prestante SU 15 FLAGON,epigono della famiglia con formula bimotore. L’ultimo dei 108 esemplari prodotti di su 11 è stato radiato nel 1983.

Il modello:

Era da tempo che accarezzavo l’idea di trasformare il SU 7 della OEZ in un SU 9 auto costruendomi le ali a delta con il plasticard, pensando erroneamente che, in fondo, la fusoliera è la stessa del FITTER e non sarebbe stato un lavoro troppo complicato. È bastato che mi capitassero sottomano i disegni tratti da   www.airwar.ru  per capire che facile non lo sarebbe stato di sicuro,la fusoliera è diversa nel muso che è leggermente più lungo,nella deriva priva del parafreno e nei piani di coda spostati  verso la mezzeria della fusoliera. Mi ero quindi  rassegnato all’idea di accantonare il progetto quando con un colpo di fortuna sono venuto in possesso di un set di conversione della KAZAN per il Su11 completo di tutto: ali, deriva, nuovo muso, abitacolo, carrelli, piloni e missili; in pratica del SU 7 della OEZ si usano solamente una parte di fusoliera, il tettuccio e i piani di coda, il resto si può tranquillamente cestinare.

Costruzione:

Il trapianto.

Ho cominciato segando e tagliando tutto quello che non serve della fusoliera del SU 7, a cominciare dal muso appena davanti all’abitacolo, per passare alle sedi delle ali  a freccia e dei timoni di profondità. In pratica una volta finita l’operazione ci si trova alle prese con  un tubo di plastica avente due enormi buchi al posto della sede che originariamente accoglieva il vano delle semiali. Con del plasticard  ho tappato dall’interno  questi buchi che ho poi raccordato con abbondati dosi di Milliput fino ad ottenere una fusoliera perfettamente circolare,adatta ad accogliere le nuove ali a delta più sottili di quelle  a freccia del SU 7. Ho provveduto anche a eliminare le sedi dei piani di coda  che nel FITTER sono in basso mentre i SU 9 e 11 li hanno a meta fusoliera.

A questo puntoli nostro “tubo di stufa” è pronto per il trapianto delle nuove ali a delta,del nuovo muso e dei piani di coda. Usando i disegni in scala e facendo riferimento sulle pannellature del velivolo ho presentato le semiali sulla fusoliera segnando il loro perimetro con un Rapidograph; in  questo modo è possibile avere l’ingombro per praticare i fori in cui inserire dei perni d’acciaio.


Ho praticato due fori su ciascuna semiala ed altrettanto ho fatto per le loro sedi,il tondino è stato fatto passare attraverso la fusoliera ed incollato con abbondati dosi di colla epossidica,l’estremita che fuoriesce  è quella che accoglierà le ali. In tal modo è possibile avere un incollaggio robusto( vi basti sapere che ha resistito ad una caduta dal tavolo di lavoro) nel contempo questo metodo ci dà la  possibilità di forzare leggermente le punte delle ali verso il basso per ricreare il tipico diedro negativo che,ricordo,nel velivolo reale è di circa 2°. Possiamo ora riporle nel scatola in attesa di montarle definitivamente in un secondo momento.


Prima di chiudere le semifusoliere và inserito l’abitacolo che è interamente in resina e fotoincisione della KAZAN. Le pareti ed il pavimento sono in grigio medio,almeno da quello che ho potuto desumere dalle poche  foto trovate,un lavaggio ad olio con terra di cassel ad olio provvederà comunque ad uniformare e rendere ,diciamo così”operativo” il tutto,il cruscotto è in nero semilucido così come alcune consolle laterali.Il visore del radar è stato reso con una goccia di colla epossidica mischiata ad una punta di verde, ciò rende in modo abbastanza fedele la lente del vetrino. Il seggiolino KS3 ha il corpo grigio con il cuscino nero semilucido,il poggiatesta color cuoio e le maniglie di espulsione rosse,al tutto è stato effettuato un lavaggio con terra di Cassel.


Assieme all’abitacolo vanno montati il vano carrelli anteriore e lo scarico del motore,recuperato da un set per Su 22 e verniciato con il Titanium della Alclad,solo ora le semifusoliere si possono chiudere e passare alla fase successiva.

Assemblaggio Finale.

A questo punto abbiamo in mano un semplice  tubo di plastica “farcito” con un po’ di resina e null’altro,è ora che il modello prenda finalmente forma. Si comincia dal musone in resina che và raccordato alla fusoliera facendo attenzione a far combaciare le pannellature e soprattutto cercando di ricreare l’effetto”coca cola”della stessa  dove era innestata la nuova presa d’aria. Infatti  se guardiamo il velivolo dall’alto è facile notare che appena dopo il cockpit la sezione della fusoliera si stringe  per poi allargarsi nuovamente verso in muso.


E la volta ora delle ali che,se avremo lavorato bene in precedenza,non dovrebbero darci problemi, a parte il peso considerevole visto che sono tutte in resina.  Per incollarle ho usato della colla bi componente che irrobustisce il tutto dando il tempo anche per i piccoli aggiustamenti finali. I piani di coda sono quelli del Su7 ma ,come già specificato,vanno posizionati a metà della fusoliera,per ultima rimane ora la deriva,anche questa in resina ed incollata anch’essa con la bi componente.

Finitura e Verniciatura:

Finalmente il FISHPOT ha preso forma,ora si tratta solo di stuccare,raccordare e lisciare i vari elementi ricordando che la finitura deve essere impeccabile,in quanto il velivolo originale era in metallo naturale e tutti sappiamo quanto sia arduo rendere il natural metal su un modello.


Per uniformare la varie componenti usate:plastica,resina,stucco,ecc,ecc  ho steso diverse mani di uno stucco spray alla nitro della Saratoga . No,non sono impazzito!lo so che la nitro scioglie la plastica,ma c’è il trucco!bisogne dare delle passate leggere  e distanti nel tempo tra loro tenendo la bomboletta a circa 20cm dal modello,l’importante è non avere fretta e soprattutto non toccare il modello mentre asciuga .Per inciso lo stucco Spray  Saratoga  si trova  in qualsiasi supermercato ed ha un costo irrisorio,molto meno dei vari spray Tamiya ,al prezzo pero di un finitura un po’ meno fine. Al termine di questo trattamento tutti i materiali usati si saranno uniformati sotto uno stesso strato di stucco e potremo procedere alla re incisione delle pannellature perse  ed alla re incisione di quelle errate.


Per una verniciatura in metallo naturale occorre che il modello sia preparato in maniera impeccabile,ogni piccolo graffio o imperfezione và eliminato accuratamente perché con i metallici risalterebbe in maniera molto marcata. Ho cominciato passando una carta seppia da 1000 per passare poi ad una 1200 bagnata,in seguito ho passato su tutto il modello il polish  Tamiya  per capottine fino a far risultare il modello perfettamente lucido. Per eliminare i residui del polish  l’ho lavato con acqua ed una goccia di sapone neutro,lasciandolo asciugare per un paio di giorni. Mi raccomando ,non asciugatelo con uno straccio se non volete che tutta la polvere di casa vi si depositi sopra! nel frattempo che il modello asciugava chiuso dentro un a scatola ho preparato i carrelli,i serbatoi ed i missili  Bisnovat R8m.


La verniciatura è stata fatta con i metallizzati ALCLAD,attualmente secondo me i migliori sul mercato.
Ho steso sul modello una base in nero lucido della ALCLAD stessa e,passati alcuni giorni ho dato un’ulteriore lucidata con il polish a cui è seguito un’ulteriore lavaggio con acqua e sapone,tanto per essere sicuri,meglio una volta in più che una in meno!

Passati alcuni giorni ho steso ad aerografo con una pressione di 0,5 bar una base  di alluminium  ALCLAD .Lasciata asciugare per bene la  base ho differenziato alcuni pannelli su ali e fusoliera con il Duralluminium e lo Steel.


Dicendomi abbastanza soddisfatto ho riposto il modello a riposo per alcuni giorni non curandomene più. Quando è giunta l’ora di riprenderlo mi sono accorto con sgomento che in alcuni punti si erano create delle crepe nella vernice. Ad oggi non ho ancora capito come possa essere successo e dove possa aver sbagliato, l’unica differenza rispetto alle altre volte che avevo usato, devo dire con successo, queste vernici è nel  fatto che le volte precedenti non avevo usato il nero lucido come base,magari ho sbagliato a diluirlo!In ogni caso dopo questo non ho intenzione di fare modelli in natural metal per molto  moltissimo  tempo.
E comunque non mi sono dato per vinto,dopo tutto il lavoro fatto non mi andava di rinunciare solo per questo. Con  pazienza e carta seppia finissima ho eliminato le crepe una per una riverniciando il modello dove era venuta via la vernice,per fortuna le crepe non passavano da un pannello all’altro con tonalità differenti,questo mi ha agevolato non poco. Il risultato lo giudicherete voi.


Al termine della verniciatura ho effettuato un lavaggio con terra di cassel ad olio su tutto il modello per evidenziare  pannellature  e rivetti,dopodiché ho montato i carrelli,i serbatoi ,i missili e la capottina. Il modello è stato incollato su una basetta  riproducente  i lastroni di cemento di un piazzale delle sconfinate basi della PVO,il comando della difesa aerea sovietica.

Conclusioni:

Questo è stato un lavoro che,partito come semplice conversione,si è rivelato molto più arduo ed impegnativo del previsto ma che,al contempo, mi ha dato anche molte soddisfazioni dandomi la possibilità di affinare alcune tecniche che  verranno sicuramente utili nei miei prossimi lavori e che spero possano servire anche a molti lettori.

PAOLO CATTANEO – Fishpot69
M.S.C.(Modellisti Statici Canavesani)

Kit Review – Junker Ju.87 B-2 – Italeri in scala 1/48.

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E’ innegabile che lo Stuka sia uno dei soggetti più amati e riprodotti a livello modellistico. Da pochi mesi la nostrana Italeri ha fatto la coraggiosa scelta di creare un nuovo stampo dedicato alla variante B-2 dello Ju-87, inserendosi in un mercato, quello della scala del quarto di pollice, già ben fornito di kit con cui poter realizzare in pratica tutte le versioni del famoso bombardiere in picchiata della Luftwaffe.
In questo campo era l’Hasegawa a farla da padrona ma, finalmente, la ditta nostrana è riuscita a commercializzare un modello competitivo offerto a un prezzo anche inferiore rispetto ai prodotti giapponesi. Cosa volere di più?

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All’interno della classica scatola ad apertura laterale, si scopre un altro contenitore in cui sono racchiusi tutti i pezzi. Questa soluzione, già adottata per il Tornado ADV/F.3 ad esempio, rende anche l’imballaggio più robusto proteggendo meglio le parti in plastica.

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Le stampate, composte da uno Styrene di buona qualità color grigio chiaro, sono in totale sei. Un’ulteriore contiene le parti trasparenti, dall’ottima trasparenza. Inoltre, per semplificare il lavoro di mascheratura del canopy (fornito separato in quattro parti per rappresentarlo aperto), per i frames è stata adottata una finitura satinata che li rende meglio distinguibili dalle zone che dovranno essere coperte.

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Il dettaglio di superficie della plastica segna ancora un passo in avanti per l’Italeri: rispetto al Reggiane 2001 e al Macchi 200, le pannellature sono meglio definite e della giusta profondità. In pratica, in questo momento, la ditta di Calderara di Reno non ha nulla a che invidiare alle cinesi Hobby Boss o Trumpeter.

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Gli interni sono ben dettagliati, ed a conferma della mia affermazione basti vedere i tanti particolari riprodotti sulle paratie laterali che danno all’abitacolo il giusto senso di “affollamento”. I cruscotti del pilota e del navigatore/mitragliare sono forniti sotto forma di fotoincisione, assieme a delle belle cinture di sicurezza con cui completare i seggiolini.

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Nella stessa lastra di ottone sono inseriti anche altri particolari esterni come, ad esempio, le walk ways alari e gli attuatori dei piani di coda.

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Altra gradita particolarità di questo kit è la possibilità di rappresentare il motore Junkers Jumo completamente a vista; nella scatola, infatti, sono già presenti molti pezzi (addirittura venti) che compongono il propulsore e non hanno nulla da invidiare agli aftermarket in resina. Tra questi troviamo il serbatoio del lubrificante (da completare con due tubazioni idrauliche in vinile già incluse) con il relativo radiatore, e il sistema di raffreddamento dell’acqua.

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Osservando le superfici di comando, è inevitabile fare un confronto con la serie degli Stuka prodotta dall’Hasegawa; se negli stampi giapponesi gli alettoni e i flaps sono uniti al resto dell’ala mediante degli anti estetici supporti in plastica abbastanza grossolani, nel modello italiano gli attuatori sono meglio curati e realizzati. Questi possono essere, comunque, migliorati, ma già da scatola sono più che accettabili. Continuando, altra nota di riguardo va fatta per i piani di coda e il timone di profondità che hanno i piani di governo separati per essere posizionati nella posizione a piacimento.
Altre finezze riguardano gli pneumatici, già stampati con l’effetto peso, e i generatori delle sirene dette “Jericho Horn” montate sugli “scarponi” dello Stuka.

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Ricca anche la dotazione di carichi di caduta, prelevati direttamente dal set dedicato agli armamenti “Luftwaffe WWII” già presente nel catalogo Italeri; non tutti gli ordigni e serbatoi potranno essere utilizzati, ma andranno comunque a “rimpilzare” il magazzino spare parts che ogni buon modellista deve avere.

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Una piccola nota negativa riguarda la forma dell’ogiva (troppo a “bulbo”) e delle pale dell’elica, troppo spanciate al centro e sottili alle estremità. Entrambi i difetti possono essere facilmente risolti con colpi di lima ben assestati.

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Le decalcomanie permettono di riprodurre quattro esemplari, tutti inquadrati nella Luftwaffe:
•    Junkers Ju-87 B-2, Stab III/StG77, Bulgaria, aprile 1941.
•    Junkers Ju-87 B-2, 3/StG2, Francia, agosto 1940.
•    Junkers Ju-87 B-2, 2/StG2, Russia, luglio 1941.
•    Junkers Ju-87 B-2, 7/StG1, Francia, estate 1941.

Poiché la versione B-2 è stata largamente utilizzata anche dalla Regia Aeronautica, auspichiamo che l’Italeri crei una scatola ad hoc dedicata agli Stuka italiani.
Ad ogni modo le decal sono fornite dalla Cartograf, e questo è già sinonimo di qualità di stampa e dei supporti trasparenti.
Chiaro e ben curato il foglio istruzioni che riporta tutti i vari passaggi costruttivi e fornisce anche qualche suggerimento per un corretto assemblaggio di taluni particolari (tipo la posizione della mitragliatrice brandeggiabile quando il tettuccio era aperto).

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In conclusione, posso dire di essere rimasto piacevolmente colpito da questo kit. Inconsciamente, quando si parla di soggetti così conosciuti e diffusi nella cultura modellistica come lo Ju.87, la nostra scelta si orienta sempre su ditte blasonate che propongono i loro stampi (delle volte molto datati) a prezzi ancora inspiegabilmente elevati. Bè, questa volta ci si potrà rivolgere all’Italeri che con questo prodotto ha fornito prova di essere giunta a una proficua maturazione, dimostrando che, quando vuole, ci sa fare sul serio.

Buon modellismo a tutti. Valerio Starfighter84 D’Amadio.

Lockheed F-104 G “Starfighter” – JaBo 33 dal kit Hasegawa in scala 1/48.

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Credo che nella vita di ogni modellista ci siano modelli che per anni ed anni abbiamo sognato di fare, iniziamo e concludiamo altri kit  nel frattempo ma, comunque, alla fine pensiamo e ripensiamo con rammarico sempre a QUEL modello, in una versione o una livrea particolare, che per vari motivi però (..e non trovo il kit….e non trovo le decals….e la modifica è difficoltosa..) siamo sempre costretti a rimandare facendolo rimanere nel “cassettino dei sogni modellistici”.

Questi particolari soggetti, per qualche motivo oscuro, rimangono scolpiti nel nostro immaginario più di altri ed in particolare, nel mio caso, ricordo che quando ero un bambino ebbi l’occasione di vedere su di un libro una foto in bianco e nero, raffigurante (ma io non lo sapevo ovviamente), degli Starfighter tedeschi in volo, in livrea metallo naturale, con le croci nere che si stagliavano sulle ali bianche. Quest’immagine, che divenne poi l’oggetto dei miei disegni infantili per molto tempo, l’ho sempre ricordata e poi, quando ho cominciato a fare modellismo, ho potuto finalmente dare anche un nome al soggetto ed una connotazione precisa a quell’immagine.

L’idea di riprodurre proprio uno di quei velivoli però si è sempre scontrata per almeno 20 anni con altre esigenze (leggi anche carenze) modellistiche varie prima fra tutte una cronica avversione per le colorazioni in metallo naturale nonché il reperimento delle decals relative ai codici di reparto ed alle insegne.

Superata la prima difficoltà, grazie all’utilizzo delle vernici acriliche Tamiya Chrome silver e Flat Aluminium, rimaneva il non secondario problema delle decals. A memoria ricordavo che solo una ditta aveva proposto decenni fa, tra le varie opzioni decals, un esemplare tedesco in livrea metallica e cioè il kit della ESCI dell’F104G/S. Come aftermarket ho cercato anche sul web ma non ho trovato altro se non fogli Luftwaffe dedicati a livree commemorative oppure in mimetica Norm 72 e lizard ultimo periodo.

Mi stavo rassegnando quindi all’idea di non poter proprio fare questo modello particolare.

Ma com’è che si dice? Chi trova un amico trova un tesoro. Proprio per questo io consiglio sempre di visitare sul web tanti forum di modellismo, sceglierne almeno uno tra quelli che riteniamo più confacente ai nostri interessi modellistici, o perché ci piacciono di più i commenti che troviamo sopra, ed iscriversi. Realmente su questi forum si possono condividere, o semplicemente osservare, le esperienze di tanti validissimi modellisti nonché poi, eventualmente, scambiare anche i materiali o i kit più vari che a noi magari non servono o non interessano più ma che potrebbero essere proprio ciò che mancava ad altri. Qualcuno dirà che molto spesso sui forum si finisce per litigare: è vero, ma questo succede, secondo me, quando si perde di vista il fatto che, alla fin fine, stiamo pur sempre parlando solo di incollare e verniciare pezzi di plastica per passare il tempo.

Questa breve digressione l’ho fatta per un paio di motivi molto semplici: il primo è che tanto, cosa troviate nella scatola Hasegawa, penso che già lo sappiate (altrimenti visitate i vari WIP del Forum di Modeling Time tranquillamente visibili a tutti) ed il secondo per ringraziare, in particolare, il mio amico del Forum “Modeling Time”, Stefano “Suxuinni” che, avendo saputo cosa stessi cercando, mi ha gentilmente regalato proprio il foglio della ESCI contenuto nel kit F104G/S 1/48 permettendomi così di poter completare questo modello che agognavo di mettere in vetrina da decenni.

Grazie Stefano!

Parliamo allora di colorazione metallica che, avendo fatto tesoro delle esperienze maturate col Mirage e del ‘104 AMI entrambi in NM, ho ulteriormente potuto esplorare con altre ulteriori possibilità: il tutto è iniziato come sempre con una mano di acrilico Chrome silver Tamiya che poi ho lucidato con un panno di cotone (operazione che serve a levare l’eventuale effetto “cipria” sulla superficie) e protetto poi, per i successivi maneggiamenti, da una mano di “Future” (ma va bene anche qualsiasi vernice lucida  acrilica trasparente). Non ho fatto preshading perché secondo me, col silver, non serve: in questo caso preferisco intervenire dopo scurendo le pannellature esterne.

Poi ho verniciato le ali di bianco con l’aggiunta di gocce di colore sabbia per renderlo meno freddo.

A questo punto ho cominciato l’opera di pannellatura con differenti toni di chrome silver Tamiya corretto di volta in volta con nero, blu o marrone. Inoltre ho provato a dare anche spruzzate di colori Tamiya stradiluitissimi (rapporto 10 a 1) viola o blu ma solo in alcune zone dei tip tank.

Poi sono passato all’uso dei colori ad olio soprattutto nel tronco di coda per ricreare l’effetto delle diverse leghe e della “cottura” del metallo caratteristico di questa zona. Un bel lavaggio “terra di siena” ad olio ha completato il resto.

L’opera di verniciatura è così terminata ed è arrivato dunque il momento che rende un semplice modello in un pezzo realmente unico: la posa delle decals.

Sapendo che il foglio ESCI, seppur ben conservato, aveva comunque più di 20 anni sulle spalle e che inoltre, in alcuni kits di questa ditta, i fogli decals avevano la sciagurata tendenza a disintegrarsi a contatto con l’acqua, ho trattenuto il respiro. Disponendo il sottoscritto di un discreto magazzino di avanzi decals  ciò che mi serviva realmente del foglio ESCI erano i codici e le insegne di reparto, per tutto il resto (croci e stencils), ho utilizzato avanzi di fogli Hasegawa, Revell e Sky dedicati allo spillo. C’è da dire comunque che le vecchie ESCI hanno funzionato egregiamente.

Ho sempre apprezzato lo Starfighter in  configurazione pulita ma questa volta volevo fare una configurazione pesante da cacciabombardiere con 4 serbatoi ed un pod dispencer da esercitazione.

I piloni sub-alari provengono dalla scatola di un TF104 Hasegawa, mentre i serbatoi in più (modificati) ed il pod dispencer sono sempre avanzi di una scatola di F104 ESCI comprato anni fà  su di una bancarella di un mercatino per poche lire (…le decals erano inutilizzabili però…sigh!) .

Una leggera desaturata alle decals per renderle più omogenee con la finitura vissuta del modello,  qualche striscetta di avvertenza rossa qua e là per movimentare un po’ l’insieme e lo spillo è concluso, pronto per la vetrina!

L’aver potuto finalmente dare sfogo ad un ricordo infantile e vedere ora nella mia vetrina lo spillone tedesco metallico, livrea originale e molto poco vista, rende la mia soddisfazione enorme e vi confesso che ogni tanto me lo guardo e riguardo un po’ perché così mi ricorda momenti della mia infanzia e poi (con molta fantasia) mi sembra anche di sentire il tuono che accompagnava sempre l’apparire di questo mitico aereo!

Un saluto a tutti

Massimo Maria  “pitchup” De Luca.

Kit Review – G-222 “Panda”/C-27 A “Chuck” – Italeri in scala 1/72.

Dopo i grandi consensi ottenuti con la scatola del C-27J, Italeri ha finalmente rilasciato la scatola del predecessore dello Spartan, l’Aeritalia G-222 “Panda” più noto in Italia come “Gigio” o “Gigione”.
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Un po di storia:
Nato dalla penna dell’Ing. Giuseppe Gabrielli alla fine degli anni ’60 per soddisfare la richiesta dell’AMI per un aereo da trasporto tattico a corto-medio raggio e con capacità di operare da piste molto corte e semipreparate, il 18 Luglio 1970, decolla dall’aeroporto di torino caselle il prototipo del G-222, l’ NC-01. Da quel momento il programma di sviluppo dell’aereo fu affidato congiuntamente all’Aeritalia e al Reparto Sperimentale Volo di Pratica di mare.
Cinquantaquattro furono gli esemplari consegnati all’Aeronautica Militare a partire dal 1978 e, di questi,  la maggioranza ai due gruppi volo della 46° Brigata aerea di Pisa. Quattro, invece, furono assegnati al 14° Stormo per operazioni di Radio-Misure. A rotazione molti “Gigioni” sono passati per le mani dei piloti della Sperimentale che, oltre a continuare negli anni a sviluppare nuovi sistemi e aggiornamenti, lo hanno sempre portato nel mondo ai vari Air Show dimostrando, con manovre estremamente atipiche per un aereo cargo, le eccellenti doti acrobatiche e di STOL che il G-222 ha sempre vantato.
I maggiori successi del G-222 derivano proprio dalla sua capacità di operare su piste cortissime e poco preparate come dimostrato durante l’operazione INTERFET, a Timor Est, dove i velivoli furono gli unici in grado di operare sulla pista di Suai (905mt di lunghezza). Vincitore per ben due volte, con l’equipaggio della Sperimentale, del prestigioso “Royal International Air Tattoo” per le sue doti acrobatiche e sempre in primo piano ad ogni air show al quale ha partecipato negli anni, ha concluso la sua lunga carriera nell’AMI il 10 settembre 2005 con uno spettacolare show tattico. Gli ultimi esemplari hanno continuato a volare sotto le insegne di Icaro (Reparto Sperimentale Volo)  e del Lupo (46a Aerobrigata) ancora diversi anni, prima di essere completamente sostituiti dai C-27J Spartan.

Utilizzatori Internazionali:
Nel 1990 il governo americano acquistò 10 G-222 rinominandoli C-27A “Chuck” per collegare gli aeroporti nella foresta di Panama. Dieci G-222L motorizzati Rolls Royce Tyne furono acquistati dall’aeronautica libica nel ’78. Alcuni esemplari furono venduti in Argentina, Nigeria, Somalia, Thailandia, Tunisia,Venezuela e, ultimamente, dieci G-222 Ex AMI sono stati ricondizionati e venduti all’Esercito Afgano.

Il Kit:

Direttamente derivata dal kit del C27J, la scatola del G-222 (N°1311) viene proposta da Italeri con la maggior parte delle stampate comuni, ma con la sostituzione degli sprue che contengono le gondole dei motori. Effettivamente la differenza “estetica” tra i due aerei è tutta lì, quindi è facilmente comprensibile la scelta della ditta di Calderara di Reno.

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Plastica di ottima qualità come normale per la ditta bolognese e decal di eccezionale qualità e completezza. Vengono fornite 4 versioni; due della 46° Brigata e due mmericane. Completi anche gli stencil per le varie versioni .

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Piacevole il nuovo libretto di istruzioni di montaggio in 3D con grafica molto completa.

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Il dettaglio di superficie è in un negativo un pò accentuato ma ben delineato e comunque semre preciso in ogni parte del modello. L’Italeri fornisce anche le superfici mobili del kit separate dal resto della struttura (ipersostentatori a parte), particolare apprezzabile dato che, a terra, non era infrequente vedere il “Gigio” con i piani di coda in posizione leggermente a picchiare.

Andando a scavare nei dettagli per cercare qualche imperfezione, nel G222 la strumentazione era completamente analogica, mentre nel kit troviamo il cruscotto del C-27J con gli MFD e HUD. La posizione del 3° membro dell’equipaggio (Flight Engeneer) è stata completamente tralasciata, sia il sedile sia il pannello di gestione dei sistemi. Ad ogni modo, entrambe i dettagli sono più che trascurabili data la scarsa vetratura e la quasi innvisibilità del cockpit una volta chiuse le fusoliere.
Il carrello anteriore presente nel kit è lo stesso del C-27; quello del “Gigio” aveva una forma del cerchione dello pneumatico e della gamba di forza leggermente differenti, ma un eventuale intervento di correzione è abbastanza semplice da realizzare. Lo scarico dell’APU sulla gondola carrello sinista è un pò sporgente, ma con qualche colpo di lima ben assestato si riesce ad ottenere un risultato ben rispondente alla realtà.

Dato che le stampate provengono dal Kit del C-27J ci sono alcune parti che non devono essere utilizzate come i sensori RWR e IR, la sonda di rifornimento e altre antenne della fusoliera. Anche se i sensori possono comunque essere utilizzati se si decide di riprodurre l’ultimo esemplare utilizzato dall’RSV fino al 2009 per i test e la certificazione dell’avionica e del sistema di “self-defense”.

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I motori General Electric T64-GE-P4D Sono molto ben curati e le pale hanno la giusta forma e dimensione. Le fattezze del castello motore e delle ogive sono molto curate nei dettagli e rispecchia perfettamente quelle del velivolo reale. Nel kit sono stati inseriti anche i condotti di scarico delle turbine, lunghi e ben dettagliati.

Le vetrature presentano una buona trasparenza e, ad occhio, sembrano rispettare molto bene gli scassi per loro previsti. Inoltre il parabrezza presenta anche una parte della fusoliera stampata direttamente sullo stesso pezzo; questa accortezza rende meno gravoso il lavoro di stuccatura dei trasparenti, salvaguardando anche la limpidezza degli stessi.

La stiva di carico ha una scomposizione molto logica e ben pensata. Il dettaglio interno non è stampato direttamente sulla fusoliera, bensì è riprodotto su un “guscio” che andrà poi incollato nella carlinga. Il sistema ideato dalla Italeri ci permette di poter lavorare negli interni con più facilità, e di allineare perfettamente le parti prima di inserirle nei propri alloggiamenti. Per chi è un amante del super dettaglio, la struttura a “guscio” facilita le autocostruzioni e l’aggiunta di tutta quella serie di cavi e tubazioni idrauliche che corrono lungo il cielo della cabina.

In conclusione il kit è decisamente ottimo sia come dimensionisia come incastri. Già con l’uscita del C-27 J la Italeri ci avevi dato l’idea di aver fatto, finalmente, un netto salto di qualità; con l’uscita del G-222 le nostre impressioni sono state confermate. Finalmente tutti i modellisti “italianofili”, e non, avranno la possibilità di aggiungere alla propria collezione un pezzo di storia della nostra aeronautica. Innegabilmente il “Gigio” ha avuto un ruolo di primaria importanza per l’AMI, e un posto di riguardo nel cuore di tanti appassionati.

Buon modellismo!
Luca “Icari Progene” Marin.