giovedì, Settembre 4, 2025
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Fiat G-91Y “Yankee” dal kit ADV Models in scala 1/48.

Una prefazione necessaria.

Non ricordo quando è nata la mia passione per gli aeroplani. Non c’è un evento primordiale, li ho sempre amati. Ricordo invece perfettamente il mio primo incontro con il G-91Y. Avvenne a Brindisi, dove con grande gioia del sottoscritto la mia famiglia si trasferì nella tarda estate del 1980. Durante una passeggiata serale in auto mio padre finisce “casualmente” lungo la perimetrale del “Papola-Casale”. Si sentono dei velivoli in circuito per cui mi preparo a gustare qualche touch and go. Dopo qualche minuto una sagoma sibilante appena accennata dalle luci di atterraggio scende velocemente sulla pista, tocca… e riparte fragorosamente spinta da due fiamme bluastre in coda, perdendosi rapida nella notte estiva. Per i 10 anni successivi i G-91Y con la bocca di squalo del 13°Gruppo sono stati i fedeli compagni delle mie giornate in aeroporto. Con loro (e con l’eterogeneo traffico in transito sulla base pugliese) ho nutrito la mia passione, anche se quasi sempre al di là della rete.

La genesi.

L’Aeronautica Militare Italiana, fin dalla entrata in servizio dei primi G-91R (1959) , ha sempre potuto disporre di una componente dedicata all’appoggio tattico equipaggiata con velivoli di progettazione e costruzione nazionale, robusti, semplici e facili da manutenere. Questa scuola di pensiero, frutto di precise scelte strategiche, progettuali e di politica industriale, non ha però mai assicurato a tali macchine il successo commerciale che, almeno sulla carta, avrebbero meritato. Il G-91R – vincitore di un concorso N.A.T.O. per un L.W.S.F.(Light Weight Strike Fighter) – non venne alla fine ordinato da diverse nazioni inizialmente interessate, ma poté beneficiare soltanto dei pur corposi ordinativi della Luftwaffe (394 G-91R e 66 G-91T) oltre che di quelli dell’Aeronautica Militare. Il G-91Y, pur nato sotto i migliori auspici, forte del sapiente mix tra parentela con il modello precedente (soprattutto il G-91T) e le innovazioni introdotte per incrementarne capacità e prestazioni (motori, armamento, avionica), fu prodotto in soli 65 esemplari (compresi i due prototipi) adoperati soltanto dall’ 8° (1970) e dal 32° (1974) Stormo. Ancora una volta (a parte considerazioni circa la cronica assenza di appoggio politico-diplomatico nella commercializzazione dei nostri prodotti all’estero) le altre forze aeree preferirono dotarsi per lo stesso ruolo di velivoli dalle prestazioni superiori, spesso ridondanti.

Anche l’AMX, seppur con numeri differenti e con maggiori possibilità di dimostrare la sua valenza operativa, ha in qualche modo seguito lo stesso destino…ma questa è un’altra storia. Quello che è certo è che questi “insuccessi” si traducono di solito, a livello modellistico, in scarso interesse da parte dei produttori. Nessuno rischia di investire migliaia di euro nella realizzazione di kit che possono avere un mercato limitato ad una sola nazione o ad uno sparuto gruppo di estimatori. I modellisti italiani sono ormai rassegnati alla costante assenza di offerte per alcuni degli aeroplani che hanno portato le coccarde nazionali. L’unica speranza è che ci sia qualche piccolo produttore artigianale bravo e coraggioso che magari osi anche nella scala 1/48….

Il kit.

Con le premesse che avete appena letto e nessuna esperienza con modelli in resina mi sono avvicinato al kit ADV Models con un timore quasi reverenziale. Il kit è davvero bello, ben curato e rifinito. Il dettaglio superficiale è davvero pregevole, con pannellature finemente incise. Tutte le componenti principali e le caratteristiche di questo velivolo sono ben riprodotte. Impreziosito da particolari in fotoincisione ed in metallo (carrelli, pitot, cannoni) ed un foglio di decals per riprodurre, in assoluta par conditio, un esemplare dell’ 8° ed uno del 32° Stormo, entrambi con le vecchie insegne ad alta visibilità. Non mi sono fatto mancare un minimo di aftermarket con la bella scaletta per il G-91 prodotta dalla MasModel.

I dettagli da aggiungere sono davvero pochi. La resina utilizzata è la Chemix, atossica e di qualità. Si è dimostrata ben lavorabile, robusta e compatta. Sui vari pezzi non ci sono ritiri e soltanto qualche piccola sparuta bolla d’aria, prontamente riempita con una goccia di ciano. Per la costruzione sono stati utilizzati i soliti strumenti (cutters con lame di varia forma ben affilate, seghetto, limette e carta abrasiva) oltre all’indispensabile mascherina per evitare l’inalazione delle polveri derivanti da carteggio o taglio, notoriamente nocive. La composizione delle parti (ad eccezione delle semiali, fornite in un unico pezzo pieno) mi ha fatto ben presto dimenticare che stavo lavorando con questo materiale e non con il più comune polistirene.

Il montaggio.

Dopo diversi tentennamenti ho deciso, anche se molto a malincuore, di non forare il muso per rappresentare in maniera più realistica le fotocamere che vi erano installate. Operazione sicuramente non alla mia portata sia per il notevole spessore della resina in quella zona che per la difficoltà di riprodurre ed incollare i trasparenti.Mi sono quindi dedicato, armato di lametta da barba ed X-Acto ben affilati, al taglio dei trasparenti in acetato. Dopo un piccolo errore su uno dei due parabrezza forniti, sono riuscito a rifinire senza problemi l’altro. Il canopy è fortunatamente venuto bene al primo tentativo.

Le mie attenzioni si sono poi rivolte al cockpit, ben riprodotto nei suoi vari elementi.

Con una strisciolina di plasticard ho aumentato leggermente lo spessore dei bordi dell’abitacolo ed ho realizzato i fori per i ganci di bloccaggio del tettuccio.

Con qualche pezzettino di Evergreen ho riprodotto piccoli dettagli presenti all’interno del canopy,  anch’esso ben riprodotto.

Prima di chiudere le semifusoliere ho cominciato a lavorare sul condotto della presa d’aria. La riproduzione è solo parziale ed i puristi storceranno il naso.

Ad onor del vero il condotto è sufficientemente profondo per poter affidare ad un’adeguata verniciatura dell’interno il compito di renderlo abbastanza realistico. La scomposizione richiede necessariamente l’intervento dello stucco per raccordare le varie parti. Questo lavoro si può semplificare incollando la parte superiore del condotto ad una delle semifusoliere. Si potrà in tal modo lavorare più agevolmente almeno su di un lato.

Per l’altro si dovrà penare un po’ visto l’angusto spazio di manovra con le semifusoliere incollate. L’interno della presa d’aria è stato stuccato dove necessario con piccole quantità di Mr. Surfacer 500 applicato con una spatolina ricavata da una tessera telefonica. Dopo cinque minuti dalla sua applicazione lo stucco è stato spennellato con la Tamiya Tappo Verde che lo ha livellato e ulteriormente irrobustito.Prima di chiudere le semifusoliere sono stati anche incollati i condotti dei J-85, opportunamente rinforzati con pezzettini di sprue letteralmente annegati nella ciano così da scongiurare distacchi postumi. L’abitacolo è stato colorato come da istruzioni in Grigio FS 36231 (Gunze H-317). Dopo la lucidatura le consolles ed i quadranti del pannello strumenti hanno ricevuto del nero a smalto (Hu 33) a pennello. Lavorare con gli smalti sopra una base acrilica consente di rimediare ad eventuali errori adoperando il solvente per smalti che non intaccherà la vernice acrilica sottostante. E’ un modo semplice e pratico per ottenere un risultato pulito. Qualche pulsante colorato ed un piccolo lavaggio ad olio nelle zone in grigio sono stati seguiti da una spruzzata di trasparente opaco. La realizzazione del cockpit si è conclusa con il solito drybrushing finalizzato ad evidenziare spigoli e dettagli. La stessa tecnica è stata adoperata per il Martin Baker ma partendo da una base di nero acrilico. Al seggiolino sono state autocostruite le maniglie di espulsione con tubetti di Evergreen e fotoincisioni di scarto.

L’unione delle semifusoliere, pur in mancanza di riscontri, non ha comportato grossi problemi di allineamento. E’ stata eseguita con abbondante uso di cianoacrilica, adoperata anche come stucco sulle le linee di giunzione.

Per piccole rifiniture ho invece utilizzato il solito Mr. Surfacer 500 con una spennellata di Tappo Verde. Come sempre il controllo successivo è avvenuto passando un pennarello nero sulle zone trattate.

Ricordo a chi utilizza questa tecnica che è opportuno rimuovere i tratti del pennarello dalla resina appena possibile. La maggiore porosità rispetto al polistirene tende ad assorbire l’inchiostro che poi, non venendo via completamente, lascia un alone scuro. Queste macchie comunque non hanno pregiudicato in alcun modo le successive fasi di colorazione, ma su tonalità particolarmente chiare e delicate potrebbe non essere così.

Dopo aver completato al fusoliera ho reinciso i pannelli persi nelle fasi di carteggiatura. La reincisione della resina è risultata meno agevole rispetto a quella della plastica. Ho sempre utilizzato la punta di un compasso come scriber, ma durate questa operazione la resina si è dimostrata meno stabile. Occhio quindi alla pressione da esercitare perchè si rischia di ottenere delle incisioni con una profondità non costante. Con la punta di uno stuzzicadenti indurito con la ciano ho infine ripassato le incisioni per rifinirne i bordi. Il montaggio delle semiali non ha comportato alcun problema di allineamento. Ho soltanto dovuto limare uno dei due cassoni alari perchè interferiva con il pozzetto degli aerofreni. Ma con qualche colpo di lima le ali sono andate al loro posto assumendo il giusto diedro.

Sono rimasto piacevolmente sorpreso dalla rifinitura la robustezza delle due piccole alette antiscorrimento presenti sul dorso dell’ala che, con un velo di ciano, sono andate al loro posto (in seguito sono riuscito a rovinarne una che comunque è  stata ricostruita senza troppi problemi). Non sono stato invece capace di eseguire correttamente il foro per l’alloggiamento del bellissimo pitot in metallo. Attenzione a questa operazione perchè gli spessori sono davvero minimi e si rischia  di aprire una voragine. Poco male comunque, a patto di un minimo di attenzione in più, ho incollato e stuccato il pitot invece che posizionarlo a montaggio ultimato. L’unico rimpianto che ho per le ali di questo kit è dovuto agli slats, realizzati come parti separate e dotati di tutti gli attuatori (fotoincisi) che ne consentivano il movimento. Dopo un’intera serata passata inutilmente a cercare di incollare gli attuatori agli slats facendo assumere agli stessi la posizione corretta, preso dalla sconforto (e da un po’ di stanchezza) li ho incollati in posizione intermedia, incoraggiato da alcune foto scattate a Montichiari nel 1994 interpretate come prova della possibilità che queste superfici assumessero a terra una posizione non completamente estesa.  E’ pero vero che gli slats si muovevano solo in funzione della resistenza dell’aria e quindi a terra dovevano essere o completamente estratti o bloccati in posizione retratta. Mi riservo alla prima occasione di avere conferma della cantonata che ho preso! Per non pensarci troppo ed avvilirmi mi sono dedicato al posizionamento del parabrezza. Il corretto posizionamento di questo elemento, contribuisce notevolmente, a mio avviso, al realismo di un modello. Deve apparire ben integrato con la fusoliera e non semplicemente appoggiato. In questo caso l’incollaggio e la stuccatura si sono resi indispensabili anche per conferire robustezza ad un windshield di acetato, notoriamente meno rigido di un comune trasparente.

La stuccatura ha riguardato soprattutto la parte del blindovetro, dove è stata ricostruita la piastra del convogliatore dell’aria, ed è avvenuta con l’applicazione di strati molto leggeri del solito Mr. Surfacer, successivamente levigati con un cotton fioc imbevuto di alcool.

L’acetato si è rivelato robusto ed ha sopportato sia l’incollaggio con la ciano che le successive mascherature. Tuttavia consiglio a chi si cimenterà nella costruzione di questo pregevole kit di effettuare ugualmente un bel bagno nella Future per ottenere una migliore trasparenza finale. A montaggio ultimato del windshield mi sono accorto che la palpebra del pannello strumenti era troppo alta. Non so dire dove ho sbagliato, anche perchè mi sembra di aver seguito tutti i riscontri presenti in fusoliera durante il montaggio del cockpit. Ad ogni buon conto ricordatevi di fare sempre numerose prove a secco prima di procedere. Mi sono quindi cimentato nella riproduzione di qualche piccolo particolare (attuatori del timone, luce anticollisione trasparente, ganci ventrali, sfiati, etc.)

e poi ho proseguito con il dettaglio dei pozzetti carrello e aerofreni. Foto alla mano, questi vani hanno ricevuto cavi e tubazioni varie (filo di stagno e plasticard).

Alle gambe principali del carrello, in metallo, sono state aggiunte le tubazioni in filo di stagno. Per riprodurre la gabbie di protezione dei DEFA da 30mm – dopo aver inutilmente  tentato di piegare con la dima fornita nel kit i listelli di acciaio armonico forniti, ho adoperato del filo di rame di adeguato spessore.

Sul G-91Y i piani di coda orizzontali erano completamente mobili. Non erano degli elevoni ma la loro escursione, seppur minima, favoriva l’efficienza aerodinamica degli equilibratori. Sarebbe un errore stuccarli ed infatti il kit fornisce correttamente un perno in metallo per renderli mobili lungo l’asse di rotazione.

Mentre mi avvicinavo al completamento della costruzione del kit ho finalmente individuato l’esemplare da riprodurre. I velivoli in carico al 32°Storno, già dopo pochi mesi dalla revisione (e comunque entro la prima estate) risultavano scoloriti e sbiaditi a causa del cocente sole pugliese. A terra i G-91Y del 13°Gr. non godevano di alcun tipo di protezione. Quando non erano nel loro elemento naturale o in hangar per manutenzione se ne restavano in linea di volo. Gli agenti atmosferici infierivano sulla mimetica e soprattutto sul grigio scuro. In alcune zone (ali,zona centrale e caudale) questo colore sbiadiva vistosamente. I ritocchi degli specialisti facevano il resto, regalando colorazioni accattivanti ed uniche. La scelta è caduta su un esemplare abbastanza scolorito, per mia fortuna immortalato da differenti angolazioni in occasione dello stesso evento.

La colorazione.

Il primo colore caricato nell’aerografo è stato il nero opaco acrilico della Tamiya (XF-1) con il quale ho verniciato (dall’esterno) i frames del parabrezza, gli interni dei portelli del carrello oltre alle gambe ed i vari martinetti dello stesso. Queste parti hanno poi ricevuto una serie mani tutte rigorosamente a pennello asciutto con gli smalti Humbrol. Un paio di sessioni abbastanza pesanti in alluminio (Hu56) sono state sufficienti per la colorazione di fondo. La lumeggiatura è stata affidata all’argento (Hu11).

Sono poi passato alla realizzazione della mimetica superiore. Ho impiegato i Gunze Dark Seagray H331 (BS381C/638) e Dark Green H330 (BS381C/641), mentre per i serbatoi (che dalle foto appaiono più chiari e sbiaditi) ho adoperato il Green H309 (FS34079)

In attesa dell’asciugatura dell’ H331 di base ho preparato due miscele per questo grigio con qualche goccia di Grey H308 (FS36375). Con la prima miscela (9 gocce di H331  + 1 goccia di H308) ho iniziato a sfumare i pannelli della zona anteriore e , in maniera molto leggera, il piano verticale di coda. Con la seconda miscela (2 gocce di H331 + 8 gocce di H308) ho colorato quasi completamente ali, piani di coda orizzontali e parte centrale della fusoliera.

Il grigio è stato spruzzato soltanto nelle zone interessate per evitare di sovrapporre inutilmente strati di colore. Con il Patafix ho poi provveduto a mascherare le bande grigie e sono passato ad applicare il verde (H331).

Per desaturare questo colore ho sperimentato per la prima volta il filtro della True Heart per i colori scuri (Paint Fading 1). Ho faticato un po’ a prenderci la mano. Consiglio di procedere per gradi. Quando lo si spruzza i risultati non sonno immediati ma compaiono dopo qualche minuto. Se si esagera si rischia di ottenere un effetto eccessivo…anche se si può sempre ricominciare da zero lavando subito via tutto con una pezzolina imbevuta d’acqua. Ho successivamente ripreso le bande verdi con il colore originale che, passato molto diluito ed a bassissima pressione, mi ha consentito di amalgamare tutto ed ottenere un effetto delicato e meno contrastato rispetto al grigio, come nella realtà.

A questo punto mi sono dedicato alla colorazione in nero di alcuni particolari e pannelli, rimandando alle fasi successive gli ulteriori interventi di invecchiamento sulla mimetica. Dopo aver mascherato tutto il lavoro eseguito ho applicato un paio di mani Tamiya Chrome Silver X-11 sulle superfici inferiori. Non avendo ancora sperimentato i magici Alclad ho preferito adoperare nuovamente questo colore metallico, già adoperato su un F-104G mimetico del 3°Stormo con risultati più che accettabili. L’unica accortezza è stata quella di applicare questa tonalità alla fine della colorazione, vista la estrema delicatezza dell’ X-11 (che mal sopporta anche il nastro Tamiya) e la sua fastidiosa tendenza a depositarsi in minuscole particelle su tutto ciò che non è stato preventivamente mascherato.

Mi sono poi dedicato alla colorazione dei vani carrello ed aerofreni adoperando un verde a smalto Humbrol (Hu226) ed i Vallejo per i dettagli. Un paio di mani di trasparente lucido Tamiya (X-22), abbondantemente diluito con il prodotto della casa e “corretto” con un po’ di retarder Gunze, hanno preparato il modello per la successiva fase dei lavaggi. Questi ultimi sono stati eseguiti ad olio, diluito con il solvente Humbrol. Ho utilizzato un’unica tonalità di grigio per tutte le pannellature, ad eccezione di quelle che delineano le estremità delle superfici mobili e delle piccole prese d’aria presenti sul velivolo. Per queste ultime è stato adoperato il nero. L’impasto è stato rimosso con piccoli pezzettini di carta dopo circa 30 minuti. In alcuni casi dopo diverse ore, per ottenere effetti più marcati “tirando” il colore con un pennello piatto.

Dopo aver atteso ancora 24 ore, alcune zone ed i pannelli di manutenzione hanno ricevuto un trattamento con le polveri Tamiya. Sperimentato in altre occasioni il notevole grip di queste polveri, ho finito per adoperarle sempre su superfici lucide, in modo da garantirmi ampi margini di correzione in caso di errore. Una mano di X-22 ha sigillato lavaggi e polveri regalando una superfici a prova di silvering e pronte per l’applicazione delle decals.

Posa delle decal e termine dei lavori.

Non appena ho aperto questa scatola di montaggio ed ho avuto modo di esaminare il foglio di decals, ho avuto la sensazione che i numeri di carrozzella dedicati all’esemplare del 32°Stormo fossero sovradimensionati. Avendo in magazzino un vecchio foglio Tauro con tali numeri non mi sono preoccupato più di tanto. Arrivato il momento di applicare le decals, con mio grande rammarico, ho avuto conferma delle mie impressioni iniziali. Anche i numeri del foglio Tauro (comunque dedicato ai G-91R) si sono rivelati ad un più accurato esame della sessa taglia di quelli del foglio fornito nel kit ADV Models. Non avendo alternative ho utilizzato quanto avevo a disposizione.

Altro punto dolente di queste decals è costituito dallo scarso potere coprente del rosso. L’effetto è venuto fuori soprattutto sulle coccarde applicate all’estradosso alare il cui bordo rosso lasciava trasparire i sottostanti colori della mimetica.

Un vero peccato, vista la buona qualtà complessiva delle decals. Sono estremamente sottili, con il film  trasparente ridotto al minimo. Hanno reagito egregiamente sia al binomio Microset/Microsol che al più aggressivo Mr. Mark Softer. Eseguiti alcuni piccoli ritocchi con gli acrilici Vallejo, le decals sono state sigillate con una ulteriore mano di X-22. Dopo 24 ore ho effettuato lavaggi ad olio mirati sulle decalcomanie. In questo modo le ho desaturate ed ho nuovamente evidenziato i pannelli sui quali le decals erano state applicate.

Sono riuscito ad attenuare la brutta trasparenza del rosso delle coccarde, mentre la sharkmouth è stata adeguatamente “affumicata” per l’uso continuo dei DEFA da 30mm.

Il modello ha poi ricevuto la mano finale di trasparente. Ho miscelato l’X-22 con del Flat Base fino ad ottenere una finitura satinata che risaltasse soprattutto in presenza di fonti di luce diretta. Dopo aver atteso qualche ora, rimosse le mascherature da cockpit e windshield, ho riprodotto su quest’ultimo le guarnizioni dei vetri con Vallejo ed un pennellino 000. Nel frattempo la parte trasparente del canopy ha ricevuto un bagno di Future per poter essere incollata con un velo di ciano (fatta decantare comunque per 2/3 minuti su di un tappo di bottiglia) alla struttura del tettuccio. Il montaggio del carrello e dei vari portelli ha richiesto soltanto un po’ di pazienza e di calma. Appoggiato il mio G-91Y sulle sue gambe mi sono però subito accorto che assumeva un assetto leggermente “frenato” sul ruotino anteriore.

Ricontrollate tutte le rispondenze con gli altri riferimenti (compreso il corretto incollaggio delle gambe del carrello), sono giunto alla conclusione di aver esagerato nella fase di pulitura del ruotino dalla materozza, mangiandomi almeno un millimetro di pneumatico. A danno compiuto e soprattutto con un ruotino saldamente incollato alla gamba del carrello, dopo un consulto con gli amici del forum, ho deciso di cercare di ridare un minimo di volume alla zona di contatto con l’asfalto. Con veli successivi di ciano ho recuperato un millimetro di spessore e, dopo aver carteggiato la zona ho ripristinato la colorazione dove necessario.

L’assetto è stato ripristinato ma l’effetto sul ruotino non mi piaceva particolarmente. Siccome la cosa non mi andava giù ho ricostruito con del filo di rame i fermaruota in tondini di ferro che venivano utilizzati a Brindisi sui velivoli in parcheggio.

Per mia fortuna gli specialisti erano soliti applicare un fermaruota proprio davanti al ruotino, mentre almeno un altro veniva collocato dietro ad una delle ruote del carrello principale. In questo modo il ruotino è tornato ad essere presentabile. Dopo alcune prove ho deciso di non montare i serbatoi subalari. Ho ancora vivido il ricordo di questa configurazione “pulita” abbastanza frequente a Brindisi e che prediligo. Fissato il canopy in posizione ed incollati gli ultimi particolari, il viaggio nei miei ricordi di giovane appassionato si è concluso con un Falco Brindisino fiero ed aggressivo parcheggiato in bacheca.

Considerazioni finali.

Ho impiegato più di otto mesi per completare questo modello. Il Kit ADV Models è davvero pregevole, peccato soltanto per alcuni limiti del foglio di decals. Siamo di fronte ad una realizzazione artigianale di livello elevato, non certo adatta ai neofiti ma che mi sento di consigliare a chiunque abbia un po’ di esperienza. La qualità complessiva aiuta davvero tanto,  anche se, come il sottoscritto, non vi eravate mai cimentati nella realizzazione di un kit in resina.

Se esiste un velivolo al quale siete particolarmente legati, magari perché avete avuto la fortuna di poterci volare, lavorare o lo avete potuto ammirare da vicino, provate a riprodurlo. Non costruirete soltanto un modello in scala, ma darete vita e sostanza ai vostri ricordi, alle vostre emozioni. Vi assicuro che proverete sensazioni e soddisfazioni maggiori di quelle già preziose che il nostro hobby ci regala.

Se poi siete stregati dal G-91Y….

Guido Maria SPILLONEFOREVER Brandolini

Per leggere la recensione completa del kit fai click QUI!

Addio Italian Vipers! F-16 A ADF dal kit Hasegawa in scala 1/48.

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Giovedì 24 maggio 2012: l’ultimo batch di F-16 ADF della nostra Aeronautica Militare è decollato alla volta della Davis Monthan Air Force Base. Si chiude, ufficialmente, il programma “Peace Caesar” iniziato nel marzo del 2001 come soluzione ad interim per la sostituzione degli F-104. Con la partenza dei nostri “Italian Vipers” si chiude un’epoca e se ne apre un’altra: la difesa dei nostri spazi aerei è, ora, affidata agli Eurofighter Typhoon.

Questo mio modello è un saluto “simbolico” ad un velivolo che, pur operando per “soli” nove anni tra le fila dell’AMI, è entrato da subito nei cuori di noi appassionati. Ciao F-16!

Il Modello.

Il kit da me scelto è l’intramontabile Hasegawa, da trent’anni (circa) sulla cresta dell’onda. Una qualsiasi scatola dedicata alla versione A può andare più che bene, ma anche gli stampi relativi alle varianti C (solo Block 30, attenzione!) possono essere valide ai nostri scopi. Gli interventi da fare sono abbastanza e l’utilizzo della resina per convertire il modello in un “ADF” (Advanced Day Fighter) sarà preponderante. Inizio subito a parlarvi della prima fase del montaggio: l’abitacolo.

Cockpit.

Il Cockpit del kit è stato sostituito con quello in resina della Black Box, ben realizzato, l’unica correzione consiste nel rimuovere lo scalino situato nella struttura dietro il seggiolino che ne impedisce il normale alloggiamento ed assumere l’inclinazione caratteristica degli Acess II montati sui Viper. Vanno inoltre ricostruite le guide per l’espulsione del sedile, per le quali mi sono servito di profilati in Plasticard.

La vasca dell’abitacolo è leggermente sotto dimensionata, questo risulta essere un vantaggio in quanto ci permette di lavorare con un margine di sicurezza pressoché assoluto, senza dover rimuovere tonnellate di plastica per far stare tutto dentro. Per posizionare la palpebra in resina, va rimossa quella del kit. Nonostante abbia cercato di essere il più preciso possibile nel taglio, alla fine ho dovuto usare molto stucco per raccordare la palpebra in resina con la fusoliera del kit…lo so, i tagli non sono il mio forte purtroppo!!!!!

Tuttavia, anche se scrivendolo può sembrare un lavoro massacrante, in realtà non lo è, e chi ha più manualità di me lo troverà senz’altro un gioco da ragazzi. Posizionate tutte le parti in resina ed effettuate le necessarie prove a secco per verificare che tutto funzioni, si passa alla colorazione per la quale ho utilizzato Dark Gull Gray della Gunze (F.S. 36231) e Nato black della Tamiya per palpebra, frames e pannello strumenti. Per il sedile, oltre al grigio, ho usato vari verdi della Vallejo per simulare il cuscino ed i vari tubi dell’ossigeno. Per gli altri particolari ho usato sempre i Vallejo.

Una volta asciugato il colore ho evidenziato le parti in rilievo ed i particolari usando colori più chiari della base, quindi dopo una mano di trasparente lucido Tamiya ho effettuato un lavaggio con grigio di Payne ad olio. Il lavoro del Cockpit si conclude con una mano di opaco Tamiya.

Fusoliera ali e vani carrello:

Il Kit Hasegawa risente degli anni, e per riportarlo agli standard attuali sono stati effettuati dei lavori supplementari.

Per prima cosa ho rivettato le pannellature con la rivettatrice “Rosy”, quindi ho applicato alcune piastre di rinforzo, presenti sul dorso della fusoliera e sulle ali dei blocchi assegnati all’Italia usando un set della Tamiya adatto allo scopo.

Sulla pancia, dietro al vano carrelli, ho aperto con l’ausilio di una fresa, i portellini dell’APU, ho poi simulato le piastre tramite il toulle per bomboniere.

 

I Viper italiani sulle estremità alari hanno i lanciatori adatti per montare gli AIM – 120 (rail LAU-120, per questo ho rimosso quelli presenti sulle ali adatti agli AIM – 9 sidewinder e li ho sostituiti con altri in resina della Wolfpack adatti ai AMRAAM.

I due fori relativi agli attacchi dei piloni centrali sotto le ali sono stati stuccati in quanto non usati dagli F-16 italiani. I flaps sono stati separati e dopo averli opportunamente raccordati, sono stati riposizionati abbassati.

Con del nastro argentato ho creato altre piastre che si trovano a lato della presa d’aria e sotto le “birds slice”; queste ultime sono in resina.

Sulla parte laterale sinistra della fusoliera sotto al cockpit ho praticato un foro per l’alloggiamento del faro di ricerca.

Il radome del kit è liscio, mentre su quello dei viper italiani ci sono i dissipatori di energia elettrostatica, li ho realizzati con dello sprue stirato applicato a misura con colla tappo verde e poi opportunamente carteggiato per ridurne ulteriormente lo spessore.

I “baffi” dell’AOA sono presenti nel kit Tamiya dedicato da cui ho prelevato anche le piastre di rinforzo. L’impennaggio di coda è stato sostituito con uno in resina della Cutting Edge caratterizzato dai due classici rigonfiamenti ai lati della base. Per posizionarlo in asse mi sono servito di quello originale del kit dal quale ho copiato la posizione degli innesti, riprodotti poi in plastica. Tutto è andato a posto, anche se ho dovuto raccordare la base della deriva con la fusoliera usando profili di plasticard e stucco. Confesso che è andata fin troppo bene…sinceramente pensavo peggio!!!!!

Lo scarico del kit è stato sostituito con quello in resina della AIRES dedicato al Pratt & Whitney F – 100.

I vani carrello sono della AIRES e vanno a sostituire quelli del kit, il loro adattamento non è dei più felici, soprattutto il vano posteriore è più corto e lascia una fessura di mezzo millimetro al raccordo con la fusoliera che ho dovuto colmare con stucco e Plasticard.

Anche le ruote del kit sono state sostituite con una coppia in resina della Eduard Brassin per adattarle agli standard dei Viper italiani. La presa d’aria è una rogna colossale, per evitare di trovarmi nei guai dopo, l’ho stuccata, carteggiata e colorata internamente prima di montarla…il risultato finale a me non piace, ma l’alternativa era chiuderla simulando il velivolo a riposo, ma il mio desiderio di rappresentare l’aereo intatto in tutte le sue linee ha prevalso….quindi tutto in vista!!!

Le luci di navigazione poste alla base della deriva sono errate e devono essere “bucate”,rifatte e raccordate mediante un pezzo di sprue trasparente .

Ho provveduto anche a separare gli aerofreni per poterli rappresentare aperti, dato che i velivoli – a terra – avevano molto spesso questa configurazione.

Verificato che sia tutto ok, il modello è stato pulito dallo sporco lasciato delle mie manacce usando del sapone per piatti.

Colorazione.

Se il montaggio può sembrare complicato, visto l’adattamento della resina al kit Hase, la cosa che mi ha dato più pensiero è stata la colorazione, non tanto per il procedimento, quanto per la metodologia da adottare per riprodurre l’”Have Glass”, e cioè l’effetto caratteristico dei Viper italiani per cui la vernice anti radar usurandosi tende ad assumere un colore argento, facendo sembrare i velivoli quasi privi di vernice. A tal proposito, insieme a Valerio Starfighter84 abbiamo cercato e sperimentato varie soluzioni, la prima è stata quella di passare l’argento di fondo, poi i grigi e quindi carteggiare con carta molto fina. Questo metodo produceva un risultato troppo netto, e la livrea sembrava graffiata ed il risultato finale non rendeva per bene l’idea che volevo trasmettere. Altro sistema sperimentato è stato quello di effettuare la colorazione pulita, e poi effettuare velature di argento sui pannelli. Il risultato rispetto al precedente migliora molto, se non altro le sfumature sono più omogenee, ma l’ho trovato poco controllabile, temendo di non poter dare la finitura che desideravo. Alla fine ho applicato il metodo mutuato da un articolo uscito su ARC  (Aircraft Resource Center) che aveva come soggetto proprio un F-16 il quale subiva la stesso trattamento di usura della vernice.

Per cominciare ho abbandonato gli acrilici e mi sono procurato i Mr color, in pratica sono gli smalti della Gunze, e più precisamente il grigio chiaro 36375 ed il grigio scuro 36118. Mischiati in parti uguali con l’argento della Model Master, ho creato una sorta di grigio metallizzato come base di partenza da spruzzare sul modello seguendo lo schema mimetico del velivolo. Una volta applicata, ho ripreso la base, prima 36375 e poi 36118, schiarendola via via sempre di più con l’argento della Model Master, cercando di evidenziare, in base alle foto in mio possesso, i pannelli interessati dall’ “Have Glass”. Le parti non interessate dall’ “Have Glass” sono state schiarite come al solito mischiando i grigi con del bianco. Successivamente l’andamento delle pannellature è stato ripreso con i rispettivi grigi spruzzati direttamente dal barattolo, in modo da accentuare ulteriormente il contrasto. I vani carrello e la presa d’aria sono in “insignia whie”. Lo scarico è stato verniciato in “alluminio”, quindi è seguita una velatura in “pale burnt metal” dell’Alclad e una volta mascherato è stato rifinito con “iron metal” della Model Master, gli interni di ceramica sono bianchi. A questo punto ho applicato un paio di mani di future sul modello e quindi ho proceduto con i lavaggi ad olio per i quali ho usato grigio di payne. Diverse mani successive e leggere di future hanno preparato il campo per le decals.

Decals.

Le decals sono dell’Italian kits dedicate ai nostri viper, e danno la possibilità di realizzare esemplari operativi a Cervia e Trapani. La mia scelta è ricaduta su la M.M. 7252 operante a Cervia. Le decals tutto sommato sono buone, presentano un foglio con i numeri di matricola ed uno con le insegne di reparto, la loro applicazione non ha creato alcun problema e con i soliti micro sol e set tutto fila liscio. Unico problema riguarda il numero 5 vicino alla diana sulla parte alta della deriva, che è stampato con lo stesso carattere squadrato del 37°. Il 7252 ha un 5 più arrotondato, per farlo, dopo averne provati diversi, ne ho stampati due su un foglio decals trasparente che, fortunatamente avevo in casa.

Finitura.

Anche qui c’è da fare una considerazione importante, infatti se è vero che sulla fusoliera c’è uno spiccato effetto “Have Glass”, sulle ali il velivolo presenta un usura normale. Una cosa del genere in modellismo si traduce in una differente finitura, infatti se sulla fusoliera debbo ottenere una certa brillantezza per non smorzare l’alluminio, sulle ali avrò bisogno di una finitura opaca per simulare l’effetto gessoso dato dall’usura. A tal scopo ho spruzzato il trasparente opaco sulle ali e su tutte le parti che effettivamente rimarranno opache. Sulla fusoliera ho spruzzato l’opaco solo lungo le pannellature, mentre nel centro ho usato il satinato. Il tutto è stato omogeneizzato il più possibile per evitare di creare zone con differenze di finitura troppo nette. Così facendo ho cercato di preservare l’effetto alluminio il più possibile….spero di esserci riuscito!!! In ultimo ho incollato le gambe dei carrelli, e le varie antenne.

Conclusioni

Ringrazio Valerio “Starfighter84” per il materiale fornito, e per il supporto che si è tradotto in svariate ore sia al telefono a scambiare idee, sia al banco a provare soluzioni e colorazioni per tirare fuori un “Have Glass” decente….se non vi piace l’effetto prendetevela con lui….!

A presto.

Daniele “Dankat” Moccia

“..And kill Migs..” MDD F4E Phantom II dal kit ESCI in scala 1/48.

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A proposito di armadi.

Credo che ogni modellista debba fare i conti con “l’Armadio”, cioè il posto ove custodiamo (o meglio occultiamo) tutte le scatole di montaggio comprate negli anni in cui l’unica legge che regna sovrana è quella dell’accumulo. Tutti i giorni, come dei Gollum, ne guardiamo rapiti il  “tessoro” contenuto e se da una parte l’Armadio ci ammonisce con una vocina che dice “ma quando mai le farai centinaia di scatole se a malapena fai 3 modelli l’anno e continui a comprarne altre???’”, dall’altra, la vocina con soddisfazione ci dice anche: ”…hai fatto bene a prendere altre 10 scatole di Phantom, non si  sa mai..”, oppure, a giustificazione del tutto, ci fa sognare investimenti improbabili del tipo “…hai visto mai che questo kit fra qualche anno varrà milioni di Euro?? (manco avessero le “box art” dipinte da Van Gogh in persona!).

L’Armadio dunque si nutre di scatole accumulate e, come una creatura Lovecraftiana, ne reclama sempre di più, mai pago. Mai sentito di modellisti scomparsi, fagocitati dall’Armadio perché non avevano portato a Lui il tributo di nuove scatole essenziali per il Suo nutrimento…  solo leggende??? Paura eh??? Scherzo ovviamente (non su tutto però).

 Il kit.

La scelta di montare questo kit riflette tale premessa: kit ESCI “F4E Nam Raider” 1/48, vecchissimo, comprato nel 1988 o giù di lì (stampo primi anni ’80) sepolto e seminascosto tra svariate altre scatole che mi ero completamente dimenticato di avere.

Pur ben conscio delle difficoltà che avrei incontrato nel montaggio eppure, alla fine, preso come da un impulso, ho cominciato ad armeggiarci su!

Inutile dire che il kit ESCI è povero come dettaglio superficiale,  le pannellature sono in negativo un pò pesante, gli interni sono strabasici, gli incastri grossolani e con alcuni particolari sballati (a proposito il reinscatolamento Italeri di qualche anno fa è lo stesso kit con decals migliorate quindi valgono le stesse considerazioni). Se però sorvoliamo su queste “piccole” cose e vediamo il bicchiere mezzo pieno vi dico anche che: le linee generali, secondo me, sono più azzeccate dei  Phantom “E” dell’Hasegawa… è ben fornito di carichi… la plastica è morbida e lavorabile… le incisioni pesanti alla fin fine, viste le tante stuccature/lisciature cui sarà sottoposto il modello e la mimetica tipo SEA, non danno fastidio più di tanto, anzi, ecco che abbiamo quella che si definisce una buona base di partenza per il dettaglio.

La versione del Phantom proposta dal kit ESCI è una “E” dei primi lotti di produzione e vengono pertanto correttamente forniti l’ala detta di tipo “hard”, cioè priva degli slats di manovra, gli stabilizzatori slatted e la scelta tra due tipi di volata del cannone M61.

 

Questo kit però nasce attorno alle versioni a naso corto del phantom (C/D/J) ed alcuni particolari tradiscono questa impostazione: le piccole prese d’aria anteriori sul muso sono infatti di forma sbagliata ed in coda è presente un pitot in più. Nel primo caso bisogna sostituirle o ricostruirle, nel secondo  basta un colpo di lama!

Quindi in definitiva come debba essere considerato il bicchiere dipende solo da noi: se guardiamo il kit con gli “occhi della tigre” questo è consigliabilissimo…. Se invece preferiamo dedicare prezioso tempo libero ad altri dettagli, lasciamolo perdere.

Montaggio: “..Redrum….redrum…..redrum….”

La pazzia si è impossessata di me e visto che nessun esorcista girava da queste parti per liberarmi da tale forza malefica, come Jack Nicholson nel film “Shining”, ho cominciato a brandire…. il taglierino e mi sono messo a rivettare piano piano tutto il velivolo, buco per buco, un buco, alla volta, ali e fusoliera!

Soddisfatto lo spirito immondo ho provveduto a rifare le piccole prese d’aria laterali del muso usando l’alluminio di una lattina arrotolato su una limetta di sezione convessa usata come dima.

Per gli interni ho sfruttato alcuni pezzi ESCI (vasca) incrociandoli con altri di un kit Hasegawa del Phantom  (sedili e cruscotti), migliorando il tutto con autocostruzione ed aggiunta di cavetti. Il cinghiaggio dei sedili proviene da un set Eduard. Volevo anche sostituire gli scarichi dei motori J-79 ma qui i pezzi Hasegawa non si adattano bene in quanto troppo larghi ed allora ho migliorato quelli della scatola.

Ho aperto e ricostruito, per sfizio più che altro, il ricettacolo per il rifornimento in volo ed aggiunto, ricostruendola, la piccola presa d’aria di sfiato del cannone presente sul lato dx superiormente al muso che rimane normalmente aperta quando il velivolo è spento a terra.

Vi ho brevemente esposto solo su cosa sono intervenuto io perché i margini di miglioramento sono talmente ampi che alla fine l’unico limite al lavoro possibile rimane l’abilità e la voglia di fare .

Fatto ciò che precede (dopo mesi!) è cominciato il montaggio e qui, purtroppo, si nota tutta l’anzianità del kit, un vero festival del “crick e crack”, di gemiti dovuti a forzature della plastica a prendere un corretto posizionamento e fiumi di cianacrilato. Qui c’è poco da fare: tanta colla, stucco, pazienza e olio di gomito.

Verniciatura

Ho proceduto in maniera un po’ particolare in quanto posseduto anche qui da forze malefiche che mi hanno messo in testa una cosa: perché verniciare sempre allo stesso modo e invece non provare, usando gli stessi concetti in maniera un po’ diversa, qualcosa di nuovo??? In altre parole nel verniciare i miei modelli ho sempre seguito la regola del postshading con il colore nei pannelli (guardando dall’alto) che va schiarendo man mano che si procede verso l’interno come nello schema seguente.

Vedendo invece come i colleghi carristi sfruttano la modulazione del colore per verniciare i loro modelli mi sono riproposto di provare qualcosa del genere quindi ho semplicemente spostato il punto di vista: anziché “guardare da sopra” (luce zenitale come nel postshading classico) mi “sposto” un po’ più al lato (tipo guardando parallelamente) ottenendo in questo modo:

Ovviamente sto solo parlando di teorie e forzature nella rappresentazione di come la luce, colpendo una superficie colorata può modificare la percezione visiva del colore stesso. Questo perché alla fin fine, in realtà, un verde sempre verde rimane! Inoltre teniamo presente che un aereo è diverso come forme da un mezzo corazzato (ampie superfici piatte e angolate) quindi prendete tutto con le pinze ed immaginate che il modello sia un quadro.

Detto ciò in pratica, immaginando un ala, quello che mi sono riproposto di fare è questo:

In effetti è un po’ inquietante, diverso da ciò che normalmente viene fuori con un posthading classico, però alla fin fine la cosa mi intricava, mentre l’unico dubbio era: quanto i successivi trattamenti avrebbero spento e reso meno enfatizzato tale effetto?? L’esperienza mi diceva di lasciare tutto così ma. non avendo mai provato nulla del genere, ho comunque provveduto ad ammorbidire un po’ i contrasti spruzzando ulteriori tonalità della mimetica meno schiarite (vi anticipo che i successivi passaggi hanno però smorzato di molto quanto vedete nelle foto precedenti).

Fatto ciò i successivi passaggi sono stati i classici lavaggi, vernici trasparenti finali e scrostature varie nelle zone di camminamento (nel frattempo erano passati quasi 6 mesi dal primo colpo di cutter!!!).

Per i carichi, volendo rappresentare un Phantom impiegato durante il conflitto del VietNam nei primi anni ’70, ho cercato una configurazione tipica del periodo. Ho optato quindi per una configurazione MigCAP:

4 AIM7 Sparrow,  4 AIM9 Sidewinder  e tre serbatoi supplementari. Inoltre ho modificato, prelevandolo da un F111 Academy, un pod ECM ALQ-87 in uso in quel periodo come disturbo elettronico. In realtà avrei voluto metterne due, tipicamente montati sotto gli agganci ventrali anteriori al posto degli Sparrow, ma ahimè uno mi si è rotto in fase di modifica, quindi ne ho messo uno solo sotto al pilone interno Dx.

Si è rivelato molto utile il volume “…and kill Migs” della Squadron Signal dedicato appunto ai MigKiller USAF/UsNAVY della guerra del VietNam. In questo volume troviamo moltissime foto di Phantom con stelline rosse di accreditamento di vittorie sui Mig avversari, tra i quali, l’esemplare che ho scelto di riprodurre.

La mia scelta è caduta sul Phantom F4E “JJ – 68-493” del 34° TFS – 388° TFW, basato a Korat nel 1972 (le lettere J J in coda e la “sharkmouth” sono state dipinte con mascherine….  i numerali no, sono decals: ahimè… non sono così bravo).

Il 5 ottobre 1972 l’equipaggio ai comandi dell’F4E “JJ-493” call sign “Robin1”, pilota Cap. Coe e dal WSO Ten. Webb, nel corso di una missione di protezione ad una forza di attacco abbatteva nei cieli del Nord Vietnam un Mig21 (più forse un altro probabile ma non confermato).

Una domanda alla fine mi è rimasta in testa: fù vera gloria quella dei Phantom in VietNam???? Qualche dubbio mi viene leggendo le cifre delle perdite (più di 400 velivoli) e le critiche mosse principalmente dai piloti dell’USAF (non dimentichiamo però che il Phantom era nato per l’UsNavy e i suoi diktat ed imposto successivamente all’Air Force) compendiate secondo me nella frase del Ten. Col. Berke: “il Phantom non era il miglior velivolo … era solo il meglio di cui potevamo disporre” ed in effetti, vedendo l’inventario dell’USAF di quei tempi, alla fine l’adozione del  Phantom fu’ una benedizione.  I successivi caccia F15 ed F16  infatti sarebbero stati progettati con filosofie molto diverse!

 

Conclusioni e considerazioni.

Al termine del lavoro ammetto che questo Phantom ESCI me lo guardo e riguardo con soddisfazione. In questa scala, pesantemente caricato, è un modello poderoso ed accattivante anche se necessita di molto lavoro. Riuscire a portare a compimento tale kit, che avevo già affrontato da “teen ager” nelle versioni C e J, mi ha permesso però di poter applicare su di esso l’esperienza accumulata negli anni regalandomi, oltre ai ricordi (e rimpianti?), la possibilità di poter agire diversamente in situazioni modellistiche già vissute. Peccato ciò non possa accadere anche nella vita.

In conclusione amici spero che il risultato vi piaccia e, soprattutto, non mancate di farmi conoscere critiche, pensieri e consigli relative alle “filosofie” di verniciatura usate su questo modello e possibili  miglioramenti!

Un doveroso ringraziamento va a tutti gli amici del forum “Modeling Time” (nelle cui pagine trovate il W.I.P con foto scattate durante la lavorazione) per gli aiuti, i preziosi consigli e gli incoraggiamenti durante questa lunga maratona modellistica!

Saluti

Massimo M. “pitchup” De Luca

The Entebbe Raider – KC-130H dal kit Italeri in scala 1/72.

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27 giugno 1976. Il volo Air France 139, originario da Tel Aviv, trasporta 239 passeggeri e dodici membri dell’equipaggio. Dopo uno scalo tecnico, l’Airbus A-300 della compagnia aerea francese lascia Atene per dirigersi verso la destinazione finale, Parigi. Pochi minuti dopo il decollo, due terroristi palestinesi del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina, e due estremisti di origine tedesca aderenti al movimento di estrema sinistra “Revolutionäre Zell”, dirottano il volo e costringono il comandante a fare rotta verso Bengasi, in Libia. Dopo sette ore fermo a terra per rifornimento, il volo 139 decolla nuovamente alle 15.15 del 28 giugno, quasi ventiquattro ore dopo la partenza originaria dalla capitale israeliana, con destinazione finale Entebbe, in Uganda.

Nel 1976 l’Uganda era oppressa dal dittatore Idi Amin che appoggiava e aiutava apertamente i movimenti pro palestinesi. Con l’aiuto di Amin, al primo gruppo di dirottatori si aggiunsero almeno altri quattro terroristi. Poche ore dopo l’arrivo a Entebbe, i sovversivi avanzarono le prime pretese richiedendo la liberazione di quaranta palestinesi trattenuti in Israele, più altri dodici presenti in prigioni svizzere, francesi, keniote e della Germania Ovest. Minacciarono, inoltre, che nel caso di mancato accoglimento delle loro rivendicazioni, dal primo luglio avrebbero iniziato a uccidere gli ostaggi.

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I dirottatori divisero le vittime in de gruppi distinti: da una parte i cittadini Israeliani, dall’altra coloro che appartenevano ad altri stati. I terroristi dichiararono esplicitamente agli ostaggi che il loro era un atto di forza contro lo Stato d’Israele e non contro gli ebrei in generale; da sottolineare, infatti, che sul volo Air France erano presenti ebrei che non avevano cittadinanza israeliana, come due studenti di origine brasiliana.

Gli attentatori spostarono le vittime del dirottamento all’interno della Hall per i transiti dell’aeroporto e lì li costrinsero per circa una settimana. Al termine dei sette giorni, il portavoce della cellula dichiarò che tutti i cittadini non israeliani sarebbero stati liberati e spostati su un altro volo Air France appositamente inviato a Entebbe per il trasferimento delle vittime.

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Il comandante del volo 138, Michel Bacos, comunicò ai dirottatori che il personale e i passeggeri erano sotto la sua diretta responsabilità e non accettò di essere evacuato. Presero la stessa decisione anche i membri dell’equipaggio. Una suora francese si offrì di cedere il proprio posto, ma fu costretta a salire sul volo di evacuazione dai soldati regolari ugandesi. In totale gli ostaggi rimasero ottantacinque, più altre venti persone (in gran parte personale dell’Air France).

Oramai era chiaro a Israele che la liberazione degli ostaggi poteva avvenire solamente attraverso un’operazione militare, ma nelle settimane che seguirono l’avvenimento ci furono molti tentativi di risolvere la questione per vie diplomatiche; molte fonti indicano che il governo israeliano iniziò i preparativi per il rilascio dei prigionieri palestinesi come contromossa a un eventuale fallimento del piano militare di liberazione degli ostaggi. Alle trattative partecipò anche un alto ufficiale dell’Israeli Defense Force oramai in congedo, Baruch “Burka” Bar-Lev, che conosceva personalmente il presidente ugandese Idi Amin. Più volte Bar-Lev ebbe con lui un colloquio telefonico diretto, ma tutti gli sforzi furono vani. Esponenti israeliani chiesero anche agli Stati Uniti di intercedere con l’Egitto affinché, quest’ultimo, convincesse Amin, ma non vi furono risultati.

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Il primo luglio del 1976 il governo di Tel Aviv chiese di estendere il termine ultimo delle trattative al giorno quattro dello stesso mese. La richiesta fu accolta dai terroristi e questo slittamento di date fu cruciale per il seguito delle operazioni. Il 3 luglio, infatti, il parlamento israeliano approvò una missione di salvataggio sotto il comando del Generale Yekutiel “Kuti” Adam. L’ultimo atto della vicenda diplomatica fu affidato a un esponente egiziano, Hanni Al Hassani, che provò a negoziare sia con l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina, sia con il governo ugandese ottenendo solamente un nulla di fatto. Ufficiosamente, l’elaborazione di un piano per l’incursione a Entebbe prese il via. Il Mossad (i servizi segreti israeliani) ricostruì un identikit fedele dei dirottatori grazie alle testimonianze delle vittime che furono rilasciate e rimpatriate a Parigi. Inoltre, riuscì a ricreare un modello a grandezza naturale della palazzina aeroportuale grazie ad alcuni “contactors” civili israeliani che progettarono e realizzarono l’edificio qualche anno prima.

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Per il trasporto delle truppe e del materiale furono designati quattro Lockheed C-130, ma fu subito chiaro che un volo di trasferimento diretto dall’Israele verso l’Uganda non era possibile. I vertici del Mossad sapevano che nessuno dei paesi della costa orientale dell’Africa (che non volevano rappresaglie da parte dell’Uganda, all’epoca il paese più forte della zona) avrebbe prestato supporto al governo Israeliano permettendo il sorvolo del proprio spazio aereo; per questo una richiesta di aiuto fu inviata al presidente del Kenya, Mzee Jomo Kenyatta. Quest’ultimo, grazie a varie pressioni politiche ed economiche avanzate da proprietari ebraici di alcune importanti strutture alberghiere presenti a Nairobi, diede il suo appoggio all’operazione.

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Il 4 luglio 1976 ebbe inizio, ufficialmente, l’Operation Thunderbolt – meglio conosciuta come Operation Entebbe o Entebbe Raid. Quattro C-130 dell’Israeli Air Force decollarono con il favore dell’oscurità e puntarono direttamente su Sharm El Sheik volando a una quota di appena 100 piedi (30 metri) per eludere la sorveglianza radar dell’Egitto, del Sudan e dell’Arabia Saudita. Al confine con il Mar Rosso la task force virò facendo rotta su Djibouti e, sorvolando la Somalia e l’Etiopia, arrivò un waypoint a sud est di Nairobi. In formazione con i C-130 volavano anche due B-707: il primo conteneva materiale per allestire un presidio medico e atterrò al Jomo Kenyatta International Airport di Nairobi, il secondo proseguì la rotta assieme agli Hercules e rimase a circuitare sopra l’aeroporto di Entebbe durante il raid.

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La forza d’intervento israeliana atterrò in Uganda alle ore 23.00 del 4 luglio eludendo completamente il controllo del traffico aereo del paese ostile. Gli Hercules, con le rampe già aperte, scaricarono in pochi minuti una Mercedes nera del tutto simile a quella presidenziale usata dal dittatore ugandese, più una Land Rovers che formava un corteo atto a creare l’impressione che Amin Dada fosse di ritorno dal viaggio ufficiale presso le isole Mauritius che lo stava impegnando proprio in quei giorni. Le forze speciali israeliane condussero i mezzi in modo da non destare sospetti, ma due ufficiali ugandesi erano a conoscenza che il presidente Amin aveva, recentemente, acquistato una nuova Mercedes color bianco per sostituire la più vecchia verniciata di nero. I militari ordinarono al convoglio di fermarsi, ma gli incursori israeliani spararono vari colpi di pistole munite di silenziatore per eliminarli; sfortunatamente i proiettili non andarono a segno e gli ufficiali di Amin Dada fuggirono per dare l’allarme. La reazione fu immediata e dalla Rovers partirono raffiche di mitragliatori non silenziati che centrarono i fuggitivi, ma allertarono precocemente i terroristi.

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I commando si mossero velocemente verso il terminal aeroportuale e, poco prima di fare irruzione, avvisarono gli ostaggi con i megafoni, gridando in inglese e in ebraico: “State giù! State giù! Siamo soldati israeliani!”. Un diciannovenne francese, Jean-Jacques Maimoni, fu scambiato per un terrorista e ucciso. Sempre per errore, Pasco Cohen, 52 anni, fu colpito da una raffica. Una terza e ultima vittima tra gli ostaggi fu Ida Borochovitch, un’ebrea di origine russa raggiuta da alcuni proiettili esplosi nello scontro tra forze speciali israeliane e soldati ugandesi. Venne eliminato anche un terrorista, Wilfried Böse, freddato prima che potesse puntare il suo Kalashnikov. A questo punto i militari israeliani chiesero, in ebraico, dove fossero i restanti tre dirottatori; gli ostaggi risposero indicando una porta che congiungeva la sala con la hall dell’aeroporto. Prima di entrare furono lanciare varie granate poi, completarono l’assalto entrando e uccidendo gli ultimi tre terroristi. Nel frattempo, dagli altri C-130 furono scaricati svariati mezzi blindati che servirono alla protezione degli ostaggi nel trasferimento sulla pista e protessero i velivoli durante le necessarie operazioni di rifornimento. Una squadra di artificieri piazzò delle cariche esplosive sui sette Mig-17 ugandesi in parcheggio, evitando che questi potessero decollare e inseguire gli Hercules durante il rientro.

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Dopo il raid, la reazione ugandese non tardò ad arrivare: soldati aprirono il fuoco contro gli ostaggi, e gli israeliani risposero con le armi automatiche infliggendo perdite ingenti al nemico. In questo breve ma intenso, scontro, perse la vita il capitano Yonatan “Yoni” Netanyahu (fratello del futuro primo ministro Benjamin), centrato al petto da un cecchino che sparava dalla torre di controllo. Yonatan Netanyahu fu l’unica vittima del commando, altri cinque, invece, furono feriti. Gli israeliani terminarono l’evacuazione, caricarono la salma di Yoni su un aereo e decollarono; l’intera operazione durò circa 53 minuti, di cui solo 30 per l’assalto. Tutti i dirottatori e circa quaranta soldati ugandesi furono eliminati. Dei 106 ostaggi, tre furono uccisi per errore e uno lasciato in Uganda; si trattava di Dora Bloch, 75 anni, di origine britannica. In seguito fu trasportata al Mulago Hospital di Kampala, dove fu assassinata da due ufficiali su ordine di Idi Amin. I suoi resti furono ritrovati nel ‘79 in una piantagione di zucchero a 20 Km da Kampala dopo che la guerra tra Tanzania e Uganda pose fine al regime di Amin Dada.

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Lo stato d’Israele ricevette il supporto di numerose nazioni occidentali: la Germania Ovestdefginì l’Operazione Entebbe come un “atto di leggittima difesa”, mentre Francia e Svizzera si complimentarono per la buona riuscita dell’incursione. Regno Unito e Stati Uniti D’America definirono quella di Entebbe come una “operazione impossibile”. In seguito, il presidente Kissynger si lamentò, in forma privata, con l’ambasciatore israeliano Dinitz per l’utilizzo di materiale bellico americano nel raid. Questa rimostranza, comunque, non fu mai resa pubblica. L’Operation Entebbe è, tutt’ora, riconosciuta come una delle più grandi e meglio riuscite operazioni anti terroristiche e di liberazione di ostaggi mai avvenuta. Su questo modello, molte forze armate hanno creato corpi speciali appositamente addestrati ed equipaggiati e, tra questi, il più famoso è sicuramente il Delta Force americano.

Il modello:

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Il progetto di realizzare un “Entebbe Raider” è iniziato nel 2011; il mio intento era di ricordare questa vicenda, non a tutti nota, a 35 anni esatti dal suo svolgimento.

Il C-130 è un aeroplano molto diffuso a livello mondiale e ben conosciuto anche da chi non è appassionato di aeronautica; eppure il suo successo su “larga scala” non è adeguatamente riportato in “piccolo”, e sia nell’1/72, sia nell’1/48 (tralasciando i rapporti minori), sono presenti pochi kit risalenti a svariate decine di anni fa.

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Personalmente, essendo un soggetto molto grande, ho preferito dirottare la mia scelta su una scala che potesse essere un buon compromesso tra dimensioni ridotte e possibilità di dettaglio: la 1/72. Quasi subito ho scartato l’idea di utilizzare il vecchissimo ESCI per la riproduzione del mio modello; nonostante lo stampo dell’Ente Scambi Coloniali Internazionali sia inciso, non convince molto per le forme generali che si rifanno, per lo più, ai primi prototipi del Cargo progettato dalla Lockheed. L’unica altra alternativa è l’Italeri, abbastanza datato anch’esso e totalmente in positivo, ma che cattura meglio le dimensioni e i profili dell’Hercules.

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La vecchissima scatola da me utilizzata è la numero 0140, oramai fuori catalogo da molto tempo (oggi l’Italeri ha in produzione l’articolo 0015 cui voi potrete optare); la dicitura sulla box art ci dice che essa è dedicata a un KC-130F, ma in realtà all’interno della confezione si trovano dei pezzi abbastanza “generici” che permettono di riprodurre molte versioni. In pratica, con un kit Italeri si possono ricavare quasi tutti gli Hercules (escludendo quelli per le operazioni speciali) prodotti, fino al più recente – il “J”.

A corredo del kit mi sono dotato, come sempre, di alcuni aftermarket che si sono rivelati fondamentali per riprodurre correttamente uno dei quattro “Entebbe Raider”. Ve li cito di seguito:

    • Flighpath Hercules Detail Set: il mega set della ditta inglese offre due lastre in fotoincisione ricche di dettagli aggiuntivi. Non tutti sono stati utili per la buona riuscita di questo modello, ma comunque mi sento di consigliarne l’acquisto.
    • Flightpath Allison T-56 – A – 15 Engine Set: il set in resina comprende quattro gondole motori complete da sostituire a quelle del kit che riproducono i vecchi propulsori T-56 – A-7 installati solamente nelle versioni più vecchie degli Hercules (B e E).
    • Flighpath C-130Bulged Wheels: nella confezione si possono trovare i quattro pneumatici del carrello principale e i due più piccoli di quello anteriore. Da aggiungere al carrello della spesa giacché le ruote fornite nel kit hanno delle fattezze dei cerchioni non proprio corrette.
    • Sky’S Decal 72011: il foglio decal della Sky’s è l’unico attualmente in circolazione che permette di realizzare un C-130 (in 1/72) impiegato nel raid in Uganda. Del prodotto avrò modo di parlare più approfonditamente nel corso dell’articolo.

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Montaggio:

Normalmente sono abituato a iniziare dall’abitacolo ma, questa volta, le operazioni preliminare hanno riguardato la totale reincisione delle pannellature. Come già ricordato qualche riga sopra, il kit Italeri presenta un dettaglio di superficie abbastanza preciso e fine ma, purtroppo, completamente in positivo.

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In accordo con l’ottima documentazione fornita dalla monografia Verlinden, ho iniziato la reincisione aiutandomi con uno scriber della Flex-I-File; la costruzione degli Hercules prevede dei pannelli rivettati alla struttura (metodo costruttivo classico), misti ad altri elettrosaldati tra loro. Per questo motivo, non tutte le zone del modello dovranno essere incise, bensì alcune (concentrate nella parte anteriore della fusoliera) saranno lasciate in rilievo. Per eliminare le “bavette” di materiale plastico che, inevitabilmente, si formano, basterà passare un velo di Tamiya Extra Thin Cement lungo tutte le incisioni: la componente trielinica del collante scioglierà gli eccessi. In seguito basterà lucidare bene le superfici interessate dalla lavorazione mediante carta abrasiva a grana 2000 bagnata in acqua. Inizialmente avevo optato per un’autocostruzione e dettaglio della stiva di carico ma, a un’analisi più approfondita, il lavoro sarebbe stato davvero lungo e noioso anche a causa della totale assenza (o quasi) di particolari forniti dal kit. Anche il cockpit soffre di varie mancanze ma, alla fin fine, una volta chiuse le semi fusoliere si vedrà molto poco dell’interno.

Quindi, cambiando in corso d’opera i miei buoni propositi, ho preferito montare i pochi pezzi forniti dalla scatola arricchendoli con delle fotoincisioni della Flighpath (pedestal centrale con il gruppo manette, cloche e pedaliere) e verniciando il tutto in Light Grey F.S. 36375. Qualche attenzione in più l’hanno ricevuta i seggiolini cui ho aggiunto i poggiatesta (sempre in fotoincisione), l’imbottitura dei cuscini (realizzata incidendo delle scanalature direttamente sul Plasticard) e le cinture di sicurezza ricavate da striscioline sottili di nastro Kabuki Tamiya. I sedili hanno la struttura nello stesso grigio prima impiegato, mentre lo schienale e la seduta sono in rosso F.S. 11105.

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Il completamento dell’abitacolo è sbrigativo, e dopo un paio d’ore di lavoro si è già pronti per unire le due valve che formano la fusoliera. Ricordatevi di appesantire il muso con una buona quantità di piombini da pesca, altrimenti il vostro Hercules rischia di “sedersi” sulla coda con un risultato finale anti estetico.

Un processo che richiede molto tempo e attenzione è il corretto montaggio dei grandi portelloni che chiudono la stiva; la precisione degli incastri denota tutti gli anni che questo stampo si porta sulle spalle, e per questo occorreranno svariate prove a secco per verificarne l’allineamento. Il mio consiglio è di incollare parzialmente a una semi fusoliera, da prima, la porzione superiore (quella più immediatamente sotto la deriva), in seguito aggiungere anche il pezzo di dimensioni maggiori con il medesimo metodo descritto. Una volta trovato il miglior risultato si potrà procedere “saldando” gli elementi con abbondante uso di colla cianoacrilica.

Un altro particolare da aggiungere è un piccolo oblò (la cui vetratura è stata ricavata da un pezzo di sprue trasparente), come riportato in foto:

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Conclusa la fase dedicata alla fusoliera, le mie attenzioni si sono rivolte alle ali. Per prima cosa, ho cercato di migliorare gli scarichi dei propulsori che sul kit sono appena accennati e totalmente inadeguati per gli standard modellistici moderni. In realtà, anche in questo caso, sono dovuto scendere a un compromesso per evitare complicate autocostruzioni in una zona del modello che, alla fine, rimarrà poco visibile agli occhi degli osservatori. Quindi, mi sono limitato a “bucare” la plastica in corrispondenza delle sedi già previste, e inserire all’interno un tubicino di PVC di opportuna misura trovato in ferramenta (di quelli che si usano nell’idraulica). L’accortezza che ho adottato è stata quella di ridurre lo spessore del profilato tondo per riportarne le misure più in scala possibile.

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Veniamo, ora, alla modifica più invasiva e delicata che ho dovuto affrontare: la sostituzione delle gondole motore. Come già anticipato in precedenza, quelle fornite dal kit non sono adatte perché rappresentano versioni installate sulle prime serie costruttive degli Hercules e, soprattutto hanno una forma decisamente troppo squadrata e poco veritiera delle lamiere nella parte superiore, in corrispondenza dell’innesto con il bordo d’attacco alare. Nella foto qui sotto le diversità sono subito evidenti:

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 La problematica più grande da risolvere è quella di raccordare al meglio i pezzi in resina eliminando gli spigoli vivi stampati sul kit:

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La prima operazione ha riguardato l’asportazione di una porzione di materiale plastico come indicato nell’immagine che segue:

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Rifinito il tutto con limette da unghie e cercando di ottenere una superficie quanto più piana e lineare, ho incollato le turbine con abbondante utilizzo di colla cianoacrilica. L’enorme scalino che si crea rispetto alle forme originali del modello va parzialmente eliminato riducendo lo spessore della plastica nei punti indicati dalle frecce; a tale scopo sarà utile utilizzare un trapanino elettrico munito di una fresa abrasiva.

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Eseguito il lavoro di “sgrosso” sulla plastica, le fessure che rimarranno potranno essere colmate, ancora una volta, con la colla Attack e delle striscioline sottili di Plasticard usate come riempitivo. Usando questa combinazione di materiali carteggiati a dovere, si ottiene una superficie liscia e dura da poter essere reincisa senza particolari problemi. A fine lavorazione è bene stendere su tutte le zone interessate dalla lavorazione, una cospicua quantità di pasta abrasiva atta a lucidare ed eliminare i graffi che si formeranno a causa della carta vetrata.

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Un altro intervento da dover compiere riguarda l’aumento della profondità delle prese d’aria dei motori in resina. Così come sono stampati, i condotti sono molto corti e danno un effetto ottico non proprio piacevole. Personalmente mi sono fatto aiutare dal solito trapanino su cui, per l’occasione, ho montato una punta diamantata di forma sferica che si è rivelata perfetta allo scopo. Mi raccomando di porre spesso i pezzi contro luce poiché, durante la fresatura, è facile assottigliare troppo la resina e “sfondare” il pavimento dell’intake.

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I lavori sulle ali sono terminati aggiungendo le due luci di navigazioni installate sulle tip; a riguardo, ne ho ricreato gli alloggiamenti intaccando la plastica con una lima piatta e, successivamente, auto costruendo i vetrini con due “schegge” di sprue trasparente incollate con Attack e sagomate a colpi di carta abrasiva grana 320. Il tutto è stato lucidato e rifinito con il Tamiya Rubbing Compound gradazione “Course” e cera Future.

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In corrispondenza delle stesse ho anche collocato le due luci di posizione (rossa a sinistra e verde a destra) prelevate dal set dedicato della CMK.

L’unione della fusoliera con le ali non presenta difficoltà di sorta ma, dato il peso cospicuo di quest’ultime, è bene rinforzare i punti di ancoraggio con tondini di ottone passanti da una parte all’altra del cassone alare. Quest’operazione eviterà che, con il tempo, le giunture siano sottoposte a uno sforzo eccessivo “aprendosi” nuovamente.

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Anche i piani di coda si montano con relativa facilità, ma lasciano delle fessure abbastanza vistose. Sia in questo caso, sia in quello prima descritto, sono ricorso nuovamente all’Attack e al Plasticard per riempiere i gap; lo stucco l’ho utilizzato come ritocco finale.

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Con il montaggio, in pratica, ultimato, mi sono dedicato all’aggiunta di alcuni dettagli. Sulle ali sono presenti portelli di accesso ai serbatoi del carburante e ai vani idraulici che il set di fotoincisioni della Flightpath fornisce già pronte all’uso; inoltre, osservando la documentazione, ho notato delle “costolature” di rinforzo applicate sulla parte superiore e inferiore della fusoliera, e lungo tutta l’apertura del grande vano di carico. Per riprodurle ho utilizzato del nastro Tamiya tagliato nelle giuste dimensioni che, oltre ad avere il giusto spessore, è già adesivo e facilita il posizionamento dei supporti.

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Il grande parabrezza è fornito, nel kit, in un sol pezzo; la sua trasparenza è buona e l’incastro nel suo alloggiamento abbastanza preciso. Esso è stato immerso nella cera Future che, oltre a donargli una maggiore limpidezza, mi ha permesso di poterlo incollare senza che i fumi del collante ne intaccassero la trasparenza. Ad ogni modo si è resa necessaria una veloce stuccatura eseguita con lo stucco classico della Tamiya, il Basic Putty. Per mascherare le grandi finestrature mi sono avvalso del pratico set di mascherine pre-tagliate dell’Eduard con codice CX148.

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A questo punto si è pronti per una mano di primer. Normalmente evito sempre di utilizzare una vernice di fondo sui miei modelli ma, nel caso specifico, il mio Hercules è stato interessato da elaborazioni tali da prescriverne l’uso. Allo scopo ho utilizzato il Mr. Surfacer 1000 della Gunze, utilissimo! L’ho diluito con il Lacquer Thinner della Tamiya (quello con tappo giallo sulla confezione) e steso con aerografo a pressioni di 0,7/0,8 bar. Il Surfacer ha il doppio vantaggio di chiudere, già di per sé, eventuali piccole fessure non perfettamente trattate, e di essere carteggiabile (con una carta 2000) fino a rendere la superficie del kit ben liscia e lucida.

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Verniciatura e invecchiamento:

I C-130 in carico all’Israeli Air force hanno, da sempre, vestito la classica mimetica a tre toni (Sand, Dark Earth e Green) con superfici inferiori in Light Blue. Non nascondo che questa livrea rappresenta, per me, una delle più belle al mondo e, in assoluto, tra le più accattivanti mai vestite dagli Hercules.

Prima di iniziare la vera e propria fase di verniciatura, ho steso sulle superfici superiori del Nero Opaco come mostrato nell’immagine sottostante:

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Una volta asciutto, il colore è stato mascherato con del nastro Jammy Dog da 0,75 centimetri per ricreare le walkways che corrono lungo tutto il dorso alare e della fusoliera. Il lavoro è abbastanza noioso e necessita di una precisione accurata per tracciare linee dritte, ma alla fine i nostri sforzi saranno ripagati da un effetto ottico di gran lunga migliore rispetto a quello che si otterrebbe utilizzando delle “stripes” di decalcomanie.

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Procedendo con il camouflage, per la sua attuazione sul modello ho iniziato con il Blue F.S. 35622 spruzzato sulla pancia del modello. Lasciati trascorrere un paio di giorni per una corretta asciugatura, ho mascherato il tutto con nastro Tamiya Kabuki ed ho iniziato ad aerografare i colori delle superfici superiori secondo quest’ordine:

  1. Sand F.S. 33531
  2. Dark Earth F.S. 30219
  3. Light Green F.S. 34227

La separazione tra i vari toni l’ho ottenuta mediante l’utilizzo di “salsicciotti” di Patafix, materiale che, oramai, reputo indispensabile per ottenere dei camouflage precisi e perfettamente in scala sui miei kit.

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Il muso degli Hercules israeliani è nero come su tutto il resto della flotta, e nello stesso colore vanno ricreate anche delle zone intorno alle gondole dei motori in corrispondenza degli scarichi delle turbine.

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I pozzetti carrello e la parte interna dei relativi portelloni, le gambe di forza dei carrelli e i cerchioni degli pneumatici sono in White Alluminium della Alclad.

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Prima di procedere alla stesa del trasparente lucido per i lavaggi, ho ricreato alcuni particolari molto ben visibili nella parte inferiore della fusoliera. In particolare:

    • Due antenne UHF circolari: per questi dettagli ho sfruttato le stesse mascherine Eduard che, inizialmente, erano previste per la verniciatura dei cerchioni degli pneumatici. Le dimensioni sono compatibili con la scala e possono essere utilizzate senza problemi.
    • Uno scambiatore di calore a ridosso del portellone di carico: aggiunto mediante il nastro da idraulica già utilizzato in precedenza. I due fori circolari sono stati ottenuti con una fustellatrice.
    • Un’antenna di forma rettangolare vicino al pozzetto carrello anteriore: ricreata, anche questa volta, con due rettangolini sovrapposti di nastro metallico adesivo e verniciata in nero.

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Il colore che ho scelto per il “washing” è il Bruno Van Dyck scurito, leggermente, con del Nero Avorio. Per le superfici superiori questa tinta è perfetta perché mette in risalto le pannellature senza creare un contrasto eccessivo, a mio avviso; per quelle inferiori ho utilizzato un grigio medio mischiando del Bianco di Marte e del Nero Avorio.

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Inizialmente ero molto indeciso sul metodo più indicato per realizzare un invecchiamento credibile del mio “Herky” (com’è affettuosamente chiamato dai propri equipaggi); c’è da dire che gli esemplari in carico alla IAF non hanno mai avuto particolari problemi di fading delle vernici, anzi sono da sempre ben tenuti e ridipinti di frequente.

Questa volta, però, ho deciso di “calcare” un po’ la mano realizzando un weathering più visibile e che potesse valorizzare meglio le forme di un modello che, altrimenti, sarebbe risultato un po’ “giocattoloso”. Quindi, ipotizzando una cottura delle vernici a causa dell’impietoso sole della Terra Santa, ho schiarito i pigmenti di base con del grigio chiaro e sbiadendo il centro dei pannelli del kit usando la tecnica del post shading. Da sottolineare che l’ombreggiatura è stata ripetuta, in modo graduale, dopo ogni mano di lucido data al modello, poiché il trasparente tende ad attenuare molto l’effetto facendolo quasi sparire del tutto.

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Per le superfici inferiori, invece, ho cercato di riprodurre le colature e la sporcizia che si accumula a causa dei detriti e dell’acqua piovana sollevata dagli pneumatici (in particolare l’anteriore). Usando un mix di grigio, verde scuro e anche marroncino estremamente diluiti, ho aerografato degli “spot” di colore che poi, man mano, ho amalgamato tra loro. Il tocco finale è stato dato da scie di liquidi riprodotte con colore a olio tirato via da un cotton fioc pulito e asciutto.

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Decalcomanie:

Le decalcomanie, purtroppo, meritano un discorso a parte. Il foglio da me utilizzato è l’unico disponibile nella scala 1/72, ed era prodotto dalla Sky’s Decal. Ho usato l’imperfetto poiché l’articolo 72011 è oramai fuori produzione e di difficile reperibilità.

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In corso d’opera mi sono reso conto che le decal della ditta israeliana non sono corrette e mancanti di alcuni codici. Per chiarire quello che ho sopra accennato, all’epoca del Raid su Entebbe i C-130 dell’Israeli Air Force avevano delle registrazioni civili (tecnicamente dette “marche”) riportate sopra e sotto le ali, e sulla deriva. Queste marche erano in nero e staccavano molto rispetto ai colori chiari della mimetica. Nell’aftermarket della Sky’s, per errore, le marche civili previste per le superfici inferiori delle ali sono state realizzate in bianco… colore, tra l’altro, mai adottato e che, inspiegabilmente, è stato usato per le insegne in scala. A oggi, queste registrazioni civili non sono più presenti sugli Hercules israeliani, quindi non è possibile un raffronto diretto con una documentazione di riferimento, ma da una vecchia foto scattata agli inizi degli anni ’80 è raffigurato un esemplare colto di profilo in cui si nota chiaramente la marca sotto la semi ala sinistra in nero.

Per farla breve, per completare il vostro modello avrete bisogno di due fogli decal da cui prelevare un’ulteriore marca di colore nero, oppure di armarvi di santa pazienza e ricreare i codici al PC o mediante mascheratura. Insomma, un lavoro sicuramente tedioso. Personalmente ho preferito la prima opzione reputandola più immediata, anche se più costosa.

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Ad ogni modo i problemi con le decalcomanie non sono finiti qui: esse, infatti, hanno la brutta tendenza a strapparsi con estrema facilità, oltre ad impiegare un tempo enorme per separarsi dal supporto di carta assorbente. Al primo inconveniente ho rimediato, parzialmente, immergendole in acqua abbastanza calda; al secondo…. con tanta pazienza, qualche “preghiera” e tante imprecazioni!

Per finire, non sono rimasto contento neanche del loro potere adesivo e della loro capacità di reagire ai liquidi emollienti della Microscale. Non provate, inoltre, a usare dei “decal softner” più aggressivi (quali il Mr. Mark Softer ad esempio) poiché i colori tendono a sciogliersi, letteralmente.

Montaggio finale e ultimi ritocchi:

Gli ultimi particolari da aggiungere sono relativamente pochi, e quest’ultima fase del lavoro scorre via veloce. Per la finitura finale del modello ho creato un mix di 60% Cera Future e 40% di Flat Base Tamiya, il tutto diluito con tre spruzzate di detersivo Chante Clair. Il metodo è ottimo, provare per credere! L’importante è non esagerare con la base opaca, altrimenti c’è il rischio di ritrovarsi il modello con un bruttissimo “effetto porcellana” sulle sue superfici.

Ho aggiunto alcune antenne a lama fotoincise che ho prelevato dal solito set della Flightpath. Sempre in fotoincisione sono i due supporti delle antenne a filo che dalla fusoliera (dietro all’abitacolo) corrono fino all’impennaggio. Per la realizzazione dei cavi ho utilizzato l’ottimo elastometro “SBM Wire” verniciato in Nero Opaco.

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L’ultimo tocco è stato l’aggiunta dei serbatoi supplementari (in pratica sempre presenti) e delle eliche quadripala che hanno parti in Nero Opaco, Grigio F.S.36375 e le tip in Arancione Fluorescente della Revell (Fluorescent Orange Matte – mi raccomando di stendere questo colore solo su una base di bianco opaco per favorirne il grip).

Conclusioni:

Il mio lavoro è una memoria per tutte le vittime del dirottamento del volo Air France 139, del terrorismo e di Yonatan “Yoni” Netanyahu. Spero, anche, che il mio modello possa ricordare un avvenimento importante della nostra storia contemporanea, purtroppo spesso dimenticato o messo poco in risalto.

Un saluto a tutti. Buon modellismo!

Valerio – Starfighter84 – D’Amadio.

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Uno Starfighter venuto dal freddo – F-104 G dal kit Hasegawa in scala 1/72.

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Ormai si sa, gli F-104 sono come le ciliegie: uno tira l’altro!

Questa volta ho voluto riprodurre un esemplare un po’ inusuale, un F-104 danese: a parer mio ha una delle più belle colorazioni adottate dallo “Spillone”, benché fosse monocolore verde assumeva un invecchiamento (che io chiamo “ragnatela”) che sbiadiva il colore formando quasi una vera e propria mimetizzazione . E proprio sulla colorazione che mi soffermerò, mentre andrò un po’ veloce sulle fasi di montaggio; il kit hasegawa in 1/72 non necessita di presentazioni …

Costruzione:

Ho voluto rappresentare l’aereo con il vano avionica e il vano dell’ossigeno aperti, quindi ho utilizzato il set in resina della CMK . Sempre in resina ho utilizzato lo scarico della Cutting Edge.

 

Come sempre la costruzione ha inizio dal cockpit , dove ho auto costruito le pareti laterali mentre il resto è da scatola.

La costruzione fila veloce e l’adattamento delle resine non da particolari problemi.

 

Colorazione:

Per colorare i miei modelli utilizzo sempre solamente i pennelli e colori acrilici . Le varie tonalità le faccio io mischiando i vari pigmenti fino a raggiungere il colore che mi soddisfa, per esempio su questo modello per ottenere il colore di base  ho mischiato verde e nero …

La colorazione ha inizio passando sul modello una mano di bianco per non dare il colore di base direttamente sulla plastica. Dopo di che si passa alla colorazione vera e propria: si stendono varie mani di colore abbastanza diluito fino a  coprire tutto . Fatto questo, per togliere eventuali segni di pennello utilizzo la tecnica del drybrush: prendo un pennello piatto e lo intingo nel colore di base , poi lo scarico togliendo il colore su della carta assorbente e lo passo con un movimento rotatorio sui pannelli . Alla fine i segni del pennello non si vedranno più .

 Invecchiamento

La parte che preferisco di un modello è l’invecchiamento. Per l’invecchiamento di questo modello mi sono basato su varie foto , e ho proceduto sempre con la tecnica del drybrush . Ho lavorato a parti e ho proceduto nel modo che descrivo di seguito.

Ho iniziato schiarendo i vari pannelli , sempre con il pennello a secco dato con movimenti rotatori  utilizzando verdi sempre più chiari  fino ad ottenere un risultato che mi convincesse.

La parte usurata dal calore dello scarico del motore e stata fatta sempre con il dry brush.

Passo con un pennellino un nero-marrone diluitissimo all’interno delle pannellature e schiarisco ancora un po’ i pannelli.

Il procedimento sarà uguale per tutto l’aereo…

Ora faccio la “ragnatela” con il colore di base con una punta di nero.

Ed ecco la colorazione finita, non ho voluto invecchiare troppo la parte inferiore perché dalle foto questa zona non era soggetta a deterioramento come le superfici superiori.

Purtroppo, che io sappia, non esistono decals complete per riprodurre F-104 danesi, pertanto ho dovuto arrangiarmi con vari fogli di decals avanzate e molte le ho riprodotte a mano con pennellino fine e tanta pazienza (ad esempio alcuni stencil).

 

Alla fine si aggiungono i carelli, i portelloni e si fanno i soliti ritocchi finali.

 

 

Ringrazio tutto lo staff di Modeling Time per avermi dato l’opportunità di pubblicare questo mio articolo.

 Un saluto a tutti!

Andrea – Trachio001

Kit Review – CH-47D “Chinook” + Detail Set – Italeri in scala 1/48.

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Tra i “mostri sacri” della storia dell’aviazione, un posto di prim’ordine spetta al Boeing CH-47 Chinook. Derivato dal Vertol CH-46 (poi Boeing/Vertol), l’YCH-47 effettuò il primo volo il 21 settembre 1961, entrando l’anno successivo nelle file dell’U.S. Army come CH-47A. Dal lontano ’61 ad oggi ne sono stati prodotti circa 1200 esemplari, ed anche se molto anziano, il suo progetto si è rivelato estremamente valido continuando a succedere a se stesso con sempre nuove versioni. Il Chinook è il più diffuso elicottero tra le forze aeree occidentali, le quali possono contare su un mezzo dalle elevate capacità di carico sia interne e sia esterne. In Italia l’interesse verso il CH-47 iniziò nel 1967 a seguito di un tour nel nostro paese di un esemplare statunitense a Pratica di Mare, Frosinone e Bolzano. In previsione dell’adozione da parte dell’Esercito Italiano, l’Agusta (ora AgustaWestland) ne acquisì la licenza di produzione, consegnando i primi due esemplari nel 1973. A un primo ordine per 26 esemplari nella versione C, negli anni 1980/90 ne è seguito uno ulteriore per la variante C “Plus” con turbine più potenti, pale in materiale composito, trasmissione rinforzata e peso massimo portato a 22.680 Kg. Nelle file del nostro Esercito il Chinook si è dimostrato un mezzo validissimo trovando largo utilizzo nei più svariati impieghi, quali l’appoggio alle truppe paracadutiste e alpine, trasporto e collegamento nonché velivolo insostituibile nelle diverse missioni di pace dei nostri contingenti all’estero. Dalla Somalia nel 1992 al Mozambico nel 1993, dall’Albania nel 1997 al Kosovo nel 2000, per arrivare poi all’Iraq nel 2003 fino all’attuale missione in Afghanistan.

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Un elicottero così importante non poteva non attirare l’interesse delle ditte modellistiche, e tra queste non poteva mancare la nostrana Italeri che, dopo avere prodotto nella classica scala 1/72 vari kit del nostro Chinook nelle versioni C/D ed MH-47E SOA, ha ora immesso sul mercato un bel modello di CH-47 D nella più grande scala del quarto di pollice. Contraddistinto dal numero di catalogo 2672 la scatola riporta un’accattivante “box art” di un velivolo olandese con le insegne della SFOR. All’interno, le cinque differenti stampate in plastica grigio chiaro più e due relative ai trasparenti, rivelano le imponenti dimensioni del modello, che una volta ultimato raggiunge ben 34 cm. di lunghezza. Chiare e di facile consultazione le istruzioni per il montaggio, ma in questo caso si può tranquillamente parlare di libro istruzioni, composto com’è di ben venti pagine, che mettono al meglio in risalto le differenze tra una versione e l’altra. I pezzi a disposizione permettono la realizzazione di modelli nelle varie serie costruttive A-B-C e D. Ottimo il dettaglio di superficie con pannellature precise anche se leggermente larghe e stupendo il dettaglio interno, con il materiale fonoassorbente che riveste le pareti finemente riprodotto. Altrettanto ben riprodotta la cabina di pilotaggio e ricco di particolari il vano di carico, tanto da invitare il modellista a realizzare il kit “tutto aperto”.

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Da un primo esame a secco, i vari particolari sembrano combaciare perfettamente, specialmente la grande fusoliera, riducendo al minimo l’uso dello stucco. Buona la zona motori così come ben realizzati i due grandi rotori, pale comprese. Come detto, due le stampate dei trasparenti dalla buona trasparenza, con dotazione di due differenti “musoni” da scegliere (uno per le versioni A-B e l’altro per le versioni C-D). Notevole, non solo per dimensioni, e ricco il foglio decals realizzato dalla Cartograf, grazie al quale è possibile scegliere quattro differenti “soggetti”. Si va da un CH-47 D del 289 Sqn. Olandese ad un esemplare dell’Ejército de Terra Spagnolo, ad un Chinook della versione C dell’Esercito Italiano impiegato in Afghanistan nel 2007. Per finire non poteva mancare un esemplare con i colori dello “Zio Sam” di base in Texas ed utilizzato dalla National Guard. Per concludere, un ottimo e fedele kit di CH-47 alla portata di tutti i modellisti, con l’unico problema “dell’esposizione al pubblico”, viste le sue generose dimensioni una volta ultimato.

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CH-47 CHINOOK DETAIL SET.

Al fine di rendere ancora più “appetibile” il suo già ottimo CH-47, l’Italeri ha pensato bene di arricchirlo con un set di dettaglio di pregevole fattura. Commercializzato con il numero di catalogo 26002, il set si compone di ventidue parti in resina, un foglio di fotoincisioni “classico” ed uno con dettagli PE (photo etched) pre-verniciati. Questo set permette di super dettagliare le zone più “calde” del modello, a partire dall’abitacolo, migliorandone in particolare i cruscotti ed i sedili dei piloti, la zona motori, con griglie in lamierino, e il portellone posteriore, parte assai visibile, specialmente se si vuole montare il modello al parcheggio. Molte delle parti in resina, rappresentano inoltre i numerosi dispositivi di auto protezione e sensori montati retroattivamente durante l’impiego operativo e di cui ne è costellata la fusoliera. Come già detto un set veramente pregevole, grazie al quale si potrà realizzare un modello di Chinook assai fedele alla realtà, con la sola differenza che questo non potrà, purtroppo, “spiccare” il volo.

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Buon montaggio e buon modellismo a tutti.

Il “Macchino” della Sperimentale – MB.326K dal kit ESCI in scala 1/48.

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Io credo che nella vita di ogni modellista un tema principe, un filo da seguire ,durante la costruzione dei vari modelli sia una cosa essenziale ed innata in ognuno di noi. C’è chi predilige i velivoli dell’U.S Navy o degli “Yankees” in generale,c’è chi preferisce gli aerei della Israeli Air Force, e cosi via; e c’è chi come me ha un debole per i velivoli della nostra cara Aeronautica Militare Italiana. Proprio per questo, modello dopo modello, scatola dopo scatola, in me è nata l’idea di rappresentare tutti i maggiori aeromobili appartenenti ed appartenuti alla nostra A.M.I. Progetto ambizioso, lo so, ma anche piacevole da fare, considerando che, un appassionato del volo militare come me, si sente profondamente onorato a rappresentare i velivoli che portano in corpo il fregio tricolore. Ovviamente non tutti i modelli sono molto facili da reperire specialmente perchè, essendo aerei appartenuti ad una singola nazione (come l’Italia ad esempio), sono kit che di rado vengono tenuti in considerazione dalle case modellistiche,  oppure sono kit così vecchi da esser poco reperibili sul mercato.
Quindi allargare la mia collezione di velivoli italiani con un MB-326K era abbastanza difficile dato che l’unica rappresentazione nel quarto di pollice la offriva l’ESCI con una scatola datata 1982. Le ricerche sono durate veramente tanto ma, grazie alla complicità di un amico, dopo un bel po’ di tempo sono riuscito ad avere il kit sotto mano.

Detto ciò è giusto specificare che a livello storico l’MB 326K non fu un aereo “attivo” nella nostra forza aerea (si preferì utilizzare altri candidati per ricoprire il suo ruolo), ma riscontrò un grande successo all’esteronin paesi come Brasile, Australia, Sud Africa  divenendo, insieme al suo fratello addestratore (l’MB-326 E), il velivolo italiano più venduto dal dopoguerra ad oggi con totale di 800 esemplari distribuiti tra circa 12 nazioni.

Il kit:

Come detto precedentemente l’unico kit presente sul mercato per rappresentare la versione monoposto del “Macchino” è l’ESCI (intitolato Aermacchi MB-326K Impala). Lo stampo non è affatto male per gli anni che ha sulle spalle; esso si presenta suddiviso in quattro stampate di colore grigio, con dettaglio in fine negativo e una scomposizione che dà luogo ad un montaggio semplice e lineare. Anche se è sostanzialmente ben fatto, il modello soffre di un leggero problema di incastri nelle giunzioni ali/fusoliera e nell’allineamento delle due piccole prese d’aria.Inoltre, con disegni quotati alla mano ,la fusoliera risulta essere circa 2 mm più corta rispetto all’originale e necessiterebbe di essere allungata. Questo, però, è un lavoro che andrebbe affrontato ancor prima di iniziare il montaggio vero e proprio dei pezzi.

Costruzione:

Premesso ciò iniziamo a parlare di modellismo “pratico”. Vista la rarità del kit era mia intenzione rappresentarlo al massimo delle mie potenzialità e proprio per questo  il mio occhio non tollerava del tutto il cockpit (totalmente privo di dettagli); poichè era, sin dall’inizio, mia intenzione rappresentare il modello con il canopy aperto, l’unica opzione a cui potevo ricorrere era quella di un auto-costruzione integrale dello stesso. Premetto di non essere uno “scratchbuilder” incallito anzi, quando posso, ricorro il più possibile ai tanti aftermarket oggi in circolazione. Vista l’anzianità e la poca popolarità della scatola di montaggio, però, sono dovuto ricorrere all’autocostruzione. Dopo aver raccolto quanto più materiale documentativo possibile, armato di santa pazienza ho cominciato a lavorare sul cockpit del K. Inizialmente ho ricreato i vari tubicini posti dietro il sedile del pilota, avvalendomi di fili di rame e sprue sagomati, arrivando a questo risultato:

Ovviamente anche la vasca necessitava di una “aggiustatina” considerando che per la strumentazione delle consolles laterali venivano fornite delle semplici decal. Documentazione alla mano, e con tutto il supporto del forum di Modeling Time, il lavoro di autocostruzione è andato avanti riproducendo con del plasticard e della lenza da pesca tagliata a fettine, tutto il pilot’s office.


I materiali sono stati i più disparati: partendo dai classici fili di rame per creare le levette, arrivando ad utilizzare vecchie corde di chitarra per fare il tubo dell’erogazione dell’ossigeno per il pilota. Altro problema da me affrontato riguardava il dettaglio del cruscotto: per realizzare i quadranti avevo, inizialmente, scelto di sagomare dei quadratini di Plasticard di opportuna misura ma, purtroppo, esso risultava troppo spesso. Alla fine ho deciso di ripiegare su delle vecchie fotoincisioni che, tagliate e forate in modo opportuno, hanno dato il giusto dettaglio al pannello frontale.

Perfetto, tutto era pronto! Non vi nego che una certa soddisfazione scorreva dentro di me, per la prima volta ero riuscito a crearmi qualcosa da solo senza ricorrere ad aftermarket o quant’altro… ma si sa, il lupo perde il pelo ma non il vizio! Anche grazie al suggerimento dell’amministratore di Modeling Time – Valerio (che più di me ne è un cultore) – ho pensato: “perché non utilizzare la vasca rielaborata e ricavarne una copia in resina?”.
Sfruttando come master il “Pit” auto costruito e grazie all’ utilizzo di gomma siliconica e resina, ho tirato fuori il mio primo accessorio aftermaket!  esso è stato, poi, corredato di  seggiolino in resina della OzzMods (rifinito con maniglie di espulsione e cinture di sicurezza) che ha completato il tutto.

Ovviamente essendo il mio cockpit un pezzo derivato da quello da scatola non ho avuto il benchè  minimo problema di adattamento negli scassi delle due semi fusoliere.

Come resto, il montaggio generale  non è stato particolarmente difficoltoso; basta avere un po’ di cura ed il modello, davvero ben fatto come incastri, fila via che è una meraviglia. Ovviamente quando credi che tutto il lavoro che stai facendo vada per il verso giusto ti accorgi di altri dettagli che proprio non riesci a mandare giù. Nel mio caso si è trattato dei due cannoni presenti in la fusoliera che, nella scatola, sono rappresentati più che altro da due “sporgenze” senza forma! anche lo scarico è davvero corto ed irreale. Per quanto riguarda i primi c’è da fare una piccola premessa: il velivolo da me rappresentato, l’RS-24(I-AMKK), montava due cannoni da 30mm ADEN le cue canne, a differenza dei DEFA adottati successivamente, sporgevano solo un un paio di centimetri dalle carenature che li contenevano. In definitiva i pezzi forniti da scatola risultano essere tremendamente inadeguati a riprodurre il sistema d’armamento del K.


Per eliminare questo errore ho deciso di prelevare i cannoncini contenuti nella scatola Frems dedicata all’MB.339 (fortuna che io sono uno di quei tipi che non butta mai niente) e, ricavando l’alloggiamento nelle carenature in plastica del mio 326, vi ho inserito i due profilati in ottone.


Per ciò che riguarda lo scarico, ecco è stato ricostruito praticamente da zero utilizzando il corpo di una penna per il condotto interno. Il pezzo originale, invece, è stato usato come dima per il corretto inserimento del nuovo “tubo” all’ interno della fusoliera.


Detto ciò, avendo colmato le lacune più significative del modello, la costruzione è proceduta senza particolari intoppi. Mi sono semplicemente soffermato a ricostruire alcuni dettagli come il pozzetto anteriore, i flap, il collimatore di puntamento sul cruscotto ed altre piccolezze, quindi dopo aver effettuato alcune doverose reincisioni ed aver passato una buona mano di primer, mi sono sentito pronto per la verniciatura.

Verniciatura:
L’MB 326K presentava, ai tempi della dimostrazione all’Air Show di Farnborough, una mimetica a tre toni di colore (2 tipi di verde ed un colore sabbia) su tutta la sua parte superiore. Le superfici inferiori erano di un colore grigio riconducibile all’FS 36222 (Gunze H-311). Quest’ultimo riferimento non è frutto di note reperite nella documentazione (che, per altro, non dà suggerimenti a tal proposito), bensì una mia interpretazione basata su esperienza e accostamento cromatico di varie tonalità di grigio rispetto alle foto in mio possesso. Partendo da questo presupposto ho iniziato a stendere i primi colori sul mio modello partendo, proprio, dal 36222 della “pancia”.

Successivamente, ho inziato ad applicare la mimetica a tre toni utilizzando, a tale scopo, la validissima tecnica del Patafix. Ho prestato attenzi0ne nel realizzare i bordi, che delineano un colore dall’altro,  più netti possibile. Per far ciò ho schiacciato i salsicciotti di Patafix il più possibile, curandomi di spruzzare le vernici quanto più perpendicolarmente alle mascherature, quindi dopo una lunga serie di mascherature ritocchi ecc ecc ,creandomi vari mix di colore che mi soddisfacessero, ho ultimato la verniciatura. Questi i colori utilizzati:

  • Verde chiaro: 50% di Gunze H-303 e 50% di H-309. Per rendere la tinta più simile alla realtà vi ho spruzzato sopra una leggera velatura di Olive Drab Tamiya.
  • Verde scuro: 8 gocce di H-309 con 2 di nero opaco.
  • Marrone: base di Gunze H310 schiarito con 10 gocce di H-310,5 gocce di H-318 e 5 gocce di XF-4 Tamiya.
  • Bordi di attacco dell’ala, della deriva e musetto: Gunze H-308 con una goccia di blu e 2 di bianco.

Il cono di scarico è stato colorato internamernte con il Burnt Metal della Model Master, ed esternamente con il White Alluminium Alclad (imbrunito con leggerezza con dello smoke Tamiya). L’interno dei vani carrello, dei flaps e dell’aerofreno sono stati vernciati in Zinch Chromate Green Model Master; le  gambe di forza e l’interno dei  portelloni con l’Alluminio 11 della Humbrol.

Washing e Decals:
Un aspetto fondamentale, che sin dall’inizio ho tenuto in considerazione per realizzare il mio K, è stato il grado di usura da riprodurre. Realizzare un velivolo dimostratore che, sostanzialmente, non è granchè soggetto all’usura delle itemperie può risultare abbastanza complicato perchè si tente sempre a “calcare” troppo la mano con l’invecchiamento. Quindi, esclusa  in partenza la possibilità di un postshading, ho preferito adottare un semplice lavaggio con colori ad olio utile, nel mio caso, a delineare solo i pannelli. Per il washing ho utilizzato un grigio abbastanza chiaro passato su una superfice più lucida del solito così da non incappare in alcun tipo di “effetto filtro” (il filtro appare quando la superficie del modello è opaca o satinata per cui l’olio viene assorbito dalla vernice di fondo sporcandola).

Dopo i lavaggi ho sigillato il tutto con ulteriori due mani di lucido.

Decal:
Il kit in mio possesso era stato riposto in un umido garage per molti anni. Pur datato 1982, l’unico componente che ha subito un deterioramento irrimediabile è stato il foglio decals. Purtroppo, nel già ristretto panorama degli aftermarket dedicati ai velivoli italiani, non è mai esistito un foglio decal accessorio per il 326K; quindi l’unica via per ottenere delle “nuove” decalcomanie era la stampa “home made”, ovvero fare tutto in casa. Grazie alla complicità di un amico molto bravo nell’utilizzo di Photoshop, armati di una  buona dose di pazienza e di un buon Mac abbiamo iniziato a riprodurre graficamente tutte le insegne che all’epoca erano applicate all’RS-24.

Se il lavoro al PC è stato relativamente facile (il mio ruolo si è limitato a quello di supervisore) la stampa, e specialmente l’applicazione delle decal custom non è stata per niente facile. Quando si tratta di questo tipo di lavorazione, l’ideale sarebbe disporre di una stampante ALPS (che è in grado di stampare anche il colore bianco); non possedendo questo particolare tipo di periferica, mi soono dovuto limitare all’uso di una ink jet fotografica con una buona risoluzione.

Altro problema principale delle decalcamonie “casalinghe” è lo scarso potere adesivo del foglio e dello spessore dello stesso (personalmente ho usato i fogli trasparenti dell’americana Expert Choice) , oltre all’obbligo di scontornare al massimo ogni singola insegna poichè esse sono stampate su un unico supporto di film. Ho cercato di limitare al massimo il rischio di silvering derivato utilizzando i prodotti della Microscale (Micro Set) come fissativo, ed il Mr. Mark Softer della Gunze (prodotto molto più aggressivo del Micro Sol) come ammorbidente; oltre a questo, necessariamente la superficie del modello deve essere più che lucida.


Una volta applicate tutte le decalcomanie è stata mia cura passare più di  due abbondanti mani di lucido per ridurre lo spessore che l’adesivo creava con la superfice, oltre che  rifinire delicatamente la superficie del modello con della carta abrasiva finissima (grana 10.000 in pratica) per appianare ulteriore i dislivelli.

Montaggio finale:
Perfetto, adesso tutto è al proprio posto e manca solo l’opaco finale .


Che dire? è stato un progetto tanto difficile quanto piacevole da realizzare. Ho cercato, nel mio piccolo, di dettagliare il modello al massimo delle mie potenzialità. Ricapitolando, i lavori di miglioramento per questa scatola di montaggio sono stati:

  •  Autocostruzione completa del cockpit e clonazione in resina dello stesso (l’intervento più evidente).

  • Modifica delle carene dei cannoni con l’aggiunta delle canne in ottone.
  • Autocostruzione del collimatore di puntamento posto sulla palpebra frontale.
  • Lavoro di dettaglio sulle gambe dei carrelli (tubi,tubicini ecc.).
  • Ricostruzione  di tutto l’interno del pozzetto del carrello anteriore.
  • Miglioramento e modifica dei piloni subalari.
  • Lavoro di dettaglio nell’interno del canopy.
  • Aumento della profondità del condotto di scarico.
  • Posizionamento corretto della NAV Light inferiore con ricostruzione delle due scatolette inferiori.
  • Separazione dei flap dalle ali ed aggiunta delle superfici mobili in resina della OzzMods.
  • Riproduzione delle decal “custom”.

E’ stato veramente bello riuscire a portare a compimento questo stampo “anzianotto” ,specialmente perché a quest’ora sarebbe rimasto a marcire in un’umida cantina senza mai riuscire a vedere la luce. Se la riuscita del kit è avvenuta in maniera discreta è stato grazie al supporto ed all’aiuto che il nostro bellissimo Modeling Time è stato in grado di darmi.
Happy modelling a tutti!

Un saluto.
Giuseppe “Snake88” Virgitto.

Tested on Workbench! Recensione nuovi trasparenti acrilici Tamiya (Semi-Lucido e Opaco).

Finalmente arrivati e provati i due nuovi trasparenti della Tamiya, forse i più attesi da noi modellisti,presenti tra la nuove tinte sfornate da qualche mese dalla casa Nipponica. Sto parlando del SEMIGLOSS CLEAR X-35 e del FLAT CLEAR XF-86. Questi due prodotti vanno a colmare la lacuna presente da tempo nella gamma di trasparenti della Tamiya ma anche a sopperire a vari problemi di Finishing con altri prodotti. Infatti con questi due Clear si è smesso di combattere con i vari flat base ma anche con la scarsa reperibilità dell’ottimo opaco prodotto dalla GSI Creos,meglio conosciuto come Gunze H-30.
Ecco come si presentano:

 

Ovviamente la prova sul campo non poteva mancare. Ho adoperato un FW-190 in 1:72 della Academy che avevo realizzato molti anni fà come palestra per i Vallejo Air.Ebbene dopo aver glassato il modello velandolo con 1 mano di Tamiya Clear Gloss X-22 diluito al 70% con l’X-20A, dato sopra al precedente gloss Vallejo è iniziata la prova vera e propria.

Premetto che il prodotto gloss vallejo dato anni fà non mi reso la superfice regolare e liscia per mia colpa, quindi qualche irregolarità visibile controluce non è imputabile ai prodotti tamiya che si sono comportati in maniera eccellente. Ma veniamo a noi adesso ed alla prova di fatto. Ho aerografato metà modello con il semigloss e l’altra metà con il flat. Entrambi i prodotti sono stati diluiti con percentuali del 70% di X-20A ed aggiungendo almeno un 7% di paint retarder Tamiya, direttamente nella coppetta dell’aerografo. E’ fondamentale diluire questi due clear,come tutta la gamma dei clear tamiya, con il loro diluente e non con altri prodotti per evitare aloni biancastri o risultati irrimediabilmente disastrosi. Lo stesso vale per la pressione da settare sul manometro; chi ha avuto modo di provare il clear X-22 Tamiya sà benissimo che non bisogna superare le 0,8 – 0,9 atm per evitare la comparsa di aloni e macchie biancastre. Questi due prodotti non fanno eccezzione;stesse accortezze del Gloss Clear e tutto fila liscio come l’olio.
La pressione di spruzzo per questa prova è sempre stata intorno alle 0,5 atm e mai oltre.

FLAT CLEAR:

All’apparenza torbido, appena diluito si chiarifica molto e scorre nell’aerografo senza problemi lasciando nellaria l’odore caratteristico delle vernici tamiya. Con questa diluizione la mescola è ottima e non lascia la superfice subito opaca e dall’aspetto polveroso o con rusodità simile alla terraccotta come alcuni flat. L’opacizzazione è modulabile e la luce viene assorbita e riflessa in maniera uniforme lasciando la superfice setosa e liscia ma assolutamente non ruvida. La luce ed i riflessi tipici della vernice lucida si attenuano completamente dalla 3 velatura, evitando di bagnare la superfice ed avendo l’accortezza di aspettare che sia asciutta la precedente passata di clear.La luce che colpice il modello crea come dicevo prima un effetto setoso sul modello creando dei riflessi molto mobidi e assolutamente piacevoli. La prova volutamente effettuata su una mimetica scura ha voluto testare se questo prodotto lasciasse antiestetici aloni o cambiasse la tonalità sbiadendola o spegnendo alcuni effetti speciali. Ebbene no:niente aloni o cose strane.
Schiarisce di pochissimo i toni e,almeno se ben diluito come ho fatto io, questo XF-86 opacizza e non lascia aloni di alcun genere, a patto di non andarseli a cercare; soprattutto quello che mi ha positivamente colpito è la finitura che lascia: liscia ma al tempo stesso opaca al punto giusto da creare quella gradevole e morbida diffrazione della luce sui volumi. L’asciugatura completa avviene in circa 3 ore e molto dipende dalla temperatura ambiente oltre che dall’uso o meno del paint retarder(che io consiglio caldamente di utilizzare per i migliori risultati) Con 4 mani diluite al 70% e velature molto leggere si ottiene un’ottima opacizzazione della superfice.
Se non basta su può ripetere l’applicazione a patto di aspettare la completa asciugatura per avere una idea più veritiera.

SEMI GLOSS CLEAR:

Stessa diluizioni e stesse pressioni d’esercizio usate per l’X-35.
Valgono le considerazioni fatte per il flat riguardo odore, aggiunta di paint retarder ed uso del diluente Tamiya. Questo semigloss è proprio….. un semigloss!Un satinato vero e proprio. Infatti lascia la superfice liscia e legermente più lucida ma lontana anni luce dall’aspetto che si ottiene dal classico gloss. La smorzatura dal gloss al semigloss da me effettuata sul modello è molto evidente già dalla seconda velatura. A fine applicazione, e ad asciugatura del prodotto, il modello aveva già perso l’aspetto giocattoloso regalando rei riflessi di luci più unifomi e meno forti del gloss.Davvero piacevole da osservare in controluce. Ovviamente lo stacco tra flat e semigloss c’è e si vede ma l’idea di qualcosa dalla finitura satinata è molto convincente. Questo semigloss è più qualcosa che si avvicina alla finitura lucida che a quella opaca, semmai si puo smorzare ancora di più quel leggero effetto lucido con l’aggiunta di un 20% di flat XF-86 nel semigloss. Anche questo prodotto non mi ha lasciato nessun alone o cose strane se diluito e spruzzato seguendo dei piccoli accorgimenti peraltro arcinoti a chi utlizza già altri clear Tamiya.
Ecco le foto dei due prodotti sul Test-Model:

 

Direi che, pur non avendo mai provato il prodotto Flat Clear della Gunze, queste due new entry, serie clear, della Tamiya mi hanno lasciato positivamente colpito,anzi molto di più e vi consiglio di provarli da subito. Personalmente avento provato altre marche di flat, o di clear in generale, e sapendo che problemi danno vista la loro consistenza lattiginosa e biancastra questi due prodotti mi hanno letteralmente convinto e credo proprio di poter affermare che tutte le rotture di utilizzo dei clear siano solo un brutto ricordo oramai.
La facilità e la leggerezza con cui li ho testati unita agli ottimi risultati ottenuti hanno reso questa fase una regolare routine di aerografia e non un’incontro di pugilato come avveniva con gli altri prodotti di refinishing. C’è chi ama i colori tamiya e chi li odia ma alla fine è tutta questione di gusti e soprattutto di abitudine…..ma chi li ama, come me,dal nostro canto si ha un prodotto più facilmente reperibile,almeno su suolo Italinao, del Gunze e con risultati ottimi,easy and very smooth!

Builder-Tester
Aurelio Laudiero @ FreestyleAurelio

Una lunga dinastia di fratelli e fratellastri. Sukhoy SU-11 Fishpot C – Conversione KAZAN su base SU-7 Fitter della OEZ in scala 1/48.

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L’evoluzione della famiglia SU 7 -17 -22 e Su9-11-15:

L’ufficio tecnico (OKB) SUKHOY mentre sviluppava il caccia bombardiere SU 7 FITTER con ala a forte freccia che diede vita alle versioni successive con ali a freccia variabile su 17 e Su22,   parallelamente portava avanti gli studi per una versione con ali a delta da destinare alla difesa aerea e che venne designato SU 9 (FISHPOT nel codice Nato). Questo caccia aveva un radar ALMAZ ( diamante) ed era armato con missili R5MS ( AA1- ALKALI )i quali erano però piuttosto limitati nel loro inviluppo di volo. Per sopperire a questi limiti i progettisti svilupparono una nuova versione con un nuovo e più potente radar l’OREL ( Aquila) designato SKIP-SPIN dalla Nato e nuovi missili con una migliore portata utile, gli R8M (AA3 ANAB ) in numero di due al posto dei quattro del SU 9. la nuova designazione fu SU 11 FISHPOT C.


Per far posto al nuovo e più ingombrante radar il muso venne  riprogettato con una presa d’aria ingrandita, ma fu subito chiaro che il cono radar più grande  e la maggior sezione della presa d’aria facevano perdere in prestazione,diminuivano la tangenza pratica,l’accelerazione e la velocita massima. Durante i collaudi si decise quindi di sostituire l’originale motore LYUL’KA AL-7F1 con la più potente versione F2, in questo modo si recuperava parete della resistenza aerodinamica per la nuova presa d’aria anche se le prestazioni restarono sempre inficiate dalle notevoli dimensioni della nuova istallazione.


Il caccia entrò in servizio nel 1962 e vi rimase fino agli anni Ottanta, anche se nel frattempo aveva volato in ben più prestante SU 15 FLAGON,epigono della famiglia con formula bimotore. L’ultimo dei 108 esemplari prodotti di su 11 è stato radiato nel 1983.

Il modello:

Era da tempo che accarezzavo l’idea di trasformare il SU 7 della OEZ in un SU 9 auto costruendomi le ali a delta con il plasticard, pensando erroneamente che, in fondo, la fusoliera è la stessa del FITTER e non sarebbe stato un lavoro troppo complicato. È bastato che mi capitassero sottomano i disegni tratti da   www.airwar.ru  per capire che facile non lo sarebbe stato di sicuro,la fusoliera è diversa nel muso che è leggermente più lungo,nella deriva priva del parafreno e nei piani di coda spostati  verso la mezzeria della fusoliera. Mi ero quindi  rassegnato all’idea di accantonare il progetto quando con un colpo di fortuna sono venuto in possesso di un set di conversione della KAZAN per il Su11 completo di tutto: ali, deriva, nuovo muso, abitacolo, carrelli, piloni e missili; in pratica del SU 7 della OEZ si usano solamente una parte di fusoliera, il tettuccio e i piani di coda, il resto si può tranquillamente cestinare.

Costruzione:

Il trapianto.

Ho cominciato segando e tagliando tutto quello che non serve della fusoliera del SU 7, a cominciare dal muso appena davanti all’abitacolo, per passare alle sedi delle ali  a freccia e dei timoni di profondità. In pratica una volta finita l’operazione ci si trova alle prese con  un tubo di plastica avente due enormi buchi al posto della sede che originariamente accoglieva il vano delle semiali. Con del plasticard  ho tappato dall’interno  questi buchi che ho poi raccordato con abbondati dosi di Milliput fino ad ottenere una fusoliera perfettamente circolare,adatta ad accogliere le nuove ali a delta più sottili di quelle  a freccia del SU 7. Ho provveduto anche a eliminare le sedi dei piani di coda  che nel FITTER sono in basso mentre i SU 9 e 11 li hanno a meta fusoliera.

A questo puntoli nostro “tubo di stufa” è pronto per il trapianto delle nuove ali a delta,del nuovo muso e dei piani di coda. Usando i disegni in scala e facendo riferimento sulle pannellature del velivolo ho presentato le semiali sulla fusoliera segnando il loro perimetro con un Rapidograph; in  questo modo è possibile avere l’ingombro per praticare i fori in cui inserire dei perni d’acciaio.


Ho praticato due fori su ciascuna semiala ed altrettanto ho fatto per le loro sedi,il tondino è stato fatto passare attraverso la fusoliera ed incollato con abbondati dosi di colla epossidica,l’estremita che fuoriesce  è quella che accoglierà le ali. In tal modo è possibile avere un incollaggio robusto( vi basti sapere che ha resistito ad una caduta dal tavolo di lavoro) nel contempo questo metodo ci dà la  possibilità di forzare leggermente le punte delle ali verso il basso per ricreare il tipico diedro negativo che,ricordo,nel velivolo reale è di circa 2°. Possiamo ora riporle nel scatola in attesa di montarle definitivamente in un secondo momento.


Prima di chiudere le semifusoliere và inserito l’abitacolo che è interamente in resina e fotoincisione della KAZAN. Le pareti ed il pavimento sono in grigio medio,almeno da quello che ho potuto desumere dalle poche  foto trovate,un lavaggio ad olio con terra di cassel ad olio provvederà comunque ad uniformare e rendere ,diciamo così”operativo” il tutto,il cruscotto è in nero semilucido così come alcune consolle laterali.Il visore del radar è stato reso con una goccia di colla epossidica mischiata ad una punta di verde, ciò rende in modo abbastanza fedele la lente del vetrino. Il seggiolino KS3 ha il corpo grigio con il cuscino nero semilucido,il poggiatesta color cuoio e le maniglie di espulsione rosse,al tutto è stato effettuato un lavaggio con terra di Cassel.


Assieme all’abitacolo vanno montati il vano carrelli anteriore e lo scarico del motore,recuperato da un set per Su 22 e verniciato con il Titanium della Alclad,solo ora le semifusoliere si possono chiudere e passare alla fase successiva.

Assemblaggio Finale.

A questo punto abbiamo in mano un semplice  tubo di plastica “farcito” con un po’ di resina e null’altro,è ora che il modello prenda finalmente forma. Si comincia dal musone in resina che và raccordato alla fusoliera facendo attenzione a far combaciare le pannellature e soprattutto cercando di ricreare l’effetto”coca cola”della stessa  dove era innestata la nuova presa d’aria. Infatti  se guardiamo il velivolo dall’alto è facile notare che appena dopo il cockpit la sezione della fusoliera si stringe  per poi allargarsi nuovamente verso in muso.


E la volta ora delle ali che,se avremo lavorato bene in precedenza,non dovrebbero darci problemi, a parte il peso considerevole visto che sono tutte in resina.  Per incollarle ho usato della colla bi componente che irrobustisce il tutto dando il tempo anche per i piccoli aggiustamenti finali. I piani di coda sono quelli del Su7 ma ,come già specificato,vanno posizionati a metà della fusoliera,per ultima rimane ora la deriva,anche questa in resina ed incollata anch’essa con la bi componente.

Finitura e Verniciatura:

Finalmente il FISHPOT ha preso forma,ora si tratta solo di stuccare,raccordare e lisciare i vari elementi ricordando che la finitura deve essere impeccabile,in quanto il velivolo originale era in metallo naturale e tutti sappiamo quanto sia arduo rendere il natural metal su un modello.


Per uniformare la varie componenti usate:plastica,resina,stucco,ecc,ecc  ho steso diverse mani di uno stucco spray alla nitro della Saratoga . No,non sono impazzito!lo so che la nitro scioglie la plastica,ma c’è il trucco!bisogne dare delle passate leggere  e distanti nel tempo tra loro tenendo la bomboletta a circa 20cm dal modello,l’importante è non avere fretta e soprattutto non toccare il modello mentre asciuga .Per inciso lo stucco Spray  Saratoga  si trova  in qualsiasi supermercato ed ha un costo irrisorio,molto meno dei vari spray Tamiya ,al prezzo pero di un finitura un po’ meno fine. Al termine di questo trattamento tutti i materiali usati si saranno uniformati sotto uno stesso strato di stucco e potremo procedere alla re incisione delle pannellature perse  ed alla re incisione di quelle errate.


Per una verniciatura in metallo naturale occorre che il modello sia preparato in maniera impeccabile,ogni piccolo graffio o imperfezione và eliminato accuratamente perché con i metallici risalterebbe in maniera molto marcata. Ho cominciato passando una carta seppia da 1000 per passare poi ad una 1200 bagnata,in seguito ho passato su tutto il modello il polish  Tamiya  per capottine fino a far risultare il modello perfettamente lucido. Per eliminare i residui del polish  l’ho lavato con acqua ed una goccia di sapone neutro,lasciandolo asciugare per un paio di giorni. Mi raccomando ,non asciugatelo con uno straccio se non volete che tutta la polvere di casa vi si depositi sopra! nel frattempo che il modello asciugava chiuso dentro un a scatola ho preparato i carrelli,i serbatoi ed i missili  Bisnovat R8m.


La verniciatura è stata fatta con i metallizzati ALCLAD,attualmente secondo me i migliori sul mercato.
Ho steso sul modello una base in nero lucido della ALCLAD stessa e,passati alcuni giorni ho dato un’ulteriore lucidata con il polish a cui è seguito un’ulteriore lavaggio con acqua e sapone,tanto per essere sicuri,meglio una volta in più che una in meno!

Passati alcuni giorni ho steso ad aerografo con una pressione di 0,5 bar una base  di alluminium  ALCLAD .Lasciata asciugare per bene la  base ho differenziato alcuni pannelli su ali e fusoliera con il Duralluminium e lo Steel.


Dicendomi abbastanza soddisfatto ho riposto il modello a riposo per alcuni giorni non curandomene più. Quando è giunta l’ora di riprenderlo mi sono accorto con sgomento che in alcuni punti si erano create delle crepe nella vernice. Ad oggi non ho ancora capito come possa essere successo e dove possa aver sbagliato, l’unica differenza rispetto alle altre volte che avevo usato, devo dire con successo, queste vernici è nel  fatto che le volte precedenti non avevo usato il nero lucido come base,magari ho sbagliato a diluirlo!In ogni caso dopo questo non ho intenzione di fare modelli in natural metal per molto  moltissimo  tempo.
E comunque non mi sono dato per vinto,dopo tutto il lavoro fatto non mi andava di rinunciare solo per questo. Con  pazienza e carta seppia finissima ho eliminato le crepe una per una riverniciando il modello dove era venuta via la vernice,per fortuna le crepe non passavano da un pannello all’altro con tonalità differenti,questo mi ha agevolato non poco. Il risultato lo giudicherete voi.


Al termine della verniciatura ho effettuato un lavaggio con terra di cassel ad olio su tutto il modello per evidenziare  pannellature  e rivetti,dopodiché ho montato i carrelli,i serbatoi ,i missili e la capottina. Il modello è stato incollato su una basetta  riproducente  i lastroni di cemento di un piazzale delle sconfinate basi della PVO,il comando della difesa aerea sovietica.

Conclusioni:

Questo è stato un lavoro che,partito come semplice conversione,si è rivelato molto più arduo ed impegnativo del previsto ma che,al contempo, mi ha dato anche molte soddisfazioni dandomi la possibilità di affinare alcune tecniche che  verranno sicuramente utili nei miei prossimi lavori e che spero possano servire anche a molti lettori.

PAOLO CATTANEO – Fishpot69
M.S.C.(Modellisti Statici Canavesani)

Kit Review – Junker Ju.87 B-2 – Italeri in scala 1/48.

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E’ innegabile che lo Stuka sia uno dei soggetti più amati e riprodotti a livello modellistico. Da pochi mesi la nostrana Italeri ha fatto la coraggiosa scelta di creare un nuovo stampo dedicato alla variante B-2 dello Ju-87, inserendosi in un mercato, quello della scala del quarto di pollice, già ben fornito di kit con cui poter realizzare in pratica tutte le versioni del famoso bombardiere in picchiata della Luftwaffe.
In questo campo era l’Hasegawa a farla da padrona ma, finalmente, la ditta nostrana è riuscita a commercializzare un modello competitivo offerto a un prezzo anche inferiore rispetto ai prodotti giapponesi. Cosa volere di più?

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All’interno della classica scatola ad apertura laterale, si scopre un altro contenitore in cui sono racchiusi tutti i pezzi. Questa soluzione, già adottata per il Tornado ADV/F.3 ad esempio, rende anche l’imballaggio più robusto proteggendo meglio le parti in plastica.

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Le stampate, composte da uno Styrene di buona qualità color grigio chiaro, sono in totale sei. Un’ulteriore contiene le parti trasparenti, dall’ottima trasparenza. Inoltre, per semplificare il lavoro di mascheratura del canopy (fornito separato in quattro parti per rappresentarlo aperto), per i frames è stata adottata una finitura satinata che li rende meglio distinguibili dalle zone che dovranno essere coperte.

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Il dettaglio di superficie della plastica segna ancora un passo in avanti per l’Italeri: rispetto al Reggiane 2001 e al Macchi 200, le pannellature sono meglio definite e della giusta profondità. In pratica, in questo momento, la ditta di Calderara di Reno non ha nulla a che invidiare alle cinesi Hobby Boss o Trumpeter.

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Gli interni sono ben dettagliati, ed a conferma della mia affermazione basti vedere i tanti particolari riprodotti sulle paratie laterali che danno all’abitacolo il giusto senso di “affollamento”. I cruscotti del pilota e del navigatore/mitragliare sono forniti sotto forma di fotoincisione, assieme a delle belle cinture di sicurezza con cui completare i seggiolini.

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Nella stessa lastra di ottone sono inseriti anche altri particolari esterni come, ad esempio, le walk ways alari e gli attuatori dei piani di coda.

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Altra gradita particolarità di questo kit è la possibilità di rappresentare il motore Junkers Jumo completamente a vista; nella scatola, infatti, sono già presenti molti pezzi (addirittura venti) che compongono il propulsore e non hanno nulla da invidiare agli aftermarket in resina. Tra questi troviamo il serbatoio del lubrificante (da completare con due tubazioni idrauliche in vinile già incluse) con il relativo radiatore, e il sistema di raffreddamento dell’acqua.

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Osservando le superfici di comando, è inevitabile fare un confronto con la serie degli Stuka prodotta dall’Hasegawa; se negli stampi giapponesi gli alettoni e i flaps sono uniti al resto dell’ala mediante degli anti estetici supporti in plastica abbastanza grossolani, nel modello italiano gli attuatori sono meglio curati e realizzati. Questi possono essere, comunque, migliorati, ma già da scatola sono più che accettabili. Continuando, altra nota di riguardo va fatta per i piani di coda e il timone di profondità che hanno i piani di governo separati per essere posizionati nella posizione a piacimento.
Altre finezze riguardano gli pneumatici, già stampati con l’effetto peso, e i generatori delle sirene dette “Jericho Horn” montate sugli “scarponi” dello Stuka.

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Ricca anche la dotazione di carichi di caduta, prelevati direttamente dal set dedicato agli armamenti “Luftwaffe WWII” già presente nel catalogo Italeri; non tutti gli ordigni e serbatoi potranno essere utilizzati, ma andranno comunque a “rimpilzare” il magazzino spare parts che ogni buon modellista deve avere.

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Una piccola nota negativa riguarda la forma dell’ogiva (troppo a “bulbo”) e delle pale dell’elica, troppo spanciate al centro e sottili alle estremità. Entrambi i difetti possono essere facilmente risolti con colpi di lima ben assestati.

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Le decalcomanie permettono di riprodurre quattro esemplari, tutti inquadrati nella Luftwaffe:
•    Junkers Ju-87 B-2, Stab III/StG77, Bulgaria, aprile 1941.
•    Junkers Ju-87 B-2, 3/StG2, Francia, agosto 1940.
•    Junkers Ju-87 B-2, 2/StG2, Russia, luglio 1941.
•    Junkers Ju-87 B-2, 7/StG1, Francia, estate 1941.

Poiché la versione B-2 è stata largamente utilizzata anche dalla Regia Aeronautica, auspichiamo che l’Italeri crei una scatola ad hoc dedicata agli Stuka italiani.
Ad ogni modo le decal sono fornite dalla Cartograf, e questo è già sinonimo di qualità di stampa e dei supporti trasparenti.
Chiaro e ben curato il foglio istruzioni che riporta tutti i vari passaggi costruttivi e fornisce anche qualche suggerimento per un corretto assemblaggio di taluni particolari (tipo la posizione della mitragliatrice brandeggiabile quando il tettuccio era aperto).

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In conclusione, posso dire di essere rimasto piacevolmente colpito da questo kit. Inconsciamente, quando si parla di soggetti così conosciuti e diffusi nella cultura modellistica come lo Ju.87, la nostra scelta si orienta sempre su ditte blasonate che propongono i loro stampi (delle volte molto datati) a prezzi ancora inspiegabilmente elevati. Bè, questa volta ci si potrà rivolgere all’Italeri che con questo prodotto ha fornito prova di essere giunta a una proficua maturazione, dimostrando che, quando vuole, ci sa fare sul serio.

Buon modellismo a tutti. Valerio Starfighter84 D’Amadio.