sabato, Giugno 28, 2025
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Kit Review – G-222 “Panda”/C-27 A “Chuck” – Italeri in scala 1/72.

Dopo i grandi consensi ottenuti con la scatola del C-27J, Italeri ha finalmente rilasciato la scatola del predecessore dello Spartan, l’Aeritalia G-222 “Panda” più noto in Italia come “Gigio” o “Gigione”.
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Un po di storia:
Nato dalla penna dell’Ing. Giuseppe Gabrielli alla fine degli anni ’60 per soddisfare la richiesta dell’AMI per un aereo da trasporto tattico a corto-medio raggio e con capacità di operare da piste molto corte e semipreparate, il 18 Luglio 1970, decolla dall’aeroporto di torino caselle il prototipo del G-222, l’ NC-01. Da quel momento il programma di sviluppo dell’aereo fu affidato congiuntamente all’Aeritalia e al Reparto Sperimentale Volo di Pratica di mare.
Cinquantaquattro furono gli esemplari consegnati all’Aeronautica Militare a partire dal 1978 e, di questi,  la maggioranza ai due gruppi volo della 46° Brigata aerea di Pisa. Quattro, invece, furono assegnati al 14° Stormo per operazioni di Radio-Misure. A rotazione molti “Gigioni” sono passati per le mani dei piloti della Sperimentale che, oltre a continuare negli anni a sviluppare nuovi sistemi e aggiornamenti, lo hanno sempre portato nel mondo ai vari Air Show dimostrando, con manovre estremamente atipiche per un aereo cargo, le eccellenti doti acrobatiche e di STOL che il G-222 ha sempre vantato.
I maggiori successi del G-222 derivano proprio dalla sua capacità di operare su piste cortissime e poco preparate come dimostrato durante l’operazione INTERFET, a Timor Est, dove i velivoli furono gli unici in grado di operare sulla pista di Suai (905mt di lunghezza). Vincitore per ben due volte, con l’equipaggio della Sperimentale, del prestigioso “Royal International Air Tattoo” per le sue doti acrobatiche e sempre in primo piano ad ogni air show al quale ha partecipato negli anni, ha concluso la sua lunga carriera nell’AMI il 10 settembre 2005 con uno spettacolare show tattico. Gli ultimi esemplari hanno continuato a volare sotto le insegne di Icaro (Reparto Sperimentale Volo)  e del Lupo (46a Aerobrigata) ancora diversi anni, prima di essere completamente sostituiti dai C-27J Spartan.

Utilizzatori Internazionali:
Nel 1990 il governo americano acquistò 10 G-222 rinominandoli C-27A “Chuck” per collegare gli aeroporti nella foresta di Panama. Dieci G-222L motorizzati Rolls Royce Tyne furono acquistati dall’aeronautica libica nel ’78. Alcuni esemplari furono venduti in Argentina, Nigeria, Somalia, Thailandia, Tunisia,Venezuela e, ultimamente, dieci G-222 Ex AMI sono stati ricondizionati e venduti all’Esercito Afgano.

Il Kit:

Direttamente derivata dal kit del C27J, la scatola del G-222 (N°1311) viene proposta da Italeri con la maggior parte delle stampate comuni, ma con la sostituzione degli sprue che contengono le gondole dei motori. Effettivamente la differenza “estetica” tra i due aerei è tutta lì, quindi è facilmente comprensibile la scelta della ditta di Calderara di Reno.

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Plastica di ottima qualità come normale per la ditta bolognese e decal di eccezionale qualità e completezza. Vengono fornite 4 versioni; due della 46° Brigata e due mmericane. Completi anche gli stencil per le varie versioni .

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Piacevole il nuovo libretto di istruzioni di montaggio in 3D con grafica molto completa.

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Il dettaglio di superficie è in un negativo un pò accentuato ma ben delineato e comunque semre preciso in ogni parte del modello. L’Italeri fornisce anche le superfici mobili del kit separate dal resto della struttura (ipersostentatori a parte), particolare apprezzabile dato che, a terra, non era infrequente vedere il “Gigio” con i piani di coda in posizione leggermente a picchiare.

Andando a scavare nei dettagli per cercare qualche imperfezione, nel G222 la strumentazione era completamente analogica, mentre nel kit troviamo il cruscotto del C-27J con gli MFD e HUD. La posizione del 3° membro dell’equipaggio (Flight Engeneer) è stata completamente tralasciata, sia il sedile sia il pannello di gestione dei sistemi. Ad ogni modo, entrambe i dettagli sono più che trascurabili data la scarsa vetratura e la quasi innvisibilità del cockpit una volta chiuse le fusoliere.
Il carrello anteriore presente nel kit è lo stesso del C-27; quello del “Gigio” aveva una forma del cerchione dello pneumatico e della gamba di forza leggermente differenti, ma un eventuale intervento di correzione è abbastanza semplice da realizzare. Lo scarico dell’APU sulla gondola carrello sinista è un pò sporgente, ma con qualche colpo di lima ben assestato si riesce ad ottenere un risultato ben rispondente alla realtà.

Dato che le stampate provengono dal Kit del C-27J ci sono alcune parti che non devono essere utilizzate come i sensori RWR e IR, la sonda di rifornimento e altre antenne della fusoliera. Anche se i sensori possono comunque essere utilizzati se si decide di riprodurre l’ultimo esemplare utilizzato dall’RSV fino al 2009 per i test e la certificazione dell’avionica e del sistema di “self-defense”.

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I motori General Electric T64-GE-P4D Sono molto ben curati e le pale hanno la giusta forma e dimensione. Le fattezze del castello motore e delle ogive sono molto curate nei dettagli e rispecchia perfettamente quelle del velivolo reale. Nel kit sono stati inseriti anche i condotti di scarico delle turbine, lunghi e ben dettagliati.

Le vetrature presentano una buona trasparenza e, ad occhio, sembrano rispettare molto bene gli scassi per loro previsti. Inoltre il parabrezza presenta anche una parte della fusoliera stampata direttamente sullo stesso pezzo; questa accortezza rende meno gravoso il lavoro di stuccatura dei trasparenti, salvaguardando anche la limpidezza degli stessi.

La stiva di carico ha una scomposizione molto logica e ben pensata. Il dettaglio interno non è stampato direttamente sulla fusoliera, bensì è riprodotto su un “guscio” che andrà poi incollato nella carlinga. Il sistema ideato dalla Italeri ci permette di poter lavorare negli interni con più facilità, e di allineare perfettamente le parti prima di inserirle nei propri alloggiamenti. Per chi è un amante del super dettaglio, la struttura a “guscio” facilita le autocostruzioni e l’aggiunta di tutta quella serie di cavi e tubazioni idrauliche che corrono lungo il cielo della cabina.

In conclusione il kit è decisamente ottimo sia come dimensionisia come incastri. Già con l’uscita del C-27 J la Italeri ci avevi dato l’idea di aver fatto, finalmente, un netto salto di qualità; con l’uscita del G-222 le nostre impressioni sono state confermate. Finalmente tutti i modellisti “italianofili”, e non, avranno la possibilità di aggiungere alla propria collezione un pezzo di storia della nostra aeronautica. Innegabilmente il “Gigio” ha avuto un ruolo di primaria importanza per l’AMI, e un posto di riguardo nel cuore di tanti appassionati.

Buon modellismo!
Luca “Icari Progene” Marin.

Bandit Fulcrum: Mig-29 A dal kit Academy in scala 1/48.

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Ho sempre nutrito una certa attrazione per questo velivolo, dalla prima volta che lo vidi (non dal vivo purtroppo) restai affascinato dalle sue forme, dal suo aspetto “cattivo” e dalla sua agilità.

Il Mikoyan-Gurevich 29  è un caccia bimotore di quarta generazione, ideato e sviluppato dai sovietici all’inizio degli anni ’70, quando la USAF era già inoltrata nel progetto FX dal quale nacquero F-15 e F-16.

Si ebbe il primo prototipo nel 1974, tre anni dopo il battesimo dell’aria, e finalmente nel 1984 andò ad occupare le primissime linee di volo della URSS.

Il MiG-29 A è la prima versione di produzione, denominato dalla NATO “Fulcrum A”

Da quella data in poi, questo velivolo fu oggetto di continui perfezionamenti che portarono a versioni migliorate e riviste, pensate sopratutto per colmare la lacuna principale del Fulcrum: l’autonomia.

Ancora oggi il progetto è aperto, anche se designato come MiG-35, un velivolo del tutto innovativo che conserva solo le forme del suo predecessore.

 Soggetto:

In principio, non avevo idea a quale forza aerea far appartenere il mio Fulcrum. Oltre alla Russia è stato esportato in tantissimi paesi dell’est (e non solo vedi Cuba), ed usato anche dalla Ex DDR (Germania dell’ Est).

La mia scelta è caduta subito su un Fulcrum “originale” , quindi sovietico…ma purtroppo ci sono pochissimi camouflage degni di nota per la versione A. Sfogliando una famosa monografia sul MiG 29 venni colpito da una bellissima versione “Aggressor” caratterizzata da una “sharkmouth” e da una originalissimo calabrone in picchiata con pungiglione avvelenato verniciato sulle due derive….stupendo!

Propongo comunque due versioni nella sezione “Under costruction” del forum, e ciò non fa altro che confermare la versione        “Russian Hornet”.

Qui ritratto lo “01 Red”

 Questo preciso velivolo fu prodotto nel Febbraio 1986 con il codice di produzione 2960518475 e destinato subito al 91° IIAP (Training and Research Regiment) con base Lipeck-2, marchiato con il “Red 33”.

Nel Novembre del 1990 venne spostato al 115° GvIAP (Guards Fighter Units), 2° Squadron sulla base di Kakaydy (oggi in Uzbekistan). Qui sostò per tutto il periodo del coinvolgimento sovietico in Afghanistan, fino al Luglio del 1991, anno in cui fu trasferito nelle regioni del Turkmenistan.

Fu inserito nella linea di volo del 2° Squadron, 1521° AB (dal russo Aviabaza=base aerea) di Maryy-1, con nuovi codici   “Red 08” (Rosso, bordi bianchi) nel ruolo di “Aggressore”

Il velivolo  verniciato con un tipico schema grigio-verde a due toni,  presenta una striscia nera opaca antiriflesso davanti al parabrezza che si protrae fino al radome; questo ultimo, assieme ai pannelli dielettrici, è verniciato in un grigio scuro.

La particolarità principale è la striscia  totalmente bianca che dal canopy si allunga di circa 4 metri fino al dorso della fusoliera, chiudendosi specularmente a freccia (a voler simulare il più ampio canopy del F 15).

Spiccano occhi e fauci di squalo nella parte anteriore della fusoliera, sulle derive il calabrone in picchiata (sulla scia di una saetta rossa) unito all’abbreviazione a caratteri molto grandi AM (Aviabaza Mary).

Lo stesso disegno del calabrone, è stato utilizzato durante gli anni ’60 sui velivoli AD-1 Skyrider dello Squadron VA-176 U.S. Navy, che stazionarono sulla USS Interpid. Il perché fu adottato proprio questo disegno dai sovietici su questo velivolo, è sconosciuto.

Dopo il 1521° AB la sorte di questo velivolo non è a noi nota, l’ultima foto documentata risale al 1992.

Il kit di montaggio:

Per questo velivolo, nella scala del quarto di pollice (1/48) la scelta non è per niente ampia, anzi si può affermare che l’unica disponibile sul mercato è la scatola Academy, numero di catalogo #2116, che nonostante i tanti difetti, offre un modello dalle misure adeguate e con pannellature incise.

Composta da 6 stampate di stirene grigio, più una trasparente, e un foglio decals molto striminzito che curiosamente nega la possibilità di realizzare un esemplare sovietico.

I difetti principali consistono in un cockpit del tutto surreale con un seggiolino più automobilistico che aeronautico; anche il radome ha una forma meno bombata del reale e le rivettatture sono completamente in positivo; Vani carrelli inesistente e come se non bastasse anche una terribile scomposizione della parte anteriore della fusoliera (tra cockpit e LERX).

Quindi ricorrere agli “aftermarket” in resina più che un capriccio, in questo caso è una necessita.

Sono state utilizzate queste scatole durante la realizzazione del modello:

  • Aires 4188 : vani carelli in resina corredati di fotoincisioni
  • Aires 4189 : ugelli di scarico
  • Aires 4074 : cockpit comprensivo di vasca, cruscotto, cloche, sedile e fotoincisioni per pannelli strumenti, cinghiaggio sedile, HUD, struttura interna canopy. Offre la possibilità di rendere visibile su entrambi i lati, i vani avionica
  • Aires 4365 : Superfici aerofreno in posizione aperta
  • Quickboost 48148 : tubo di pitot principale, da inserire in testa al radome.
  • Quickboost 48122 : radome forma corretta
  • Authentic decals 4811 : MiG-29 Fulcrum A (9.12) part 1, decals per tre utilizzatori (URSS, Russia, Ukraina), con più codici, simboli, araldiche e special markings

Dopo l’acquisto di tutto ciò, la consultazione di vari libri e monografie sul MiG-29 e documenti sul web, si inizia l’assemblaggio.

Cockpit:

Il materiale in resina, offre da un lato un livello di dettaglio molto alto, dall’altro una certa difficoltà di adattamento dei pezzi. Sopratutto la vasca del cockpit presenta problemi di questo tipo, perché poggia letteralmente su l’altro pezzo in resina del vano carrello anteriore. Quindi è stato necessario qualche colpo di lima qua e là per fare combaciare i due pezzi. Altro punto critico è stato il cruscotto, più stretto rispetto allo scasso che la stessa Aires consiglia di praticare sulla plastica del modello.

Per il resto, l’adattamento non si presenta particolarmente ostico dato che comunque il set Aires è disegnato proprio per l’ Academy.

In seguito si passa all’uso delle fotoincisioni per costruire le cinghie del sedile e il pannello strumentazione. La parte che sicuramente fa sudare maggiormente è la costruzione dell’HUD, per la fragilità della struttura e l’esigua dimensione delle fotoincisioni, il tutto complicato dall’uso di minime porzioni di cianoacrilato.

L’intero cockpit, compreso il sedile, sono stati dipinti con l’uso di vernici acriliche Tamiya, ad aerografo e pennello.

Il sedile è stato dipinto utilizzando FX 69 (Nato black) per il telaio, cuscini FX 69 (ma lasciati semi lucidi),  cinture XF 60 (dark yellow) molto schiarito, particolari vari con uso di rosso, alluminio e gold titanium.

Infine un “drybrush” in XF 23 (Sky Grey)

Per quanto riguarda il giusto colore da utilizzare sui cockpit dei MiG 29, è utile distinguere tra la prima produzione, e la tarda: ovvero i cockpit della prima produzione erano verniciati con una sorta di azzurro molto chiaro, che tendeva a confondersi con un comune grigio chiaro; invece nella tarda produzione (dopo la dissoluzione della URSS) erano verniciati con l’uso di un grigio medio, come è possibile vedere sui i velivoli ancora oggi operanti per esempio in Polonia o Rep. Ceca.

Purtroppo riuscire a riprodurre fedelmente il colore azzurrino del cockpit, è complicato dalla mancanza o dalla censura di informazioni e documenti da parte delle autorità militari sovietiche di quel tempo. Quelle pochissime foto che ci sono pervenute, purtroppo presentano colori sfalsati da vecchie pellicole fotografiche.

Ho quindi usato il Tamiya XF 23 schiarito con del bianco, anch’esso opaco, in proporzione:

3 gocce XF 23 – 1 goccia XF 2 – 10 goccie diluente.

Il colore appare ancora troppo azzurro, ma è da tenere in considerazione che verrà stemperato ulteriormente dal drybrush e dall’opaco finale.

Leggero invecchiamento della vasca con uso di colori ad olio Maimeri, utilizzando un grigio medio leggermente sporcato con del blue.

Cruscotto in XF 69 Nato black e dry brush XF 23 Sky grey.

Assemblaggio:

Dopo il cockpit la prima parte da assemblare è la parte anteriore della fusoliera, che il kit propone (o impone?!) suddiviso in 6 parti, per niente facili nel fare collimare, e come se non bastasse sono tutti da stuccare una volta saldati. Le uniche due parti da non stuccare sono le griglie (che il kit offre sia aperte che chiuse) delle prese d’aria ausiliari del sistema anti-FOD. La parte più critica è proprio la giuntura fusoliera-LERX, che necessita di tanto olio di gomito per pareggiare il dislivello tra le due parti…

 

…che dovranno in fine apparire perfettamente allineate e contigue. Purtroppo la re-incisione delle linee dei pannelli è obbligatoria dopo questa operazione.

Anche il radome in resina deve essere rivisto, perché osservandolo in sede appare visibilmente più spesso del dovuto. Quindi armati di mascherina e carta abrasiva, bisogna eliminare all’incirca 1 mm di materiale per l’intero asse longitudinale del radome. Attenzione a non fare l’errore di limare solo la parte di radome adiacente alla fusoliera, perché in quel caso risulterebbe dalla forma errata e visibilmente tozza.

La seconda parte della fusoliera invece è molto più gestibile e consiste di due parti, una superiore e una inferiore, al quale poi verranno uniti i due condotti tubolari che convogliano l’aria al primo stadio dei motori.

L’unica difficoltà in questa seconda parte è data dall’adattamento dei due vani del carrello principale in resina (già verniciati e invecchiati).

 Da notare che per inserire i vani in resina, il rilievo originale del kit all’interno della fusoliera, deve essere eliminato per recuperare millimetri preziosi che farebbero altresì spessore.

Altri piccoli problemi si presenteranno quando si andranno ad unire le due parti delle fusoliere.

 Nella parte inferiore si deve correggere :

  1. La fusoliera anteriore è di 1,5 millimetri più larga da una parte rispetto all’anteriore. Deve essere accortamente sistemata e limata, senza fare perdere ai bordi  la giusta curvatura tipica del profilo dei LERX.
  2. Adattare e far combaciare la restante parte del vano carrello anteriore, utilizzando anche del “plasticard” (dove indica la freccia) prima di stuccare.

 Nella parte superiore,  si devono correggere:

  1. La spina bombata sul dorso (vedi freccia) crea  un dislivello di circa 1 mm dalla parte posteriore, appare più bassa e dovrà essere pareggiata con l’uso di stucco epossidico.
  2. Come per la parte inferiore c’è da allineare bene preservando le forme.

Un po di attenzione si deve porre anche ai condotti dell’aria.

Nella foto sono evidenziate due zone critiche, la prima è una linea di giunzione che deve essere stuccata a dovere (linea azzurra);

La seconda  invece è anche essa una linea di giunzione (cerchi arancio) che deve essere perfettamente raccordata e livellata ma NON stuccata, non commettete lo stesso mio errore! Re-incidere una parte curva è difficoltoso.

Infine, particolare importante sopratutto per l’invecchiamento, praticate dei fori ovali nella parte finale dei condotti tubolari, come mostrato in foto (cerchi rossi), sono i fori di scolo di liquidi vari. Aiutatevi con i disegni e i tantissimi “walkaround” per determinare la giusta posizione.


Finita la fusoliera, si passa alle velature, ovvero derive ed ala.

 L’ala è divisa ovviamente in due semi-ali, ciascuna delle quali è formata da due stampate da saldare insieme come un “sandwich”. Dopo l’incollaggio le due semi-ali vanno a posto tranquillamente e l’unica zona da riprendere giusto per correttezza è la radice alare inferiore, accanto agli alloggiamenti dei vani carrello. Altra accortezza da non sotto valutare è il giusto angolo di diedro dell’ala: ovvero l’ala deve avere un leggero grado di inclinazione verso il basso.

In altre parole osservando il modello dal davanti, le ali devono avere leggermente le estremità inclinate verso terra.

Ancora riguardo l’ala è opportuno fare una piccola modifica ma significante. Alle estremità alari, il gruppo che contiene le luci  di navigazione e le antenne ECM, ha una forma troppo approssimativa.

Ho notato la differenza studiando un disegno in pianta del Mig-29A, in seguito confermato dalle decine di foto visionate.

Quindi ho livellato il gruppo luci alla superficie alare, per poi modificare (come si vede in pianta) l’estremità alare. Ho ricostruito le luci di navigazione semplicemente verniciando il fondo con trasparenti colorati, ricoprendo il tutto con una goccia di cianoacrilato opportunatamente sagomata. Invece ho usato gocce di vinilica per ricreare le estremità sferiche delle antenne ECM.

Ho infine rivettato ex novo la parte come nella realtà e tagliato via i “flaps” dalle loro sedi per poi incollarli a verniciatura ultimata.

Essendo un modellista molto pignolo, ho voluto peccare di presunzione e apportare una miglioria alle derive, che da scatola vengono fornite solo con rivettatura principale (tra l’altro in positivo). Quindi aiutandomi sempre con i disegni in scala e foto varie, ho riprodotto la rivettatura su entrambi le derive, esternamente e interiormente. Una operazione secondo molti superflua, ma che eleva il livello di realismo piacevolmente per chi osserva il modello da vicino, secondo me.

Anche le derive, come l’ala, vanno incollate facendo attenzione all’angolo che formano rispetto al piano orizzontale: vanno posizionate in modo simmetrico e leggermente inclinante verso l’esterno.

Prima di incollarle ho tagliato via i timoni dalle loro sedi per posizionarli a mio piacimento.

Una volta incollate le derive basterà poco stucco per renderle completamente solidali alla fusoliera in ogni punto, ponendo attenzione a far sparire la giunzione (deriva-finale fusoliera) nella parte esterna (in cui è presente tra l’altro anche l’attuatore dello stabilizzatore).

La fusoliera è quasi conclusa a questo punto. Quasi perché c’è un punto molto nascosto che può sfuggire all’occhio: la parte finale delle gondole motore.

La freccia rossa indica un fastidioso gradino che deve essere sistemato:

ho limato fino a raggiungere la forma tubolare delle gondole, ho inserito del “plasticard” per ridurre il vuoto, stuccato, lisciato per rendere il tutto unico.  Operazione necessaria se avete intenzione di lasciare l’aereofreno aperto, viceversa del tutto trascurabile se si decidesse di lasciarlo chiuso.

Inoltre, nel caso si usasse il set in resina dedicato all’airbrake, si dovrà adattare anche il pezzo evidenziato nel cerchietto rosso. Operazione abbastanza semplice e che necessita pochissimo stucco.

 Chiudono il capitolo assemblaggio fusoliera,  windshield (o parabrezza) e radome.

Il primo ha bisogno di qualche attenzione per essere adattato, perchè risulta alla base più largo di 0.5 mm (occhio e croce), quindi bisogna con cura limarlo al millimetro. In seguito, dopo il trattamento con cera Future e relativa asciugatura, sarà mascherato ed incollato al resto della fusoliera per essere infine stuccato con cianoacrilato e uniformato come se fosse un pezzo unico alla fusoliera.

Il radome invece, dopo essere stato opportunamente corretto come scritto qualche riga sopra, può essere incollato al resto della fusoliera, oppure, scelta da me preferita, incollato poco prima della stesura del lucido, in modo da evitare qualche mascheratura nella fase di verniciatura.

 Scratchbuilding e modifiche:

 Essendo questo velivolo proveniente dalla prima produzione, ha presenti sulla fusoliera due pinne ventrali montate assialmente sotto le derive ,di dimensioni modeste per essere ignorate modellisticamente.

Ho quindi sagomato una lamina di “plasticard” (una vecchia carta telefonica) utilizzando dei disegni stampati in scala 1/48.

Nel momento di incollaggio c’è da porre attenzione alla posizione delle pinne, che va incollata proprio a ridosso della sede dell’attuatore stabilizzatore, quindi (dalla parte che andrà incollata) deve essere modificata ad hoc per collimare con questa sagoma bombata. La foto concretizza questo ultimo frangente.

 

Inoltre essendo questo un velivolo destinato a uno “Aggressor squdron”, non aveva montati i prolungamenti delle derive che ospitavano i lancia “flares” per le contro misure (tra l’altro non presenti sulle prime versioni).

Quindi NON vanno montati assolutamente, e bisogna ricostruire (cerchio verde) quel piccolo pezzo che viene a mancare con della sprue opportunamente modificata.

 La “bolla” trasparente che contiene il sistema IRST (Infra-red search and track) è stata ricostruita da zero, utilizzando un pezzo di sprue trasparente, modellato e sagomato al millimetro. Risulta migliore del originale (non trasparente) in quanto più corretto nelle forme essendo più corto.

Alla fine è stato valorizzato ancora di più con una goccia di cera Future.

Ho ricostruito nella zona del muso (cerchietti neri 1 e 2), prima del radome, le varie antenne IFF ( Identification friend or foe) e i sensori AOA (Angle of Attack). Un altra antenna essenziale per il dettaglio è stata quella posta su una delle derive, a forma di arpione, sempre una antenna IFF secondaria (cerchietto nero 3) che utilizza la modalità SIF (Selective Identification Feature).

Anche gli “airscoop” presenti sulla fusoliera sono stati ricostruiti: Sul dorso la presa d’aria del APU,posta in posizione decentrata sulla spina (cerchietto blu), è stata modificata usando il pezzo originale ma ricostruendo con del lamierino di alluminio la bocca di entrata nella corretta forma ovale.

Sulla pancia invece ne sono presenti 4, più piccole ma rilevanti (cerchietti rossi). Esse sono poste sulle cofanature che coprono le gondole motore disposte sia internamente che esternamente, come è possibile notare dai numerosi walkaround.

Queste sono state ricreate ex novo con il solito lamierino di alluminio tagliato a misura e modellato utilizzando la punta di un manico di pennello tipo 00.

Altra modifica fondamentale nel caso decideste di montare il serbatoio ventrale da 1500 L, è creare il condotto di scarico dei gas caldi. Infatti proprio in quel punto di attacco del serbatoio vi è la griglia di scarico dei gas caldi provenienti dal APU, quindi per permettere ai gas una corretta via di fuga, all’interno del serbatoio vi è un condotto che permette ciò.

Ho semplicemente bucato il serbatoio nella zona giusta, e poi ricostruito il condotto con il solito lamierino modellato come un cilindro dal giusto diametro.

Per quanto riguarda le cofanature delle gondole motore prima citate, sono totalmente assenti sul modello di base. Ho ritenuto necessario quindi incidere le linee di pannello che creassero questa cofanatura. Infatti il Mig 29 fu appositamente progettato per una manutenzione rapida adottando delle cofanature delle gondole motore a pezzo unico in modo da poter sostituire un motore con pochi interventi.

Nella foto è evidenziata la giusta linea da seguire per ricreare la pannellatura come è presente sul velivolo reale.

Anche i dissipatori elettrostatici sono stati modellati con del semplice filo elettrico molto sottile, applicati sui bordi di fuga  dell’ ala, stabilizzatori e timoni con pochissima colla.

La fine dell’assemblaggio si è conclusa con la re-incisione di alcune linee e con la totale e maniacale creazione dei rivetti nei punti più importanti.

Verniciatura:

Per questa fase ci è voluto un po di studio.

Guardando le varie foto sul MiG-29 esistenti si notano due cose fondamentalmente:

  1. Considerando solo lo schema a due toni grigio-verde, non vi è uno schema fisso delle macchie, della loro grandezza e posizione. Tutti i camouflage sono simili tra loro ma non c’è ne sono due identici.
  2. Sempre riguardo questo schema la tonalità di verde utilizzata è diversa tra prima produzione e la successiva.

Infatti i primi MiG, dai prototipi fino al 1990, utilizzavano un verde scuro, che contrasta parecchio con il grigio di fondo. Invece dalla seconda produzione in seguito il verde utilizzato cambio tonalità diventando quasi un verde acqua, più luminoso e a contrasto molto ridotto.

Quindi, aiutato dalla documentazione, e dalle pochissime foto sui “Fulcrum” prima della dissoluzione della URSS, ho riprodotto la mimetica con la giusta tonalità di verde.

Di seguito un elenco delle vernici utilizzati:

  • Verde Mimetica – Gunze H60 schiarito                              Proporzioni in gocce (10 verde – 4 bianco – 30 diluente)
  • Grigio di base – Gunze H 308
  • Panelli dielettrici e radome – Gunze H 305
  • Striscia nera – Tamiya XF 69
  • Striscia bianca – Tamiya XF 2 scurito                                 Proporzioni in gocce (4 bianco – 1 grigio – 10 diluente)
  • Vani e struttura carrelli – Tamiya XF 23
  • Cerchi ruote – Tamiya XF 26
  • Piastra foro cannoncino – Alclad Gold Titanium
  • Ugelli motore – Alclad Dark Alluminium – Pale burnt metal

Ho iniziato con la tecnica del “pre-shading” sulla parte inferiore del velivolo.

Stese con molta cura e mano ferma le linee scure sulle linee di pannello e zone d’ombra, ho poi spruzzato il grigio H 308 con una diluizione del 70%. Lasciato asciugare il tutto ho ripetuto la procedura in totale 3 volte fino a raggiungere un giusto compromesso.

 

Successivamente ho steso lo stesso grigio con una diluizione minore (circa 60%) sulla restante parte del modello non verniciata.

Dopo l’asciugatura ho utilizzato il patafix per stendere le linee guida della mimetica, ponendo attenzione a mascherare con cura quelle parti da mantenere in grigio. Ho utilizzato per mascherare della pellicola trasparente da cucina, opportunamente fissata sui cordoncini di patafix. Ho quindi caricato l’aerografo con il verde corretto, diluizione 60%, cercando di mantenere il getto dell’aerografo il più possibile perpendicolare alla superficie.

Asciutto tutto ho tolto il patafix e pellicola, per iniziare a schiarire i pannelli con il “post-shading”.

Utilizzando lo stesso colore schiarito del 30% ( in gocce: 7 grigio – 3 bianco) ho spruzzato a centro di tutti i pannelli, successivamente ho scurito lo stesso grigio di base del 30 % (in gocce: 7 grigio – 3 nero) e analogamente ho spruzzato l lungo le linee di pannello.

Stessa procedura per la vernice verde, utilizzando le stesse percentuali per modificare i colori.

L’effetto risalta parecchio, ma considerando che si attenuerà con le varie passate di vernice trasparente e  l’invecchiamento, ho deciso di lasciare così.

La successiva parte della verniciatura è stata più rilassante:

  • Verniciare tutti i pannelli dielettrici in cima alle derive, sui LERX, sulla spina e il radome con il grigio H 305.
  • Verniciare la striscia nera antiriflesso davanti al parabrezza.
  • Verniciare con il bianco spento prima la striscia tra canopy e spina e successivamente le bocche delle prese d’aria principali.
  • Verniciare con Gold titanium la piastra che copre il foro del cannoncino e dopo le due piastre poste tra le derive, sopra la prima parte degli ugelli di scarico.
  • Verniciare con Dark alluminium e con Pale burnt metal gli ugelli di scarico del set Aires.

Alla fine la resa è molto piacevole.


Tre abbondanti mani di vernice trasparente lucida Tamiya diluita al 70% e si passa alla posa delle decals.

Decalcomanie:

Questa fase mi ha snervato, sia per la quantità elevata di piccole decals da posare un po dovunque, sia per l’eccessiva fragilità delle più grandi.

Ho iniziato dalle due derive con la posa del calabrone, operazione che si è rivelata tragica: la decals, nonostante sia stata immersa per 2 minuti in acqua tiepida, e poi poggiata su un pezzo di vetro piano, si è frantumata in 13 parti.

Con molta pazienza ho iniziato a posare il pezzo più integro nella corretta posizione per poi aggiungere tutti i pezzi mancanti come un mosaico cercando il più possibile di non fare notare la rottura. Alla fine della posa ho tamponato delicatamente con carta assorbente ed ho trattato il tutto con più passate di “Micro Set” , continuando a tamponare per fare aderire alle linee e ai rivetti vari; la seconda decals si è mantenuta più integra.

Stesso problema si è presentato con i numeri identificativi, lo “sharkmouth” e le stelle sovietiche.

Fortunatamente le decals più piccole hanno mantenuto la loro integrità, ma l’elevato numero rende questa fase molto noiosa.

Infine ho spruzzato altre tre mani di trasparente lucido diluito al 70% per sigillare il tutto.

Una volta asciutto il trasparente ho caricato l’aerografo con il grigio Gunze H 308 di base, molto diluito ( 80 – 90 %) , per  desaturare le decals che risaltano molto avendo dei colori vivaci. In alcuni punti la de-saturazione è eccessiva, ma il risultato è comunque buono nel complesso.

Invecchiamento:

 A questa fase ho dedicato la maggior attenzione dopo l’assemblaggio, perché ho voluto rappresentare un velivolo che portasse con se tutti i segni di un vario utilizzo e scarsa manutenzione, tipico dei velivoli sovietici di quel tempo.

Ho iniziato con un lavaggio a olio sulla superficie inferiore utilizzando un grigio medio, perfetto per il tipo di grigio utilizzato come base della mimetica. Con lo stesso grigio ho poi trattato la parte superiore e le derive, ma ho subito notato che sulle zone della mimetica in verde, il lavaggio non rendeva molto, quindi ho preferito scurire di poco il grigio aggiungendo una piccola quantità di marrone; in questo modo, il lavaggio sulle zone verdi risulta perfetto.

Successivamente, utilizzando il grigio medio ancora più diluito, ho tamponato con un “cotton-fioc” le superfici in cui volevo riprodurre più sporco non curandomi tanto della dimensione o della quantità di colore lasciato sulla superficie: più si è imprecisi meglio è.

Quando asciutto ho asciugato tutte le zone macchiate fino a togliere quasi completamente il colore, in modo da lasciare solo dei leggeri aloni. L’effetto è molto buono.

Per concludere l’invecchiamento ho riprodotto tutti quei particolari come scie lasciate da gas/liquidi di scarico, ruggine nelle cerniere, colature lasciate in prossimità di bocchette di rifornimento, scrostature e depositi di grasso.

Per le traccie di ruggine (frecce azzurre) ho utilizzato un trasparente lucido marrone ottenuto miscelando al 50 – 50 trasparente rosso e giallo (Gunze H 91 Giallo  –  Tamiya X 27 Rosso).

Per le tracce dei fumi di scarico ho utilizzato invece Tamiya X 19 Smoke con passate molto leggere.

Gli accumuli di grasso, la ruggine sotto le cerniere e le colature di liquidi vari sono ottenute invece con i soliti colori ad olio, depositati sulla zona con un pennellino e poi “tirati” via con un “cotton-fioc” sfilacciato (in questo modo a contatto con l’olio da asportare, entrano solo pochi fili di cotone molto sottili).

L’invecchiamento degli ugelli di scarico è stato invece realizzato, oltre all’uso dei colori ad olio, a vernici trasparenti di varia tonalità.

Dopo avere spruzzato il trasparente lucido e fatto scorrere gli oli tra i dettagli, ho giocato con i trasparenti colorati per rendere l’idea della cottura del metallo.

Ho utilizzato:

  • Trasparente azzurro – Gunze H 96
  • Trasparente giallo scuro – Gunze H 91 / Tamiya X 27                        Proporzione(70% Gunze – 30% Tamiya)
  • Trasparente fumo – Gunze  X 19

Ho creato delle macchie sulla superficie degli ugelli con l’azzurro seguendo l’andamento parallelo dei petali che compongono gli ugelli; subito dopo ho passato il giallo sulle stesse macchie dell’azzuro e infine ho stemperato l’effetto spruzzando su tutta la superficie dei petali lo smoke tamiya. Per un buon effetto I trasparenti devono essere molto diluiti e spruzzati (per le macchie) a distanza minima anche meno di 1 centimetro.

L’effetto è stato molto stemperato dall’opaco finale, converrebbe lasciare le macchie più evidenti.

All’interno invece ho utilizzato nero opaco e qualche tocco di bianco opaco per simulare la combustione provocata dal post bruciatore.

Come ultimo accorgimento bisogna porre attenzione alla posizione di incollaggio, che fortunatamente è spiegata nelle istruzioni Aires: gli ugelli devono avere un piccolo angolo di inclinazione verso il basso.


Ultimi dettagli:

A questo punto mancano soltanto il carrello di atterraggio, l’aerofreno, i tubi di pitot sparsi sulla superficie, i sensori AOA, e il canopy.

Nella scatola Aires dedicata ai vani del carrello, sono incluse anche foto incisioni e parti in resina da applicare sui carrelli originali.

I pezzi sono davvero tanti tra martinetti, forcelle, compassi di torsione, fari, portelloni vari e nonostante tutta questa  roba ho voluto auto-costruire alcuni particolari mancanti, e sopratutto aggiungere tutti i tubi e cavi sparsi sulle gambe dei carrelli.

Inizialmente ho assemblato il carrello anteriore (il più ricco di dettagli) modificandolo e applicando secondo le istruzioni le fotoincisioni e i pezzi in resina, e aggiungendo solo alla fine cavi e tubetti vari realizzati con vari spessori di filato di rame  (per intenderci prelevati da cavi elettrici).

Ho sigillato il tutto con una buona mano di grigio tamiya Sky grey, il tutto maggiormente fissato dal successivo trasparente lucido. Infine un bel lavaggio  mirato con un grigio molto scuro per mettere in risalto i bellissimi dettagli.

Ripetuto lo stesso procedimento con le due gambe del carrello principale, mi sono poi dedicato ai vari portelli che chiudono i vani carrelli. In realtà il MiG-29 ha un non semplice  sistema di chiusura dei vani. Il vano anteriore è chiuso da due portelli a cerniera più una terza parte che è fissa al martinetto che spinge la gamba di forza del carrello alla chiusura.

I vani posteriori invece risultano ciascuno chiusi da un grande portello a cerniera (sul quale è fissato un faro taxi) che copre il vano che ospita la ruota (evidenziato in rosso), da un secondo portello più piccolo sempre a cerniera che copre la gamba del carrello(evidenziato in blu), e infine una piccola parte solidale al martinetto che spinge la gamba del carrello alla chiusura (evidenziato in arancio).

Assemblare e fissare correttamente tutti i pezzi porta via un po di tempo, in alcuni momenti il nervoso fa da padrone, ma infine il risultato è assolutamente realistico.

Un po di attenzione si deve porre alla posizione delle gambe del carrello principale, infatti anche se già i pezzi sono progettati per mantenere una certa posizione, si deve correggere di qualche millimetro la posizione per fare risultare i carrelli non perpendicolari al piano orizzontale e non appoggiati sui condotti che convogliano l’aria ai motori.

Un piccolo accorgimento anche sui pneumatici delle ruote, forniti dal kit con una orribile scritta lungo tutta la circonferenza in cirillico, troppo in rilievo per essere in scala (la ho eliminata del tutto); inoltre si deve intervenire di lima se si vuole riprodurre l’effetto peso sulle gomme.

Alla fine, dopo l’opaco finale, i fari relativi ai carrelli sono stati ritoccati con cera future per assumere un aspetto più realistico.

Passando all’aereo-freno, devo ammettere che è davvero ben fatto!

Ha un dettaglio perfetto, le forme sono state prese in toto ed è molto semplice da montare sul modello.

Come di norma ho proceduto a verniciarlo con il grigio base della mimetica, poi lucidato a dovere, invecchiato con oli e poi montato sul modello usando la colla vinilica per un semplice motivo: non è immediato posizionare le due piastre con il giusto angolo di apertura, quindi usando la vinilica si ha un lasso di tempo utile per aggiustarli ,aiutandosi sopratutto con la lunghezza dei 4 martinetti adibiti al movimento, che hanno delle sedi precisi in cui incollarli.

Per quanto riguarda il canopy, la scatola di miglioria cockpit fornisce anche delle  fotoincisioni per  l’interno del canopy, per riprodurre il telaio interno a cui vanno aggiunti i tre piccolissimi specchietti retrovisori.

Verniciato internamente con la stessa tonalità del cockpit, ed esternamente di bianco secondo lo schema; come ulteriore   dettaglio ho riprodotto il mastice isolante che ricopre la giuntura vetro-telaio all’esterno, e la sagoma di tutto il canopy all’interno, utilizzando un rosa spento.

Per sigillare il tutto, e porre fine a questa avventura ho spruzzato un trasparente opaco sempre acrilico, ottenuto miscelando il Tamiya trasparente lucido e il “flat base” in proporzione (4 gocce flat base – 11 goccie di lucido – 30 diluente)

In alcuni punti si è creato un fastidioso effetto polveroso, eliminato semplicemente (a vernice asciutta) strofinando con un panno in microfibra (pannetto degli occhiali) in senso rotatorio sulle parti interessate.

Tolte le mascherature dai trasparenti, lucidati i faretti e le luci di navigazione, aggiunte le ultime antenne e fissato il canopy, il velivolo è pronto per essere collocato in vetrina.

Conclusione:

E’ stato un lavoro impegnativo sia per la base di partenza del kit, sia per la riproduzione di ogni particolare possibile, sia per l’uso massiccio di resine e fotoincisioni.

Per me è stato il primo modello impegnativo e veramente ben fatto, con pignoleria e tanta passione in ogni particolare.

Ringrazio tutti gli utenti del forum che mi hanno seguito, commentato e sostenuto durante la lunga costruzione.

E quindi dedico questo modello al forum di ModelingTime.com

Buon modellismo a tutti,

Luca “Madd22” Miceli

 

 

 

F-84F “Thunderstreak” dal kit Italeri in scala 1/48.

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Ed anche questa è fatta! Con questo “Tuono” finisce il mio GB 2011 dedicato alla nostra Aeronautica Militare. Devo confessarvi che inizialmente avevo avuto difficoltà nello scegliere il modello con cui partecipare visto che nessuno mi ispirava; ma effettuando qualche ricerca sul web sui jet appartenuti alla nostra Aeronautica Militare, mi sono imbattuto sull’F-84F “Thunderstreak”. Come cita il sito ufficiale dell’AMI  ““Questo velivolo fu fornito all’Italia in 194 esemplari nel periodo della “guerra fredda”, sostituendo l’F-84G nel ruolo di bombardiere strike dotato di armamento atomico. Per le brillanti prestazioni di volo e per la notevole capacità di carico bellico era considerato il migliore cacciabombardiere dell’epoca al quale i giovani piloti si avvicinavano con un certo timore dovuto anche alla mancanza di una versione biposto da addestramento operativo”.

Un aereo “originale”, una linea nuova per me con quella presa d’aria anteriore e la finitura in Natural Metal di cui erano dotati i nostri esemplari; Quindi, preso dall’entusiasmo del modello e di provare per la prima volta i magnifici colori metallici Alclad, corro in negozio ad ordinare l’unico kit in scala 1/48 che avrebbe soddisfatto tutti i requisiti costruttivi e qualitativi cioè l’ITALERI reinscatolato Kinetic, con numero seriale 2682. Il kit è di buona fattura, ottima plastica, pannellature e rivettature in negativo con incastri che vanno al limite della precisione tranne che per qualche piccolo particolare di cui parleremo più avanti. Libretto d’istruzioni molto esplicativo, con possibilità di fare 5 esemplari grazie al bel foglio decals allegato e naturalmente io scelgo l’esemplare appartenuto al 154° gruppo 6^ Aerobrigata di stanza a Ghedi (BS), col tridente e “diavoletto”.



Si parte subito ad analizzare il cockpit, e qui è inutile stare lì a perdere tempo; chiamata immediata al negoziante di fiducia e ordine perentorio di farmi arrivare il pit dell’Aires n.4461. Qui c’è un po’ da stare attenti perchè  il set in resina monta il seggiolino dedicato alle  versioni  dell’ F-84F-30  di  prima  costruzione  USAF  e  non  per  i  modelli  usati sugli F-84F-55 di fornitura AMI. Qui, non avendo alternativa, l’inserimento della seggiola del kit ITALERI è d’obbligo ma naturalmente qualcosa come al solito devo cambiare visto il confronto con immagini del seat reale. Ho cominciato quindi a lavorarci sopra lisciando prima di tutto ambedue le pareti del telaio per eliminare i fastidiosi particolari in rilievo; poi ho praticato con punta da 1mm i due fori presenti in ambedue i lati e quindi fatti i rivetti (in negativo s’intende) e aggiungendo anche due piccole piastrine agli angoli; si montano poi i cavetti simulati con fili di rame attorno e dietro il telaio. A seguire, ho sezionato lo schienale dalla base per togliere a colpi di carta vetrata lo strano “disegno delle cinghie” e per praticare altre 3 file di incavo perpendicolari a quelli esistenti. Ho ricreato la parte posteriore, la seduta con plasticard e anche il bordo anteriore con l’inserimento di altri piccolissimi dettagli. Altra modifica ha interessato i due poggiapiedi rifatti interamente in plasticard e leggermente più sottili di quelli del kit. Inseriti la parte del poggiatesta e tutto il contorno posteriore di cavi e cavetti, costruiti il tubo dell’ossigeno con cavetto di rame e il cuscino della seduta con milliput, il tutto s’è innescato perfettamente all’interno del pit in resina. Le cinghie sono state usate quelle in fotoincisione del set AIRES. Il tutto sembrerà più realistico.

Per la colorazione della seggiola ho usato gli acrilici Gunze con grigio H317 per il telaio, red Tamiya con aggiunta di giallo e bianco per il poggiatesta, un miscuglio di olive green e khaki per il cuscino e un miscuglio di verdi per le cinghie. Yellow per le maniglie di espulsione. Il tutto drybrushato con nero per ricreare l’effetto di vissuto e “datato”.


Tutto il resto della vasca compreso il pannello strumenti ha subito lo stesso trattamento di colorazione con grigio H317, mentre le consolle laterali e tutti i quadranti degli strumenti sono stati colorati in nero opaco Tamiya. I lavaggi non sono stati fatti per non appesantire ancor di più l’effetto già ricreato col drybrush.


Prima di chiudere la fusoliera si deve intervenire sulla zona dello scarico. Una volta unite le due semiparti che compongono il pezzo che alloggia la ventola, con uno stecchino ho messo piccole gocce di ciano lungo le linee di giunzione (troppo evidenti anche montato) stando attento a non “toccare” le parti in rilievo interne. Poi sempre con lo stecchino ho cercato di “stendere” la ciano in modo che s’asciugasse senza visibili segni di spessore sopra la plastica; successivamente passata di vernice grigia seguita poi da dry in nero e silver…le linee di giunzione erano scomparse. Senza volerlo e sotto un simpatico suggerimento di Valerio (Starfighter84) ho trovato un nuovo metodo “a secco” per le stuccature difficili.  Non bisogna poi dimenticare di inserire dall’interno della fusoliera il tubicino sul lato dx; il kit lo dà chiuso e armato di cutter a punta fine, pazientemente e stando attento, l’ho scavato fino a farlo aperto.


Finito anche questo, elimino i due vani carrello posteriori delle ali per far posto a quelli in resina AIRES 4475. Idem per il vano anteriore. Posso finalmente chiudere le semifusoliere e montare anche le ali, dicendo che a parte qualche energica limatina sui laterali del pit e le due ali che necessitano di stucco, tutto il resto si monta in maniera precisa. Adesso è il momento del vano armi. Qui inserisco il pezzo del kit aggiornato con due aghi (sezionati da due siringhe con attacco azzurro che corrisponde al diametro giusto) a simulare due cannoncini verso l’esterno. Chiuso il portello con una leggera manipolazione (con la ciano ho rischiato di incollarmi le dita insieme al pezzo) ho cercato di fare in modo di montarlo il più corretto possibile onde evitare carteggi pesanti e ripannellature rognose.

Al passo successivo però mi son dovuto fermare! Perchè? Nel mettere la presa d’aria Quickboost  48314, questa mi ha tirato una brutta sorpresa; Non s’incastrava bene col resto della fusoliera. Qui, l’uso di lima e carte vetrate è stato purtroppo necessario.

Superato quest’ultimo ostacolo, m’imbatto in una bella magagnetta: Quale? All’interno della presa d’aria si notano abbastanza bene i fori con i due cannoncini dx e sx, la parte anteriore del pit ed inoltre c’è tanto vuoto del pezzo centrale con le pareti interne.

Visionando foto del modello reale, le pareti interne della presa d’aria sono pannellate verticalmente. Quindi, preso dal prurito alle mani che m’era venuto anche per il calabrone (F-18F dello scorso GB US NAVY), ho cercato di risolvere quella brutta visione interna: preso un rettangolino di plasticard sottile, l’ho sagomato in modo che entrasse perfettamente su tutto il condotto interno e l’ho “rigato” con incisore formando pannellature verticali. Ho eliminato poi tutto il resto del plasticard che usciva con carta vetrata e qualche goccia di ciano per renderla uniforme alla “bocca” della presa d’aria. Ora sì che l’interno è ok!


Adesso tocca ai trasparenti. Nel montare quello dietro il canopy, ecco che m’è uscita n’altra “camurria” (rogna): il cupolotto m’è risultato più basso di 1/2 mm. Quindi, con plasticard ho dovuto colmare lo spessore mancante per portarlo a livello della fuso. Per il blindo vetro invece le cose sono andate meglio; è bastato solamente arricchire l’interno con nastro d’alluminio per simulare i frames con seguenti rivettature in positivo fatte prima di incollarlo.

Mascherati tutti i trasparenti ho dato la prima spruzzatina interna sempre con grigio H327 prima del montaggio definitivo effettuato col Clear Fix Humbrol.

Guardo e riguardo il modello e mi accorgo che manca ancora un bel particolare da ritoccare: gli aerofreni; ….ma è possibile che non riesco proprio a montare un cavolaccio di kit senza complicarmi la vita?! Vabbè, che ci volete fare. Armato di santa pazienza, con punta extra fine di uno spillo, ho “forato” uno ad uno tutti i forellini chiusi presenti sui due pezzi del kit. In controluce l’effetto è molto realistico e non tutti i fori sono visibili perchè all’interno degli aerofreni c’è una piastra di rinforzo che ne copre alcuni, come da originali.


Finito anche questo passaggio, finalmente si arriva alla fase della colorazione. Riviste tutte  imperfezioni e data una lisciatina generale su tutto il modello, procedo a ricoprirlo con nero lucido Humbrol 21; ottima base questa per gli Alclad. Fatto asciugare per benino, passo alla stesura del White Aluminium Alclad 106 per la fusoliera e i serbatoi.

Poi, per differenziare piccoli particolari ho usato il Dark Aluminium 103, senza esagerare visto che i nostri Thunderstreak erano “tinta unica”. Per le piastre attorno ai bordi d’attacco delle ali e sugli aerofreni  è stato spruzzato il Chrome ALCLAD 107. Per la zona dello scarico invece ho spruzzato una miscela di Alclad Aluminium e Jet Exsaust.  Ripulito l’aerografo, lo ricarico con l’Alclad Aluminium 101 per i pozzetti, interni vani carrelli, cerchi ruote e altri accessori. Che dire degli Alclad….sono spettacolari, a parte la puzza (lo smalto delle unghie delle nostre signore puzza di più), non si diluiscono, si spruzzano nà meraviglia e la resa è da fantascienza! Bellissimi! Per la fascia antiriflesso che dal blindo vetro si estende fino alla presa d’aria ho usato l’Olive Drab Tamiya XF-62.


Prima di procedere alla posa delle decals, non mi faccio sfuggire un particolare molto importante. Grazie all’amico forumista Lorenzo (Hornet Fun) che mi ha postato una bella immagine presa dal volume de “I CACCIA DELLA SERIE 80” e da altre foto procuratomi del modello reale, mi accorgo che la forma della decal del kit del tridente è totalmente sbagliata nella forma: più lunga (ricordo che deve partire dall’attacco dell’ala al muso e non come ho visto in diversi modelli in rete da sopra l’ala al muso) e con i rebbi sottili e troppo larghi tra di loro. Quindi, inutile dirlo, mi accingo a rifarlo usando solo nastro Tamiya e taglierino.


Per la tinta da usare, grazie all’informazione presa, spruzzo il Gunze H-327 (corretto leggermente con sole poche gocce di bianco) che corrisponde all’incirca all’ FS 11136, che è la corrispondenza più fedele al Rosso 6, tinta che utilizzava la pattuglia dei Diavoli Rossi per le coccarde, per i fregi e per le insegne di reparto.


Preso dalla mania delle auto-mascherine, mi sono lasciato trasportare nel fare anche tutte le altre coccarde e fregi eliminando le decals; questo per un motivo: il rosso del tridente fatto (più fedele in scala) non combacia assolutamente con quello delle decals che è molto più acceso e spara troppo. Il lavoretto come al solito ha richiesto l’uso di un compasso a taglierino, pazienza e precisione ma alla fine il risultato è stato più soddisfacente.


Passato anche quest’ostacolo, vado controcorrente e cioè passo sugli Alclad il lucido Gunze H-30 per trattare il modello successivamente con i lavaggi ad olio come si fa con gli acrilici. Questo perché ho intenzione di sporcare notevolmente il modello producendo un velo di “vissuto” su tutta la fuso e per spegnere la lucentezza deI White Aluminium, visto che di “tuoni” operativi lucidi in foto non ne ho mai visti. Infatti, una volta asciutto il trasparente e applicate il resto delle decals (quelle poche rimaste) e ancora altra passatina di lucido,  ho steso a pennello e su tutto il modello (serbatoi compresi) una bella miscela ad olio di grigio scurissimo, quasi nero. Passati diversi minuti, con un panno di carta ho cominciato a “togliere” la miscela “picchettando” sul modello; in questo modo si toglie un po’ d’eccesso di colore e quello che rimane crea diversi chiaro/scuro che una volta asciutto forma quel velo di “vissuto” cercato ed ottenuto su quella mimetica metallica.


Per tutti gli altri accessori quali carrelli, portelli, ruote e piloni ed altro, è stato effettuato anche un lavaggio sugli interstizi e pannellature.


Per completare la fase della verniciatura si colora di grigio chiaro la “punta” della deriva con profilo in nero, la parte interna dello scarico in Interior green, la piastra posta sul dorso in Gun Metal e le estremità delle ali e dei piani di coda in rosso H327. Passata generale di semilucido ottenuto con 5 parti di H20 e 5 di H30 Gunze per sigillare il tutto.

Il modello prevede il canopy aperto e gli aerofreni chiusi, scelta quest’ultima dettata dall’effetto ottico e di contrasto del chrome con la fuso. La configurazione invece è formata da soli due serbatoi alari.

Con questo è tutto!

Un ringraziamento particolare và a tutti gli amici di MT che mi hanno seguito e incoraggiato nella realizzazione di questo meraviglioso modello.

Francesco “Bonovox” Miglietta

Ciao e B(u)onomodellismoVox a tutti

 

 

 


Decals Review: Begemot decals – Polikarpov I-16 Family.

Un po’ di storia

L’I-16 è un aereo che si odia o si ama, personalmente a me piace anche se ad un primo sguardo si tende a pensare che sia un aereo che abbia avuto uno scarso peso in combattimento, sicuramente limitato da ipotetica scarsezza di prestazioni sopratutto aerodinamiche… insomma che fastidio vuoi che abbia dato qual fustino con le ali? E invece non è proprio così.

Innanzitutto aveva un design innovativo per l’epoca (parliamo degli anni 30) ed è stato il primo monoplano con ali ad attacco a mensola e ruote retrattili al mondo, una scelta che successivamente si è dimostrata vincente. Inoltre ha detto la sua in combattimento. In Spagna e in Cina ha dominato le prime fasi della guerra fino all’arrivo di aerei più moderni e nonostante tutto ha dato filo da torcere anche ai bf-109.

E’ quindi un aereo che ha combattuto e le sue svariate versioni hanno servito molte aviazioni nel mondo. Per questo la Begemot decal ha deciso di dedicare un foglio a quest’aereo dando la possibilità di rappresentare addirittura 100 esemplari diversi!

La ditta produttrice

Non avevo mai acquistato un foglio di questa ditta e sinceramente non ne conoscevo neanche l’esistenza. Guardando sul loro sito però è venuto fuori che i titolari, un ingegnere e un architetto, sono attivi da 6 anni e con un passato in grosse ditte modellistiche russe. Fino a poco tempo fa non avevano prodotto decal aftermarket anche se la maggior parte delle scatole prodotte in Russia  (e non solo) ha dentro un loro foglio. La loro produzione aftermarket ha principalmente soggetti russi in tutte le scale, qualche soggetto tedesco e americano e alcune incursioni nel navale.

Il foglio

La confezione in bustina trasparente contiene due fogli stampati con dei bei colori brillanti, perfettamente in registro e con un bordo di taglio trasparente molto contenuto. Insieme ai fogli un libretto di una ventina di pagine formato a4 in bianco e nero con tutte le versioni rappresentate. Ognuna delle cento possibili configurazioni ha una piccola introduzione storica in russo e inglese, un disegno della facciata dove vanno poste le decals e le lettere che riportano alla tabella colori in ultima pagina. Quest’ultima contiene solo dei nomi generici del colore senza riferimento a nessuna ditta produttrice, anche se nelle descrizioni delle versioni spesso si fa riferimento alla variazione rispetto ai colori standard usati dalle varie forze armate e con un po di sana ricerca storica è facile venirne a capo. Inoltre i disegni e le descrizioni riportano anche particolari aggiuntivi con specifici riferimenti all’aereo trattato, addirittura segnalano se riverniciato e quindi se visibili o meno i numeri di serie o se coperti. Un bel lavoro di ricerca a mio parere. E’ possibile dare un occhiata alle istruzioni sul sito della Begemot (www.begemotdecals.ru) dove sono scaricabili in pdf.

Ricordo inoltre che lo stesso foglio con le stesse versioni è disponibile in 1/48 ed in 1/32.


Versioni e nazionalità

L’I-16 ha volato in molteplici varianti ognuna delle quali aveva un numero di riferimento (type XX). Nel foglio sono presenti tutte le principali versioni, anche se non tutte sono disponibili in scala 1/72 e per la verità anche per le altre scale il problema che si pone è analogo. C’è anche da dire che alcune di queste versioni sono simili e con una buona ricerca storica è possibile convertire un modello in uno successivo anche se alcune volte non è proprio cosa semplice.

Nelle varie scelte possibili possiamo rappresentare molte nazioni tra le quali:

URSS, SPAGNA REPUBBLICANA, SPAGNA, CHINA (KUOMINTANG), GIAPPONE, PROVINCIA DI SINDZIAN, MONGOLIA, ROMANIA, FILLANDIA, GERMANIA E POLONIA.

Decisamente una scelta molto vasta!! Qui sotto una tabella riassuntiva con le varie versioni contenute nel foglio e i modelli che si trovano in commercio a cui accoppiarle

MODELLO NUMERO DI AEREI RAPPRESENTABILI KIT IN COMMERCIO
TYPE 4

2

CMK-12 (PROTOTIPO TYPE 5)

1

TYPE 5

26 (due con pattini)

Amodel
TYPE 10

31

TYPE 17

5 (uno con pattini)

Hasegawa
TYPE 18

3 (uno con pattini)

Hasegawa – Icm
TYPE 24

16

Hasegawa – Icm
TYPE 27

1

TYPE 28

5

Icm
TYPE 29

5

UTI-4 (BIPOSTO)

4

Amodel

 

Applicazione

Le decals sono molto sottili, si staccano facilmente dal supporto dopo una decina di secondi in acqua e si lasciano maneggiare senza troppo risentirne. Reagiscono bene bene ai liquidi anche se col mircosol della microscale fanno molte grinze e ci mettono un po’ ad asciugarsi. Non vi fate prendere dal panico entro un’ora la massimo ritornano a posto aderendo perfettamente.

Le decals rosse prevedono l’accoppiamento di una decal bianca di fondo per far risaltare il rosso.

Io onestamente non le ho utilizzate e il colore ha coperto perfettamente senza trasparire, inoltre si smorza leggermente il che è un bene.

Concludendo

Passano a pieni voti queste belle decals. Bisogna però dire che sebbene vi siano cento possibilità non è possibile fare realmente cento aerei diversi in quanto molte decals, sopratutto nelle versioni russe sono in comune. Le stelle ad esempio bastano per un solo aereo anche se altre riguardanti  insegne tecniche sono presenti per 5 aerei. C’è da dire che stelle è abbastanza facile recuperarne o farsi delle mascherine e comunque rimane il fatto che sicuramente si riescono a fare più di trenta aerei completi il che non è male assolutamente per un foglio che ha un prezzo in linea con quelli di solito richiesti per i fogli aftermarket.

N.B. Consiglio per chi volesse cimentarsi nei lavori di conversioni delle varie versioni consiglio la consultazione di questo sito in cui sono spiegate benissimo le differenze:

http://vvs.hobbyvista.com/Modeling/Polikarpov/I-16/Kit_Comparison/index.php

 

Buon modellismo a tutti!!

L’Hellcat di Sua Maestà – F6F-3 dal kit Italeri in scala 1/72.

4

F6F Hellcat (1)

Note storiche:

l’Hellcat può essere considerato il miglior caccia imbarcato utilizzato dagli Alleati durante la Seconda Guerra Mondiale. Nonostante l’aspetto tozzo e il considerevole peso, era dotato di un incredibile maneggevolezza garantita dal potente motore Pratt & Whtiney R-2800. L’Hellcat entrò in servizio nel 1943 e divenne rapidamente il caccia standard della Marina Americana. Inizialmente usato come caccia, venne in seguito usato anche come aereo d’appoggio alle truppe utilizzando bombe di vario calibro e razzi aria superficie.
Gli Hellcat combatterono anche e ampiamente nei ranghi della Fleet Air Arm inglese con 254 esemplari della serie F-3 e ben 985 della F-5.

F6F Hellcat (2)

Nel dopo-guerra cominciava a profilarsi all’orizzonte l’era dei jet, e di conseguenza, durante la guerra di Corea, le macchine ancora disponibili vennero usate con un sistema “kamikaze” vertente nel modificarli come aerei senza pilota radioguidati ed equipaggiati con tre bombe senza impennaggi di coda da 1.000 libbre.

F6F Hellcat (2,1)

Altri Hellcat vennero usati come aerobersagli, dipinti in colore antimimetico standard arancione, e furono utili per lo sviluppo dei cannoni e soprattutto dei missili antiaerei navali.

Il modello:

F6F Hellcat (3)

Il kit da me utilizzato è l’Italeri (codice 1305) in 1/72. Un kit discreto finemente inciso in negativo. Il vero motivo che mi ha spinto a comprare questa scatola, però, è stata la possibilità di rappresentare l’Hellcat con le insegne inglesi in un’accattivante mimetica a due toni…un Hellcat diverso dai soliti americani in mimetica blu. Analizziamo i pregi e i difetti del kit:

Pregi:

  • Ottime pannellature in negativo.
  • Possibilità di realizzare ben 4 versioni(due della Fleet Air Arm,una dell’ US Navy e una dell’Aeronavale francese)
  • Flaps già separati.
  • Incastri abbastanza buoni.

Difetti:

  • Cockpit  privo di dettaglio.
  • Problemi nel creare correttamente la finestratura subito dietro il cockpit,per realizzare alcune delle versioni.
  • Canopy che non combacia perfettamente(se si volesse realizzare l’aereo con cappottina chiusa).

Assemblaggio un migliorie varie:

Per prima cosa, come mio solito, ho deciso di migliorare varie parti del kit che non rispecchiavano la realtà al 100%.
Con l’aiuto di un trapanino ho ‘aperto’ le prese d’aria frontali per poi ricreare i tre condotti con del Plasticard molto sottile. Subito dietro la presa d’aria centrale ho incollato una strisciolina di tulle (incarto delle bomboniere,per capirci) per simulare una rete protettiva.

F6F Hellcat (6)

F6F Hellcat (7)

E’ stata poi la volta del motore. Quello fornito dal kit era abbastanza triste, costituito solo dai cilindri senza nemmeno un cavetto. Armato di filo di rame, ho ricostruito gran parte del cablaggio basandomi sulle foto del velivolo reale. Per ricreare i supporti dei cilindri, invece, ho utilizzato …la corda di una chitarra elettrica! Per chi se ne intende, ho utilizzato la corda del Si o del Sol,di una muta di corde di misura 0,9.

F6F Hellcat (4)

F6F Hellcat (5)

E’ poi la volta del cockpit. Come ho già detto, anch’esso scarno di particolari. Il trattamento è il solito: Plasticard, rame e corde di chitarra (stessa misura di prima). Per il pannello strumenti, completamente liscio,l’italeri fornisce la solita decal di turno con gli strumenti messi a caso,ovviamente. Per dargli tridimensionalità ho agito così: ho tagliato piccole sezioni di Plastirod della Evergreen. I piccoli dischetti ottenuti si applicano sul pannello.
In seguito, uno a uno si ritagliano dalla decal i vari strumenti che compongono il pannello. Questi poi andranno fatti aderire sui dischetti incollati precedentemente al pannello.

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E infine, particolare dopo particolare, si arriva a questo risultato qui…le cinture sono fatte con l’incarto dei cioccolatini…materiale molto adatto allo scopo,secondo me.

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Last, but not the least, con la punta di un taglia balsa nuovo di zecca ho forato le canne delle mitragliatrici. Stesso trattamento anche per i terminali dei tubi di scarico. Il modello, stuccato ed assemblato, è così pronto a ricevere la sua verniciatura.

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Verniciatura:

Interpretare bene questa mimetica,a mio avviso,non è cosa semplice. Lo schema Standard FAA era Dark Slate Grey/Extra Dark Sea Grey..praticamente due grigi, uno leggermente tendente al blu, l’altro leggermente tendente al verde..
Allora vi verrà da chiedervi: come mai il modello sembra dipinto con un olive drab e un azzurro medio? La risposta è semplice: com’è noto, l’Hellcat era un aereo imbarcato, e com’è altrettanto noto gli aerei imbarcati subiscono la forza delle intemperie atmosferiche maggiormente rispetto ad altri aerei.
Con il tempo, quindi, i due colori originali si sono modificati cambiano tonalità in modo drastico. Pensa che ti ripensa, alla fine la soluzione finale è stata questa:

  • Gunze H333(70%)+H35(20%)+bianco(10%)
  • Gunze H52(60%)+H32(40%)
  • Tamiya XF-80 per la pancia.

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(Ringraziamenti speciali agli utenti del FORUM, che mi hanno aiutato nel trovare le tinte giuste).

Weathering:

Ok, la verniciatura è andata, ma non finisce qui ovviamente. Ora è il momento di dare vita a questi due semplici colori messi uno accanto all’altro. Anche i meno esperti si renderanno conto che così la mimetica è troppo piatta, simile più alla colorazione dei giocattoli che a quella di un aereo vero. Molti modellisti, ancora agli albori, spesso si renderanno conto che dopo aver verniciato un modello, soddisfatti magari per aver azzeccato in pieno il colore, qualcosa non torni.

Il colore è steso bene, la tinta è OK, allora cos’è che non va? perchè è ancora così lontano dal reale? Semplice, quello che manca è un po’ di Post Shading! Grazie a questa tecnica, che consiste nello schiarire il colore di base e poi passarlo all’interno di ogni pannello, o in corrispondenza delle zone che ricevono più luce, si riuscirà ad ottenere quell’effetto da sempre sognato.

Dopo una sessione di post, arrivando a schiarire il colore di base anche con 6/7 gocce di bianco,ecco cosa si ottiene…si nota la differenza vero?

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Finita qui? Ovviamente no! perché in tempo di guerra gli aerei da caccia non vengono di certo trattati con i guanti.
In realtà vengo calpestati, sporcati, graffiati, presi a male parole e, se capita, addirittura mitragliati…. pensate un po’..
Quindi succedeva spesso che la vernice ,nei punti critici, saltasse via lasciando intravedere lo strato sottostante in metallo, legno, tela o quello che sia.

Simulare tutto ciò è semplice. Io ho utilizzato un ago per tessere, appena intinto nel grigio metallizzato…. si deposita il colore dove si vuole ed il gioco è fatto.
Ultimo step: si ricreano i fumi di scarico del motore, delle mitragliatrici e colature varie da bocchettoni o giunzioni. Il tutto simulabile con aerografo e colore molto diluito, o direttamente con colori ad olio “tirati” nel senso del vento con un panno o un Cotton Fioc.

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Infine, gli ultimi passaggi li conoscete tutti: mano di lucido-> decals-> mano di lucido-> lavaggi ->opaco.

Il modello è così pronto per essere esposto in vetrina!

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Sperando che vi sia piaciuto,auguro a tutti buon modellismo!
Saluti.

Leonardo  ‘Thunderjet’  F.

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Kit Review: G-91Y “Yankee” – ADV Models in scala 1/48.

 

Quattro anni: tanto è stata lunga la gestazione di questo nuovo e attesissimo kit ma, lo dico sin da subito, la nostra pazienza è stata ripagata!DSC_0684

L’ADV Models è una ditta artigianale romana; il titolare, Andrea De Vincentis, è un valido modellista che da sempre ha il pallino dei velivoli che hanno prestato servizio nella nostra Aeronautica Militare (basta notare, ad esempio, la sagoma che lui stesso ha deciso di inserire nel logo da apporre sui suoi prodotti).
Come dicevo a inizio recensione, circa quattro anni fa Andrea decise di intraprendere un progetto tanto interessante quanto impegnativo: produrre, nella scala del quarto di pollice, un aereo purtroppo poco considerato ma che, nell’AMI, ha dato un contributo fondamentale – il G-91 Y.

Andrea mi ha confessato di essere, da sempre, affascinato dalle forme “squalesche” (neologismo da lui stesso creato!) dello Yankee, e, in effetti, il G-91 Y è stato un aereo dalle linee molto intriganti. Visto di profilo, il suo musetto tozzo e l’impennaggio snello ricordavano davvero le naturali forme di uno squalo; tra l’altro, questi tratti caratteristici furono ripresi e accentuati da una bellissima livrea “special colors” realizzata per festeggiare i settanta anni del 32° Stormo di Brindisi – Casale nel lontano 1988 (di sicuro parecchi appassionati “italianofi” se la ricorderanno con piacere).

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Il lavoro di Andrea è stato lungo e, spesso, complicato. La ricerca di documentazione, le misurazioni e le fotografie fatte sul velivolo reale e la realizzazione del master principale ha richiesto numerosissime ore di lavoro; anche la scelta di un metodo di stampaggio adatto a ricreare con precisione le forme e il finissimo dettaglio di superficie del modello ha richiesto una lunga fase di studio e tutta una serie di prove che, in alcuni casi, hanno dilatato ulteriormente i tempi.
L’attesa è finita, e da pochi giorni possiamo finalmente gustarci questo inedito – e aggiungerei unico – kit.

Il modello:

Parto subito col dire che il modello è completamente realizzato in resina. Nonostante lo stampaggio di pezzi con dimensioni così “importanti” (come, ad esempio, le fusoliere di un velivolo moderno che anche in scala raggiungono misure ragguardevoli) non sia affatto un’operazione semplice, tutte le parti che compongono questo Yankee in 1/48 sono perfettamente riprodotte. La superficie è molto liscia e non presenta imperfezioni visibili, almeno a occhio nudo. Nel kit preso come riferimento per questa recensione, le uniche bolle d’aria presenti sono concentrate sulla gobba alle spalle del canopy e, tra l’altro, esse sono molto piccole e facilmente eliminabili.

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La precisione degli incastri è sorprendente! Da una sommaria prova a secco fatta con le semi fusoliere, esse combaciano molto bene e non ci sono differenze di lunghezza tra una valva e l’altra.
La robusta scatola di cartone contiene un totale di circa 71 pezzi (tutti in resina come già anticipato prima) e tutti presentano un finissimo dettaglio di superficie finemente inciso. Le pannellature non sono molto larghe (e, in effetti, rispettano precisamente la scala) ma sono profonde abbastanza da non essere “livellate” dai vari strati di vernice che il modello riceverà.

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Confrontato con i disegni in scala, il modello rispetta pedissequamente le dimensioni e le forme generali del velivolo reale con una precisione quasi maniacale.

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Oltre alle parti in resina, il nostro Yankee è corredato da tutta una serie di accessori che rendono la scatola totalmente “autosufficiente”; troviamo, infatti, le gambe di forza del carrello stampate in metallo (anche per sorreggere il peso non trascurabile dell’aereo finito), canne dei cannoncini e pitot torniti in ottone, e una lastra fotoincisa che fornisce gli specchietti retrovisori e gli attuatori degli slats alari. A tal proposito, gran parte delle superfici mobili (come appunto gli slats, i flaps e i piani di coda) sono separate dal resto del master e possono essere montati nella posizione a piacimento.

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Analizzando un po’ più da vicino le varie zone, posso dire che il cockpit presenta un dettaglio veramente apprezzabile. Il cruscotto e la relativa palpebra sono ricchi di dettagli, per non parlare della vasca corredata da buone consolle laterali; A completare il tutto c’è la cloche e la pedaliera (stampata anch’essa in resina e in un sol pezzo, una piccola opera d’arte!). Qualche nota dolente arriva osservando il seggiolino che ha delle imbottiture dei cuscini un po’ “rigide” e delle cinture di sicurezza troppo povere.

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Gli scarichi dei motori J-85-GE13A sono “seamless” e divisi in tre parti. I pozzetti carrelli sono ben riprodotti e curati: basterà aggiungere solo qualche cavetto per particolareggiarli meglio. Anche il vano aerofreno è buono ed è corredato da ottimi braccetti attuatori che permettono alle superfici aerodinamiche esterne di poter essere montate in posizione aperta.

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Sulla presa d’aria rimane, invece, qualche dubbio; il condotto è abbastanza corto e la sua parte inferiore è stampata, parzialmente, all’interno della fusoliera. La paratia superiore (dove, in pratica, si appoggiava l’abitacolo) è fornita separata e andrà montata a parte. In pratica le fessure da stuccare sono divise su tre punti e questo non agevola di sicuro il modellista che sarà costretto a lavorare in spazi veramente molto stretti.

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Le alette anti scorrimento presenti sul dorso alare sono riprodotte in resina; il loro spessore non è esagerato ma, data la presenza di un set fotoinciso, ci avrebbe fatto piacere trovarle realizzate con lo stesso materiale.

Altra perplessità rimane sulle vetrature delle tre fotocamere montate nel musetto. Sul modello, purtroppo, gli alloggiamenti non sono aperti e al loro posto è stata prevista la sola pannellatura che delimita lo spazio dedicato al vetro trasparente. A occhio, bucare la superficie e ricreare gli scassi per le apparecchiature fotografiche non sarà un lavoro semplice anche perché, proprio in quel punto, la resina è abbastanza spessa e dura.

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Veniamo ora al canopy; la soluzione costruttiva scelta da Andrea De Vincentis è un po’ “macchinosa” ma, comunque, totalmente condivisibile e comprensibile. In pratica, i frames esterni e interni del tettuccio sono realizzati in resina in un sol pezzo. La calotta trasparente, invece, è in vacuform e andrà accuratamente tagliata, rifinita e incollata sul frame in precedenza descritto.
Andrea ci ha spiegato che quello proposto era l’unico metodo che potesse soddisfare i necessari requisiti di dettaglio dei montanti (all’interno del canopy ci sono molte tubazioni idrauliche e non).

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Per ogni eventuale errore o sbavatura, nella scatola è comunque fornita una copia di riserva sia della calotta, sia del parabrezza – un’accortezza sicuramente gradita e che pone l’accento, ancora una volta, la cura dedicata alla realizzazione dello Yankee.

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Per ciò che riguarda i carichi esterni, gli unici forniti sono due serbatoi supplementari per il carburante.

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Le decalcomanie incluse sono prodotte dall’Aviprint. La qualità di stampa è buona e precisa; quella del film trasparente meno giacché risulta essere un po’ troppo opaco. Nel foglio c’è una fornitura completa di stencil e di scritte di servizio, oltre ai codici individuali e alle insegne per due esemplari: uno appartenente all’8° Stormo di Cervia (anno 1978), l’altro al 32° di Brindisi con la caratteristica “shark mouth” (anno 1984). Qualche dubbio sorge controllando i colori delle coccarde di nazionalità italiane poiché sia il verde, sia il rosso appaiono troppo brillanti (a questo inconveniente si potrà rimediare con il foglio aftermarket della Tauromodel dedicato ai G-91 R che prevedevano coccarde della stessa dimensione).

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Il foglio istruzioni è davvero molto bello e chiaro nelle indicazioni! I disegni delle varie fasi costruttive sono realizzati in formato tridimensionale e, oltre a riferimenti coloristici precisi, all’interno sono presenti anche molte foto del velivolo reale che potranno tornare molto utili.

Conclusioni:

Mai come in questo caso ci troviamo di fronte a un kit dove il giudizio è quanto mai soggettivo, non tanto per la bellezza dello stampo, quanto per la difficoltà di assemblaggio che un modello in resina inevitabilmente presenta e il suo costo decisamente elevato (circa 109 €).

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La domanda è: vale la pena acquistarlo? A far propendere l’ago della bilancia sul “si”, a mio avviso, ci sono diversi fattori: in prima analisi, ci troviamo di fronte ad un soggetto italiano che, molto difficilmente, vedremo stampato in plastica in un futuro; il modello, quindi, rimarrà per lungo tempo (purtroppo) un pezzo unico e senza alternative valide nella scala del quarto di pollice.

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Oltre a questo, il kit ha una tiratura limitata in circa 150 pezzi totali e una seconda edizione non è ancora ufficialmente prevista.

Per ultime (ma non in ordine d’importanza) lascio le indubbie qualità di questo kit che abbiamo avuto modo di approfondire durante la recensione; davvero un bel modello nonostante la fattura semi artigianale e il ristretto numero di copie prodotte.

A voi, quindi, resta la scelta finale… ma se posso permettermi un suggerimento, non lasciatevelo scappare!

Per ordini e informazioni contattate direttamente Andrea De Vincentis a questo indirizzo mail: adv.models@libero.it

Buon modellismo a tutti. Valerio – Starfighter84 – D’Amadio.

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La Fenice del Reparto Sperimentale Volo – Harvard H4M dal kit Ocidental in scala 1/48.

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Ci sono dei velivoli con cui ogni modellista ha un rapporto “speciale”; vuoi perché questi rievocano ricordi, vuoi perché le loro forme attirano particolarmente l’attenzione… oppure perché si è avuta la possibilità di toccarli con mano e apprezzare da vicino tutta la loro bellezza.

È proprio quest’ultimo motivo che spiega la mia volontà di riprodurre in scala l’Harvard H4M del Reparto Sperimentale Volo, un bellissimo esemplare che faceva parte di un ambizioso progetto purtroppo naufragato.

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Un po’ di storia:

Ad aprile 2010 ho avuto la fortuna, grazie ad un amico anche lui appassionato e modellista, di visitare la base di Pratica di Mare a pochi kilometri da Roma. Sull’aeroporto Mario De Bernardi ha sede il Reparto Sperimentale Volo, da sempre deputato allo studio, ricerca e sperimentazioni sul materiale di volo prima della Regia Aeronautica e poi della nuova Aeronautica Militare Italiana.

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Agli inizi degli anni ’90, i vertici dello Stato Maggiore manifestarono l’intenzione di creare uno speciale gruppo di Warbirds (tra cui velivoli oramai radiati ma d’interesse per la nostra Aeronautica), riportarli in condizioni di volo per mantenere vivo un contributo storico, ed esibirli in air show e manifestazioni. Del recupero, mantenimento in efficienza e gestione degli aeromobili fu incaricato proprio il Reparto Sperimentale Volo che, da subito, iniziò il recupero dell’Harvard oggetto di quest’articolo.

I tecnici del reparto si recarono in visita presso l’aeroporto di Alghero, Sardegna, dove anni a dietro aveva sede la Scuola Velivoli Leggeri ampliamente equipaggiata con varie versioni del famoso addestratore a elica americano.  Tra le tante cellule ancora presenti e accantonate ai margini del sedime aeroportuale, gli specialisti ne individuarono una ancora in buone condizioni e idonea al recupero: si trattava di un Harvard Mk.IV di costruzione canadese, versione meglio conosciuta in Italia con il nome di Harvard H4M (di cui l’AMI ricevette novantaquattro esemplari in totale).

Dopo una prima analisi si decise di non trasferire l’intero velivolo, ma di selezionarne solamente la fusoliera e altri pezzi; le ali, ad esempio, furono lasciate in loco perché giudicate in uno stato di usura incompatibile con la rivalorizzazione.

A seguito di altre ricerche le superfici alari furono recuperate presso l’aeroporto di Guidonia, pur essendo queste appartenenti a un T-6 G. Anche il motore Pratt & Whitney R-1340 fu oggetto di un’attenta ricerca che, dopo mesi, diede i suoi frutti: il propulsore, infatti, fu trovato presso la ditta SACA Costruzioni Aeronautiche di Brindisi e giudicato adatto al restauro poiché presentava ancora un buon numero di ore di funzionamento residue (almeno 600).

Con tutti gli elementi del velivolo finalmente a disposizione, i tecnici del R.S.V. poterono iniziare i lavori di riqualifica che si protrassero per circa un anno. L’Harvard, subito battezzato con il soprannome di “The Phoenix” (La Fenice, a simboleggiare la rinascita del velivolo dalle proprie “ceneri”), divenne sin da subito il “gioiello” del reparto cui tutti gli specialisti, a turno e dopo aver espletato le loro mansioni, dedicavano parecchio del loro tempo, anche al di fuori del proprio orario di lavoro. Nell’estate del 1993 il “Phoenix” poté compiere la sua prima uscita ufficiale in occasione di un Open Day presso la base di Pratica di Mare, pur non essendo del tutto completo. All’epoca l’aereo presentava ancora le sue matricole originali (M.M. 53828) ma già nel 1994, in previsione del primo volo ufficiale, gli fu assegnata l’immatricolazione speciale per velivoli Experimental (Sperimentali) “X-604”. Curioso notare come la registrazione del nostro Harvard fu immediatamente successiva a quella dei prototipi del nuovo Eurofighter Typhoon (Il DA-3 e il DA-7, rispettivamente X-602 e X-603) all’epoca appena usciti dalle linee di montaggio dell’Alenia Aeronautica di Torino – Caselle.

Con le marche “X-604” ben visibili sulla deriva, l’Harvard iniziò le prime messe in moto con conseguenti rullaggi veloci sulla pista di Pratica di Mare. Tutto era pronto per fargli staccare nuovamente le ruote da terra quando ci fu un cambio al vertice dello Stato Maggiore Aeronautica il quale, costretto anche da un’atavica mancanza di risorse finanziare che da molti anni affligge la nostra forza aerea, ritenne di dover cancellare i fondi necessari per il mantenimento dell’Harvard e del nascente gruppo di Warbirds. Purtroppo le speranze di vedere il Phoenix ancora in volo svanirono, ma gli specialisti continuarono a mantenerlo in piena efficienza ancora per qualche anno. Fino a che, nel 2001, una violenta tromba d’aria si abbatté su una tensostruttura dove erano ricoverati svariati velivoli del Reparto Sperimentale, tra cui anche il nostro Harvard. Il forte vento abbatté lo shelter provocando molti danni ma, per un puro caso, l’H4M rimase miracolosamente illeso. La calamità segnò, però, l’inizio della fine per questo rinato addestratore: la mancanza di spazio per il ricovero degli aerei costrinse il personale a stazionarlo sempre più spesso all’esterno, sotto all’implacabile azione degli agenti atmosferici. Dopo mesi si decise di spostare il Phoenix nella posizione che attualmente ricopre, ovvero davanti alla palazzina comando della Sperimentale in una piazzola ricavata da un cortiletto antistante alla costruzione.Nonostante tutto, gli specialisti continuarono a prendersene cura provvedendo, con regolarità, alla sua messa in moto e controllo dei liquidi idraulici e lubrificanti; quando terminò il carburante nei serbatoi, il Phoenix cessò definitivamente la sua nuova attività divenendo un Gate Guardian.

Solo un bellissimo e raro Gate Guardian purtroppo…

Il modello:

Per la riproduzione nella scala del quarto di pollice di un Harvard H4M, le possibilità disponibili sul mercato non sono molte; l’unico kit dedicato a questa versione del Texan, con tutte le relative particolarità, è l’oramai introvabile Ocidental. La scatola, contraddistinta dal numero di catalogo 0211 contiene due stampate di stirene di un curioso colore giallo canarino, più un’ulteriore per le parti vetrate (totale circa sessantotto pezzi).

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A una prima occhiata, la somiglianza dello stampo con quello molto più vecchio della Monogram è molto visibile; in pratica, il modello della ditta portoghese non è altro che una riedizione aggiornata, riveduta del prodotto americano. Possiamo comunque definirlo un “new tool” perché presenta un dettaglio superficiale completamente in negativo (al contrario del Monogram), nuovi interni sufficientemente dettagliati e una finitura generale accettabile. Anche le forme e le dimensioni sono ben rispettate, escludendo, però, la naca che presenta un’apertura frontale con una circonferenza forse un po’ troppo ridotta (ma il difetto è tralasciabile).

Gli aftermarket disponibili non sono molti ma, a mio avviso, fondamentali per migliorare tutte quelle zone del kit poco curate e purtroppo poveri di particolari. Qui di seguito i set utilizzati durante la realizzazione del mio Harvard:

  • Eduard 48248: fotoincisioni per abitacolo, pozzetti carrello e altri dettagli esterni. Seppur creati per la versione G del Texan, molti dei pezzi forniti sono adattabili anche per un H4M.
  • Eduard 48252: fotoincisioni per flaps.
  • Hi Tech 48017: set in resina che fornisce varie parti (per lo più dedicate alla variante G) tra cui seggiolini, pneumatici (da scartare perché incorretti) e le superfici mobili dei piani di coda (quest’ultime di grande utilità). L’aftermarket della ditta francese è, purtroppo, anch’esso di difficile reperibilità.
  • True Details 48069: Pneumatici e cerchioni in resina con “effetto peso” già stampato, validi per i T-6 utilizzati dall’AMI.

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Dopo aver presentato i vari accessori, non mi resta che dare il via al montaggio; Questo ha avuto inizio, come al solito dall’abitacolo.

Il Cockpit:

Come già detto qualche riga sopra, il cockpit da scatola è di per sé ben dettagliato; basterebbero pochi interventi per renderlo già accettabile, ma la mia mania per il dettaglio estremo ha fatto si che aumentassi ulteriormente il livello con l’aggiunta delle fotoincisioni provenienti dal set Eduard e da vari interventi di autocostruzione.

La prima operazione ha riguardato i pezzi photoetched numero 7 e 47 che simulano la centinatura interna della fusoliera; questi sono stati prima carteggiati nella parte interna per permettere alla colla di avere un maggiore “grip”, poi saldati alla plastica mediante varie gocce di Attack.

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La struttura tubolare che formava il guscio interno va ripulita accuratamente da varie sbavature di plastica, e completata con le fotoincisioni da posizionare lungo il longherone superiore (pezzi 28, 29, 30 e 31). A tal proposito, prestate molta attenzione e studiate bene le istruzioni allegate! Purtroppo non sono per nulla chiare e spesso portano il modellista a commettere degli errori (come da me tristemente sperimentato).

Sul lato sinistro il telaio va completato con i due gruppi manette da cui partono svariati rinvii per i comandi del motore e tubazioni idrauliche (ricreate con dello sprue filato a caldo di dimensioni opportunamente ridotte), oltre ai trim delle superfici mobili.

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Sul lato destro, invece, si dovranno scartare alcuni quadri elettrici e radio proposti dall’Eduard (ma non adatti perché peculiari della versione G) e al loro posto ricreare due piccole consolle laterali (rifatte con lamierino di rame sottile) che sulla H4M alloggiavano vari fusibili e comandi. La configurazione finale è quella che potete vedere nella foto sottostante:

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Anche il pianale presente alle spalle del pilota/istruttore, nell’abitacolo posteriore è stata oggetto di modifiche e miglioramenti. Come base ho utilizzato il pezzo in plastica da scatola con l’aggiunta della relativa fotoincisione ma, in più, ho ricreato dei longheroni di rinforzo (sempre in sprue filato) e una piastra di sostegno su cui era fissata la scatola delle apparecchiature radio.

 

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Il pianale dell’abitacolo (se così si può chiamare), è stato completato con le pedaliere e con l’aggiunta di un’asta che, nella realtà, rimandava i comandi della cloche posteriore a quella anteriore e viceversa (evidenziata dalla freccia rossa). Per quest’ultima modifica ho utilizzato un tondino di ottone con diametro compatibile alla scala.

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Con lo stesso materiale sopra citato ho rifatto anche i sostegni dei seggiolini. Qui sotto, un confronto tra il pezzo originale e quello auto costruito:

 

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Per quanto riguarda le barre di comando, quella del cockpit posteriore può andar bene anche da scatola. Per l’anteriore c’è bisogno di un lavoro di ricostruzione poiché, negli esemplari canadesi, la cloche era simile a quella utilizzata sui vari Spitfire e Hurricane inglesi; per ricrearla ho utilizzato la base del pezzo fornito nel kit cui ho eliminato l’estremità superiore sostituendola con un’impugnatura circolare prelevata da uno Spit V Hasegawa.

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Vale la pena spendere qualche parola sul colore degli interni del mio Harvard: normalmente, sia gli esemplari North American, sia quelli prodotti su licenza, erano verniciati con un particolare verde detto Dark Gull Green o Bronze Green – entrambi assimilabili al F.S. 34092. Studiando le foto dell’esemplare da me riprodotto mi sono reso conto che, durante il restauro, i tecnici non hanno posto particolare attenzione alla fedeltà delle tinte ricoprendo tutte le superfici con un verde più chiaro corrispondente, a occhio, a un Interior Green.

Volendo ottenere una riproduzione in scala quanto più fedele, anch’io ho scelto l’Interior Green H-58 della Gunze (dalla tonalità perfettamente corrispondente). Per dare maggiore volume all’abitacolo e mettere in risalto i dettagli, ho eseguito un lavaggio con colori a olio miscelando al Bruno Van Dyck poco Nero di Marte. Essendo una struttura “aperta”, sui tubolari ho preferito non utilizzare il Dry Brush; al contrario, ho attuato la tecnica sui longheroni superiori che, in precedenza, erano stati verniciati in nero.

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Qui sotto vedete il pianale completo anche dei seggiolini; personalmente, ho preferito scartare quelli in resina dell’Hi-Tech preferendogli le copie in fotoincisione dell’Eduard che hanno spessori più sottili e adatti alla scala 1/48. C’è da dire che questi ultimi sono un po’ ostici e complicati da piegare e incollare in posizione ma, una volta sistemati, fanno davvero una gran bella figura. Per completarli ho aggiunto le ottime cinture di sicurezza (anche esse PE – Photoetched) verniciate in Gray F.S. 36375 e piegate a dovere per donargli maggiore “movimento”.

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A questo punto, per esigenze costruttive, ho tralasciato il montaggio dei pannelli strumenti (di cui parlerò più avanti) proseguendo oltre.

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Montaggio:

Il montaggio scorre incontrando qualche piccola difficoltà facilmente superabile ma, ammetto che sono rimasto piacevolmente sorpreso dagli incastri di questo kit. Sinceramente mi aspettavo una situazione molto peggiore!

L’unione delle due semi-fusoliere non presenta problematiche particolari; la zona più critica riguarda la giunzione proprio dietro all’abitacolo che tende a rimanere un po’ troppo “aperta” a causa del pianale (di cui abbiamo parlato qualche riga sopra). Nel caso riscontriate anche voi quest’inconveniente, asportate la plastica in eccesso dal pezzo in plastica per evitare che questo spinga troppo contro le due valve della fusoliera. Quest’accorgimento è fondamentale se non vorrete avere complicazioni con il montaggio della vetratura a forma di cupolino.

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A questo punto le mie attenzioni si sono rivolte al timone di profondità; l’Ocidental lo fornisce già separato dal resto della cellula ma, per essere montato in una qualsiasi posizione a piacimento dovrà essere modificato con il seguente metodo:

Sul lato piatto del timone ho incollato delle striscioline di rod a sezione quadrata; successivamente, gli inserti in plastica sono stati sagomati a colpi di lima e stuccati per riempire eventuali fessure e imperfezioni. In pratica non ho fatto altro che ricreare il profilo tondeggiante che permette alla superficie mobile di muoversi liberamente all’interno della carlinga, sia a destra, sia a sinistra.

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L’intervento ha interessato anche la parte fissa della deriva cui ho allargato l’alloggiamento mediante una fresa montata su un trapanino elettrico. Ecco una foto:

 

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Sulla superficie alare gli interventi di miglioria sono stati parecchi; per prima cosa, ho aperto un foro in corrispondenza dei bocchettoni per il rifornimento del carburante. Purtroppo, sul kit questo evidente particolare è appena accennato da un’incisione nella plastica… certamente non all’altezza, quindi.

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Proseguendo, nella parte interna ho assottigliato la plastica mediante una fresa montata su un trapanino elettrico:

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In seguito ho riprodotto i tappi dei bocchettoni stessi utilizzando una fustellatrice “Punch & Die”; da quest’utilissimo strumento ho ricavato due tondini di Plasticard con diametro concentrico incollati uno sopra l’altro. Essi sono stati incollati su un fondo (un pezzo di telaio delle fotoincisioni Eduard), verniciati in rosso, lumeggiati con un lavaggio e un veloce Dry Brush e, per finire, posizionati internamente all’ala.

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Continuando, ho inserito la paratia del pozzetto carrelli fornita in fotoincisione; la stessa è stata rinforzata, posteriormente, con dei listelli quadrati in plastica della Evergreen.

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Controllando l’utilissima documentazione in mio possesso, mi sono accorto della presenza di questa piccola presa d’aria sul bordo d’attacco destro dell’ala (anche questo dettaglio sul kit è a malapena accennato). Quindi, con attenzione, ho forato la plastica e ne ho ridotto lo spessore con lo stesso metodo sopra descritto e, prima di chiudere le due semi ali, ho aggiunto un pezzo di tulle per simulare la griglia che impediva l’ingestione di corpi estranei.

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Dopo le prime prove a secco, prima di incollare la parte superiore della cofanatura motore al resto della fusoliera, mi sono subito reso conto che il pezzo in questione è abbastanza sovradimensionato rispetto alla sua sede. Giocoforza, l’ho dovuto comunque incollare e riportarlo alle corrette dimensioni con un vero e proprio lavoro di sgrosso della plastica. Inutile dire che le pannellature sono andate irrimediabilmente perse costringendomi a un minuzioso lavoro di reincisione e ripristino delle rivettature presenti.

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Di seguito potete vedere le ali pronte per l’unione con la fusoliera; mentre nella zona della radice (quindi quella superiore) gli incastri sono abbastanza precisi, sotto (nella zona del pozzetto) si creano parecchi dislivelli. L’immagine sottostante rende evidente i punti più critici dove occorre intervenire:

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Per tentare un allineamento della zona del pozzetto rispetto alla fusoliera, in corrispondenza degli “scalini” ho aggiunto due inserti in Plasticard.

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Poi, mediante un esteso utilizzo di fresette montate sul solito trapanino elettrico, carta abrasiva e lime a mano, sono riuscito a sistemare il tutto. Per livellare ulteriormente il fondo del wheel bay, ho sagomato un piano rettangolare in Plasticard e l’ho incollato con colla cianacrilica. Un’abbondante colata di stucco liquido Mr.Surfacer 500 ha poi fatto il resto.

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Per completare il pozzetto carrello ho fatto nuovamente ricorso alle fotoincisioni della ditta ceca che sopperiscono alla totale mancanza delle molte ordinate e centine presenti in questa zona. Incollare l’intera struttura d’ottone all’interno dell’alloggiamento è stato un lavoro alquanto snervante e che ha richiesto una dose massiccia di attenzione per mantenere le parti in squadro e quanto più perpendicolari le une con le altre.

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Per dare quel tocco di realismo in più ho aggiunto delle tubazioni idrauliche ottenute da fili di rame provenienti da un cavo elettrico. Inoltre, per controllare la presenza di sbavature di colla o imperfezioni di montaggio, ho steso una sottile mano di stucco liquido Mr. Surfacer ad aerografo su tutto l’area.

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Quello che vedete qui sotto è il pannello sagomato che chiude pozzetto, e che va a sostituire quello stampato direttamente sul modello in plastica (dallo spessore decisamente anti estetico e poco in scala). Il pezzo fotoinciso è molto bello ma terribilmente fragile e propenso a piegarsi; per questo motivo, ho ricreato due rinforzi piramidali in Plasticard rifacendomi alle abbondanti foto in mio possesso: evidentemente anche la North American, all’epoca, ebbe bisogno di creare adeguati supporti atti a sostenere meglio quel laminato metallico e la struttura tutta.

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Con il montaggio in pratica concluso mi sono dedicato al rifacimento di alcuni dettagli persi durante le inevitabili e invasive operazioni di carteggiatura; in particolare, utilizzando del nastro d’alluminio adesivo per usi idraulici, ho ripristinato queste piastre rivettate presenti ai lati della fusoliera, in corrispondenza della radice alare.

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Poi ho iniziato a lavorare sui piani di coda, cui ho eliminato le superfici di governo stampate “fisse” sostituendole con delle copie in resina provenienti dal set Hi-Tech in resina citato all’inizio dell’articolo.


Per ottenere la zona di rotazione degli elevoni e conferirgli una posizione quanto più realistica, ho scavato all’interno della parte fissa del piano di coda mediante una limetta a sezione tonda e asportando la plastica fino a ottenere il risultato che vedete qui sotto in foto:

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Qui vedete i piani di coda montate e rifinite con colla cianacrilica usata come stucco.

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A questo punto ho incollato anche il dome dell’antenna UHF e un piccolo pannello (prelevato dal set Eduard) che, sul velivolo reale, chiudeva l’accesso alla tiranteria dei piani mobili. Il pezzo fotoinciso è stato prima scaldato con la fiamma di un accendino, e poi immediatamente freddato in acqua; con questo metodo l’Alpacca ha assunto una consistenza più malleabile che mi ha permesso di seguire la stessa curvatura della fusoliera.

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Passo ora ai flaps, altra zona del modello che ha ricevuto parecchie attenzioni. Anche in questo caso l’Ocidental fornisce le superfici mobili separate ma, purtroppo, il dettaglio interno è stato quasi del tutto omesso. Il set Eduard 48252 corre in nostro soccorso ma, c’è da premettere, che i pezzi andranno modificati per poterli montare correttamente nelle loro sedi.

Essi, infatti, sono sovradimensionati e, per questo motivo, le grandi piastre fotoincise che vanno incollate internamente all’ala e agli ipersostentatori devono essere divise in due parti eliminando la sottile strisciolina presente nel mezzo. Quindi, i nuovi elementi ottenuti vanno incollati singolarmente nei rispettivi alloggiamenti e completati con le relative centinature sempre fornite sotto forma di PE (Photoetch).

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Vetrature e parti trasparenti:

Le vetrature del modello meritano un capito a parte per l’enorme mole di lavoro e adattamento che esse hanno richiesto.

Inizio subito col presentare tutte le opere di autocostruzione che sono state propedeutiche al posizionamento dei vetrini sul modello. Queste, in special modo, hanno riguardato la zona dell’abitacolo.

Per dare una visione più completa ai lettori, inserisco delle immagini che ritraggono il velivolo reale:

Queste, invece, riguardano la “copia” in scala. Per praticità di consultazione, ho diviso i diversi interventi in base al colore delle frecce che trovate nelle foto; eccoli:

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Giallo: Osservando le foto del seggiolino anteriore, immediatamente dietro si può notare una fune ancorata a due carrucole. Questa fungeva da “ammortizzatore” per il seggiolino stesso e l’ho riprodotta con del filo da pesca da 0,12. Le carrucole, invece, sono due tondini di Plasticard sottile ottenuti con una fustellatrice (Punch & Die).

Rosso: La struttura tubolare che sovrasta il cruscotto posteriore è stata completamente ricostruita per sostituire quella originale in plastica (anche in questo caso, fuori scala ed esteticamente inadatta). Come materiale ho utilizzato dei tondini di ottone da 0,5 millimetri piegati con pazienza mediante una pinzetta a testa piatta. Il piatto di raccordo tra i due telai (in alto) è un pezzo di Plasticard sagomato a dovere.

Verde: Le due palpebre dei cruscotti sono state, finalmente, sistemate, verniciate e sottoposte a un Dry Brush mirato. Dietro al pannello posteriore (come si nota anche dalle foto), era presente tutta la cavetteria degli strumenti. Il tutto è stato ricreato con dei cilindri di Plastirod a sezione tonde di varie misure della Evergreen per il retro degli indicatori, mentre i fili provengono dal solito cavo elettrico.

Arancione: Alle spalle del seggiolino posteriore c’è una roll bar di sostegno… anche questa rifatta con il profilato d’ottone sopra citato.

Blu: Quella piccola scatola, invece, è l’apparato radio. E’ stata ricavata dal pezzo numero 20 dell’aftermarket 48248 Eduard.

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Ed ecco i vetrini nelle loro sedi. Prima di incollarli sono stati trattati con la cera Future (che ne ha aumentata la brillantezza) e accuratamente mascherati per verniciare anche la parte interna dei molti frames (in nero opaco).

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Dopo parecchi giorni a cogitare su un materiale da cui poter ricavare dei fari d’atterraggio quanto più realistici, la soluzione l’ho trovata nei cristalli Swarosky. Si, avete letto bene!

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In pratica, in un negozio di bigiotteria e articoli per creare in casa gioielli e monili, ho acquistato dei “brillantini” Swarosky di opportuna misura cui ho smussato le sfaccettature con una limetta da unghie. Per lucidare il materiale vitreo e renderlo liscio e nuovamente brillante, ho imbevuto un tampone in feltro con il Tamiya Rubbing Compound gradazione Course, l’ho montato sul solito trapanino elettrico e l’ho passato più volte sulla sua superficie. Il risultato è quello che potete vedere in foto:

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I vetrini sagomati che fungono da copertura per le luci di atterraggio sono pessimi! Spessi, poco trasparenti e, soprattutto, terribilmente sottodimensionati. Per prima cosa, ho provveduto ad assottigliarne gli spessori interni con qualche passata di carta abrasiva a grana grossa; poi, per lucidarli, li ho carteggiati ulteriormente con carte abrasiva 1800 e 2000, terminando il procedimento con la solita spennellata di cera Future. In seguito i due vetrini sono stati incollati sul bordo d’attacco alare ricorrendo a una grande quantità di colla cianacrilica; questa, oltre a provvedere a una presa salda, ha anche funzionato da stucco rimanendo trasparente.

Inutile dire che tutte le operazioni di lisciatura hanno compromesso irrimediabilmente il dettaglio di superficie presente in quella zona. Perciò, armato della solita pazienza, l’ho ricreato con il nastro d’alluminio adesivo già utilizzato in precedenza.

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Ultimi dettagli:

Prima di procedere con la verniciatura ho avuto modo di cimentarmi nuovamente con lo “scratch build”; questa volta il pezzo interessato è il seguente:

 

Lo scarico degli H4M è un’altra peculiarità (assieme alla capottina di tipo lungo) di questa particolare versione. Come già detto l’Harvard IV fu una variante costruita su licenza in Canada, dove gli inverni freddi e rigidi sono una consuetudine; l’exhaust lungo, infatti, aveva anche la funzione di “climatizzare” l’abitacolo. Al suo interno, infatti, correva un ulteriore condotto che inviava una parte dei gas di combustione all’interno del cockpit. Questi gas riscaldavano un radiatore e poi fuoriuscivano da un apposito foro posto sul lato destro della fusoliera.

Questo è lo scarico fornito con il kit:

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Come potete notare le sue fattezze corrispondono poco a quelle reali.

Ho dovuto, inevitabilmente, mettere mano anche a questo particolare e modificarlo per fargli assumere una forma quanto più veritiera. Allo scopo, ho utilizzato solo una parte del pezzo in plastica tagliando il terminale e incollandolo a una sezione di tubo d’ottone di diametro simile. La parte originale è stata fresata, assottigliata e forata; al suo interno ho anche aggiunto il condotto di cui ho accennato la funzione poche righe sopra (rifatto con il solito profilato d’ottone già utilizzato durante la costruzione di questo modello). All’altro capo ho aggiunto un raccordo a 90° ottenuto scaldando un pezzo di sprue. Per la sua verniciatura ho utilizzato il Jet Exhaust della ALCLAD lumeggiato con un Dry Brush in Alluminio a smalto.

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Una dose massiccia di colla cianacrilica e stucco ha permesso di ottenere il risultato che vedete in foto:

Ho aggiunto altri dettagli come le saldature, riprodotte con del nastro Tamiya tagliato in striscioline molto sottili, e quella piccola sonda presente sulla parte frontale ricreata con un pezzo di ago ipodermico da siringa.

Per terminare questa lunga fase ho dotato il mio Harvard delle luci di posizione alle tip alari (rossa a sinistra e verde a destra) provenienti dai set in resina della CMK.

Verniciatura:

Veniamo ora alla verniciatura, altro stadio della costruzione che ha richiesto un lungo studio della documentazione e molta pazienza.

Gli Harvard costruiti in Canada e impiegati tra le file dell’AMI erano interamente verniciati in Giallo Limone n°22, una tonalità di giallo tendente molto al verde. All’epoca del restauro, su alcune parti della cellula (tra cui la fusoliera e le superfici mobili di governo) si riuscì a impiegare la tinta esatta grazie al ritrovamento di alcune latte contenenti l’originale vernice in uso prima della radiazione degli H4M.

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Purtroppo la vernice non bastò e su altre parti del velivolo (come le ali, porzioni dei piani di coda e i pannelli presenti ai lati della fusoliera, sotto l’abitacolo per intenderci) si dovette utilizzarne una ricavata in loco (che per comodità chiamerò Giallo Limone RSV) da uno specialista del Reparto Sperimentale Volo. Ovviamente non fu possibile ottenere una mescola precisa e, di fatto, il nostro Phoenix ricevette due tonalità diverse di giallo.

Nelle foto a mia disposizione scattate nel 1993, questa differenza di colore si nota molto bene poiché i pigmenti erano “freschi” e non ancora deteriorati dalle intemperie; a oggi, al contrario, la diversità di colorazione è divenuta quasi impercettibile a occhio nudo e solo chi conosce bene il soggetto riesce a coglierla.

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Riprodurre in scala le due tinte non è stata cosa facile, e il mio compito si è rivelato ancor più gravoso poiché in commercio non esistono tinte già pronte per l’uso. Ho dovuto, quindi, creare dei mix ad hoc per questo modello procedendo per gradi e facendo molte prove con la chip del Federal Standard sotto mano. Alla fine i risultati sono stati i seguenti:

 

Giallo Limone n°22 (circa F.S. 33481). La corrispondenza più fedele, con pigmenti a uso modellistico, si è rivelata essere quella con l’Humbrol 81. Lo smalto “puro” però, una volta spruzzato sulla plastica, assume una gradazione troppo scura per cui è necessario “tagliarlo” con del verde e del giallo. Queste sono le proporzioni che ho ricavato:

  • 60 gocce Humbrol 81.
  • 2 gocce Humbrol 159 (Verde Scuro).
  • 5 gocce Humbrol 69 (Giallo Lucido).

Giallo Limone RSV. Per questa vernice mi sono affidato agli acrilici che, personalmente, reputo più facili da gestire rispetto ai vecchi smalti. Ad ogni modo, il mix che ho prodotto è il seguente:

  • 14 gocce di Gunze H-74 Duck Egg Green.
  • 5 gocce di Tamiya XF-4 Yellow Green.

 

Prioritariamente ho preferito stendere sul modello il Giallo Limone RSV; poi ho mascherato le zone non interessate e ho passato una mano di Tamiya Flat WhiteXF-2 molto diluita sul modello; la vernice ha funzionato da primer per il secondo e ultimo colore, il Giallo Limone 22.

La presa d’aria del radiatore dell’olio posta sotto la naca, non era nel giallo “d’ordinanza” bensì in verde scuro (personalmente ho usato il Tamiya XF-81 Dark Green RAF).

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Per ultimi ho lasciato il lungo pannello anti riflesso sul muso, il dome dell’antenna alle spalle dell’abitacolo e le walkways presenti sulle ali, e per i quali ho utilizzato il Flat Black Tamiya XF-1. Una piccola nota: per ricreare l’anti sdrucciolo dei camminamenti, sotto il nero opaco ho steso uno strato molto sottile di Primer Tamiya (quello in boccetta di vetro); per questo genere di lavorazioni è l’ideale perché lascia la superficie ruvida e l’effetto è anche ben proporzionato rispetto alla scala.

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Invecchiamento:

Di un vero e proprio “invecchiamento” non si può parlare poiché, come oramai sappiamo, l’Harvard oggetto dell’articolo non poté spiccare nuovamente il volo. Anche le poche messe in moto del propulsore non lasciarono grandi tracce di gas incombusti lungo la fiancata della fusoliera…

Quindi, anche in accordo con la documentazione, mi sono limitato a eseguire un lavaggio con colori a olio per mettere in risalto le belle pannellature in negativo del modello. I colori che ho scelto per quest’operazione sono due, entrambi frutto di una miscela:

  • Per il Giallo Limone 22: 50% Bruno Van Dyck e 50% Ocra Gialla della Maimeri.
  • Per il Giallo Limone RSV: Bruno Van Dyck leggermente schiarito con del Bianco di Marte.

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Decalcomanie:

Le decalcomanie meritano una trattazione separata. Le coccarde tricolori provengono dal foglio Tauromodel 48528 ma tra quelle dedicate espressamente al T-6 ho utilizzato solamente le insegne da apporre in fusoliera; quelle per le ali sono decisamente sovradimensionate e non sono utilizzabili. Le ho sostituite con quelle per il T-33, più corrette e già presenti nello stesso articolo.

Sempre Tauromodel, ma in scala 1/72, sono i numeri di matricola (articolo 72541) e lo stemma dell’Icaro alato (articolo 72571).I numeri di carrozzella e gli stemmi del 311° gruppo volo da apporre sulla naca li ho prelevati da due decal sheet della Sky Model (numero 48031 e 48022), rispettivamente per F-104 e MB.339.

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Passiamo ora alle bellissime e appariscenti Nose Art che furono applicate su entrambe i lati della fusoliera, sotto il cockpit; ovviamente in commercio non esistono e non c’è neanche qualcosa di simile che si possa adattare. Durante la mia visita a Pratica di Mare, però, ho avuto modo di fotografarle accuratamente e misurarne le dimensioni; grazie alla valente collaborazione dell’amico Luca, abile disegnatore, ho ricreato il disegno in formato vettoriale (Corel Draw è ottimo per questo scopo), l’ho ridimensionato per portarlo alle giuste proporzioni (lunghezza 1,1 centimetri circa) e l’ho, finalmente, stampato su un supporto decal trasparente mediante un’Ink Jet domestica.

Non avendo a mia disposizione una stampante ALPS (che riesce a riprodurre anche il bianco), ho preferito verniciare sul modello un fondo chiaro sulla zona dove la decal custom sarebbe stata applicata; questa finezza mi ha permesso di ottenere dei colori più “vivi” e di dare alla stampa una maggiore definizione. Di seguito inserisco un esempio in formato JPEG della Nose Art che potrà tornarvi utile quando anche voi affronterete tutto il procedimento:

Il foglio “blank” su cui ho stampato le decal è prodotto dalla Bare Metal. Questo richiede un pizzico di attenzione in più per applicarlo sul modello poiché ha uno spessore non trascurabile ed è molto rigido. Per evitare il fastidioso silvering del film trasparente, è bene preparare al meglio la superficie con almeno quattro o cinque mani di trasparente lucido (nel mio caso il Clear Tamiya), e trattare l’insegna con abbondante uso dei liquidi ammorbidente della Microscale – Micro Sol e Micro Set.

Utilizzando questi espedienti, sia per le decal “classiche”, sia per le decal “custom”, si otterrà un bellissimo effetto “painted on” delle insegne sul modello.

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Ultimi dettagli:

Finalmente si giunge alla fase finale del modello; per renderlo più realistico, ho aggiunto vari particolari:

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  • Foro per l’inserimento del “maniglione” per l’avviamento manuale del motore (freccia color blu) e tappo del rabbocco olio motore – ottenuto mediante un pezzo di rod a sezione circolare inserito all’interno di un foro da 0,5 millimetri (freccua color rosso).
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  • Sfiati del sistema idraulico e della sovrappressione carburante ricavati da sezioni di filo in Nylon da pesca.
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  • Tubo di venturi e relativo supporto tornito da un tubicino di ottone dal diametro di un millimetro.


Il ruotino di coda è stato sostituito poiché quello presente nella scatola non è corretto e non può essere utilizzato sugli esemplari avuti in carico dall’AMI. I nostri H4M, infatti, avevano lo pneumatico e il cerchione del tutto simili a quelli dei P-51. Quello che ho montato sulla mia riproduzione in scala proviene dal provvidenziale magazzino pezzi avanzati e apparteneva a un Mustang Hasegawa. Ho dovuto ricostruire anche il relativo braccetto orientabile sagomando un tubicino di ottone dallo spessore di 0,5 millimetri.

 

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Le ruote principali, invece, sono in resina della True Details (citati a inizio articolo) e prevedono l’effetto peso già stampato.

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Il motore Pratt & Whitney R-1340 è stato verniciato in Gun Metal Metalizer della Testors e sottoposto a un accurato Dry Brush in alluminio per mettere in risalto le alette di raffreddamento. E’ stato, inoltre, completato con la fotoincisione Eduard riguardante i cavi delle candele.

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Il Pitot è auto costruito partendo da un pezzo di ago ipodermico da siringa al cui interno è stato inserito una sezione di sprue filato a caldo. Sopra lo stesso ho incollato una piccola aletta aerodinamica rifatta in lamierino di alpacca (lega di nichel/zinco/rame).

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Per l’antenna ho usato l’SBM Wire 200, un filo molto indicato per questo genere di dettagli. S’incolla con la cianacrilica e rimane in posizione già dopo pochi secondi. E’ elastico e può sopportare trazioni fino al 700% della sua lughezza… insomma, consigliatissimo! Sfruttando la sua proprietà di essere verniciato, ho spruzzato sulla sua superficie del nero opaco acrilico. Ho riprodotto anche gli isolatori utilizzando, nuovamente, un ago da siringa.

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L’aggiunta delle luci di posizione/navigazione in fusoliera, dell’elica (in White Alluminium ALCLAD con la faccia interna in nero opaco per evitare il riflesso della luce solare), e delle vetrature scorrevoli hanno decretato la fine dei lavori.



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Conclusioni e ringraziamenti:

Un sentito grazie al Primo Maresciallo Luogotenente Antonio Marin che mi ha permesso di raccogliere una documentazione fotografica approfondita e mi ha fornito numerose informazioni sul Phoenix del Reparto Sperimentale Volo. Un ringraziamento anche a Luca Marin, amico e valido modellista, che si è occupato delle decalcomanie.

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Senza il loro aiuto la realizzazione di questo splendido e sfortunato esemplare non sarebbe stata possibile, ed io non avrei avuto il privilegio di aggiungere alla mia collezione un pezzo unico e di grande interesse storico!

 

Buon modellismo a tutti. Valerio “Starfighter84” D’Amadio.

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Walkaround Photos:


 

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Lockheed F 104G “Starfighter” ….. ovvero quei favolosi anni ’60 – dal kit Revell in scala 1/48.

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Premessa:

Eccomi qua ancora a scrivere su quello che io ritengo essere il miglior kit attualmente in circolazione, e cioè, l’F104G Hasegawa 1/48. Si, avete letto bene sia il titolo che l’ultima affermazione in quanto, pur sotto mentite spoglie, l’F104G Revell 1:48 altri non è che l’omologo giapponese reinscatolato. Ovviamente visto il contenuto ed il costo inferiore di qualche Euro la cosa non può che rendere felice qualsiasi appassionato. Quindi se dirò Revell immaginate che abbia detto Hasegawa. Mi ero già riproposto anni fa, dopo averne appena terminato uno, di tornare “sul luogo del delitto” quanto prima, perchè il kit mi aveva lasciato favorevolmente impressionato e poi, parliamoci chiaro, come si fa a rimanere indifferenti alle infinite possibilità di decorazione che questo velivolo può offrire?

Malgrado nel frattempo abbia continuato ad accumulare altre scatole del medesimo kit, l’occasione per rifare un bello spillone è capitata in occasione del Group Build del Forum Modeling Time dedicato all’Aeronautica Militare Italiana dal dopoguerra ad oggi (…e che caldamente consiglio a tutti di visitare vista l’ampia partecipazione e i diversi soggetti proposti – CLICCATE QUI). La scelta del velivolo da riprodurre è stata quanto mai sofferta in quanto volevo realizzare un ‘104 nostrano, particolare e poco visto ma, non amando le colorazioni commemorative e visto che i nostri spilli non hanno mai brillato per originalità o varietà di livree, ecco che la mia attenzione si è rivolta verso alcune foto in B/N dei primi anni ’60 dei nostri F104 pubblicate sia su riviste che su monografie dedicate al soggetto.

In alcune di queste si vede come i primi esemplari (matr.mil. 6502, 6503, 6504, 6505, 6506) usciti dagli stabilimenti “FIAT Aviazione” siano stati fotografati con una particolare colorazione definita “Antiflash”. In altre parole tre quarti della fusoliera e l’estradosso alare vennero dipinti in bianco latte mentre la parte inferiore ed il troncone di coda vennero lasciati in metallo naturale, un po’ alla maniera dei bombardieri B52 del SAC. I motivi? La leggenda vuole che lo scopo di tale colorazione fosse riflettere il lampo provocato in seguito alle esplosioni di ordigni atomici in un conflitto ma, invece, è più verosimile, che tale livrea servisse semplicemente a proteggere dalla calura solare le strutture e gli impianti del velivolo. Vabbè, lo ammetto, io preferisco raccontare la leggenda, evocare spettri di scenari atomici, terza guerra mondiale, il che è sicuramente molto più intricante della realtà credo, anzi, peccato non poter montare sul modello anche una bomba nucleare B61!

I velivoli fotografati alla FIAT con tale livrea, abbiamo già detto, sono stati 5 ma di questi, finiti poi effettivamente ai reparti operativi (o almeno, che abbiano volato inalberandone le insegne), io conosco solo il m.m. 6505 immortalato in varie foto con stampigliato in coda l’immortale Cavallino Rampante dell’allora 4^ Aerobrigata Intercettori Ognitempo di Grosseto, con codice individuale “4-5”.

C’è da dire infine che tale livrea ha avuto vita brevissima diventando subito dopo metallo naturale integrale e lasciando il bianco solo superiormente alle ali prima di passare al definitivo schema NATO .

Un po’ per queste particolarità, un po’ perché affascinato da quegli anni conosciuti come quelli del “boom economico”, forse i migliori anni della nostra Aeronautica militare prima dei successivi tagli di bilancio imposti dalla fine degli aiuti economico/militari USA, ecco che la scelta su quale esemplare riprodurre è stata immediata.

 

Montaggio:

Non starò ad annoiarvi sulle peculiarità del kit Revell/Hasegawa (dei rivetti superficiali sono stati stesi fiumi di parole sulle riviste, quindi fate un po’ voi se volete tenerveli o meno), l’unica cosa a cui porre attenzione durante il montaggio è il sapersi districare tra le differenze esistenti in base della versione, al periodo ed all’utilizzatore. Diciamo subito che la Revell ci offre da scatola una versione “G”, però fornisce anche pneumatici di differente spessore, due tipi di sedili eiettabili (C2 e Martin Baker), scarichi del J-79 differenti, rotaie missili nonchè antennine varie. Riuscire a combinare bene questi particolari può fare la differenza. Troppo spesso infatti si trovano in rete veri capolavori modellistici di F104, “rovinati” però dall’uso di pezzi sbagliati rispetto alla versione proposta. Ovviamente noi italiani siamo particolarmente sensibili a questi errori se non altro perché il ‘104 ce lo siamo visto volare sulla testa per decenni!

Quindi il consiglio è: scegliete “IL” 104 da riprodurre e osservatene tutti i dettagli costruttivi così da stare tranquilli.

 

 

Colorazione:

Se per il montaggio ho sorvolato un poco per la colorazione invece vi tedierò un po’ di più perché è stata un’interessante esperienza per me.

Ho già spiegato i motivi della scelta della livrea per il mio spillo e qui vi descrivo brevemente come l’ho riprodotta (o almeno, ci ho provato!).

All’apparenza sembra molto semplice da dipingere: in pratica bianco, successiva mascheratura ed infine argento. In realtà le cose sono più complicate se non vogliamo limitarci ad avere un ‘104 da scrivania sul piedistallo e vorremmo, invece, qualcosa di più operativo. Allo stesso tempo però dobbiamo tenere conto che questa colorazione venne mantenuta per brevissimo tempo, quindi non si dovrà esagerare troppo nell’invecchiamento.

Fondamentale sarà la stesura del bianco ed a come dargli una “profondità” senza però massacrarlo (scusate se insisto molto su questo). Io ho steso dunque il Bianco opaco della Vallejo (anche con funzione di primer ) su tutto il modello poi ho spruzzato del German grey Vallejo per evidenziare i pannelli (preshading).

 

Dopo ho dato velature successive sempre di bianco puro diluito fino ad ottenere delle ombre in sottofondo non troppo marcate.

A questo punto ho unito al bianco punte di marrone per variare un po’ il tono ed ho fatto (sempre ad aerografo con il colore diluitissimo) strisce veloci sulle ali nel senso del moto. Inoltre sempre la stessa miscela è stata ripassata solo su alcuni pannelli. Ripeto il colore bianco deve essere diluito e variato di pochissimo con correttivi marroni o anche sabbia. A questo punto ho spennellato la Future per proteggere il lavoro svolto. Ora si devono mascherare le aree destinate a rimanere bianche. C’è da dire una cosa: tutti i modelli di F104 che ho visto in tale finitura antiflash (apparsi ahimè su riviste nostrane) sono sbagliati!!! Su questi il colore bianco è stato dipinto fino alla linea di mezzeria del velivolo (avete in mente i velivoli della Marineflieger tedesca?) in maniera simmetrica da entrambi i lati. Invece, come mi è  stato prontamente fatto notare dagli amici del forum (perché ho sbagliato pure io fidandomi della logica e non guardando l’evidenza delle foto) il bianco della parte destra finisce più in basso rispetto alla parte sinistra.

Fatto il bianco si deve mascherare il tutto per bene perché il prossimo colore che andremo a stendere ha il brutto vizio di infilarsi dappertutto come la sabbia dopo una giornata al mare: l’argento. Io uso per le finiture metalliche esclusivamente colori acrilici Tamiya Chrome silver e Flat aluminium. Questi colori sono ideali soprattutto perchè, una volta protetti con trasparenti, resistono bene a mascherature realizzate con lo scotch e questa è una cosa essenziale per me in quanto mi piace molto “quadrettare” il metallo!


La seconda fase quindi sarà dare il chrome silver come base sulle superfici inferiori e sul tronco di coda. A questo punto però il modello è ancora “piatto”. Foto alla mano, magari a colori, si dovranno individuare quali aree differenziare (per simulate le diverse leghe e/o la “cottura” delle aree vicino al motore) che, sul ‘104, sono situate soprattutto nel tronco di coda. Sia con il flat aluminium che con il silver (corretto di volta in volta con marrone, nero o blu) mascherando i vari pannelli daremo così vita ad una specie di scacchiera che, di sicuro, renderà più interessante e meno monotono visivamente il modello.

 

Uso dei colori ad olio:

Non chiedetemi il perché dell’ispirazione del momento che ha voluto che io provassi l’uso dei colori ad olio sia per sottolineare le linee di struttura in corrispondenza del tronco di coda che per variare i toni di alcuni pannelli. Forse inconsciamente ricordavo il fatto che la polvere di gessetto sul color metallo scivola via ….. ma anche a volte, lo ammetto, è la pigrizia del non dover tirar fuori aerografo e compressore (con cui normalmente eseguo gli invecchiamenti) che mi spinge a provare cose nuove.

In poche parole, sul tronco di coda, usando il nero ad olio puro con un pennellino morbido ho “tirato” in verticale il colore seguendo le linee dei rivetti del modello. Alla fine, ripetendo il procedimento, dovremo essere riusciti a riprodurre con un gioco di luci e ombre questo effetto del metallo. C’è da dire che la finitura del modello in questa fase è ancora lucida (ricordate la spennellatura di Future?) e questo permette di tirare il colore a piacimento. Ovviamente consiglio di provare sempre prima su un modello vecchio l’effetto che vogliamo ottenere e solo quando saremo sicuri passare effettivamente al modello.

Sulla parte inferiore del velivolo dipinta in argento io ho differenziato alcuni pannelli, i più grossi, spruzzando Flat alluminium Tamiya e dopo, mediante colori ad olio diluiti con acquaragia (bruno e/o nero) ho creato filtri scuri solo su alcuni pannelli di ispezione. Anche lo sporco nella zona cannone è stato simulato con colore ad olio nero dato puro.

In altre parole nella zona sottostante dovremo riuscire a creare una sorta di patchwork leggero differenziando il colore base ed alternandolo un pannello si ed uno no.

Una volta tolte le mascherature possiamo lavorare ancora sul bianco delle superfici superiori, usando del bianco titanio ad olio puro e lumeggiando il centro di alcuni pannelli, quelli dove la luce dovrebbe battere di più ed inoltre, su alcune zone limitate, ho mischiato al bianco una puntina di bruno o di ocra lumeggiando così altri pannelli a caso.  L’importante, comunque, è non esagerare con i miscugli perché il bianco fa presto a diventare un altro colore.

A questo punto una volta soddisfatti del risultato proteggiamo il tutto di nuovo con la Future e passiamo ai lavaggi. Sul bianco ho usato un lavaggio ad olio grigio medio (mix bianco e nero) mentre sull’argento va benissimo il nero. Manca ora solamente il radome che ho colorato in grigio Gunze 36440 schiarito ed il pannello antiriflesso Nato Black Tamiya. Il lavoro è così terminato!!!

 

Decals:

Le insegne sono ricavate da un mix di fogli Hasegawa/Revell/Sky/ESCI dedicate al ‘104. E’ interessante notare come sui primi esemplari in servizio in Italia le scritte di servizio fossero esclusivamente anglofone e non in doppia lingua come negli anni successivi.

Le coccarde alari però meritano un piccolo appunto: per quanto ne avessi di varia provenienza tutte presentavano un problema: il bianco. Su un modello con una colorazione diversa questo non rappresenterebbe un problema, ma su ali di colore bianco il bianco della coccarda diverso dal bianco sottostante è un pugno nell’occhio!!!  Che fare??? Semplicemente ho preso 2 coccarde Hasegawa, ho scontornato il rosso ed il verde eliminando dunque il “bianco” centrale e ho posto poi sull‘ala la circonferenza rossa e dopo il punto verde. State sicuri che così il bianco sarà veramente IL bianco. Altro discorso meritano le coccarde in coda: se ci fate caso queste insistono sulla zona terminale del raccordo Karman prendendo una curva tutta particolare. Non sono un fan dei liquidi squaglia decals (al limite aggiungo aceto all’acqua tiepida, preferendo di gran lunga scontornare al limite la pellicola delle decals e sfruttando le superfici lucide) quindi per poter riprodurre l’esatto andamento della coccarda in quella zona ho preferito tagliarne via un pezzettino (diciamo un rettangolino di qualche millimetro del rosso), appiccicare la decal e poi, con rosso Vallejo a pennello, ritoccare la zona mancante per riprodurre la  curva.

Conclusioni:

Per me è una vera fissazione ma lo scopo ultimo del modellismo, è quello di riuscire a trasmettere a chi guarda delle sensazioni. Con questo F104 in particolare non volevo evocare tanto la potenza, quanto, invece, far risaltare la finezza e l’eleganza delle linee. La finitura metallica, in questo caso limitata a poche aree, ed il colore bianco, credo, riescano ad assolvere perfettamente questo scopo.

Da queste considerazioni, inoltre, deriva la mia scelta di presentarlo in configurazione pulitissima senza neanche le tip alari, così da potere realmente cogliere l’unicità delle forme, e dell’ala in particolare, nel panorama aeronautico mondiale del progetto di Kelly Johnson.

Ho voluto anche proporre ai miei quattro lettori, che fin qui hanno resistito, qualche scatto del modello in B/N così, tanto per far dare l’idea degli anni ’60.

Chissà perché il B/n di quegli anni sembra sempre allegro e pieno di ottimismo, così diverso dal B/n degli anni ’70 il quale sembra invece trasudare tutte le tensioni e la drammaticità di quegli anni che qualcuno ha giustamente definito “di piombo”.

Questo modello si va ad unire all’altro F104G che ho in vetrina e malgrado sia ancora fresco di vernice sto già pensando di farne un altro…. sempre metallico… tedesco…. questa volta stracarico…. con le croci nere sulle ali bianche…..

Ringraziamenti: ancora una volta non posso fare a meno di ringraziare TUTTI i forumisti (nonchè TUTTI i visitatori occasionali che sono sempre i benvenuti) di Modeling Time che mi hanno veramente aiutato, con le loro conoscenze e critiche competenti, a non fare strafalcioni (nel limite delle mie capacità ovviamente) che su questo soggetto sono  sempre in agguato!

 

Saluti

Massimo Maria “pitchup” De Luca

 

 

 

 

Video Tutorial: The Vacuum Box – Realizzare un vacuform in casa.

Nuovo video tutorial di Modeling Time!

l’argomento di questa puntata è il vacuform: come realizzare una macchina per il vacuform in casa, con pochi soldi.

La Vacuum Box che vedrete nel video è realizzata con del semplice MDF, facilmente reperibile a basso costo in qualsiasi negozio di fai-da-te.

La Vacuum Box può avere molteplici utilizzi come, ad esempio, la ristampa di canopy o parti trasparenti dei vostri modelli. Il tutto in pochi, semplici passi!

Stay Tuned on Modeling Time!

 

Simmons & Starfighter84 – Simone & Valerio.

 

Douglas A-1 H Skyraider dal kit Hasegawa in scala 1/72.

2

Non costruivo un modello di aereo da più di 20 anni. Ero rimasto alle colorazioni tutto a pennello e il massimo della tecnologia per i dettagli era rappresentata dallo sprue stirato a caldo. Poco importava se le pannellature fossero in positivo piuttosto che in negativo e le tecniche d’invecchiamento, tipo i lavaggi ad olio etc., non erano citate nemmeno sulle riviste specializzate dell’epoca; probabilmente non erano ancora state sviluppate.

Tra l’altro sarei curioso di sapere chi ha introdotto nel modellismo prodotti non specifici come le cere per pavimenti o i colori ad olio.

Insomma le tecniche del modellismo non erano “globalizzate” come lo sono oggi, ma vigeva di più l’arte di arrangiarsi.

A fronte di ciò volevo vedere se ero in grado di confrontami col modellismo moderno, tutto fatto di resine e fotoincisioni, utilizzando solo le tecniche da me conosciute. Certo, non dico di essere rimasto agli anni 80, ho continuato a praticare il modellismo in altri settori, imparando anche ad autocostruirmi i pezzi usando silicone e resina.

L’occasione me l’ha data questa scatola regalatami da mio fratello.

Non saprei dare un giudizio sul kit, in confronto a quello a cui ero abituato mi sembra un’ ottimo modello, confrontandolo con le foto mi sembra identico anche se non sono andato a verificare i millimetri.

In ogni caso avevo dato per scontato che qualcosa me lo sarei autocostruito.

Costruzione:

Non vorrei dilungarmi troppo su tutti i passaggi, anche perchè spero che le foto si spieghino da sole, ma solo sottolineare le parti che ho modificato maggiormente.

Come il sedile che ho sostituito con quello eiettabile, presente sull’ esemplare da me scelto, modificando quello del kit con milliput e plasticard sagomato per i cuscini e il poggiatesta e con del plasticard sottile e sprue stirato incollati ad U per le 2 rotaie ai lati; ho aggiunto le maniglie d’espulsione sempre fatte con sprue poi con strisce di carta stagnola ho realizzato le cinture di sicurezza.

Il resto degli interni gli ho fatti più o meno da scatola usando le decal per consolles e cruscotto e modificando la cloche perchè diversa da quella vera, infine ho aggiunto sulle pareti laterali le guide di scorrimento del tettuccio ( foto 29, 30 ) realizzate con del filo metallico cromato. La pedaliera invece non l’ ho neanche presa in considerazione: una volta chiuse le semifusoliere ci vorrebbe un endoscopio per vedere se c’è.

Poi sono passato al motore  dove ho aggiunto vari dettagli realizzati con sprue e filo di rame.

Per il tettuccio mi sono lanciato nella termoformatura per sostituire quello del kit che, oltre ad essere leggermente sottodimensionato ( soprattutto il parabrezza ), è piuttosto spesso per la scala. Come dima ho usato una copia in resina del trasparente originale. Poi l’ho dettagliato con le maniglie per l’apertura.

Sull’esterno della fusoliera ho rifatto tutte le varie antenne più sottili e più simili, come forma e posizione, a quelle vere e ho aggiunto quelle mancanti. Ho riposizionato gli alettoni e i timoni di coda per dare un pò di movimento. Ho realizzato le luci di posizione con sprue trasparente colorato con pennarelli indelebili (quelli per scrivere sui CD), che hanno l’inchiostro trasparente e lucido.Poi ho assottigliato tutti gli spessori in vista come bordi d’uscita delle ali, i flabelli e la presa d’aria del cofano motore etc. e bucato le canne delle mitragliatrici.

 

Per i carrelli ho dettagliato solo le gambe aggiungendo il cavo dei freni e un pistoncino obliquo sulla parte frontale; i vani gli ho lasciati da scatola perché mi sembravano già abbastanza dettagliati, considerando che alla fine incollerò il modello ad una basetta rendendoli invisibili.

I carichi alari sono da scatola.

Colorazione:

Avendo già in casa un verde e dei color sabbia, mi sono preparato da solo il SEA camouflage. Non mi andava di comperare dei colori apposta che magari avrei usato una volta sola. Così con prove e riprove ho ottenuto delle tonalità molto vicine, secondo me, ai colori originali; tenendo in considerazione che nelle foto che ho usato come riferimento non c’erano due aerei uguali, sia per l’età delle foto che per l’usura dei velivoli. In alcune immagini addirittura il color TAN appariva quasi grigio. Una curiosità: per quest’ultimo ho usato come base il rosa carne!


Un altro fattore che ho dovuto tenere in considerazione è che il trasparente finale tende a scurire ed a saturare i colori.

Decals e invecchiamento:

Ho usato le decals della scatola. Per l’applicazione ho sviluppato un mio metodo: non utilizzo trasparenti o cere per sigillare i colori ma le applico direttamente sui colori opachi; preferisco aggiungere sul modello il minor numero di strati possibile. E il silvering? direte voi.

Il metodo è questo: quando la decal è pronta, stendo sulla zona una soluzione di colla ad acqua e tensioattivo ( è una colla trovata al brico per cartoleria, è trasparente e solubile in acqua anche quando è secca esattamente come quella delle decals ) una volta stesa la decal aspetto un momentino e applico l’ammorbidente facendo attenzione di non andare sui colori. Anche l’ammorbidente è fatto in casa, è una soluzione di alcool e nitro, naturalmente molto più alcool che nitro.

Anche se sia l’alcool che la nitro possono sciogliere i colori acrilici, con un pò di attenzione non succede nulla, basta usarne poco, e se dovesse finire una goccia sul colore è importante non strofinare ma “fare aria” per accelerare l’evaporazione.

Naturalmente ho fatto dei test con le decals di scarto prima di procedere sul modello.

Il risultato mi sembra soddisfacente, considerando che ho usato le decal intere senza scontornare il bordo trasparente, perché per me è una vera rottura, soprattutto quando si tratta di dover scontornare numeri e codici.

A questo punto procedo con le sporcature; il primo passaggio è una soluzione ultradiluita di acqua e colore acrilico grigio molto scuro che stendo su tutto il modello. Questo tipo di “lavaggio” inizia ad evidenziare i dettagli, ed essendo fatto su colori opachi viene assorbito creando dei leggeri aloni che danno la sensazione di sporco generale, poi passo ai lavaggi veri e propri utilizzando gli acquarelli, facili da usare e per di più inodori, con i quali evidenzio le pannellature e faccio le varie colature.

Il bello degli acquarelli è che posso sfumarli, o levarli del tutto, in qualsiasi momento perchè sono sempre solubili in acqua. I fumi dei motori invece sono fatti ad aerografo.

Quando tutto è ben asciutto spruzzo il trasparente che fissa gli acquarelli e fa sparire definitivamente la differenza di finitura tra le decals e gli acrilici.


Come vernice trasparente uso quella alla nitro in bomboletta che travaso in un barattolino per poterla diluire maggiormente, così posso darla ad aerografo e dosarla meglio. Uso questo tipo di vernice perchè è più robusta, secca molto rapidamente ed ha una finitura molto simile all’opaco delle mimetiche vere, che non è spento come quello degli acrilici, ma ha un minimo di riflessione che dà volume.

L’unico inconveniente è che puzza tremendamente per cui devo aspettare la primavera per poterla spruzzare all’aperto.

Infine ho incollato il modello ad una basetta ( un’altra cosa che ai miei tempi si usava poco ), con simulati i lastroni di cemento della pista.

Questa è una cosa che ho fatto più per sicurezza che per motivi estetici: se devo spostare il modello non devo toccarlo direttamente, ma posso prendere più saldamente la cornice… ogni precauzione non è mai troppa.

Una volta un modellino del genere lo completavo in una settimana perchè smaniavo dalla voglia di vederlo finito, questa volta ci ho impiegato 6 mesi. Un’altra cosa che ho imparato è la pazienza, una cosa che migliora la qualità dei modelli molto più di qualsiasi dettaglio aftermarket.

 

Buon modellismo a tutti! Gabriele Diaferia.

 

 

Bibbliografia:

– Walk Around  A-1 Skyraider – Squadron/Signal Publications

– Internet