venerdì, Luglio 18, 2025
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Desert Storm Viper – F-16 C dal kit Tamiya in scala 1/48.

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Non penso ci sia bisogno di presentare l’arcinoto kit Tamiya dedicato all’F-16 C, è sicuramente il migliore in circolazione con incastri e accoppiamenti pressoché perfetti. L’uso dello stucco è limitato solo ad alcune zone e persino la giunzione più a rischio, quella fra le due parti superiori della fusoliera, se supportata da diverse prove a secco si può portare a termine senza l’uso del filler. La scatola permette di realizzare diverse versioni dell’F16C Block 25 e 30 della Guardia Nazionale Americana ma ho preferito optare per un Viper Block 25 del comandante del 33°FS/363 TFW di stanza in Arabia Saudita, durante l’operazione Desert Shield/Desert Storm, usando il foglio decals Aeromaster n°48-556. Come set di dettaglio ho scelto alcune parti delle fotoincisioni Eduard BigEd – 4908, le mascherine per trasparenti, i set in resina Aires per abitacolo, vani carrelli e ugello di scarico che danno un notevole miglioramento all’aspetto finale del modello. Per le piastre di rinforzo avevo in magazzino quelle Tamiya ma devo ammettere che sono abbastanza deludenti perché realizzate in un metallo troppo duro da manipolare; per questo sono andato alla ricerca di qualcosa di meglio trovando risposte nel set Voyager Model VA480105. Le resine Aires sono, come da loro tradizione, di eccellente dettaglio quanto di laboriosa lavorazione per poterle inserire correttamente nei rispettivi alloggiamenti: occorre, come sempre, assottigliare le pareti del kit e carteggiare generosamente le stesse parti aftermarket soprattutto per quel che riguarda l’abitacolo e il vano carrello anteriore; quello del carrello principale entra più facilmente. Anche l’anello solidale alla fusoliera dello scarico comporterebbe un buon lavoro di adattamento, ma per questa parte ho escogitato un rimedio usando lil pezzo originale Tamiya modificato come spiegherò più avanti. Come referenze ho usato gli ottimi libri della Daco “Uncovering the Lockheed Martin F-16 A/B/C/D  e “ The Modern Viper Guide” di Jake Melampy.

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Ho iniziato, come prassi, con l’abitacolo. Non mi soffermo sulla qualità dei pezzi Aires, sicuramente superiori al pur ben dettagliato cockpit da scatola. Come anticipato qualche riga sopra, per adattare i set della ditta ceca al modello occorre assottigliare la fusoliera fino al limite ed eseguire decine di prove a secco (e controlli con lo spessimetro per non rischiare di forare la plastica). Quando i vari componenti vanno in posizione, però, l’effetto è davvero bello!

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Il pilot’s office, dopo una mano di Gunze Mr.Surfacer 1000, è stato verniciato col  Gunze H-308 ovvero il F.S. 36375; ho, poi, mascherato e spruzzato il nero opaco Humbrol 33 sul meccanismo di sollevamento del canopy, mentre le consolle laterali le ho dipinte a pennello con lo stesso colore. Ho fatto un leggero dry-brush con un grigio chiaro sul retro del sedile e sui pannelli neri e, successivamente, ho messo in risalto tutti i pulsanti e comandi usando un grigio chiaro. Qualche dettaglio in rosso e giallo, seguendo le referenze fotografiche, ha completato il lavoro. Sui tubi corrugati dell’ossigeno, per dare un po’ di varietà tonale, ho steso un mix di grigio chiaro e Khaky Drab Humbrol 159. Ho, infine, fatto un lavaggio con uno smalto grigio scuro opaco senza dare il lucido per ottenere sia la profilatura dei particolari, sia un leggero effetto filtro.

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Lo stesso trattamento è stato eseguito sulle paratie laterali.

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Sono, quindi, passato al sedile: ho adattato le belle cinture foto-incise alle varie parti su cui si appoggiano dando loro il giusto movimento. La tecnica usata è semplice: basta sistemare al di sotto della cinghia nel punto voluto, un pezzetto di filo di rame del diametro giusto e pressare con la pinzetta, creando una curvatura morbida e molto realistica. La maniglia di espulsione fra le gambe del pilota è fissata con un “chiodino” fatto con una ago da 0,3mm.

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La verniciatura l’ho eseguita con la stessa procedura della vasca: Mr.Surfacer 1000 e Gunze H-308, i cuscini li ho dipinti a pennello con Humbrol Khaki Drab 159 seguito da un lavaggio con un mix di Khaki Drab e marrone scuro. Successivamente ho lumeggiato a pennello asciutto, sempre con Khaki Drab schiarito con del giallo. Per creare un po’ di varietà tonale sul paracadute pilota all’interno del poggiatesta ho miscelato un grigio appena verdastro e ho evidenziato tutte le fibbie con argento prelevato da un pennarello Tamiya. Ho dato alcune mani di lucido,  ho applicato le decal, ripassato l’opaco e quindi ho dipinto tutti i particolari secondo le documentazione. Infine, anche in questo caso ho eseguito un leggero lavaggio con grigio scuro direttamente sull’opaco per avere, di nuovo, un lieve effetto filtro.

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La palpebra del cruscotto è dipinta con nero opaco Humbrol 33, seguito da due toni di grigio a pennello asciutto. I pulsanti del pannello strumenti sono evidenziati con grigio chiaro, mentre i quadranti della strumentazione e gli schermi sono stati resi lucidi con una goccia di trasparente Humbrol 35. La lente dell’HUD l’ho creata con un mix di trasparente lucido e verde smeraldo Humbrol.

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A questo punto mi sono dedicato alla presa d’aria….bel problema verniciare l’interno di un tubo…e anche la stuccatura della linea di giunzione. Inizialmente avevo pensato al metodo della vernice latex (o similare) ma ho preferito desistere. Invece, ho sperimentato un metodo alternativo sfruttando la buona qualità degli stampi Tamiya: dopo alcune prove a secco ho notato che le due valve del condotto chiudevano abbastanza bene senza presentare scalini insuperabili, per cui  ho unito i due semi gusci con del nastro adesivo e ho carteggiato per eliminare del tutto o quasi il piccolo scalino che si era formato. A seguire ho separato i pezzi e ho dato parecchie mani leggere di bianco opaco Tamiya formando un certo spessore. Li ho, poi, saldati definitivamente con colla e ho stuccato le piccole imperfezioni rimaste con Milliput bianco carteggiandolo, una volta asciutto, con attenzione e con grane 600/800  (per non far diventare lucida la vernice opaca e mantenere una finitura setosa). Infine ho di nuovo spruzzato del bianco opaco per uniformare il tutto.

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Per favorire l’adesione della decals “HOT” alla base della lama antighiaccio (è risaputo che sull’opaco il rischio di “silvering” delle decalcomanie è altissimo) ho fatto separare lo stencil dal supporto e l’ho fissato con un pochino di trasparente lucido Tamiya. L’operazione è molto delicata perché si ha pochissimo tempo per trovare la posizione giusta prima che la vernice tiri.

Alla presa d’aria ho aggiunto il vano carrello anteriore Aires che, come al solito, ha necessitato di una generosa carteggiatura per adattarsi senza forzare e/o deformare il guscio esterno. Ho auto costruito alcuni cablaggi realizzati con filo di rame da 0,2mm e ho stuccato la linea in corrispondenza della freccia gialla lasciando le altre perché effettivamente presenti sull’aereo reale.

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Sono, quindi, passato ai carrelli, e al loro vano principale, dettagliandoli con filo di rame di diverso diametro (0,2 – 0,3 – 0,4mm). Le fascette che stringono i fili sono fatte con nastro adesivo di alluminio.

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I vani carrelli sono stati verniciati col bianco opaco XF-2 Tamiya.

 

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A questo punto ho dato alcune mani di lucido Tamiya (2/3) in modo da proteggere il bianco e poter verniciare i dettagli con gli Humbrol; sfruttando la diversa composizione dei colori a smalto e gli acrilici, infatti, è possibile correggere senza problemi i, sempre possibili, errori senza che la finitura lasciata opaca assorba la vernice creando anti estetiche sbavature. Dopo aver completato tutti i dettagli e posizionato le decal, ho fatto i lavaggi miscelando nero e marrone opachi, sempre della Humbrol. Alla fine ho sigillato nuovamente il tutto con un’altra mano di clear.

 

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Incollando il muso ho notato che, stranamente per la qualità degli incastri del modello, non si raccordava perfettamente alla fusoliera; il primo pensiero è andato all’abitacolo Aires che, con molta probabilità, ha deformato quel tanto che bastava le linee del modello. Comunque ho raccordato con carta abrasiva che ha, purtroppo, eliminato il dettaglio degli scaricatori elettrostatici stampati sul radome (rifatti, in seguito, con del tondino di plasticard da 0,5mm).

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La parte terminale della fusoliera in resina Aires dove si inserisce l’ugello di scarico, come da previsioni, forma un vistoso scalino rispetto la fusoliera. Per evitare ulteriori interventi troppo invasivi ho preferito utilizzare il pezzo originale che ha un incastro pressoché perfetto. Per permettere l’unione dei petali in resina occorre, però, eliminare dall’anello Tamiya la parte iniziale e assottigliare il bordo facendo molte prove a secco fino ad adattarlo perfettamente al resto del set Aires. Ho dovuto inserire alcuni spessori in Plasticard per poter incollare le parti fra loro ma, alla fine, il risultato è stato ottimo.

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Prima di procedere oltre le mie attenzioni si dono rivolte al tettuccio che è stato bagnato con la cera Future assieme al cupolino fisso.

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Dopo aver atteso 24 ore per una completa asciugatura, ho dettagliato i montanti interni con le fotoincisioni Eduard.

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L’unione fra la vasca in resina ed il retro dell’abitacolo crea questa fastidiosa fessura che ho eliminato con il Milliput bianco modellandolo e stirandolo con un pennello bagnato per ridurre al minimo le successive carteggiature.

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Il risultato finale, dopo aver rispruzzato il nero opaco e applicato il dry brush, è stato questo:

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A questo punto tutto è pronto per iniziare la verniciatura, finalmente! Dapprima ho steso una mano di fondo col Mr.Surfacer 1200, poi ho  realizzato il pre-shading con nero opaco.

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A seguire ho aerografato lo schema mimetico che prevede i seguenti colori:

  • Gunze H-308 (F.S.36375) sulla parte inferiore.
  • Gunze H-306 (F.S.36270) sulla deriva e la parte anteriore in corrispondenza dell’abitacolo
  • Gunze H-305 (F.S.36118) sul resto del dorso (la linea di separazione è stata ricreata usando un “salsicciotto di Patafix).

Il radome l’ho verniciato con un mix di Gunze H-305 e nero opaco per simulare una maggiore usura e invecchiamento.

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Ho mascherato il portello del ricettacolo per il rifornimento in volo e, dopo aver dato una mano di Mr.Surfacer 1000, l’ho verniciato con lo Steel della Alclad. Ho anche completato il labbro della presa d’aria dipingendolo con un colore simile a quello del radome.

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A questo punto ho dato diverse (almeno 7/8) mani di lucido Tamiya X-22 diluito al 70% col diluente della stessa marca, fino ad ottenere una superficie ben “caramellata” e liscia, ideale per applicare le decal. Prima, però, ho preferito effettuare i lavaggi con due toni di grigio, più scuro sull’H-305 e più chiaro su H-306 e H-308.

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Ad asciugatura avvenuta ho iniziato ad applicare le insegne con l’ausilio dei liquidi Microscale.

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Lo stesso trattamento è stato ripetuto anche sui serbatoi sub-alari.

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Sui fuel tank ho realizzato, a pennello, le varie colature d’olio con uno smalto marrone scuro in modo da poter correggere e, alla bisogna anche cancellare, gli eventuali errori d’applicazione. Il vantaggio di usare gli smalti su superfici coperte da vernici acriliche risiede nel fatto che i rispettivi diluenti non intaccano minimamente i due tipi di pigmenti. A questo punto ho dato diverse mani di trasparente opaco Gunze H-20 e un paio di passate velocissime e leggere di trasparente opaco Humbrol 49 che ha un potere opacizzante notevole. Mi raccomando, però, andateci piano! Col tempo, infatti, i trasparenti sintetici tendono ad ingiallire ed è meglio non esagerare stendendo mani troppo “corpose”. Dopo l’asciugatura del Flat Clear ho caricato l’aerografo col Gunze H-308 scurito con del nero opaco e ho dato alcune passate leggere, sottili e veloci nella parte ventrale, ed in particolare sulle ali, per simulare usura e invecchiamento.

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Con lo stesso grigio ho leggermente profilato le linee dei pannelli in corrispondenza del motore e, sulla stessa zona, ho applicato una leggerissima ombreggiaura di marrone chiaro per simulare l’usura dovuta al calore.

A questo punto ho completato le gambe di forza dei carrelli, già dipinte in bianco opaco XF-2 Tamiya assieme ai pozzetti: ho effettuato i lavaggi con uno smalto marrone scuro, verniciato gli ammortizzatori idraulici con argento da pennarello Tamiya e i cablaggi con smalti nero opaco e argento secondo le referenze fotografiche. Infine, ho dato uno smalto marrone scuro (nero + marrone) a pennello asciutto solo sulle parti mobili, sugli snodi e nelle vicinanze delle ruote, ovvero dove è più facile trovare macchie di lubrificanti e/o grasso.

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Ho verniciato allo stesso modo le ruote dopo aver ricreato, carteggiando lo pneumatico, la deformazione dovuta al peso.

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Fin’ora non ho ancora accennato all’armamento. Per il mio Viper ho optato per una configurazione decisamente offensiva: due GBU-12, due AIM-120 e due AIM-9. Le bombe guidate della Tamiya sono belle, ma l’ogiva, se montata da scatola, resterebbe rigidamente orizzontale mentre in realtà, con l’aereo a terra, spesso sono ruotare verso il basso. Ho deciso di modificare la parte terminale tagliando via il perno e praticando un foro da 0,7mm dove ho incollato uno spezzone di ago ipodermico. Sulle testine, invece, ho fatto un ulteriore foro da 0,4mm in cui ho fissato un pezzetto di filo di rame da 0,4mm. Unire, in seguito, i pezzi è stato estremamente semplice.

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A seguire ho verniciato gli ordigni con tre mani di Olive Drab Gunze diluito al 70%; una volta asciutto ne ho preparato un pochino schiarito con del giallo e diluito all’80% e ho fatto alcune passate leggere a banda. Poi ho elaborato una seconda miscela, sempre con Olive Drab, ma scurito con un pò di nero e diluito all’80%, e ho arricchito le tonalità con alcune passate veloci.  Poi, a pennello, con del rosso opaco e Flat Earth Humbrol ho ricreato il color mattone da passare fra le alette anteriori. Per questo mix non ho usato il rapporto di 1/1 che indicava la Tamiya perchè, secondo me, troppo tendente al rossiccio; ho preferito utilizzare queste proporzioni:

  • 26 parti di marrone e 3 di rosso.

Infine ho applicato la tecnica del pennello asciutto sui rilievi delle pinne di coda e sui margini di quelle anteriori con un mix di Olive Drab e giallo Humbrol.


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Gli AIM-120 e AIM-9 sono stati verniciati secondo le istruzioni, quindi ho dato il trasparente lucido Tamiya X-22 (con diluizione 70%) e applicato le decals inerenti gli stencil di manutenzione e le bande colorate che ne identificano il tipo di esplosivo installato.

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Il pod ECM ed i TER sono stati colorati con il grigio F.S. 36375, le parti nere in Matt Black Humbrol e pennello asciutto con un grigio medio, lavaggi in grigio medio, usura con uno smalto grigio a pennello asciutto, opaco Gunze.

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I serbatoi subalari sono stati ultimati con l’opaco Gunze e con sporcature e colature fatte a pennello asciutto con uno smalto Humbrol grigio medio.

 

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Un paio di viste del modello dopo la stesura dell’opaco, il montaggio dei carrelli e dei portelli e la rimozione delle mascherature.

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Per fissare i carichi alari ho preferito non usare la colla ma affidarmi al metodo, più che collaudato, dei perni in filo di rame ad incastro. Questi permettono un montaggio sicuro, pulito e senza nessun pericolo di sbordature della colla. Il filo usato in questo caso è stato da 0,4mm.

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Una vista del modello con i carichi sub-alari e i carrelli finiti.

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E siamo al complesso scarico Aires in resina che rappresenta il Pratt & Whitney F-100 montati sugli F-16 Block 25 e 32. Per prima cosa ho passato, sulla ventola,  l’Alclad Sepia e il nerofumo fatto con Marrone Gunze H-310 e Semigloss Black X-18 Tamiya in proporzione 2 a 4, rispettivamente. Infine un tocco di Metallic Grey da pennarello Tamiya e l’opaco.

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La parte interna dell’ugello è in Bianco Opaco Tamiya. L’esterno è in Alclad Dark Alluminium seguito da velature di Jet Exhaust; l’uso, provvidenziale, del Metallic Gray con la tecnica del dry brush ha messo ulteriormente in evidenza tutti i particolari.

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Sul rivestimento ceramico bianco ho passato, con molta attenzione e a pressione bassa, il nerofumo come detto sopra e secondo le referenze. Le striature di gas incombusti che si vedono anche nelle immagini che ritraggono il motore vero le ho ricreate usando un tocco di Burnt Red dal Weathering Set D Tamiya e dei lavaggi mirati in marrone scuro (nero + marrone) fatti con smalti Humbrol. Ovviamente l’opaco Gunze ha dato la giusta finitura finale.

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Sui petali esterni ho dato, in sequenza, il Dark Alluminium e il Pale Burnt Metal Alclad. Poi, con la solita miscela di nerofumo dato a pressione bassa (non più di 0,7 bar), ho amalgamato i due toni metallizzati stendendone una quantità maggiore alla base dei petali stessi per simulare un po’ di accumulo di sporcizia. La ghiera è stata messa in risalto, ancora una volta, con il pennarello Tamiya dato a pennello asciutto.

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L’anello solidale alla fusoliera è stata verniciato con una base Alclad Dark Alluminium a cui ho aggiunto delle sfumature di Hot Metal Blue. All’interno del condotto, sul bianco opaco Tamiya precedentemente steso, ho dato l’Alclad Hot Metal Sepia solo nella parte più interna (quella vicina allo stadio finale del reattore) facendo sfumare il colore attraverso la “raggiera” del post bruciatore, fornita in fotoincisione dal set Aires. Ho anche aggiunto le solite strisciate col nerofumo e col Burnt Red dal Weathering Set set D Tamiya.

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Ho incollato, con colla epossidica,  il tubo di pitot e i sensori AOA in metallo.

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E ho inserito il seggiolino nell’abitacolo.

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Tra i particolari omessi dalla Tamiya ci sono i dispersori di elettricità statica, ma sono parti la cui mancanza si noterebbe subito e che, se ben realizzati, danno un tocco di realismo in più. Li ho auto costruiti con filo di di rame da 0,2mm e aghi da 0,5mm, importantissimo è ricordasi di fare, nelle primissime fasi di montaggio e soprattutto prima di verniciare,  i relativi scassi forando gli alloggiamenti gi stampati sui bordi d’uscita di ali, timone di profondità e piani di coda.

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Si fissano sul modello con una micro goccia di cianoacrilato e per tagliarli tutti alla stessa misura (5mm in tutto) ho realizzato una mascherina con nastro da mascheratura Tamiya.

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Eccoli, infine, verniciati in nero opaco con l’estremità in metallic grey da pennarelo Tamiya.

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Con il montaggio del tettuccio il modello è finalmente finito!

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Buon Modellismo a tutti! Paolo.

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L’ultimo della sua “specie”: F-104 G Starfighter dal kit Hasegawa in scala 1/48.

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Le belle storie, così come le fiabe in cui si parla di miti e di eroi, solitamente iniziano con “c’era una volta”. Parlando dell’F-104 si nomina, appunto, un vero mito… un velivolo che nessuno di noi appassionati italiani dimenticherà mai.

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Parlando di eroi, invece, narriamo le gesta degli uomini che lo hanno pilotato, consapevoli che una volta in sella avrebbero dovuto montare un selvaggio purosangue che tutto avrebbe voluto tranne che farsi domare.

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Quindi, c’era una volta un aeroplano dalle prestazioni mozzafiato e dal carattere terribile. Sì, “c’era una volta” …. Perché, da ormai dodici anni, questa magnifica macchina non solca più i nostri cieli. Ora sta a noi modellisti rendergli l’onore che merita per tutto ciò che ha rappresentato per l’A.M.I. e per chi da ragazzo, col naso all’insù, seguiva la sagoma dello Spillone per quei pochi secondi che ci concedeva per poi sparire dal nostro campo visivo a tutta velocità.

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Per i dati tecnici e il suo sviluppo vi rimando alle tonnellate di libri scritti in merito, perché parlare di numeri, e non di emozioni, è veramente riduttivo quando si cita il “centoquattro”.

I miei ricordi…

Lo Starfighter è il primo aereo che ho imparato a riconoscere dall’inconfondibile suono del motore; il primo ed unico che più di una volta fece tremare i vetri con un boom sonico sulla verticale di casa mia! Negli anni ottanta l’F-104 era un visitatore abituale dei luoghi in cui ancora oggi vivo, ed ho tantissimi ricordi della mia infanzia legati ad un suo passaggio sopra la mia città.

Dapprima l’ho visto passare sopra la mia testa con la classica mimetica in grigio/verde poi, più in là negli anni, nel più moderno schema a bassa visibilità “overall grey”. Per tanto tempo, fino ai suoi ultimi anni di servizio, appena avvertivo il rombo di un turbogetto militare mi affacciavo al mio balcone con la speranza che fosse lui e non un AMX, o un Tornado.

Tra gli ultimi episodi, che ho ben impressi nella mia mente, ce ne sono alcuni di quando ero ancora uno studente: frequentavo le superiori e durante le lezioni correvo alla finestra (tra gli improperi dei professori) per veder sfrecciare i ‘104 di Rimini in formazione stretta! la mia scuola era situata nella parte alta della città sopra una collina, e loro ci passavano sotto, in mezzo alla vallata con il mare sullo sfondo… che tempi!!

Il modello:

Il soggetto che ho scelto di rappresentare è un F-104 G, ma non ne volevo costruire uno qualsiasi… no, questo mai! Ne volevo uno che potesse rendere il giusto omaggio alla versione che per prima ha equipaggiato la nostra Aeronautica Militare.

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Fonte: www.airliners.net

Sono stato indeciso fino all’ultimo se optare per l’M.M.6501, il primo esemplare giunto in Italia direttamente da Palmdale, California, e tuttora conservato presso il Museo Storico dell’Aeronautica di Vigna di Valle.  Alla fine, sfogliando un numero della rivista Aerei del giugno 1995 (giusto a venti anni dalla sua pubblicazione), mentre cercavo materiale per il modello sono venuto a conoscenza che l’ultimo F-104 G ad essere operativo fu il 4-49 (M.M.6589) che effettuò l’ultimo volo il 5 giugno del 1994 con ai comandi il Ten. Col. Fabio Landi nel corso di una cerimonia tenutasi a Grosseto. Insomma, ho voluto rendere merito all’ultimo della sua “specie”!

La scelta del kit, nella scala del quarto di pollice, è quasi obbligata; la scatola è quella della giapponese Hasegawa. La casa del sol levante produce e commercializza da anni questo bellissimo stampo che ha una scomposizione non proprio lineare, ma delle forme perfettamente catturate.Il dettaglio di superficie è, come al solito ben definito ed inciso, il cockpit già sufficientemente particolareggiato e i dettagli generali ricchi e all’altezza dello standard attuale.

Montaggio:

Per il cockpit non mi sono accontentato ed ho scelto il set della Cutting Edge. In ogni caso ho preferito utilizzare il pannello strumenti originale, integrato con delle fotoincisioni Eduard, poiché quello in resina era danneggiato.

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La costruzione è partita proprio da questa zona: l’abitacolo della scomparsa ditta americana si inserisce un pò a fatica nella fusoliera e occorre qualche colpo di lima per assottigliare la plastica e adattarlo a dovere. Il “pilot’s office” è stato verniciato con il grigio F.S.36118, poi schiarito e lumeggiato con del dry-brush in grigio chiaro. Ho cercato di simulare le aree più consumate dallo sfregamento del calpestio aggiungendo dei tocchi di vernice Zinc Chromate Yellow (Tamiya XF-4) in particolare nei pressi della pedaliera.

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Questi dettagli, purtroppo, scompariranno una volta chiuse le due semi fusoliere… ma un occhio attento li andrà sicuramente a scrutare! Per questo ho calcato abbastanza la mano, in modo da poterli vedere nel poco spazio che rimane.

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Il montaggio scorre più o meno bene anche se la scomposizione dello stampo, come detto, è un pò “caotica”. Il radome, per esempio, è diviso in due pezzi; i serbatoi alle estremità alari sono un vero puzzle ed ho scelto anche di ricostruire le relative alette con del Plasticard da 0,5 mm per rendere il loro spessore più verosimile rispetto alla scala.

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Il modello è stato interamente assemblato e stuccato con colla ciano acrilica che, una volta carteggiata, assume lo stesso aspetto e consistenza della plastica. Dopo il montaggio della fusoliera, filata via liscia e senza particolari intoppi, sono passato alle ali con slat e flap separati. La già citata scomposizione non proprio lineare mi ha costretto ad intervenire su molte giunzioni con conseguente perdita del dettaglio (ripristinato a seguito di un’attenta re-incisione delle pannellature e ricostruzione dei tanti rivetti che costellano il kit).

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Ho dettagliato le gambe di forza del carrello principale con dei fili di rame e aggiunto altri particolari all’interno dei pozzetti (un ringraziamento va a Jacopo, nostro compagno di squadra molto bravo e sempre attento, che mi ha spedito un carrello nuovo di zecca che non avrebbe usato, dato che il mio era andato perso in un “incidente di volo”).

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Verniciatura:

Il ‘104 è uno di quei soggetti che ti attirano verso il banco di lavoro: più si va avanti nella costruzione e più non riesci a staccarti!

Prima di applicare il classico schema Standard NATO, ho steso un grigio 36440 semilucido per controllare la bontà delle stuccature e avere una base idonea per l’alluminata delle superfici inferiori (Per cui ho scelto il Tamiya X-11 Chrome Silver).

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Sulle superfici superiori ho eseguito un pesante e pre-shading con del nero opaco; successivamente ho steso il primo tono della mimetica, il Grigio Mare Scuro Opaco, per il quale ho usato il Dark Sea Grey della Gunze (codice H-331).

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A questo punto ho mascherato il modello con il Patafix e nastro in carta gommata per spruzzare il secondo colore, il Verde Scuro Opaco (Dark Green H-330 Gunze). Il radome, invece, è in bianco opaco mentre il pannello anti riflesso è in un verde molto scuro (ho preferito il Black Green Gunze H-65).

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Terminata la prima fase della verniciatura, ho “caramellato” il mio Spillone con il lucido Gunze (H-30) diluito al 70% con il thinner della stessa ditta e steso con diverse mani veloci e mai troppo “bagnate”. Attesa l’asciugatura di almeno ventiquattro ore, ho effettuato i lavaggi con colori ad olio: nero e Bruno Van Dyck in percentuali, rispettivamente, del 70 e 30 allungati con acqua ragia. Per la prima volta ho usato un composto piuttosto denso e mi sono trovato benissimo sia nello stendere gli oli con un pennello sottile, sia nel toglierli con uno straccio morbido di cotone.

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Dopo il Washing, i lavori sono andati avanti con gli “effetti speciali”! il post shading, la fase che più mi diverte, mi ha permesso di giocare con luci ed ombre creando un invecchiamento volutamente marcato anche in previsione dell’opaco finale (che, notoriamente, bilancia molto il tutto). Per “sbiadire” le tinte di base ho utilizzato dapprima il grigio di fondo puro (che risulta già più chiaro a causa dal filtro lasciato dai colori ad olio), poi la stessa vernice tagliata con qualche goccia di bianco e passata in modo molto selettivo su alcuni pannelli. Così facendo sono riuscito ad ottenere tantissime variazioni per lo stesso tono.

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A questo punto ho passato un’ulteriore mano di Clear propedeutica alla posa delle decal: quest’ultime sono della Sky Model e sono state posate e ammorbidite con il Gunze Mr. Mark Softer. A seguire, un altro strato di trasparente ha livellato gli spessori e le ha protette per i lavaggi ad olio che hanno messo ben in evidenza le pannellature sottostanti per un bell’effetto “painted on”!

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Ora il modello è pronto per l’assemblaggio degli ultimi pezzi… carrelli, carichi esterni… antenne e luci di posizione. I dettagli interni del canopy sono fotoincisioni della Eduard. Infine, una generosa quantità di Flat Clear Gunze (H-30) ha donato al mio modello la giusta finitura… opaca e gessosa, come ben si addice ad un aeroplano da guerra!

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Conclusioni:

Lo Starfighter è un aereo al quale sono molto legato; ha solcato i cieli della mia città per decenni e mi sembrava un gesto dovuto rendergli omaggio attraverso il mio hobby. La nostalgia spesso si fa sentire… qualche volta spero ancora di scorgere la sua sottile sagoma che, in lontananza, si confonde con la linea dell’orizzonte sopra il mare Adriatico. Il ‘104 non c’è più, ma il mito non muore perché vive e vivrà per sempre nei ricordi di noi appassionati!

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Buon modellismo a tutti!

Mauro “CoB” Balboni.

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La “strana” coppia! Seconda parte – BAe Hawk T.1 dal kit Italeri in scala 1/48.

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Non perdete la PRIMA PARTE dell’articolo!!

Sono passati decenni di evoluzione aeronautica dall’elica dello Spitfire alla turboventola del BAe Hawk. Eppure questi due velivoli, di epoche così diverse, si sono ritrovati a volare insieme nel 2008 per celebrare il 70° anniversario del primo Spitfire in forza al 19° Squadron (basato a Duxford). Era l’Agosto del 1938 quando il reparto ricevette i primi nove Spitfire Mk.I rendendolo, di fatto, il primo Squadron della RAF a ricevere il famoso caccia di Sir Reginald Mitchell.

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Nello stesso anno, inoltre, la Royal Air Force festeggiava il 90° anniversario della sua costituzione; per sottolineare questa importante doppia ricorrenza il comandante del 19° Squadron riuscì ad ottenere permessi speciali e sponsorizzazioni, anche dalle industrie aeronautiche inglesi, per realizzare la mimetica tipica degli Spitfire durante la Battle of Britain su uno degli Hawk T.1 da addestramento. Nel progetto fu coinvolta anche la fondazione Battle of Britain Memorial Flight che, grazie ai suoi archivi storici, fornì informazioni fondamentali per realizzare la livrea commemorativa. Dopo aver considerato le varie opzioni proposte, il comandante del Reparto decise per la riverniciatura di un Hawk con lo stesso camouflage utilizzato dal primo Spitfire, con l’aggiunta del numero “19” giallo sulla deriva. Fu anche approvata l’installazione del pod cannone ADEN a sottolineare il fatto che il 19° fu la prima unità a ricevere lo Spifire MK.I b, quindi con ala di tipo “B” equipaggiata con Cannoncino Hispano 20mm. Il processo di verniciatura ebbe inizio l’11 aprile e terminò il primo maggio del 2008. E’ stata la prima volta in assoluto, dopo la Seconda Guerra Mondiale, che un velivolo RAF ha portato nuovamente la distintiva livrea marrone/verde.

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Kit di montaggio:

La scatola utilizzata è Italeri N°2669 nella scala del quarto di pollice; era già in mio possesso da tempo e con l’occasione del Group Build FF.AA. Britanniche ho deciso di utilizzarla. Il kit è composto da tre stampate in stirene grigio, più una di trasparenti, una lastrina fotoincisa per il cockpit e un foglio decals che permette di realizzare quattro esemplari inglesi (di cui uno Fleet Air Arm) e uno della Swiss Air Force.

Foto scatola hawk

La qualità del kit non è entusiasmante ma sono da apprezzare le forme del velivolo correttamente riprodotte e i vani carrelli discretamente particolareggiati. Di contro il livello di dettaglio del cockpit è inesistente e il canopy è più stretto rispetto alla fusoliera facendo sorgere qualche problema nel caso si decida di realizzarlo chiuso.

Aftermarkets:

  • CMK 4235: Cockpit. L’utilizzo del set di miglioria è più che consigliato! La vasca è realizzata correttamente al 90%, sono forniti i due seggiolini eiettabili, le cloche, le paratie laterali e una lastrina di fotoincisioni per i pannelli strumenti. Nonostante la fornitura “generosa”, oggettivamente è molto migliore il set della ditta russa Neomega (che mi sento di consigliare).
  •  CMK 4234: Set Flaps. La scatola Italeri fornisce i flaps già divisi per posizionarli a piacimento, ma il set in resina è più completo e include anche gli attuatori.
  • CMK 48103: Exhaust nozzle. In realtà il cono di scarico è totalmente annegato in fusoliera, quindi l’unica parte visibile è giusto una piccola porzione. Ammetto di averlo più per sfizio che per un’esigenza oggettiva.
  • Master 48038: Pitot tube. Ormai i pitot torniti della ditta polacca sono un must-have. Davvero troppo belli!
  • Xtradecal X48HAWK: decals 19 Sqn. 70th anniversary. Le decals sono poche ma grandi: all’interno del foglio troviamo le roundels e gli stencil completi. Presente un foglio a colori che illustra l’andamento della mimetica.

Aftermarkets hawk

Cockpit:

Partendo dal presupposto che il set in resina è indispensabile, anche questo non è esente da imperfezioni. La paratia in fondo alla vasca, nella realtà, ha uno “scalino” (vicino alla sacca porta documenti) che invece la ditta ceca non ha riprodotto. Non sono fornite le “basi” dei cruscotti, ma solo gli strumenti in fotoincisione; di conseguenza andranno adattati necessariamente su quelli originali in plastica… in altre parole, c’è da lavorare parecchio.

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Come detto i trasparenti sono più stretti rispetto alla fusoliera. Per fortuna, volendo lasciare il canopy aperto, il problema si riduce al solo windshield che dovrà essere incollato nella sua sede forzandone un pò le dimensioni (magari aiutandosi con uno spessore creato ad hoc ed inserito al suo interno per allargarlo quel tanto che basta).

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Ho modificato entrambe le palpebre: su quella posteriore ho eliminato la bombatura a forma quadrata per una più corretta di forma circolare. Ho usato dello stucco bicomponente e cianoacrilica. Su quella anteriore, invece, ho dovuto effettuare un taglio netto lungo l’asse longitudinale ed aggiungere un piccolissimo listello di Plasticard; questo per via del pannello strumenti foto-inciso che risulta più largo di quello originale.

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I sedili sono stata la parte più divertente dell’abitacolo; hanno un buon dettaglio ma ho voluto comunque apportare delle modifiche. Ho notato, grazie alle foto, che le cinture superiori non vengono lasciate cadere lungo lo schienale ma, spesso, sono agganciate su appositi supporti ai lati del poggiatesta. Quindi ho limato via quelle stampate in resina sostituendole con quelle fotoincise fornite dal kit (grazie al materiale di cui sono fatte ho potuto riprodurre la corretta piega verso il poggiatesta delle cinghie). Ho, inoltre, aggiunto sopra il poggiatesta stesso l’involucro che contiene il paracadute usando, ancora una volta, dello stucco bicomponente (sui seggiolini in resina questo dettaglio era del tutto mancante).

Per quanto riguarda le vernici, il grigio della vasca e del telaio degli “ejection seat” è codificato come “Dark Sea Gray” FS 26173. Secondo la codifica britannica (BS381C) è il 638. In realtà mi sono accorto che tra i barattoli di vernice avevo il 637 che corrisponde invece ad un “Medium Sea Gray”, che la Gunze produce acrilico come H-335. Ho peccato di pigrizia, supportato anche dal fatto che la variazione cromatica è minima, e l’ho utilizzato ugualmente. Ho usato la stessa vernice schiarita per evidenziare i punti luce, e dei lavaggi ad olio con un grigio medio, per dare tridimensionalità alle zone in ombra. Gli altri colori utilizzati sul sedile sono dei toni di verdi e ocra che ho mescolato ad occhio in base alle foto. Ciliegina sulla torta, dei piccoli stencil rossi posti ai lati del poggiatesta.

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Assemblaggio:

Il cockpit si adatta abbastanza bene nella sua sede, basta tralasciare le due palpebre e i relativi cruscotti per incollarli alla fine del montaggio. Ho aggiunto anche un piccolo spessore dietro il posto del pilota, come mostrano le foto del cockpit reale. Senza di esso la palpebra posteriore lasciava uno spazio eccessivo. Ho utilizzato un semplicissimo pezzo di Plasticard proveniente da una vecchia scheda telefonica.

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Unire le due fusoliere è abbastanza agevole. A seguire bisogna aggiungere la gobba subito dietro il cockpit e utilizzare un filo di stucco lungo la giuntura. Devo ammettere che i problemi di “fitting” sono minimi. E’ importante ricordarsi di incollare le bocche delle prese d’aria al resto della fusoliera prima di chiuderla, in questo modo sarà più agevole incollarle dall’interno, stuccarle e lisciarle.

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Purtroppo l’Italeri si è dimenticata totalmente di fornire i condotti che portano al primo stadio del compressore. Trovandolo esteticamente orrendo, ho deciso di riprodurre dei tappi Anti-FOD su misura. Pensando quale materiale usare, improvvisamente mi è tornato alla mente un ricordo di infanzia quando usavo la plastilina e facevo le forme con i vari stampi. “Perché non usare lo stucco bicomponente che è facilmente modellabile?” – mi sono detto.

Steso un sottile strato, ho usato proprio la bocca della presa d’aria per creare la forma perfetta. Una volta indurito, ho limato giusto un pelo i bordi per renderli lisci e ho ricostruito la maniglia con del lamierino di rame. Infine, ho dipinto i pezzi di rosso e nero.

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Prima di chiudere il tutto ho inserito il vano carrello principale ed anteriore, sufficientemente dettagliati, semplici come nel velivolo reale. Verniciati con il bianco opaco e sporcati con un grigio medio ad olio. Passiamo, adesso, alle superfici inferiori che mostrano una situazione critica, con molti dislivelli e fessure. Sicuramente la parte più ostica è la giunzione tra piano alare, fusoliera e presa d’aria.

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Prima di tutto è necessario usare del Plasticard per ridurre i gap più grandi in modo da avere una base sulla quale lo stucco possa indurirsi senza il pericolo che si ritiri eccessivamente. Ho usato sia il bicomponente, sia il cianoacrilato, e tanta pazienza per pareggiare i dislivelli che proprio sotto le prese d’aria sono a dir poco imbarazzanti!

Alla fine, dopo un attenta sabbiatura, è necessario reincidere i pannelli completamente persi e inserire qualche rivetto qua e là. La prova colore mi ha dato conferma di un lavoro ben fatto. Altro punto veramente noioso è l’aerofreno in coda. L’Italeri ha totalmente errato le dimensioni della superficie mobile realizzandola sottodimensionata rispetto al suo vano. Ho dovuto necessariamente aggiungere del Plasticard viste le fessure; le altre più sottili invece sono state riempite con lo stucco bicomponente. Ovviamente qualche rivetto l’ho dovuto recuperare.

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Archiviati questi due punti critici il montaggio prosegue aggiungendo il cannone ADEN, gli unici due piloni sub alari e gli attuatori degli ipersostentatori. Il pod ha bisogno di un minimo adattamento e l’uso di un filo di stucco liquido (Mr.Surfacer 500). Gli attuatori, invece, mi hanno portato via un bel po’ di tempo:

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Quelli forniti con il kit sono corti ed errati nelle forme, ma hanno degli inviti per inserirli correttamente sotto l’ala. La controparte in resina, invece, non ha i perni di riscontro e costringe a crearli da zero per permettere un incollaggio forte e, soprattutto, un allineamento accettabile.

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I flap sono più lunghi del dovuto; un taglio preciso, dopo aver preso le misure, e tutto va al suo posto.  Ovviamente ho preferito incollare il tutto a verniciatura ultimata, vista la fragilità dei pezzi. A questo punto il montaggio del velivolo è quasi terminato, basta aggiungere le varie piccole antenne previste, le luci di posizione e di navigazione e gli air scoop. Per completare il cockpit mancano le palpebre e relativi pannelli strumenti. Quella posteriore è stata già rifinita ad hoc; quella anteriore, essendo stata modificata totalmente, necessita di stucco bicomponente e un’attenta carteggiatura per dare l’impressione che la palpebra sia solidale con la vasca del cockpit.

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Ho aggiunto anche un cavo, sopra la palpebra stessa, che riproduce il collegamento fisico con uno schermo LCD rimovibile che viene aggiunto dal pilota come ausilio alla navigazione. Ricordo per chi non lo sapesse, che la versione biposto T.1 da addestramento possiede una strumentazione totalmente analogica. Un spruzzata di nero Nato Black Tamiya XF-69, un leggero dry brush con grigio chiaro dove serve, e si può procedere a fissare il parabrezza che necessita, come detto, di molta attenzione. Dopo aver trattato, al solito, il trasparente con la cera Future e lasciato asciugare per bene, ho iniziato un’attenta fase di adattamento del pezzo. I buoni modellisti sanno che più precise sono le prove a secco e meno stucco si userà dopo. Come già visto sul forum, ho utilizzato uno stuzzicadenti per allargare il windishield quel tanto che basta per farlo collimare con i bordi della fusoliera. Per l’incollaggo ho utilizzato la colla cianoacrilica che funge anche da stucco re-incidibile.

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Successivamente mi sono dedicato all’assemblaggio del carrello. E’ ben fatto ed ho trovato molto gradevoli le ruote già con l’effetto peso; per aumentare il dettaglio ho aggiunto dei cavi e delle piccole decal.

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Qui posto una foto dei carrelli già ultimati, verniciati e trattati con i colori ad olio.

Adesso mano al nastro Kabuki e cutter, si vernicia!

Verniciatura:

Chiunque trova la fase di verniciatura la più divertente di tutte… o sbaglio, forse?

Sia perché il modello comincia a prendere vita, sia perché caricare l’aerografo e spruzzare i colori è davvero una soddisfazione! Per mascherare le superfici inferiori ho utilizzato il nastro Tamiya; oltre a questo ho inserito delle spugnette all’interno dei vani carrello per proteggere il bianco sottostante. La pancia del mio Hawk è in White Allumiunum Alclad, vernice che richiede un pizzico di attenzione in più rispetto ai colori acrilici perché non perdona nessun errore di montaggio o stuccatura. Quindi, prima di stendere il nero lucido a smalto che funge da base liscia e omogenea, è meglio fare un controllo generale sul modello.

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Come anticipato, sotto al colore metallizzato ho utilizzato il nero 22 Humbrol – pigmento molto coprente e autolivellante. Ho utilizzato una diluizione di 60% thinner e 40% vernice che, a mio avviso, è l’ideale. Lasciato asciugare all’incirca sei ore, ho caricato l’aerografo con il White Aluminium ed ho ricoperto il primer nero. Mi lasciano sempre soddisfatto gli Alclad, hanno dei bellissimi rilfessi! Ho, infine, differenziato la volata del cannone con il Pale Burnt Metal.

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Ho atteso una notte prima di rimuovere le mascherature che, una volta eliminate, hanno messo in evidenza alcuni punti dov’era necessario qualche ritocco. Quello più ostico da riprendere è stato quello sotto le prese d’aria che ha una linea tondeggiante particolare. Ho provato, svariate volte, a staccare e riattaccare i pezzettini di nastro tagliati per trovare la giusta sagoma ma alla fine ho dovuto faticare un pochino.

Passiamo, ora, alle superfici superiori:

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Il tono più chiaro è il Dark Earth Tamiya XF-52, mentre il verde delle macchie è il Dark Green Tamiya XF-61. Come metodo consolidato per riprodurre le sfumature tra i due colori della mimetica ho utilizzato il solito Patafix, che si è comportato egregiamente non lasciando aloni. Su un aereo abbastanza piccolo come questo il suo utilizzo non è eccessivo e ci vuole circa un’oretta a formare i “salsicciotti” e stenderli correttamente sulle superfici.

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Circa tre passate di trasparente lucido Tamiya X-22, diluite al 70% e qualche goccia di “Paint Retarder”, e si può procedere con la fase successiva. Prima di andare avanti, però, mi sono dedicato alla verniciatura del canopy. All’interno ho spruzzato il Nato Black Tamiya; esternamente, invece, oltre alle due tinte della mimetica ho riprodotto anche il montante centrale che sul BAe Hawk ha la particolarità di essere in bianco.

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Dopo la verniciatura e il trasparente lucido ho aggiunto le caratteristiche frecce gialle “Rescue” che indicano la maniglia di apertura del canopy.

Weathering:

Non c’è molto da scrivere su questo punto perché la maggior parte degli effetti utilizzati per invecchiare un modello dipendono dallo stato di servizio del velivolo a cui si riferisce, dalle condizioni in cui opera e dall’efficienza delle manutenzioni. Questo Hawk è stato uno Special Color verniciato “ex novo”, quindi ha poco senso parlare di un vero e proprio “invecchiamento”. Ho deciso di utilizzare solo i classici lavaggi ad olio per dare profondità alle linee di pannello e ai rivetti.

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Non volevo appesantire troppo il dettaglio si superficie, quindi ho optato per il Bruno Van Dick molto diluito sfruttando la capillarità per evidenziare le incisioni. Al contrario, nella parte posteriore della fusoliera ho calcato di più la mano per mettere in risalto la rivettatura a testa tonda. A me l’effetto piace. Sulle superfici inferiori ho effettuato il washing con un grigio medio non troppo scuro. Non ho ricreato nessuna scia di sporco, colatura di liquidi o polveri varie per essere coerente con l’intento di riprodurre un modello pulito da esibizione ( trovando conferma anche dalle foto trovare sul web). Altro strato di vernice lucida Tamiya X-22 e si passa alla delicata posa delle decal.

Decalcomanie:

In realtà sono davvero poche e si contano sulla punta delle dita. Sembrano ben fatte, in registro e dai colori vividi, però una volta stese sul modello sono piuttosto rigide e bisogna trattarle più volte con i liquidi ammorbidenti. Inoltre, mi è sembrato che le coccarde siano più piccole del dovuto. L’ho notato non tanto applicandole sulle ali ma sulla fusoliera. Alla prima occhiata non ci si fa caso ma, facendo un attento raffronto con le foto del velivolo reale, mi sono accorto che non corrispondevano al vero.

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Come riferimento ho preso alcuni pozzetti rettangolari e, nonostante spostassi la decal da una parte o dall’altra, non riuscivo a coprire i pannelli come in foto.  C’è sempre l’ipotesi che i pannelli in scala siano sbagliati, ma a mio avviso le dimensioni delle insegne non sono corrette. Anche gli stencil posti a ridosso della radice alare e delle prese d’aria, che delimitano l’area “no step” di un pannello, sono più piccoli. Nelle foto reali la linea gialla delimita il perimetro esterno del pannello, invece le decals rappresentano una forma all’interno dello stesso.

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Conclusioni:

Prima di passare la vernice opaca per sigillare tutto il lavoro, mi sono dedicato ai “Remove Before Flight” posti sui carrelli. Sono stati realizzati tagliando su misura delle piccole strisce di nastro Kabuki di lunghezza presa, devo ammettere, puramente ad occhio fidandomi delle foto. Ho forato una delle estremità e li ho fissati alle gambe del carrello utilizzando un sottilissimo filo di rame proveniente da cavi elettrici. Di solito non mi piacciono tutti quegli elementi come tappi anti-FOD, bandierine RBF, e coperte per gli scarichi…ma in questo caso ho trovato carina l’idea di inserire questi dettagli per completare e giustificare la presenza dei tappi a chiusura delle prese d’aria.

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Fissati i carrelli e il tubo di pitot della Master, ho passato altre tre mani di opaco. Ho utilizzato il trasparente acrilico della Gunze H-20, diluito sempre al 70% e qualche goccia di paint retarder, ed ho aspettato tra una mano e l’altra almeno un’ora. A questo punto il modello è pronto per la vetrina, basta solo fissare il canopy, inserire i sedili all’interno del cockpit, dare un tocco di trasparente lucido sulle luci beacon e di navigazione e montare il complesso dei flap al loro posto.

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Il BAe Hawk mostra il suo aspetto migliore grazie a questo “vestito d’epoca” con cui si apprezzano ancora di più le forme contenute ma sinuose del piccolo addestratore inglese. Tirando le somme sono abbastanza soddisfatto del mio lavoro; avrei potuto porre più attenzione durante qualche fase, ma lo considero comunque un successo aver portato a compimento questo progetto.

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Buon modellismo a tutti!

Luca “Madd22” Miceli

Video Tutorial: Stampare la resina con la Pressure Pot. SECONDA PARTE.

In questo video spiegheremo il procedimento per stampare la resina sotto pressione utilizzando la Pressure Pot. Quella usata nel video è una Pressure Pot della Grizzly opportunamente modificata per il “resin casting” con l’aggiunta di un connettore ad innesto rapido per immettere aria dal compressore. Oltre a questo, è stato montato un rubinetto per l’espulsione dell’aria e un manometro.
Adottate tutte le norme di sicurezza quando usate la Pressure Pot! Stringete con cura i chiavistelli di chiusura del tappo e controllate che i vari componenti siano in piena efficienza. Le pressioni in gioco potrebbero far saltare il coperchio causando notevoli danni.

Non perdete la prima parte del tutorial: Creare stampi in gomma siliconica con il metodo del sottovuoto.

Buon Resin Casting a tutti!

Valerio “Starfighter84” D’Amadio.

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Video Tutorial: Creare Stampi in Gomma Siliconica con la Tecnica del Sottovuoto. PRIMA PARTE.

In questo video tutorial scopriremo come realizzare stampi in gomma siliconica con la tecnica del sottovuoto. Il “vacuum casting” è ideale per ottenere stampi privi di bolle e perfettamente realizzati.

Non perdete la seconda parte del tutorial: Stampare la resina con la Pressure Pot.

BUONA VISIONE!

Valerio “Starfighter84” D’Amadio.

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Book Rewiew – F-16 “Viper Under the Skin”.


VIPER

Ioannis Lekkas è un fotografo aeronautico accreditato presso il Ministero della Difesa ellenico. Lavora a stretto contatto con la Hellenic Air Force e vanta, al suo attivo, diverse ore di volo sui velivoli della forza aerea greca.

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Quello che sto per recensire è il suo ultimo libro nato in collaborazione con Ilias Gnokis: F-16 Viper Under the Skin. Il volume è composto da più di 100 pagine, ovviamente a colori, e sfogliandolo si scopre una miriade di informazioni raccolte in più di 420 fotografie con relative didascalie.

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L’F-16 è un aeroplano diffusissimo in tutto il mondo ed è, fortunatamente, ben documentato grazie a molte eccellenti pubblicazioni. Contrariamente a quello che si può pensare, però, le versioni più avanzate e particolari del Viper sono tutt’ora un argomento poco affrontato; basti pensare che nella monografia di Jake Melampy – The Modern Viper Guide –  considerata da tutti gli appassionati un punto di riferimento affermato, i Block costruttivi sopra il 50/52 non vengono affatto menzionati.

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Viper Under the Skin va a colmare questo gap concentrandosi, come è facile aspettarsi, sulle varianti in uso nella HAF al giorno d’oggi: i Block 30, 40 e 52 compresi i Block 52M, ulteriore upgrade dei Block 52+ utilizzati, esclusivamente, in Grecia.

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L’impaginazione è accattivante e razionale. Le immagini coprono tutte le zone dell’aereo ed, in particolare, il cockpit a cui sono dedicate ben 11 facciate. Bellissimi i dettagli dei vani avionici e del radar.

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Il sistema idraulico è rappresentato in molte foto che mostrano, tra l’altro, tantissimi vani completamente aperti in fase in manutenzione.

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Le differenze tra le varie versioni sono perfettamente elencate con fotografie dei dettagli che le contraddistinguono. In questo ambito, interessanti quelle dedicate ai diversi motori, Pratt & Whitney e General Electric, e ai CFT (Conformal Fuel Tank) che, tra l’altro, sono i medesimi installati anche sui Sufa israeliani o sui Viper polacchi, turchi o emiratini.

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Gli armamenti sono curati nei minimi particolari: AIM-120C, AIM-9M, AIM-2000 IRIS-T, GBU-24/10, AGM-88 oppure le nuove bombe a infrarosso AGM-154C JSOW.

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In definitiva questo libro è un “must” per tutti i modellisti! La qualità dei contenuti è eccellente e, a mio avviso, ne giustifica anche il prezzo. Invito tutti coloro che fossero interessati ad affrettarsi! Nei primi tre mesi di vendita “Viper Under the Skin” ha già esaurito quasi tutte le copie stampate.

Per l’acquisto potete seguire questo link: http://www.eagleaviation.gr/store

E se volete dare un’occhiata agli altri prodotti editoriali della casa editrice Eagle Aviation, cliccate: http://www.eagleaviation.gr/publications-new

Da qualche giorno, tra l’altro, Ioannis Lekkas ci ha dato una piacevole news: sulla scia del volume recensito in questo articolo sta per uscirne un altro dedicato ai Phantom ellenici! Lascio qualche piccola anticipazione. Per il pre-order potete scrivere direttamente all’autore usando questo indirizzo: ilias_gkonis@yahoo.co.uk

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Buon modellismo e, soprattutto, buona lettura!

Valerio – Starfighter84 – D’Amadio.

La “strana” coppia! Prima parte – Spitfire Mk.IIa dal kit Tamiya in scala 1/48.

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Spitfire P7350 – The Flying Legend.

Non perdete la SECONDA PARTE dell’articolo!

Non ho mai nutrito una particolare simpatia per i velivoli RAF, o se vogliamo dirla diversamente, non sono mai stati tra i miei preferiti in termini modellistici. Se non si fosse presentata l’occasione del Group Build 2014 – Forze Armate Britanniche – non avrei mai intrapreso la costruzione di questo modello e del suo co-protagonista (di cui parlerò nella seconda parte).

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Copyright Dragon Lady (AirSpace). Tutti i diritti riservati. Utilizzo per fini illustrativi.

Vedendo questa foto una domanda mi è sorta spontanea: come mai il BAe Hawk veste questa insolita livrea?! Ma soprattutto perché questa accoppiata, agli antipodi, in volo? Da qui è nato il progetto che vi illustrerò in una mini-serie di due articoli da leggere sulle pagine di Modeling Time. Spero mi seguirete in questa mia piccola avventura editoriale!

Soggetto:

Inizialmente considerai la realizzazione dello Spitfire semplicemente come un contorno all’Hawk, ma solo a lavori conclusi ho scoperto che il soggetto da me realizzato nascondeva molto di più sotto quella vernice. Infatti lo Spitfire Mk IIa P7350 è un vero e proprio veterano di guerra. E’ tutt’oggi il più vecchio Spitfire in condizione di volo al mondo e l’unico ad aver combattuto la Battaglia di Inghilterra.

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Entrò in servizio nell’Agosto del 1940, prima nel 266° Squadron e successivamente nel 603° (City of Edinburgh) RAuxAF Squadron. Nell’ottobre del 1940 fu coinvolto in un combattimento contro un Bf-109 che lo costrinse a un atterraggio di fortuna. Il pilota Ludwik Martel fu ferito sul lato sinistro del corpo e dolorante riuscì a portare l’aereo giù fino a un campo, atterrando di pancia. Il “P7” tornò operativo solo all’inizio del 1941 con il 64° Sqn. nella Francia occupata, successivamente nel 1942 fu ritirato dal servizio operativo e destinato a reparti di addestramento al tiro e di manutenzione dove di impiegato fino al 1944. Nel 1948 fu venduto come rottame al Sig. Jonh Dale che, intuito il significato storico, lo donò al museo RAF di Colerne dove rimase fino al 1967 (anno in cui fu riportato in condizioni di volo per esordire come protagonista della pellicola “Battle of Britain”). Fu registrato con codice G-AWIJ.

Da allora il “P7” vola per conto della Battle of Britain Memorial Flight, ovvero una branca “patriottica” della RAF che rimembra le gesta della Battaglia d’Inghilterra mantenendo in condizioni di volo molti degli aerei utilizzati al tempo.

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Dal 1968 al 1999 il velivolo ha vestito i seguenti codici:

  • ZH-T      266 Sqn
  • UO-T     266 Sqn
  • QV-B       19 Sqn
  • SH-D       64 Sqn
  • EB-Z        41 Sqn
  • YT-F        65 Sqn
  • RN-S       72 Sqn
  • BA-Y     277 Sqn (Air Sea Rescue)

 

Dal 2000, ritirato brevemente per una revisione generale, il “P7” ha vestito i colori del 603 Sqn, lo stesso che lo ha utilizzato durante la BoB con i seguenti codici:

XT-D: l’aereo del capo squadriglia “Uncle” George Denholm.

XT-W: quelle che vestiva quando fu abbattuto.

XT-L : dal 2007 al 2008, usati dell’asso Gerald Stapleton che servì lo Squadron per tutta la durata degli scontri sulla Manica.

Nel 2009 ricevette i codici QJ-K dell’asso Geoffrey Wellum, del 92 Sqn, primo ad abbattere un He-111. L’ultimo codice ricevuto, e tutt’ora rappresentato sulla fusoliera, è l’EB-G del 41 Sqn dell’asso Erik Lock, che segnò tre abbattimenti in una sola sortita.

Kit di montaggio:

Essendo questo Spitfire una versione “early”, la mia scelta è caduta senza pensarci due volte sull’ottima scatola Tamiya (Aircraft series No. 32), che nella scala del quarto di pollice è apprezzata soprattutto per la precisione degli incastri.

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Essa è composta da due stampate in stirene grigio, più una trasparente e un foglio decal che permette la realizzazione di due esemplari RAF impiegati, ovviamente, durante la Battle of Britain. Il Kit è veramente ottimo. Le forme generali sono più che precise e le pannellature finemente incise. Gli interni sono molto dettagliati e non necessitano di migliorie. Proprio a voler trovare il pelo nell’uovo, la ditta giapponese avrebbe potuto fornire le superfici di governo già separate e dettagliare maggiormente gli scarichi motore.

Nonostante la buona qualità del modello, per mia esclusiva pignoleria ho usato due aftermarket in resina:

Quickboost 48401: seggiolino con cinture stampate.

Ho scelto di sostituire il sedile originale perché l’accessorio della Quickboost ha la seduta più corretta nelle forme. Infatti il seggiolino reale ha uno scasso sul fondo atto ad ospitare il paracadute che fungeva anche da cuscino inferiore. Essendo l’unico elemento davvero visibile nell’angusto abitacolo, ho reputato giusto sostituirlo.

Quickboost 48191: scarichi “fishtail” delle versioni “late”.

Come testimoniano le foto, nel momento in cui è stato immortalato accanto al BAe Hawk il velivolo montava degli scarichi diversi dagli originali; quindi, per coerenza estetica e storica, ho sostituito anche questi. La motivazione tecnica è presto spiegata: con gli exhaust di tipo “fishtail” il Merlin guadagna qualche cavallo di potenza in più che può tornare utile durante un’esibizione aerea.

Cockpit:

Una zona semplicissima da assemblare, ma di grande effetto. E’ davvero un piacere mettere assieme le pochi parti che lo compongono, ovvero l’ordinata frontale sul quale è montato il pannello strumenti, quella posteriore che ingloba il pannello blindato a protezione del pilota e la struttura che sorregge il sedile. Lateralmente ci sono pochi elementi tra cui spiccano le bombole di ossigeno, le manette e la cloche.

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Ho aggiunto anche qualche cablaggio riprodotto con il sempre versatile filo di rame. Nonostante il cruscotto abbia la strumentazione già stampata, con un mirato dry brush fa ugualmente una bella figura. Il cockpit è stato verniciato con prodotti acrilici e successivamente trattato con i vari passaggi di rito: ovvero lumeggiatura dei dettagli, trasparente lucido, lavaggi ad olio ed infine opaco.

Il verde caratteristico degli interni è stato riprodotto miscelando opportunatamente il verde Gunze H312 (F.S. 342279) e Tamiya XF-83 (Medium Sea Grey) in rapporto di 10:1.

Per il sedile ho usato il Linoleum Deck Brown XF-79 Tamiya, mentre per le cinture Il Tan H-310 Gunze. Qualche tocco di alluminio, rosso e nero hanno dato un tocco di colore ai dettagli.

Assemblaggio:

Qualsiasi modellista sa che la Tamiya è sinonimo di precisione. Quindi, per ciò che riguarda il montaggio del modello c’è fortunatamente poco da scrivere!

Bisogna solo fare un minimo di attenzione alla linea di giunzione delle due valve che compongono la fusoliera e all’unione tra quest’ultima e l’ala.  Personalmente ho usato la Tamiya Extra Thin Cement, conosciuta da molti come “tappo verde”, per unire i pezzi; se utilizzata con precisione, l’incollaggio risulterà talmente pulito da non necessitare di alcuna re-incisione delle pannellature.

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Ho aggiunto dei correntini di rinforzo su entrambi le semi ali utilizzando del filo di acciaio abbastanza rigido. Questi rinforzi non si trovano su tutti gli Spitfire e la documentazione fotografica mi è stata molto utile in questo caso.

foto correntini rinforzo

Anche il parabrezza va al suo posto in modo del tutto agevole: dopo il trattamento della ormai immancabile cera “Future”, e alla verniciatura della struttura interna, il pezzo è andato a posto utilizzando pochissimo cianacrilato e nessuna stuccatura.

Alla fine ho anche separato i timoni di profondità e gli alettoni di manovra dalle loro rispettive sedi.

Verniciatura:

 Il “mio” Spitfire sfoggia, con orgoglio, la classica mimetica a due toni di Dark Green e Dark Earth utilizzata dalla sua entrata in servizio nel 1938 e mantenuta sino alla fine della battaglia di Inghilterra, nel 1940.

Successivamente il marrone della livrea fu sostituito da un grigio medio, più adatto al nuovo teatro di operazioni dell’Europa continentale. Le superfici inferiori invece sono dipinte in Sky Green.

Le codifiche dei colori secondo la British Standard colour chart BS381C sono:

  • RAF Dark Green     BS381-241
  • Dark Earth              BS381-450               
  • Sky                           BS381-210        

Fortunatamente queste tinte le ho trovate già pronte in commercio:

  • Dark Green       Tamiya XF-81
  • Dark Earth        Gunze H-72
  • Sky                     Tamiya XF-21

 Ho iniziato dalle superfici inferiori, totalmente verniciate in Sky diluito al 70%. Essendo un colore molto chiaro sono necessarie tre passate di vernice per un effetto coprente.

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A seguire mi sono dedicato alle superfici superiori spruzzando, dapprima, il Dark Earth e successivamente il Dark Green avvalendomi dell’uso del Patafix per simulare uno stacco tra le due tonalità sfumato e in scala.

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Conclusa questa fase ho verniciato anche le fasce nere delle walkaway ai lati del cockpit. I codici identificativi del velivolo li ho riprodotti per mascheratura armato di…. tanta pazienza!

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Ho iniziato con il prendere le misure e le proporzioni delle lettere fornite dal foglio decal originale; poi ho ritagliato tante strisce di nastro Kabuki e, utilizzando il supporto di un pezzo di cartoncino rigido, le ho allineate una dopo l’altra parallelamente facendo attenzione a sovrapporre i lati delle solo di pochi millimetri.

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Ho proseguito disegnando direttamente sul nastro i caratteri, e creando una mascherina per il gruppo XT e un’altra per la singola lettera L. Infine, con molta attenzione ho inciso i bordi delle lettere con un bisturi affilato. Purtroppo non ho potuto creare una maschera unica per sfruttarla sia sul lato destro, sia sul sinistro (altrimenti, da una parte, la successione delle lettere sarebbe risultata invertita).

Decalcomanie: 

Avendo verniciato i codici in fusoliera, le decal rimaste da applicare sono davvero poche. Ciò nonostante l’operazione mi ha creato qualche problema dettato dalla mancanza di alcune insegne.

Osservando le foto dell’esemplare da me riprodotto, le coccarde RAF necessarie sono sei:

  • Due in fusoliera di tipo A1.
  • Due sull’estradosso alare di tipo B.
  • Due sull’intradosso alare di tipo A.

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Mi sono presto accorto che una roundel di tipo A mancava, e quindi l’unica soluzione era quella di utilizzarne una bordata di giallo (A1) e, con molta calma e mano ferma, scontornarla fino ad ottenere quella di tipo A. Purtroppo non avendo un taglierino a compasso, i bordi lasciano alquanto a desiderare, ma alla fine solo un occhio pignolo se ne accorge. L’utilizzo dei liquidi ammorbidenti è strettamente necessario anche in questo caso per fare “copiare” le pannellature sottostanti le decalcomanie.

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Anche la matricola P7350 mi ha dato qualche grattacapo. Infatti l’ho dovuto ricostruire da zero facendo un collage con quello che avevo a disposizione nella mia banca “spare part”. Purtroppo l’applicazione è stata sofferta e sotto qualche segmento è apparso un leggero silvering.

Invecchiamento: 

Fin dall’inizio dei lavori ero cosciente che questo Spitfire sarebbe stato un velivolo da esibizione. La fase di “invecchiamento”, se così posso definirla, si è limitata a dei lavaggi ad olio per mettere in risalto le belle pannellature in fine negativo. Ho utilizzato un grigio medio sulle superfici inferiori, e del Bruno Van Dick su quelle superiori.

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Ho anche simulato la scia di fumi incombusti lungo la fusoliera adiacente i collettori di scarico utilizzando il Tamiya Smoke X-19 (attenzione a non esagerare! Il mio consiglio è quello di stendere mani molto leggere!).

Simulato, infine, anche lo sporco lasciato dal calpestio lungo la zona walkaways nera sul lato sinistro.

Conclusione

Non resta che inserire nelle apposite sedi il carrello di atterraggio, le superfici mobili precedentemente separate e l’elica tripala.

In realtà mi sono accorto proprio sul finale, che mancava qualcosa al modello, qualcosa di colorato per giunta: le coperture in tela delle volate delle mitragliatrici, quattro per semiala!

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Ho tagliato, quindi, dei quadratini di adeguata misura fatti di nastro Kabuki, verniciati di rosso, e poi applicati sul modello. Non sono molto soddisfatto del risultato, ma nel complesso è un buon colpo d’occhio. Due abbondanti mani di vernice opaca hanno sigillato il tutto. Un tocco di colore alle luci di navigazioni, del lucido su alcuni particolari metallizzati, portello e canopy aperto ed il modello è pronto per la vetrina.

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Come già detto ad inizio articolo, questo soggetto è stato davvero una sorpresa perché si è rivelato molto più interessante di quanto mi sarei mai potuto aspettare. Nonostante sia un amante dei jet moderni, mi accorgo che le eliche hanno nelle forme, nelle storie e nella tecnica qualcosa che non tornerà più, un qualcosa che li rende unici e irresistibilmente affascinanti. Mi rimprovero di non avere prestato più attenzione durante alcune fasi della costruzione, ma credo sia comune ad ogni modellista quel momento in cui ci si dice: “eppure c’è qualcosa che non mi soddisfa a pieno”. L’autocritica, a mio avviso, rimane comunque un aspetto positivo e di crescita.

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Non perdete la seconda parte dell’articolo che vedrà, come protagonista, il compagno “moderno” del mitico Spitfire P7! Per questo è doverosa qualche un’altra foto che celebri l’unicità della “strana” coppia albionica!

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Un ringraziamento speciale va al buon Guido “SPILLONEFOREVER” che gentilmente mi ha donato il canopy che io, maldestramente, avevo reso inutilizzabile.

Buon modellismo a tutti!

Luca “Madd22” Miceli

Tutorial: Washing, The best technique!

Chi di noi non ha mai avuto problemi con i lavaggi o washing?
In questo video che ho realizzato, vi mostro quella che per me è la tecnica più efficace e semplice di sempre per applicare la tecnica dei lavaggi alle nostre realizzazioni.
Basta con i modelli inzaccherati anche dove non serve di colore ad olio/enamel!
Ecco il “necesser” :-D :
– Lucidate a dovere il modello con un buon acrilico (io vi consiglio l’X-22 della Tamiya)
– Munitevi di colore ad olio o apposito enamel,
– White spirit o diluente per smalti (ad esempio MIG o Humbrol)
– Due pennelli a punta tonda di buona qualità della misura n°1
– Cotton Fioc nuovi
– Due piccoli contenitori
– Fate Ordine sul piano di lavoro

Good Learning and set HD mode:

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Questa tecnica che uso prevede la scomposizione dei due elementi tipici del lavaggio o washing ( thinner e colore) che normalmente vengono mescolati prima di essere applicati. Io li ho separati per fonderli direttamente in loco così da sfruttare la capillarità a vantaggio sia del tempo impiegato che della pulizia generale del lavoro che ne viene fuori. Il metodo è applicabile a qualunque situazione richieda l’uso dei lavaggi o washing.
Nota:il colore scelto deve essere stemperato se troppo denso.
Ciauz

Non perdete la prima parte del video! CLICCATE QUI!

Lumeggiature, lavaggi e filtri!

Ci sono grandi differenze tecnico-pittoriche tra lumeggiature, lavaggi e filtri che nel modellismo statico molto spesso vengono confuse; alcune di queste si pensa siano relegate solo ad alcuni settori del modellismo come ad esempio chi realizza figurini. In realtà sono tre tecniche complementari tra loro che a parer mio sono inscindibili per realizzare effetti cromatici di grande impatto.
In questo video cercherò di differenziare le tre cose per darvi un’idea di come è fatto un lavaggio, una lumeggiatura e un filtro. In questo tutorial ho utilizzato colori acrilici vinilici, ma potete scegliere degli smalti o colori a olio.

Good Learning and set HD mode!

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Ciauz

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My War Horse – SE.5a Hisso dal kit Wingnut Wings in scala 1/32.

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My War Horse – SE.5a Hisso dal kit Wingnut Wings in scala 1/32: Avendo già constatato la qualità dei modelli della Wingnut Wings, avevo da tempo deciso di mettere sul banco di lavoro un altro meraviglioso biplano, il SE.5a “Hisso”. Entrato in servizio nel 1917, fu uno dei più importanti aerei della RFC nella Prima Guerra Mondiale. Il soprannome “Hisso” deriva dal motore da 200 cavalli che lo equipaggiava, un Hispano Suiza (HIS-SO). Poi una sera, mentre guardavo il film “War Horse”, ho avuto l’idea del diorama che lo avrebbe visto protagonista. In particolare mi ha colpito una scena in cui un cavallo corre attraverso un campo di battaglia della grande guerra travolgendo il filo spinato. Alla fine, stremato, cade a terra di fronte alle linee nemiche.

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Ho iniziato, così, a girare nella mia testa il mio personalissimo film: ho deciso di sostituire l’aereo al cavallo immaginando un atterraggio di fortuna in cui l’Hisso viene frenato dal filo spinato, finendo la sua corsa in prossimità della trincea nemica con le ali, il carrello e l’elica danneggiati.

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Naturalmente questo provoca la reazione dei soldati tedeschi che escono dalla trincea per catturare il pilota ferito.

Gli “attori”:

Aprire una scatola della Wingnut Wings è come al solito un piacere per gli occhi. Il manuale e’ corredato di immagini e foto molto utili per riprodurre fedelmente il biplano. Le decal sono Cartograph di ottima qualità, e permettono di realizzare cinque diverse varianti.

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L’ingegnerizzazione del modello è tale che gli incastri richiedono pochissima quantità di stucco. Inoltre la casa fornisce ben due fusoliere a seconda che si voglia realizzare il biplano con la tela allentata dal tempo o tesa come in un aereo nuovo.  Nella confezione sono presenti anche delle fotoincisioni per la cintura e per i particolari della mitragliatrice.

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Per i soldati tedeschi, invece, ho usato un set della Andrea Miniatures.  La scatola comprendeva oltre ai tre “Sturmtruppen” in metallo bianco anche una basetta in resina che ho tenuto per altri progetti.

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Infine il pilota inglese e’ della Tommy War in resina con un livello di dettaglio molto alto.

Il protagonista: l’Hisso

Naturalmente il primo passo e’ stato l’assemblaggio del cockpit dell’aereo. Questa volta ho deciso di non fare particolari lavori di dettaglio sia per la qualità del modello sia perché una volta chiuso si sarebbe visto ben poco. Ho dipinto gli interni con colore ad olio terra di Siena e Ocra perché, dalle foto di un esemplare restaurato, avevo visto che il legno tendeva al giallo crema.

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Sul quadro ho applicato le decal, simulando con uno strato di future i relativi vetrini.

quadro strumenti

Per l’imbottitura del seggiolino ho utilizzato un mix di marrone e rosso Vallejo accentuando le ombre con il colore ad olio Ombra Bruciata.

seggiolino

Le uniche aggiunte sono stati i cavi. Sui lati della fusoliera erano prestampati, per cui li ho eliminati sostituendoli con del filo elastico alle cui estremità ho aggiunto dei piccoli segmenti di tubicino da .5 mm di diametro. Successivamente mi sono dedicato alla tiranteria sul pianale del cockpit che servivano per azionare le superfici di manovra.  Per far questo e’ stato necessario prima fissarli sotto il seggiolino e poi, montate le ali inferiori che fanno anche da fondo, li ho tirati e fissati con due paia di pinzette a spillo.

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Un’altra aggiunta e’ stata la leva che dall’interno azionava le griglie del radiatore.

leva

Terminati gli interni ho potuto richiudere la parte restante del cofano vicino all’abitacolo.

Ho, quindi, utilizzato le fotoincisioni della scatola per dettagliare la mitragliatrice Vickers mentre per la Lewis, montata sull’ ala superiore, ho utilizzato una parte di un set HGW che avevo nella cassetta degli attrezzi.La Lewis e’ stata poi posizionata sul suo supporto aggiungendo il nastro sul caricatore e il cavo che ne comandava il funzionamento, la cui parte finale e’ stata in seguito inserita all’interno del cockpit.

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Il lavoro più complicato è stato decidere come danneggiare l’aereo, quale materiale utilizzare per la tela lacerata e in che modo posizionarlo sulla basetta.  Per prima cosa mi sono dedicato ai danni dell’aereo, comprendenti la rottura delle ali, del carrello e dell’elica. Dopo essermi studiato degli schemi e delle foto di un Hisso restaurato, ho deciso di procedere al taglio dell’ala inferiore con una lama foto incisa, eliminando una buona porzione della stessa e ricreandola con del Plasticard.

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Una volta individuati i punti di rottura ho tagliato di nuovo cercando di lavorare le estremità dei monconi in modo da riprodurre il legno scheggiato. Lo stesso procedimento e’ stato utilizzato per l’ala superiore senza però spezzarla del tutto.

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ala sup spezzata

Una volta individuati i punti di rottura ho tagliato di nuovo cercando di lavorare le estremità dei monconi in modo da riprodurre il legno scheggiato. Lo stesso procedimento e’ stato utilizzato per l’ala superiore senza però spezzarla del tutto.

Per simulare la tela strappata, dopo numerosi tentativi, ho optato per il Milliput. E’ un materiale che si può’ tirare come una sfoglia e modellare come della stoffa. Usando un barattolo di vetro cosparso di talco ho realizzato degli strati sottilissimi. Dopo averne verniciato, ancora fresco, il lato interno con il Gunze “Sail”, ho adagiato il sottile strato sulla centinatura dando la forma di un tessuto lacerato.

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Una volta essiccato ho lavorato i bordi con un trapano da modellismo in modo da assottigliarli il più possibile e riportarli in scala.

Mi sono, quindi, dedicato al motore. Qui ho riscontrato un problema del kit segnalato in rete anche da altri modellisti: se si monta lo si monta seguendo le istruzioni, il cofano poi non può più essere messo in posizione perché i cilindri rimangono troppo alti. Per ovviare a questo inconveniente, in seguito, ho dovuto montare per prima cosa la parte inferiore del propulsore; poi ho eliminato i perni di incastro dei cilindri e li ho incollati direttamente all’interno del cofano, chiudendo il tutto. L’Hispano-Suiza e’ stato dipinto con Alclad Alluminio, poi trattato con lavaggio scuro Mig, Winter Streaking Grime della AK per le colature, e lavaggio Grease della Mig in piccolissime quantità per le perdite di olio.

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motore 1

E’ giunto così il momento della verniciatura, iniziando dalle superfici inferiori che erano in Clear Doped Linen. Ho ottenuto la tinta con un mix di Sail e Radome della Gunze con cui ho dato la prima mano. Poi ho ricoperto la centinatura con il nastro da 1,5 mm e 0.5 mm e spruzzato sui suoi bordi del Flat Earth Tamiya molto diluito per ricreare le ombre.

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Tolto il nastro ho utilizzato nuovamente il mix di radome e Sail per attenuare le ombre, ho spruzzato la tinta base schiarita all’interno della centinatura e infine ho utilizzato un mix di diluente sporcato con Dark Yellow e Desert Yellow Tamiya sulla centinatura e i bordi per ricreare la tela ingiallita dal tempo.colore inf2

Ho preferito lasciare un poco accentuate le ombre perché i vari trasparenti successivi avrebbero ridotto l’effetto finale.

Le superfici superiori, invece, erano verniciate con il PC10, sigla che indica un verde tendente al marrone man mano che l’ossido di ferro contenuto nella vernice si alterava con il tempo. Inizialmente avevo usato un mix di XF-62 e XF-10 Tamiya. Non soddisfatto del risultato ho sverniciato e utilizzato il Tamiya XF-81. Come per la parte inferiore ho mascherato la centinatura e utilizzato lo stesso procedimento. A questo e’ seguita una fase di post shading aggiungendo al colore base il Dark Yellow Tamiya. Dopo aver passato il lucido, ho effettuato un lavaggio ad olio con Nero e Ombra Bruciata.

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Dopo una nuova mano di lucido ho applicato le decal che si sono dimostrate ottime e sottili.

E’ seguita una fase di ritocchi. Con un mix di Flat Earth e Desert Yellow Tamiya ho aggiunto delle zone più marroni ai bordi delle ali e in vari punti sul resto dell’aereo. Con un pennello e del silver a smalto Model Master ho aggiunto un po’ di scrostature sulle parti metalliche,cercando poi di armonizzare il tutto con un filtro marrone per smorzarne la lucentezza. A seguire ho aggiunto della ruggine sui bordi del cofano e sulle piastre di rinforzo in corrispondenza degli scarichi utilizzando, come al solito, i pigmenti della Mig . Ho sistemato i supporti per l’ala superiore che ho rivestito con nastro Tamiya per simulare i rinforzi reali. Infine ho desaturato le decal con un velo di verde molto diluito e dato una mano di opaco per omogeneizzare il tutto.

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Montato il cofano ho posizionato gli scarichi che ho lavorato come al solito con una base di Alclad ( mix di Copper e Burnt  Iron) su cui ho passato i pigmenti Rust e Rocket Exahust della Mig.

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Infine ho ricreato la centinatura della deriva, che la Wingnut fornisce completamente liscia, con delle sottili strisce di nastro Tamiya. Poi, ho applicato le restanti decalcomanie con abbondante uso di Micro Sol in modo che aderissero bene ai rilievi creati, un po’ come la stoffa avrebbe fatto sulla intelaiatura del legno.

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E’ venuto così il momento dei tiranti. Come al solito ho utilizzato il filo EZ Line e tubicini in ottone da 0.5 di diametro, alternati a delle fotoincisioni della RB Production per simulare i tenditori. Dopo aver piantato gli anellini di filo metallico da 0.1 mm nei punti di attacco dei tiranti, ho iniziato a fissare il filo nella parte inferiore dell’ala superiore.  Aiutandomi con un supporto ad hoc per il biplani li ho poi tirati e fissati all’ala inferiore.

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Per quanto riguarda i tiranti che, nel diorama, si sarebbero strappati nell’urto, ho utilizzato del filo metallico perché quello elastico sarebbe stato poco realistico.

Dopo circa 64 anellini, 20 fotoincisioni e 60 tubicini il lavoro in punta di pinzette ha avuto termine…

A seguire ho incollato anche il carrello spezzato nell’atterraggio e sporcato le superfici inferiori del biplano con un mix di pigmenti Mig ( Russian Earth e Graveyard Dirt) che ho fissato con l’apposito fixer in modo da lasciarli un poco densi e spessi.

I coprotagonisti: i figurini

Mentre mi documentavo sulla divisa delle truppe tedesche, ho scoperto che e’ stata modificata nel corso della WW1. Inizialmente la giacca era grigio verde mentre con il tempo divenne del colore grigio simile a quello delle uniformi della seconda guerra mondiale.

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Ho deciso di riprodurre l’uniforme più vecchia usando i colori Vallejo. Per il verde sono partito da una base di Green Grey 886 e German Fieldgrey 830 che ho schiarito con aggiunta di 886 e Green Grey 971, e scurito con 830. Per il grigio ho realizzato una base composta da Dark blue Grey 867, White Grey 993 e Luftwaffe Uniform 816 che ho schiarito con Light Green Blue 972 e scurito con 867.

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Le parti in cuoio le ho dipinte con colori ad olio mentre per il lanciafiamme non ho utilizzato vernici, bensì ho lucidato e invecchiato direttamente il metallo bianco del figurino.

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Il pilota in resina è stato leggermente modificato nella postura. Originariamente faceva parte di una scena in cui descriveva le evoluzioni di un aereo. Personalmente ho tagliato la gamba destra all’altezza del ginocchio e dell’anca in modo da fargli assumere una postura più eretta e ho modificato la posizione del braccio destro, stuccando il tutto con del Milliput. Dopo una mano di primer ho verniciato con Vallejo 830 e Olive Green 967 i pantaloni, mentre ho usato colori che vanno dall’ocra al marrone per la giacca di pelle.

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La scenografia: la basetta.

Era la prima volta che realizzavo una trincea e ho cercato vecchie foto per avere dei riferimenti a cui ispirarmi.

Su una base in legno, a cui ho incollato due sponde in compensato, ho sovrapposto dei fogli di polistirolo per raggiungere l’altezza necessaria a ricreare le pareti del camminamento. Per evitare che su di un lato si vedesse solo un muro di terra, ho deciso di realizzare una galleria come quella che i soldati scavavano per raggiungere le trincee nemiche. In questo modo l’effetto visivo viene alleggerito e si offre un altro spunto all’attenzione dello spettatore.

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Una volta consolidata la struttura con del gesso, ho iniziato a costruire le barriere di contenimento in legno. Ho usato delle stecche di tiglio che ho invecchiato cercando di raggiungere quel tipico colore del legname degradato dalle intemperie. Per far questo ho preferito i colori ad olio su una base acrilica marrone chiaro molto diluita semplicemente per limitare un poco la permeabilità del materiale. In particolare ho fatto dei lavaggi con gli oli Ombra Bruciata e il Grigio Payne per ottenere quelle sfumature scure e bluastre delle tavole marcite a causa dell’umidità.

Quindi ho ricoperto tutto con un mix di terra, gesso, pigmenti marroni per rinforzare il colore e un legante acrilico comprato in negozio di belle arti. Per il fango ho aggiunto alla mistura un pò di colla vinilica. Un bel dry brush con diverse tonalità di marrone ha permesso di spezzare la monotonia del colore.

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Ultimata la struttura ho pensato di aggiungere diversi particolari. Per prima cosa le radici di un albero spezzato e secco che si fanno strada attraverso le assi. Per l’interno del tronco ho utilizzato un vero pezzo di ramoscello spezzato, ricoprendolo con il gesso e scolpendo il resto delle radici. Poi ho aggiunto una protezione di sacchetti di terra e uno scudo da trincea attraverso il quale i soldati potevano prendere la mira in relativa sicurezza. Per i sacchi ho utilizzato il Milliput su cui ho lasciato una trama simile al tessuto spingendo su di essi un pezzo di stoffa. Lo scudo e’ auto costruito con del Plasticard.

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Visto che l’acqua ristagnava all’interno della trincea ho riprodotto delle pozze sul fondo con la resina bicomponente debitamente “intorbidita” con l’aggiunta di un po’ di Buff Tamiya. Infine, ho aggiunto delle barriere di filo spinato realizzato intrecciando tre fili metallici da 0.1 mm e tagliandoli in modo da creare le punte. Alcuni attrezzi e portavivande contribuiscono poi a dare credibilità all’ambientazione. (foto diorama)

Ciak si gira:

Alla fine ho potutoassemblare tutte le parti.  Come al solito e’ stato il momento più emozionante, quello in cui finalmente vedevo realizzato quanto fino a quel momento avevo potuto solo immaginare.

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L’aereo che perde quota, l’impatto con il terreno, la corsa attraverso il filo spinato e, dopo un interminabile momento di silenzio, le urla dei soldati che provengono dalla trincea e il pilota spaventato che urla in un tedesco stentato la resa….

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Il finale… beh il bello dei film immaginari e’ che ognuno lo sceglie come vuole… basta solo un po’ di fantasia.

Il Work In Progress completo lo potete trovare sul nostro FORUM!

Buon modellismo a tutti! Andrea “nannolo” Nanni.

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