Dopo avervi fatto sapere vita morte e miracoli degli aerei in legno pressato del Signor Lavochkin, è proprio ora che vi mostri tutte le foto del modello ed il modo in cui ho tirato fuori un aereo da tanti pezzetti di plastica stampata, un rotolo di filo di rame ed uno di filo d’acciaio…ah dimenticavo…qualche pezzetto di recupero dalla mia banca organi.
Lavochkin La-7 dal kit Eduard in scala 1/48- Parte Prima – Storia dei caccia di Semyon Lavochkin.
Era da un paio di mesi che non scrivevo qui in “copertina” ma sempre sul forum narrando la crescita del mio modello, ora sono veramente felice di presentarvelo. Dopo quattro mesi dall’apertura della scatola…
Dato che il La-7 è un modello abbastanza in voga al momento (come ho potuto vedere dai vari siti più cliccati), ma essendo un aereo un po’ di nicchia non essendo ne un Mustang ne un ‘109…quanti di voi sanno com’è fatto e la sua storia? Ho deciso allora di deliziarvi, o annoiarvi, dipende dal punto di vista con la progettazione e la creazione del caccia di Semyon Lavochkin…. tenterò così di distrarvi dalle foto del modello che verranno pubblicate nella seconda parte dell’articolo insieme alla descrizione modellistica…hehehe!!!!
Tutto nacque in terra di Russia, ovviamente e dalla necessità di avere un caccia tattico con ottime attitudini al combattimento tra i 3000 e i 4000 metri di altezza e la cui struttura fosse principalmente in legno, per questo nel 1938 fu costiutuito un gruppo sperimentale di progettazione per la realizzazione di un nuovo aereo. Questo gruppo era diretto da Semyon Lavochkin e ne facevano parte gli ingegneri P. Gorbunov e I. Gudkov, per cui il velivolo che sarebbe uscito dalle menti dei tre avrebbe preso le loro iniziali e si sarebbe chiamato LaGG. Gli ingegneri realizzarono il progetto sulla base di un 12 cilindri a V, il Klimov M 105 P, eccetto la prua, costruita in metallo, la restante struttura del velivolo era monoblocco in legno, sistema chiamato “delta-drevesina” che consisteva in sottili strati di legno tenuti insieme da resine e conformati ad alte pressioni. Fu costruito un primo prototipo denominato I-22, che volò il 30 marzo 1940. Il collaudo evidenziò un raggio d’azione molto corto ed una manovrabilità mediocre, ma la cosa peggiore era che l’aereo offriva condizioni di volo pericolose, poichè entrava in vite alla minima distrazione. Lavochkin propose quindi una totale riprogettazione ma gli fu risposto che avrebbe dovuto mandare in linea il LaGG 1 così com’era (così venne chiamato l’esemplare messo in produzione), altrimenti non se ne sarebbe fatto nulla. Questa serie non era altro che il prototipo I-22 leggermente affinato, il LaGG 1 però venne presto lasciato a terra a causa della sua problematicità genetica.
In conseguenza di questo fallimento Lavochkin e i suoi collaboratori si rimisero al tavolo da disegno, questa volta con più perizia e corressero i comandi del loro aereo e gli diedero maggior autonomia grazie a nuovi serbatoi, questo prototipo venne chiamato I-301 e fu il predecessore del LaGG 3. Era capace di arrivare a 505 km/h a livello del suolo e a 605km/h a 5000m . I precedenti LaGG 1 vennero convertiti tutti in LaGG 3. Le problematiche del nuovo aereo erano dovute al peso troppo elevato causa l’inesperienza del “bureau Lavochkin” riguardo gli aerei in legno pressato. Il problema venne ovviato montando un armamento meno pesante, passando dal cannone da 23mm ad uno da 20mm e togliendo una delle due mitragliatrici da 12,7mm, passando ad una sola sull’ala sinistra, aggiungendo però due Shkas da 7,62mm sul cofano motore, una per lato, siccome anche i comandi erano troppo pesanti vennero aggiunti due antiestetici contrappesi al timone. La prima serie del LaGG 3 arrivava ai 520 km/h in versione operativa. I primi esemplari vennero consegnati il 23 gennaio 41 mentre la guerra scoppiò il 22 giugno quando ne erano in linea già 322.
Lavochkin LaGG-3
Fonte foto: www.wikipedia.org
Il LaGG 3 fu per certi versi un progetto incompiuto e non lasciato maturare come doveva a causa della necessità di rifornire il fronte di battaglia con grandi quantità di aerei. Anche se nelle sue varie evoluzioni, questo velivolo fu potenziato con il motore Klimov M-150 PA da 1100 cv e venne modificato il timone di coda per migliorarne la maneggevolezza non fu mai un aereo a livello della concorrenza. Ne furono anche allestite della versioni a lungo raggio (Serie 13 con serbatoi subalari da 100 litri) e delle versioni affinate per l’attacco al suolo (Serie 23), venne poi dotato di un cofano più aerodinamico per migliorarne la velocità (ora di 549 km/h) togliendo le due mitragliatrici da 7,62mm ma aggiungendo un cannone da 12,7mm a sinistra del motore. Da questo punto in poi Lavochkin si allontanò dai suoi due colleghi per realizzare un progetto a motore radiale, quello che sarebbe poi stato il La-5. Il LaGG 3 però non fu tolto dalle linee di produzione ma venne costruito sino ai primi mesi del 1944, sotto la supervisione di Gorbunov. Venne dotato poi di un motore Klimov M-105 PF da 1.210 cv che lo portava a 561 km/h, ruota posteriore retrattile ed una nuova elica. Venne tentata l’installazione anche del motore Klimov M-107 da 1650 cv ma dai 33 voli di prova risultarono altrettanti atterraggi forzati
Dopo la fallimentare ma produttiva realizzazione del progetto LaGG di cui aveva dovuto rispondere di tutte le critiche a differenza dei suoi ingegneri, nel 1941, il nostro Semyon aveva perso tutto il suo prestigio e tralaltro aveva suscitato anche le ire di Stalin. Per realizzare il suo progetto a motore radiale, venne concesso non più che un capannone ed insieme al suo collaboratore Gudkov iniziò il progetto La-5 o LaG-5 come alcuni lo chiamano. Lavochkin iniziò il suo progetto modificando una cellula del LaGG-3 alla quale venne montato il motore radiale M82, in posizione più arretrata possibile, addirittura la cassetta degli accessori venne montata sull’asse alare. Il risultato ne fu un aereo poco manovrabile e decisamente instabile e con prestazioni mediocri, chiamato Gu-82. Anche se c’è da apprezzare lo studio aerodinamico del velivolo con una cappottatura motore che si fondeva alla perfezione con la cellula del vecchio LaGG 3. Nonostante queste difficoltà i lavori portarono all’affinamento e al perfezionamento dell’aereo rendendo così pronto il prototipo per il marzo del 1942. Anche un inverno molto duro è stato complice del ritardo dei lavori.
Lavochkin La-5
Fonte foto:www.wikipedia.org
Il primo volo di collaudo venne fatto dal pilota G. Mishchenko che trovò dei comandi molto duri e difficoltà in atterraggio e decollo ma le prestazioni erano notevolmente superiori al precedente LaGG 3 con motore lineare. Mishchenko dopo il volo di collaudo convinse due collaudatori esperti dell’unione sovietica a testare il velivolo e lo trovarono lungamente superiore ai contemporanei prototipi-ibrido di Mig 3 e Yak 7 con motore radiale. Convinsero anche Stalin ad approvare il progetto e nel giro di 3 settimane furono modificate 10 cellule del LaGG-3 che furono inviate ad una squadriglia sperimentale al fronte. Nel settembre del 1942 fu dispiegato nei pressi di Stalingrado il primo reggimento con in dotazione questo velivolo, anticipando i grandi comattimenti aerei che qui vi avrebbero avuto luogo. Il nuovo aereo ottenne entusiastici pareri dai piloti e Lavochkin li aiutò ulteriormente con la modifica della parte posteriore dell’abitacolo e aggiungendo una blindatura di 55mm. I cambiamenti aerodinamici aiutarono i piloti anche nella fase di atterraggio ed ora il velivolo alle quote medio basse era addirittura superiore agli aerei tedeschi. Il motore che lo spingeva, il Klimov M82 A sviluppava 1330 cv e gli garantiva una velocità di 560 km/h a livello del mare e 603 km/h di velocità massima, il raggio d’azione era di 765 km ed era dotato di un cannone ShvaK da 20mm una leggerissima ma efficace arma.
Lavochkin La-7
Fonte foto: www.wikipedia.org
Il modello venne evoluto nel La-5F dotato del motore M-82F da 1540 cv che lo portava a 630 km/h. L’aereo si sviluppò ulteriormente nel La-5FN e nel La-7, il modello da me costruito. I piloti tedeschi confermavano la validità e l’aggressività del nuovo aereo sovietico tanto che veniva riportato da questi che non c’era nessun velivolo in grado di curvare così velocemente e con un raggio così stretto come faceva il La-5.
Il Lavochkin La-7 era un evoluzione sostanziale del La-5, con il motore M82 FN da ben 1850 cv che lo spingeva a ben 680 km/h…l’armamento era potenziato dal terzo cannone da 20mm in alcuni esemplari, venne utilizzato soprattutto nell’ultimo anno di guerra anche come aereo da attacco al suolo, ma soprattutto come caccia di scorta e costruito in 5500 esemplari. Ora i tedeschi avevano pane per i loro denti essendo equivalente ai migliori caccia dell’epoca e soprattutto si affiancava e rafforzava le linee costituite dai prestanti Yak-9. Al La-7 pilotato da Ivan Kozedub venne attribuito l’abbattimento di un Messerschmitt 262. Oltre ad altre 61 vittorie. Dal La-7 vennero anche sviluppati dei prototipi tra cui il La-7R con iniezione di acido nitrico e cherosene e con motore RD-1. Ma l’acido nei fumi di scarico corrodeva la struttura e nonostante raggiunse i 785 km/h non se ne fece nulla. Il La-120-R invece fu un’altra evoluzione che unita ad un ala a struttura laminare e un motore da 1900 cv raggiunse i 725 km/h con il solo motore a pistoni ed 805 km/h con acido nitrico e cherosene. Ci furono però un paio di esplosioni a bordo che scoraggiarono il progetto. L’ultima evoluzione fu il La-7 PuVRD con statoreattore VRD capace della rispettabile spinta di 300kg ma la resistenza che questo opponeva all’aria gli garantiva solo 670 km/h invece degli 800 stimati. I collaudi terminarono nel 1946 quando l’era dei jet era già ai suoi albori ed il modello era perciò obsoleto. Dal La-7 venne sviluppato il caccia interamente metallico La-9 ed il il Lavochkin La-11, un La-9 per la scorta a lungo raggio in pratica, entrambi utilizzati durante la seconda guerra mondiale. Beh con quattro mesi di costruzione del mio modello in scala ne ho assorbite di informazioni eh?
A presto con le “cronache modellistiche” del mio La-7….
CoB…
Saltus Teutoburgiensis – Pegasus 54 mm.
STORIA
Anno domini IX A.C. l’esercito romano guidato da Publio Quintilio Varo viene sconfitto da tribù Germaniche comandate da Arminiocapo dei Cherusci. Ben tre legioni vengono letteralmente massacrate (la XVII, la XVIII e la XIX) Questa sconfitta dei Romani, diede inizio ad una guerra di riscatto durata 7 anni. Ma per i romani non ci fu niente da fare e il fiume reno si consolido come confine Nord Orientale dell’Impero per i successivi 400 anni. L’impatto culturale che darà alla storia questa sconfitta è notevole. La lingua latina in queste regioni verra persa per sempre, fino a i giorni nostri.
MONTAGGIO
I vari pezzi sono stati ben puliti con un lamierino ben affilato e carta abrasiva di varie misure. I vari elementi di giunzione, sonos tati rinforzati con perni di ferro e incollati con colla bicoponente. Le varie fessure sono state riempite con stucco bicomponente della Andrea e con il Mr Gunze 500.
Una volta terminata la fase di assemblaggio è stata data ad i modelli una mano di primer grigio spray della tamiya. Questo primer permetterà una maggiore presa del colore che verra dato successivamente.
COLORAZIONE
Ho deciso di effettuare la pitturazione dei pezzi con colori ad olio su base acrilica. Mi sono servito per gli olii dei W&N e per gli acrilici dei Vallejo.
Sono solito iniziare la colorazione dei figrini, partendo dall’incarnato. Come base è stato utilizzato un color carne della Vallejo abbastanza diluito. É seguito una lumeggiatura del viso su i punti più esposti, zigomi, naso, mento, fronte ecc…..a questa prima lumeggiatura è seguitoa una prima fasi di ombreggiatura. A questo punto, senza aspettare che i colori si asciughino inizio la sfumatura fra le parti adiacenti, asciugando spesso il pennello su di un panno. Le sfumatura vanno effettuate solo fra l’incontro dei colori e non s tutta l’area. Terminata questa fase ho aspettato un paio di giorni in modo da far asciugare bene i colori. Segue una seconda fase di lumeggiatura, data con un colore ancora più chiaro del primo seguita da una ulteriore ombreggiatura. Per dare un tocco di vitalità al volto, effettuo con un colore rossastro molto diluito dei leggeri passaggi sulle guance.
La stessa tecnica di colorazione viene adoperata per il vestiario dei figurini. Per quanto riguarda le parti in metallo, fibie, borchie speroni eccc….. sono solito dare prima una base di nero per il metallo chiaro e una base di marrone scuro per parti in oro o bronzo. Le lumeggiature sono state effettuat con una punta di argento
I capelli dei guerrieri sono stati colorati utilizzando esclusivamente colori acrilici della Vallejo, con la tecnica delle velature.
La pelliccia e i gambali del guerriero con l’ascia, sono stati dipinti con colori acrilici, partendo da una base di marrone scuro, sono seguiti vari pennelli asciutti, di colore marrone chiaro alternando con vari filtri cromatici in azzuro e verde molto diluiti. La stessa tecnica è stata eseguita per gli scudi, sia quello del cavaliere romano che quello del guerriero Germanico.
La maglia di ferro del Cavaliere Romano ha avuto questo processo di colorazione. Sono partito da una base di gun metal della Tamiya, seguono dei pennelli asciutti di alluminio e argento della Humbrol.
CAVALLO
Il cavallo ha avuto una colorazione leggermente diversa. Per prima cosa è stato dato ad aerografo una mano base di colora marrone dorato. Le luci e le ombre sono state eseguite sempre ad aerografo. A questo punto, per dare al manto del cavallo la necessaria lucentezza, ho eseguito degli altri passaggi di colore ad olio, utilizzando le tecniche che sono servite per i figurini. Le briglie del cavallo sono state dipinte ad acrilico.
BASE
La base è stata dipinta con uno spray lucido marrone scuro. Per emulare le varie pozzanghere ho utilizzato l’ottimo prodotto della Vallejo. I cespugli, sono delle alghe di mare, che raccolgo durante il periodo estivo sulle spiagge della mia città e colorate ad aerografo con vari toni di verde
Questa piccola scenetta l’ho portata a termine nel 2007 ed ha richiesto circa 59 ore di lavoro. Buon Modellismo, Fausto Muto.
Per un amico, questo ed altro! A-1 H Skyraider dal kit Italeri in scala 1/48 – (Seconda Parte).
La prima parte dell’articolo la potete trovare qui.
Il dettaglio finale del pozzetto carrello è parzialmente visibile, con la prima mano di primer grigio, in Fig. n° 30. Il “motore” è stato, fra le diverse parti del kit, quello che mi ha dato forse i maggiori grattacapi (in Fig. 31, benché parzialmente colorato, sporcato e cablato, si capisce perché…); i cablaggi (quelli che si vedono in questa foto), sono realizzati con pezzi di sprue sagomato e tondini di rame di vario diametro Per chi avesse la (s)ventura di cimentarsi con questo kit una raccomandazione: attenzione ad assemblare il motore, la cofanatura e l’elica!!! Se si vuole aggiungere il “blocco” alla fine, bene! – basta dipingere pezzo per pezzo, assemblare e cablare una cosa alla volta, e terminare l’intero motore a parte, per poi incollarlo all’aereo già terminato lasciando alle sporcatore canoniche il compito di “omogeneizzare” le giunzioni; se invece si reputa necessario montare l’elica alla fine, per lavorare meglio con l’aerografo… beh, attenzione al pernetto dell’elica! Posto che quello che ho trovato io era leggermente ovalizzato (e, nel far girare le “pale” – in tutti i sensi – , si vede bene…), munitevi di regolamentare “zeppa” di plasticard da incollare sul fondo del pernetto per impedire l’annegamento del tutto all’interno del motore, con conseguente esplosione di improperi, santi, navigatori e compagnia cantante…
Ogni singolo elemento del radiale, inoltre, andrà ripulito dagli snervanti residui di colata, che – ovviamente – si posizionano sempre nei posti più difficili da raggiungere… pittura: base gun metal, mano di trasparente acrilico, lavaggio con terra di cassel e terra siena, dry brush con grigio chiaro e alluminio, ulteriore mano di trasparente opaco per sigillare il tutto prima di maneggiare.
Gli scarichi forniti dal kit sono improponibili; meglio, molto meglio affidarsi a pezzi di guaina per filo elettrico tagliati a misura, assottigliati all’interno con una lima coda di topo e con una “botta” di fresetta (la più piccola), indi pitturati alla bisogna (Foto 32); le dolenti note vengono nel momento in cui si guardano le foto, si guarda il ventre dell’aereo, si provano i carichi e… si scopre un vuoto incolmabile in corrispondenza dell’attaccatura del cofano motore!!! Benedicendo mr. Plasticard e mr. Stucco (le maledizioni le tralascio, ci sono gli appositi calendari), con calma e a strati successivi è stato praticamente ricostruita l’intera zona anteriore del ventre per permettere la corretta collocazione del serbatoio (Foto 33 e 34); il tutto carteggiato e rifinito con cura per evitare disastri in fase di colorazione…
Ultimato il tutto, assemblata ogni cosa, stuccato lo stuccabile, carteggiato l’impossibile, rifinito l’impensabile, è venuta L’ORA DEL METALIZER!! Attenzione, è un programma riservato ai soli modellisti adulti che hanno già avuto esperienze intense con il soggetto di che trattasi… In foto 35 e 36 è illustrato l’effetto finale delle tre (3) passate di alluminio su tutto il modello, dopo aver preventivamente: lavato con un po’ di acqua saponata le superfici; lasciato asciugare ben bene all’aria; passato lo strato di primer grigio per far debitamente aggrappare la vernice. Asciugatosi bene il metalizer (ma bene bene!), è cominciata la grande opera di preshading… diciamo che è la parte per me più noiosa, nonché faticosa (ci sono voluti 2 giorni), preludio alla verniciatura con il colore base dell’intero modello, cominciando dal ventre, con uno dei colori più temuti dai modellisti: IL BIANCO!
Ebbene, a questo punto confesso che, essendo in soggezione davanti alla “enorme” superficie da tinteggiare in bianco, non volendo fare troppe stupidaggini ho deciso di (non prendetemi per matto, per carità!!!!!) utilizzare un altro modellino, in scala 1/72, come CAVIA DI LABORATORIO!! “Casualmente” avevo sul tavolo un A-4F Skyhawk da realizzare in livrea US Navy… quale migliore occasione per sperimentare il bianco!????!!!!! Il risultato post sperimentazione è illustrato in Fig. 38; ho iniziato con 2 mani di bianco opaco, al quale è stato aggiunto un 20% di grigio medio (mai passare il bianco puro!!!!), e ho gradualmente schiarito il centro dei pannelli aumentando leggermente la quantità di bianco, senza mai però arrivare al colore puro; le piccole sporcatore sulla pennellatura sono state realizzate aggiungendo nel serbatoio dell’aerografo, nel colore base, piccole quantità di ocra modulato con marrone dorato. Il tutto è stato sigillato con 2 mani di trasparente lucido. E arriviamo, finalmente, alla parte più divertente: la mimetica “stile Vietnam”!!! I colori usati sono stati l’HU116, l’HU118 e l’HU120 a smalto, corrispondenti ai codici FS consigliati. In Fig. 39 si vedono i primi due colori già realizzati (e in parte già schiariti al centro dei pannelli)e una parte della mano di fondo passata sul metalizer; quasi tutto è stato fatto con aerografo a mano libera, nei punti più difficili è stato d’ausilio un “salsicciotto” di UHU Tac.
Le foto n° 40 e 41 si riferiscono all’ultimazione della mimetica e alla successiva schiaritura, seguita dalla lucidatura (3 mani di trasparente acrilico lucido) e dall’apposizione delle decals; per fare un modello un po’ diverso ho ipotizzato una fase del conflitto in cui la fretta di procedere al passaggio degli A-1H ha comportato la coesistenza di codici americani con insegne vietnamite (Foto 42) … evidentemente gli scontri a fuoco non hanno permesso la celere sostituzione dei codici di coda…
Infine, dopo l’ennesima mano di lucido per proteggere le decals, VIA con oliature, sporcatore, scrostature e chi più ne ha più ne metta!!!! Tanto, lo Skyraider più sporco è e meglio ripresenta all’occhio modellistico!!!
L’aspetto del modello durante questa fase è evidente nelle foto n° 43, 44, 45, 46 e 47; oltre alla Terra di Cassel e alla Terra di Siena, passati ad olio, ho usato anche le tempere (Nero avorio e verde vescica) per realizzare alcune velature e i colori a china (terra siena e seppia) per marcare alcune zone, specialmente intorno ai portelli e portellini presenti in fusoliera; la “perdita d’olio” del serbatoio ventrale (Foto 48) è stata realizzata mettendo sul “tappo” una goccia di colore ad olio moooolto diluita e “soffiando” dalla punta del serbatoio stesso in direzione della coda… con un paio di prove si ottiene un buon risultato.
I “fumi” di scarico (Foto 50) sono stati realizzati interamente con colore ad olio puro “tirato” con un cotton fioc secondo l’effetto aerodinamico visibile nella abbondante documentazione fotografica; precedentemente era stata data “una traccia” ad aerografo, molto leggera, con il nero opaco. La foto n° 51 evidenzia un’altra piccola (…) “pecca” del kit; i carichi alari disponibili sono un po’ troppo “scarsi”, vista la diversità e la quantità di armamento di caduta che gli Sky potevano “vantare”…
Il lavoro è terminato ripassando il tettuccio con la Future, “miracolosa” nel ridare lucentezza e trasparenza, realizzando le luci di posizione e di navigazione con i trasparenti Tamiya, montando i cavi delle antenne realizzati con sprue tirato a caldo; tutto quanto è stato infine sigillato con una passata di trasparente opaco. Che dire? La parte più triste e malinconica, alla fine, è stata proprio quella del “distacco”; nel separarmi dal “bambino”, dopo mesi di lavoro e divertimento, ho provato la sensazione che, suppongo, ogni modellista prova allontanandosi dal frutto delle “sue” fatiche, pur nell’orgoglio e nella soddisfazione di aver quantomeno tentato di fare tutto il meglio possibile, utilizzando l’esperienza per il prossimo lavoro!
Per qualsiasi chiarimento, nel mio piccolo, sono ovviamente sempre e comunque a disposizione!
Emilio “Pennanera”
Mail: pennanera_dv@yahoo.it
Per un amico, questo ed altro! A-1 H Skyraider dal kit Italeri in scala 1/48 – (Prima Parte).
Un po’ per scherzo, un po’ per sfida, un po’ perché solleticato dall’idea di realizzare qualcosa per puro divertimento (certo, tenendo presente la tristezza che mi avrebbe colpito all’atto della “separazione” dal “pezzo”), ho accettato qualche tempo fa di procedere alla costruzione di questo kit per conto di un amico.
Il suddetto mi venne incontro con il kit sotto rappresentato (Foto 1), chiedendomi di realizzarlo senza troppa fatica, per il gusto di vederlo esposto in vetrina; ovviamente la mia mente malefica mai e poi mai avrebbe accettato di incollare e pitturare alla meno peggio un modellino – figuriamoci poi un “48”! – ; e la dignità modellistica? E la voglia di impegnarsi comunque? E la soddisfazione di sapere “quello l’ho fatto io – giusto o sbagliato che sia!”, dove la mettiamo? Il kit, confesso, a prima vista mi ha dato un po’ di delusione; rispetto alla qualità Italeri che avevo riscontrato in altri modelli e alla media dei kit presenti sul mercato in scala 1/48 (almeno per le Ditte più note) mi ha lasciato un po’ basito… ma avevo accettato e non potevo tirarmi indietro! Dettaglio degli interni inesistente (decals per la strumentazione…), pozzetti carrello desolatamente vuoti, pennellatura in rilievo alta come le Ande, plastica con qualche segno di estrattore e un po’ di “bave”, ecc… Meno male che la Cartograf realizza decals ottime! Una delle (poche) cose positive, guardando ben bene i pezzettini attaccati allo sprue, è che il tutto, dimensionalmente, sembrava abbastanza corretto e le forme ben restituite. Ma per fare un “pezzo” decente, quantomeno di mia soddisfazione, ci vuole qualcosa in più…
Dopo aver passato qualche giorno ad analizzare le possibili soluzioni, ho deciso di ricorrere al set AIRES in resina per l’abitacolo, fornito – ahimè – per il kit Tamiya (Foto 2); è evidente la differenza (anche se la foto non è riuscita un granché) con i pezzi forniti da scatola, in grigio. Ovviamente sarà necessario un lungo e tedioso lavoro per adattare il set di dettaglio alle semifusoliere (Foto 3), che andranno ripulite e tagliate a misura. Il cockpit in resina non è difficile da ritagliare e assemblare; andrà solo aerografato con attenzione per far risaltare i volumi e i particolari (Foto 4 e 5). Brevemente, ho lavorato con 3 toni di grigio, partendo da un grigio medio acrilico e aggiungendo, nella seconda e terza passata, una punta di bianco e una punta di nero; nella mistura rimasta ho aggiunto una goccia di ocra, per una ulteriore “sporcatura” e, infine, una punta di marrone. Le consolles sono, ovviamente, in nero opaco. Su tutto una mano di trasparente satinato, per poter toccare in perfetta tranquillità senza lasciare “ditate”!
Il confronto con i pezzi originali del kit (Foto 6) è senza storia…; in Foto 7 c’è la prima prova di assemblaggio del cockpit con le pareti laterali; è stato necessario assottigliare parecchio la base delle stesse, al fine di consentire un incastro quantomeno decente con le semifusoliere (ATTENZIONE: ricordo che per lavorare la resina è ASSOLUTAMENTE NECESSARIO proteggersi con una mascherina e, preferibilmente, operare con carta abrasiva leggermente bagnata; al termine rimuovere ben bene la polvere creatasi).
Il quadro strumenti è stato ricavato con un sandwich formato da un pezzetto di plasticard sagomato sulla fotoincisione del kit AIRES e sulla dimensione interna del cockpit, provando e riprovando l’incastro con la palpebra del cruscotto (Foto n° 11); l’acetato con gli strumenti è stato fissato sul plasticard con vernice trasparente, e sul tutto è stato incollato, sempre con vernice trasparente, la fotoincisione precedentemente dipinta con nero opaco (Foto n° 8); il tutto è stato nuovamente provato e riprovato nella sua sede (Foto n° 9)… Intanto, ho cominciato a dare un tocco di colore alla strumentazione, dipingendo le varie manopole (Foto n° 10) e finalmente ho aggiunto le cinture, ultimando così il posto di pilotaggio (Foto n° 12, 13, 14); la parte cui prestare molta attenzione è stata, ovviamente, quella relativa al posizionamento delle minuscole levette in fotoincisione a lato del sedile; un paio di volte, durante i tentativi, c’è stata una fioritura di calendari di ogni ordine e grado, con l’inserimento di qualche novità presa direttamente dal catalogo tibetano, a seguito del decollo della levetta di turno in direzione dei più nascosti angoli del tavolo da lavoro, se non proprio a terra o in altri oscuri pianeti del microcosmo casalingo…
Ma non ci perdiamo d’animo!! Morta una levetta se ne fa un’altra!!!
La fotografia n° 15 illustra lo stato delle semifusoliere dopo le operazioni di rimozione, sagomatura, lisciatura, scartavetratura, smadonnatura e ripulitura di tutto ciò che avrebbe materialmente impedito il matrimonio forzato fra l’abitacolo dedicato al kit Tamiya e i pezzi Italeri; tale matrimonio (un pò stucchevole, ih ih ih!) è ben illustrato dalle Foto n° 16 e 17; meno male che prima di procedere con le giunzioni ho fatto 1.000.000 di prove a secco (questa frase vuole essere un consiglio spassionato per tutti coloro i quali non vogliono far calare inutilmente calendari di sperdute nazioni e gruppi tribali sconosciuti una volta incollate le fusoliere…)!!!
Ecco invece come si presentavano (Foto n° 18 e 19) le linee di pannellatura… è inutile dire che sono state tutte debitamente reincise, pannello per pannello, sportellini inclusi… sigh!
Con le Foto n° 20, 21, 22, 23, 24, 25 e 26 si passa invece alla ricostruzione totale del pozzetto carrello principale, totalmente assente nel kit; la giunzione delle semiali faceva intravedere uno spazio più profondo – altro che ultima frontiera! – della serie Star Trek, per cui… ricominciamo col caro e vecchio plasticard, sagomato debitamente a mò di centina, messo a battuta con un pezzo di guaina di filo elettrico e completato da tubazioni e fascette varie…
La griglia anteriore del radiatore (Foto n° 27) è stata invece ricostruita con due pezzettini di plasticard sagomato sui quali è stato incollato un frammento di calza da donna (…), sottratta nottetempo dal cassetto della mia ignara consorte (che non avrebbe capito ovvero avrebbe pensato di aver a che fare con un maniaco compulsivo…) e dipinta in nero (Fig. 28 e 29); è incredibile come simuli bene le griglie!!!!! Ovviamente “la bocca” ha subito un trattamento particolare, con stucco, altro plasticard e tanto, tanto lavoro di lima e carta abrasiva…
Fine prima parte.
From Russia with love… – Sukhoi Su.25 “Frogfoot” dal kit Kopro in scala 1/48.
In scala 1/48 il Frogfoot è presentato da Monogram e Kopro. Io sono riuscito reperire la scatola della ditta dell’est al cui interno si trovano sei stampate in plastica grigia (un po’ tenera), i trasparenti per il tettuccio, oblò telemetro e le luci di posizione. La nota piacevole sono le pannellature: il confronto con gli ottimi disegni allegati alla monografia 4+ dicono che si trovano nelle giuste posizioni e con le esatte forme. Le decal dai colori un po’ sbiaditi propongono una ricca dotazione di stencil e la possibilità di realizzare velivoli appartenenti a ben cinque forze aeree.
Il soggetto che ho deciso di rappresentare fa sfoggio di una mimetica assolutamente insolita e, a mio parere, molto bella. Questa colorazione a schema disgregativo era propria di alcuni aerei basati nell’ex Germania orientale e chiamata “Afghanistan”, e gli specialisti addetti alla manutenzione di questi velivoli avevano due teorie per spiegarla: la prima asseriva che alcuni Su.25 reduci dalle campagne asiatiche avevano mantenuto, anche dopo il dispiegamento europeo, la loro colorazione di teatro operativo, la seconda diceva che gli schemi erano stati verniciati sopra agli aerei già basati in Germania ma seguendo le esperienze afghane. Quest’ultima teoria pare trovi maggior credito giacché non ci sono foto che mostrano Su.25 in Afghanistan forniti di tale mimetica.
Comunque siano andate le cose per il modellista in cerca di soggetti “esotici”, questo Frogfoot rappresenta un’occasione d’oro. Come sempre inizio il montaggio dal cockpit sfruttando quasi completamente ciò che propone la scatola, aggiungendo alcuni dettagli in plasticard e fili di rame sulla parete dietro il sedile e sostituendo il cruscotto con quello presente nel set fotoincisioni Eduard 48416. Il sedile K-36 è in resina della Neomega cui, seguendo le indicazioni della documentazione, ho tolto i braccioli. Per verniciare l’abitacolo seguo un mio metodo artigianale, che consiste nel partire dall’Humbrol 89 (Matt Middle Blue) “tagliandolo” con del verde fino a raggiungere quella tipica tonalità con cui vengono dipinti gli interni russi. Il seggiolino è completamente in nero opaco, ma ha subito un leggero dry brush in grigio per risaltare particolari e cinture di sicurezza.
Passando alla fusoliera ho prima aperto i vani che volevo lasciare in mostra e iniziato poi la costruzione del dettaglio al loro interno: si tratta degli scomparti anionici sul muso e delle sedi dell’APU e serbatoio carburante posti nella parte inferiore. Grazie ai pezzi fotoincisi del set Eduard 48421, ho aperto il grande portello di accesso al cannone ricostruendo in scratch build l’arma e il box di raccolta dei bossoli; ovviamente in questa fase saranno di fondamentale importanza le pubblicazioni e documentazione varia, e da esse sono risalito al colore degli interni dei vari vani (Zinc Chromate Yellow). Una volta chiusa la fusoliera ho accentuato la rivettatura nella parte posteriore del modello impiegando uno scriber, quindi ho separato i piani mobili del timone per posizionarli con l’angolatura tipica che assumevano quando l’aereo era terra. Stessa cosa per le ali: ho diviso flap e slat ricostruendoli con il plasticard e posizionandoli estesi…un lavoro lungo e certosino ma che regala grandi soddisfazioni.
Altri particolari aggiunti hanno riguardato la sede aperta del parafreno e gli aerofreni stessi alle estremità alari riprodotti alla massima estensione. Montato il tutto si arriva velocemente alla fase di verniciatura e un aiuto fondamentale alla ricerca dei colori da impiegare l’ha fornita il sito dell’appasionato Americo Maya http://br.geocities.com/alvmaia/Sukhoi/ : amanti degli aerei russi mettetelo tra i preferiti!
I colori utilizzati sono i seguenti: per le superfici superiori Yellow Green FS33481 (Humbrol 93) leggermente schiarito, U.S. Dark Green FS 34079 (Humbrol 116), Khaki Drab FS 34017 (Humbrol 159) e Chocolate FS 30099 (Humbrol 98). Per le superfici inferiori ho utilizzato l’Aircraft Blue FS 35352 (Humbrol 65) schiarito con il bianco. I pannelli dielettrici sono invece in Green FS 34108. La posa delle decal non merita cenni particolari: le foto di quest’aereo mostrano un velivolo in piena operatività con nessuna traccia di stencils e con le sole stelle rosse ben visibili. L’unica nota riguarda il logo della Sukhoi (visibile in coda) in una rara colorazione rossa. Nonostante abbia cercato una decal simile ovunque, alla fine sono stato costretto a realizzarla ad aerografo con infinite mascherature ed enormi rodimenti di……fegato và!
La costruzione di questo modello risale ormai ad una decina di anni fa e con l’occhio critico di adesso non posso non notare dei problemi di “gioventù”. Il più evidente è un esagerato utilizzo dei carichi alari specie considerando che l’aereo è in fase di controllo e sottoposto a manutenzioni varie. Ma si sa…senza errori non s’impara mai. Buon modellismo, Enrico Bianchi.
Decal Review – Zotz Decals 1/48- Panavia Tornado IDS Special Color, 60° anno del 155° Gruppo.
Nel 2002 il 155° gruppo E.T.S. del 50° stormo con sede a Piacenza presenta un Tornado “special color” che verrà portato al Tiger Meet dello stesso anno in Portogallo. Il 60° anniversario però si è svolto nel 2001, dato che il 155° gruppo venne fondato nel 1941, ma i lavori ebbero alcuni ritardi e così questo Tornado dagli insoliti colori venne presentato solo il 18 giugno 2002. Vi dice niente questa data? Sono sicuro che ve la ricordate tutti bene!
Il 18 giugno del 2002 eravamo tutti davanti alla TV a vedere Italia-Corea del sud, con il sublime arbitraggio dell’arbitro Moreno. E qui stendiamo un velo pietoso e molto velocemente torniamo al nostro Tornado. Gli insoliti colori hanno una motivazione ben precisa, ad esempio l’azzurro cielo era presente sulle superfici inferiori dei velivoli del periodo della seconda guerra mondiale, come ad esempio il Fiat G 50, primo velivolo in dotazione al 155°. Il blu della parte centrale del Tornado rappresenta il periodo di attività più consistente, mentre il magenta del posteriore, assalito in coda dalla pantera è il colore tipico del ruolo E.T.S.
I simboli che vedete sull’aereo sono realizzati dalla disegnatrice Francesca Lambri …la pantera nera non serve che ve lo dico cosa significa…il 155° SONO le pantere nere! Mentre lo stemma sul muso “gigi tre osei” è il primo stemma che ha avuto questo stormo durante le operazioni di guerra in territorio africano. I lavori di verniciatura sono partiti nell’aprile 2002 e sono terminati nel giugno dello stesso anno. L’idea di questo special color che io amo a tutti gli effetti e credo sia uno dei colori più originali del Tornado, è stata del L.Ten Cieri, realizzata su disegno del figlio. Devo dire che avrei tanto voluto vederlo volare o quanto meno ammirarlo questo Tornado… e secondo il mio punto di vista modellistico, un aereo con dei colori così atipici e sgargianti spezza con classe la monotonia di collezioni fatte da toni di grigio…
Parlando delle decal, la messicana Zotz fornisce 3 fogli oer questo kit in 1/48, due per le pantere in coda ed uno con gli stemmi vari di reparto che ad occhio sembrano molto ben realizzate, in più ci sono tutte le varie spiegazioni per poter miscelare i colori e realizzare una “skin” che può piacere o no, ma sicuramente farà discutere i modellisti criticoni. Ben venga! Il prezzo delle decal non è dei più economici…in rete si trovano a circa 16 euro ma secondo me sono spesi bene.
Per chi volesse maggiori informazioni su questo particolare aereo può visitare il sito delle “pantere nere”, http://www.panterenere.it/ non viene aggiornato da qualche tempo ma è molto interessante e soprattutto molto dettagliato nelle nozioni storiche e appaga dal lato visivo ed emozionale! Se volete trovare la pagina dedicata a questa particolare livrea la trovate nella sezione velivoli, poi andate nella sezione special color. Non vi metto il link almeno questo bel sito ve lo visitate tutto!! C’è molto da vedere!!!
A presto, il vostro CoB!
Kit Review – MB.339 A/PAN dal kit FREMS scala 1/48.
Irriducibili modellisti italianofili (e non solo), per la gioia dei vostri occhi eccomi qui a presentare gli unici kit oggi disponibili in commercio per riprodurre l’MB.339 nella scala del quarto di pollice. A dir il vero, la loro uscita ha avuto luogo già da un po’ di anni (quindi non siamo in presenza di una novità), ma purtroppo la FREMS è l’unica ditta che fino ad ora ha rivolto attenzioni all’ottimo addestratore dell’Aermacchi. Dato che gli stampi differiscono tra loro per pochi particolari, le righe successive descriveranno le caratteristiche comuni dei due modelli: aprendo la robusta scatola di cartone troviamo tre stampate di plastica a iniezione color grigio scuro, più una per i trasparenti, tutte imbustate separatamente per evitare rotture o danneggiamenti. A una prima analisi il dettaglio è preciso, ma un po’ troppo profondo; questa caratteristica magari non dispiacerà a tanti modellisti che non avranno il solito patema d’animo di rovinare le incisioni delle pannellature durante le fasi del montaggio e della stuccatura. La superficie della plastica è esente da flash o sbavature, ma su entrambe i sedili e la paratia posteriore dell’abitacolo si possono trovare dei leggeri ritiri. Il cockpit ha un dettaglio davvero buono per essere un kit quasi artigianale: le consolle laterali sono complete e ben dettagliate, i cruscotti sono divisi in tre parti (una centrale e due pannelli laterali), le palpebre ben fatte e i seggiolini di buona fattura. I più esigenti potranno comunque sostituirli con una coppia di Martin Baker Mk.10 che molte ditte riproducono in resina, acquistandoli magari in previsione di costruire anche un bel Tornado… ovviamente con le insegne tricolori! Prima di continuare, vale la pena menzionare l’estrema comprensibilità e completezza delle istruzioni che aiutano molto la costruzione ed hanno il testo stampato sia in italiano sia in inglese. La ditta vicentina inoltre, offre la possibilità di movimentare un po’ il modello montando i flap estesi e l’aerofreno in posizione aperta. Passo ora alla descrizione delle principali differenze tra le due versioni:
MB.339 PAN – articolo n°0198/SC:
Il primo in ordine di apparizione, la versione delle Frecce Tricolori è senza dubbio anche il più commercializzato grazie alla notorietà della nostra pattuglia. Per questo kit la FREMS fornisce i due serbatoi fumogeni normalmente utilizzati durante le manifestazioni, e i due serbatoi maggiorati usati duranti i voli di trasferimento. Poiché normalmente i velivoli PAN non montano i Tip Tank, nella scatola sono presenti anche i due terminali alari. Le decal, stampate dalla romana Sky Models, sono davvero buone e a prima vista danno l’impressione di essere molto coprenti. Nel foglio sono presenti, oltre alla numerazione completa di tutti i “PONY” dal capo formazione al solista, anche tutti i fregi tricolori: chi non volesse realizzarli ad aerografo avrà una bella gatta da pelare per posizionarli correttamente su tutto il modello.
MB.339 A – articolo n°0199/SC:
Dopo la commercializzazione del PAN, era gioco forza immettere sul mercato la versione operativa del 339. Questa scatola vede una più completa dotazione di carichi esterni: pod lanciarazzi, serbatoi d’estremità classici oppure maggiorati tipici delle ultime versioni consegnate alla nostra aeronautica, e i cannoni DEFA 553 da 30 mm. Una vera chicca sono le canne di questi ultimi, fornite separate e in metallo egregiamente tornito: davvero molto belle. Ricca la dotazione di decalcomanie (al solito stampare dalla Sky Models), che permettono di riprodurre un esemplare argentino, uno peruviano, uno malesiano ed uno del Dubai. Discorso a parte per l’AMI, cui sono dedicati ben tre velivoli: l’RS-44 del Reparto Sperimentale con la storica livrea di presentazione in bianco e arancio, il “52” con livrea standard NATO della Scuola Volo Basico Iniziale Aviogetti, e il 61-72 sempre operativo sulla base di Lecce-Galatina ma con la nuova mimetica lo-wiz monogrigia. L’unica nota negativa delle decalcomanie riguarda il colore di riempimento dei numeri a bassa visibilità, riprodotto con un errato azzurrino. Il problema è comunque facilmente sormontabile prelevando dei nuovi codici dagli svariati aftermarket presenti sul mercato. Ultima, ma non meno importante differenza, sono i due collimatori di puntamento da collocare sopra entrambe i cruscotti.
In definitiva le due scatole della FREMS oltre ad essere uniche, sono anche delle ottime realizzazioni. Facili da montare e con una qualità degna dei blasonati Tamiya o Hasegawa, hanno dalla loro anche il contenuto prezzo di acquisto. Volete sapere la nota negativa? La loro reperibilità sta divenendo sempre più difficoltosa essendo stati prodotti in un numero ristretto di unità. Buon modellismo, Starfighter84.
Cave Troll Walktrough (Part 4)
Ecco finalmente l’ultima parte del favoloso video tutorial di Lotrmaster riguardante la preparazione, costruzione e pittura di un Troll di Caverna della GW.
in questo tutorial impareremo a:
colorare, lumeggiare, usare il drybrush e applicare le Tinte con dei lavaggi.
Per le precedenti puntate cliccate sui seguenti collegamenti:
Parte 1 e 2 (preparazione del modello e montaggio)
Tutorial sulla pittura degli occhi
ed eccoci finalmente alla 3 parte:
Alla Prossima!!! (video di Lotrmaster6)
Saab J-35J Draken – dal kit Hasegawa in scala 1/48
Se vogliamo lasciarci andare a luoghi comuni – e non me ne vogliano gli amici svedesi- le prime cose che ci vengono in mente parlando della Svezia sono gli Abba, e le belle biondine che popolano i pensieri e fanno palpitare i cuori di noi maschietti. Ma andando oltre, scopriamo che l’aviazione svedese è stata ed è tuttora una delle più avanzate del mondo, con il non facile compito di custodire la neutralità territoriale del territorio svedese. Da sempre la Saab, famosa anche e soprattutto per le automobili, si impegna a progettare aerei avanzati e dalle forme a volte bizzarre (si pensi al Tunnan) a volte precorritrici dei tempi moderni. È il caso del Saab J-35, meglio conosciuto come Draken, che in svedese significa tanto Dragone quanto aquilone e in effetti le sue particolari forme vagamente ricordano e sembrano avvallare questa seconda accezione del termine.
Fresco di ritorno da un viaggio proprio nella terra di Gustavo Adolfo e approfittando del nuovissimo kit Hasegawa in 1/48, ho pensato di aggiungere alla mia – modesta- collezione la riproduzione di questo bel caccia.
Cominciamo il nostro montaggio come al solito dall’abitacolo, abbastanza buono da scatola; mancano soltanto le cinture al seggiolino. Inoltre la Aires ha già approntato un magnifico set in resina e fotoincisioni per l’intero cockpit.Il colore di base non è grigio ma verde scuro (Gunze H-309) mentre consolles e strumenti sono in nero opaco. Il seggiolino ha la struttura in argento, il cuscino in verde e il poggiatesta nero opaco.Una volta chiuse le fusoliere (ricordatevi i fori per i piloni), installiamo le ali, la coda, la deriva, il cannone e tutti i pezzi che vanno a completare la cellula. Per il loro raccordo col corpo principale è richiesto stucco, ma questa è l’unica magagna di un kit per il resto dal montaggio senza storia. Ah, una cosa importante: ricordatevi i pesetti nel radome pena un modello seduto (indovinate come ho fatto a scoprire che io non eseguito questo passaggio non è per nulla difficile…).
Nel mentre che lo stucco asciuga (ricordo che ci vogliono tre giorni) ci dedichiamo a preparare le altre parti come carrelli, ruote, lo scarico, la piccola turbina ausiliaria. Quindi con la carta abrasiva lisciate tutte le stuccature e in men che non si dica il vostro Draken è pronto per essere trasferito al reparto verniciatura! Il kit offre la scelta fra due esemplari nella vecchia livrea in green/midnight blue su grigio e uno nella più moderna livrea a due toni di grigio, vivacizzata dalle insegne svedesi ad alta visibilità e da due grossi numeroni sul dorso in rosso day-glo! Proprio su quest’ultima è caduta la mia scelta. Per i due grigi ho scelto il 36375 grigio e il grigio azzurro 35237, entrambi acrilici della gamma Agama, così come l’argento usato per il ventre dell’aereo, per i bordi di uscita, per i carrelli e relativi vani. I due grigi non rispecchiano l’esatta corrispondenza dei colori svedesi ma sono molto simili all’originale! Mi sono poi divertito a zozzare l’aereo con pre-shading, post-shading, lavaggi a olio e chi più ne ha più ne metta! Per l’applicazione delle decals ho usato l’apposito emolliente Gunze, previa base di Future che ha fornito la base lucida. Le decals sono meravigliose e si applicano senza problemi.
Ora non resta altro che stendere una mano di opaco, mettere gli ultimi particolari e mettere l’aereo vicino agli altri modelli completati! Chiamatelo Dragone, chiamatelo aquilone, quello che otterrete è un aereo sicuramente inconsueto e decisamente accattivante, ringiovanito dalla livrea low-viz. Voi ci credete se vi dico che è entrato in servizio nel lontano 1956? E ora rispondete a quest’altra domanda: ricordate che un po’ di tempo fa, in conclusione di un articolo riguardo a una vettura, chiesi se mi ricordavo ancora come si fanno gli aerei? Bene: secondo voi, me lo ricordo?
Buon modellismo
Alessandro Gennari