mercoledì, Luglio 16, 2025
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The Shield of David – Spitfire Mk.IXe dal kit ICM in scala 1/48.

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Non sono un grande amante dei velivoli storici, anzi! Le mie preferenze si orientano decisamente verso i jet moderni, pieni di tecnologia e di altissime prestazioni. Lo Spitfire, però, mi affascina; elegante e sinuoso nelle forme, combinava una potenza esuberante a una grande maneggevolezza… entrambe doti innate per un aereo che fu vincente in tutti i teatri di guerra (ma anche di pace) dove operò.

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Riprodurlo in scala nella classica livrea con le coccarde della RAF non attirava in alcun modo le mie attenzioni…in fondo, le riviste e il web sono pieni (anche troppo) di Spitfire con la mimetica inglese! Per questo ho pensato di collegare la costruzione di questa splendida macchina con la mia grande passione per i velivoli che operano, ed hanno operato con la I.A.F – l’Aeronautica Militare Israeliana. Detto fatto, ed eccomi qui per presentarvi il mio ultimo lavoro: uno Spitfire Mk.IXe con la Stella di David.

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Il Kit:

Lo Spitfire è un soggetto tra i più apprezzati e riproposti (in scala) al mondo. Il mercato modellistico è pieno di bellissime scatole dedicate alla quasi totalità delle versioni, eppure la variante Mk.IX è la sola che soffre di alcune lacune.

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Le scatole di montaggio a nostra disposizione nella scala del quarto di pollice (1/48) sono le seguenti:

Hasegawa: la ditta giapponese ha in catalogo la scatola contrassegnata dal codice JT79. Lo Spit Hasegawa, nonostante sia stampato egregiamente e abbia un dettaglio ricco e preciso, soffre di un grave difetto di forme che riguarda la fusoliera (più corta di ben 3 millimetri).

ARII: forse il kit più vetusto, oramai fuori produzione da molto tempo e di difficile reperimento. Gli anni che ha sulle spalle li porta, comunque, con grande stile presentando una sorprendente qualità d’incastro e delle forme sostanzialmente corrette. Il dettaglio non è molto curato ma in circolazione esistono validi set in fotoincisione per sopperire a tale mancanza.

Ocidental: anche in questo caso il modello è corretto come linee generali, ma soffre di qualche sbavatura è ritiro facilmente risolvibile con stucco e carta abrasiva.

Airfix: l’ultimo arrivato nel panorama modellistico, il kit dell’azienda inglese non è all’altezza degli standard moderni: dettaglio molto povero e cockpit in pratica inesistente.

ICM: il kit della ditta ucraina è davvero una piacevole sorpresa. Il dettaglio di superficie è ben curato, con pannellature in un fino negativo completate da piccole rivettature posizionate solo dove servono veramente. Oltre a questo, il cockpit è molto bello e ben dettagliato, quasi fosse un set in resina stampato assieme al resto della fusoliera. Ma non finisce qui perché l’ICM ha arricchito il modello con la possibilità di rappresentare il possente motore Merlin completamente a vista, e l’opzione per lasciare aperti entrambe i vani armi presenti nelle ali. Si può dire che questo Spitfire è un piccolo gioiello e rappresenta la scelta definitiva per “modellare” un Mk.IX completo e veramente corretto nelle dimensioni.

Ma le note negative dove sono? Fortunatamente non sono molte ed esse risiedono soprattutto nella qualità della plastica (molto morbida e con una finitura superficiale a buccia d’arancia) e la presenza di qualche ritiro concentrato soprattutto nella zona delle ali. Altri difetti minori li ho riscontrati nel profilo dell’ogiva (troppo corta e tozza), delle pale dell’elica (con uno spessore notevolmente fuori scala), nella forma delle bugne sui portelloni dei vani armi (con una forma poco verosimile e sovradimensionate rispetto a quelle reali) e sulle fattezze dei cerchioni e degli pneumatici (stampati in modo molto approssimativo e anti estetico). Per correggere questi difetti ci si può rivolgere alla Ultracast, marchio canadese semi – artigianale che produce tutta una serie di aftermarket mirati a risolvere le sviste dell’ICM. Personalmente ho acquistato i seguenti set:

  • 48065 – Pneumatici e cerchioni “four spoked”.
  • 48082 – Ogiva e pale elica.
  • 48099 – Portelloni per vani armi.

Oltre a questi tre accessori che definirei indispensabili, ho deciso di acquistare anche i seguenti set:

  • 48063 – Late Style Elevator allo scopo di maggiore realismo alle superfici di comando e realizzare i piani di coda nella posizione che normalmente assumevano quando il velivolo era a terra, quella di picchiata.
  • 48065 – Portellone di accesso alla cabina che presenta un bellissimo dettaglio e uno stile della barra frangi – vetro corretta rispetto a quella stampata dall’ICM.

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L’acquisto di accessori non si è però fermato qui! Diciamo pure che mi sono fatto prendere la mano come solitamente mi capita ma, questa volta, la lista che indicherò qui sotto ha avuto uno scopo anche “funzionale”:

  • Aires 4210 – Engine Set: come già detto qualche riga sopra, la ICM offre la possibilità di aprire le cofanature e lasciare il motore totalmente (o parzialmente) in vista. Per fare ciò, lo stampo presenta una scomposizione dei portelloni alquanto cervellotica che sfocia in una scarsa precisione d’incastro delle parti. In pratica, per ottenere un allineamento decente, bisogna prestare la massima attenzione e preparare l’interno della struttura rinforzandola con del Plasticard e ricreando degli scassi per permettere ai cofani di innestarsi correttamente nelle loro sedi. Ammetto che la pigrizia in questo caso mi ha giocato un brutto scherzo e mi ha fatto credere che, acquistando il bellissimo set in resina dell’Aires per il Merlin (tra l’altro ideato per il kit Hasegawa), avrei risparmiato tempo e il modello avrebbe acquistato maggiore attrattiva. Nel secondo caso le mie aspettative sono state ripagate ampliamente… nel primo assolutamente no! Ma di quest’aspetto parlerò più avanti nell’articolo.
  • CMK 4126 – Spitfire Armament Type E: anche se il vano originale è già buono di per sé, la mia mania per il super dettaglio mi ha portato ad acquistare anche questo set della ditta ceca. La resina è completata da una lastra di fotoincisioni ed ha una finitura davvero buona.
  • CMK 4103 – Spitfire Interior: ricordo che l’abitacolo da scatola è superiore a ogni aspettativa; ma oramai sono abituato a livelli più elevati, quindi non ho potuto fare a meno di quest’ulteriore set!

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La carrellata sui tanti aftermarket di cui mi sono dotato finisce qui… è ora di passare alla parte saliente, quella della costruzione.

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Fusoliera:

La prima operazione riguarda la totale asportazione delle cofanature laterali del motore, da me eseguita mediante un taglierino ben affilato. Grazie a delle incisioni che fungono da linee guida (presenti nella parte interna), la separazione della plastica in eccesso avviene con relativa facilità e con una buona precisione.

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A questo punto mi sono dedicato all’abitacolo: l’ottimo set in resina della CMK, seppur ideato per il kit Hasegawa, si adatta con poca fatica anche nell’ICM. Tutto (o quasi) il dettaglio interno originale va asportato, e la plastica della fusoliera leggermente assottigliata per far posto alle nuove paratie laterali incollate in posizione mediante colla ciano acrilica.

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L’aftermarket non si limita a dettagliare solamente il cockpit, ma include alcuni pezzi per lasciare in vista anche il vano radio, proprio alle spalle del pilota. Per fare ciò, ho aperto il piccolo portello in fusoliera come potete vedere in foto:

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Il fondo dell’abitacolo va assottigliato in spessore di almeno un millimetro, altrimenti esso impedirà al complesso alare di inserirsi correttamente nel suo scasso.

L’intero “Pilot’s Office” è stato verniciato in Light Green F.S. 34227 (Gunze H-312) e in seguito sottoposto a un accurato lavaggio in Bruno Van Dyck a olio molto diluito e fatto scorrere lungo i dettagli e i sottosquadri per capillarità.

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Il cruscotto della CMK è composto da una base in resina con strumentazione riprodotta in fotoincisione; i quadranti sono stampati su un foglietto di acetato da me verniciato in bianco sul retro (per mettere in risalto le lancette) e poi incollato con il ciano acrilico sulla parte in resina. Il pezzo PE (photo etched), precedentemente verniciato in nero opaco e particolareggiato con un dry brush in grigio chiaro, è stato fissato al resto del pannello con una spennellata di cera Future (una volta essiccata funge benissimo da collante).

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Il seggiolino degli Spitfire non era metallico, bensì costruito in bachelite. Il colore di questo materiale variava molto secondo l’esemplare, ma di base era un rossiccio abbastanza acceso; personalmente l’ho riprodotto con il Linoleum Deck Brown della Tamiya XF-79 e completato, con un lavaggio sempre in Van Dyck e con le cinture (anch’esse foto incise) in grigio chiaro F.S. 36375. A questo punto le mie attenzioni si sono rivolte al timone di profondità: l’ICM lo fornisce separato dal resto della cellula, ma in realtà la superficie di comando non può essere montata nella posizione a piacimento. La soluzione adottata dalla ditta ucraina è dettata solo dal fatto che, nel kit, è presente sia il timone con terminale a punta, sia quello con forma arrotondata (tipico degli esemplari RAF) ed essi sono intercambiabili in base alle necessità del modellista.

Per dare un po’ di “movimento” al mio Spitfire, ho deciso di modificare il rudder aggiungendo una striscia di rod a sezione quadrata lungo come potete vedere dalla foto:

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Dopo averlo incollato, ho sagomato il rod a colpi di lima ed ho stuccato il tutto per chiudere eventuali fessure. In pratica non ho fatto altro che ricreare lo stesso profilo tondeggiante presente anche sul timone del velivolo reale; quest’accortezza permetteva alla superficie mobile di ruotare all’interno della fusoliera sia a destra, sia a sinistra. L’intervento ha interessato anche la parte fissa della deriva cui ho allargato l’alloggiamento mediante una fresa montata su di un trapanino. Ecco una foto:

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Prima di chiudere le due semi-fusoliere ho aggiunto qualche piombino da pesca nella parte terminale (in previsione di aggiungere il motore dell’Aires che ha un peso non trascurabile e potrebbe sbilanciare in avanti il modello), e inserito la paratia interna, dove andrà alloggiato il Merlin, sul frontale. Quest’ultima è stata poi stuccata con l’uso dello stucco liquido Mr.Surfacer 500 della Gunze che ha la peculiarità di essere lisciato semplicemente con un cotton fioc imbevuto di diluente per smalti Tamiya.

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Ali:

Anche le ali sono state oggetto di pesanti trasformazioni. Come detto in precedenza, ho acquistato il set della CMK relativo al vano armi dedicato allo Spit Mk.IXe – versione oggetto di quest’articolo. Sfruttando la predisposizione già studiata dall’ICM, ho eliminato il dettaglio originale in plastica per far posto ai pezzi in resina, molto più realistici e dettagliati.

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Anche in questo caso, l’aftermarket è ideato sulla base del kit Hasegawa ma, personalmente, non ho trovato particolari difficoltà di adattamento (basta solamente assottigliare il fondo del vano per evitare che spinga contro la parte inferiore della semi-ala). Discorso diverso vale per le centinature fornite in fotoincisione (da aggiungere attorno all’apertura – nella realtà era proprio su queste centine che venivano avvitati i portelloni di chiusura) che sono molto sottili e si piegano con estrema facilità. Inoltre la CMK ne fornisce una quantità che basta a malapena per terminarne due (il set fornisce pezzi per aprire entrambe i vani armi), ma se commettete qualche errore o una fotoincisione si rovina irrimediabilmente, avete possibilità di completare il lavoro su un solo alloggiamento.

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Essendo anch’io incappato in questo imprevisto, ho deciso di aprire solamente la gun bay di destra e chiudere la corrispondente; a tale scopo ho sostituito la carenatura originale del kit (che ha una forma della bugna completamente errata) con la copia corretta in resina dell’Ultracast che s’inserisce al proprio posto con relativa facilità. Come unica accortezza, ho incollato due strisce di plasticard nella parte interna a evitare che il pezzo potesse staccarsi e “affondare” con le successive operazioni di carteggiatura. Attenzione a sagomare il rinforzo interno in modo che questo non vada a finire all’interno del pozzetto carrello (qui sotto le foto dell’adattamento):

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In seguito è stata la volta dei fori per l’espulsione dei bossoli. Essendo il kit buono per riprodurre tutte le versioni di ala utilizzate dagli Spit IX (variante C, D ed E), ci sono varie predisposizioni all’interno delle semi ali da forare in base alla necessità. Questa soluzione, oltre ad essere poco pratica, è anche particolarmente imprecisa poiché difficilmente si può ottenere un taglio netto. Personalmente ho preferito “bucare” del tutto l’ala, allargare ulteriormente le zone interessate, e inserirvi all’interno delle “scatolette” in resina appositamente create dalla Quickboost (codice QB48075) per ottenere degli “sheel case chute” perfettamente rettangolari.

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Ecco delle immagini che vi aiutano a comprendere meglio il procedimento:

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Gli esemplari avuti in carico dalla Israeli Air Force erano quasi tutti (si conosce solo un esemplare con ala elittica) con ali tronche essendo ottimizzati per l’attacco al suolo. In accordo con la documentazione, quindi, ho aggiunto le tip alari “clipped” (come sono chiamate in gergo tecnico): quelle fornite dal kit non hanno una qualità d’incastro eccelsa e, oltretutto, rimangono leggermente fuori sagoma. Con molta pazienza e uso intensivo di carta abrasiva grana 500, ho riportato i pezzi alle corrette dimensioni e li ho stuccati per pareggiare gli eventuali dislivelli.

Ho anche aggiunto le luci di navigazione (rosso a sinistra e verde a destra), ricavate da schegge di resina colorata incollate mediante abbondante uso di ciano acrilico; il collante mi ha anche evitato di impiegare il classico stucco poiché, una volta lisciato, ha riempito perfettamente il gap assumendo anche una finitura trasparente.

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Veniamo ora agli alettoni, vero e proprio incubo! Anche in questo caso vale il discorso fatto per il timone di profondità: sono forniti separati ma non hanno possibilità di essere montati nella posizione a piacimento. Non avendo più molta voglia di imbattermi nell’ennesimo “taglia e cuci” con plasticard e rod, ho deciso di montarli in posizione neutra senza perdere altro tempo. E, invece, di tempo ne ho perduto anche oltre le aspettative poiché i pezzi s’inserivano a fatica nell’ala lasciando profonde fessure.

Per non rovinare il dettaglio di superficie inciso, ho preferito l’uso del Milliput per riempire i difetti di montaggio: ho mescolato i componenti in parti uguali e ne ho ricavato un “salsicciotto” da spingere all’interno degli “spacchi”. In seguito, con una spugnetta umida di acqua, ho portato via l’eccesso e ho aspettato che il bi-componente si asciugasse del tutto (circa sei ore complessive). Per ricreare le pannellature mi sono avvalso di uno scriber che ho ripassato con delicatezza sopra al Milliput; se esso è completamente secco diventa molto duro e si lascia incidere con estrema precisione. Una passata di pasta abrasiva ha lucidato e completato l’opera.

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Unione ali/fusoliera e ultimi dettagli:

L’unione tra le ali e la fusoliera è, senza dubbio, l’operazione più delicata di tutta la costruzione. Le difficoltà maggiori le creano gli incastri poco precisi che determinano delle fessure abbastanza larghe lungo tutte le giunzioni. Come se non bastasse, se non si cura l’incollaggio tra i due blocchi in modo quasi maniacale, la fusoliera tende a non allinearsi in modo preciso facendo apparire il modello “svergolato”.

Prima di incollare le ali ho limato leggermente le zone che andranno a infilarsi nello scasso; quest’accorgimento è servito per dargli il corretto diedro positivo.

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Dopo di che, con molta attenzione, ho unito la superficie alare con abbondante uso di Attack, e l’ho “forzata” nella posizione voluta aiutandomi con delle mollette  da bucato.

Stuccare e lisciare i gap non è stato semplice (ho impiegato almeno due passate di stucco con altrettante di carta abrasiva), e le varie operazioni di carteggiatura hanno rovinato in parte il bel dettaglio di superficie che l’ICM ha stampato sul raccordo Karman (raccordo alare). Per ripristinare tutte le incisioni e i rivetti ho utilizzato uno scriber e tanta pazienza poiché la plastica del modello è molto morbida e l’incisore “scivola” via facilmente.

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Veniamo ora ai piani di coda: quelli originali presentano, purtroppo, gli elevoni già stampati con la parte fissa. Gli Spitfire, per effetto della caduta in avanti della cloche, a terra hanno spesso le superfici mobili in posizione di picchiata, la stessa che ho riprodotto sul mio modello grazie al set in resina dell’Ultracast di cui avevo parlato ad inizio articolo.

Per ricreare la zona di rotazione degli elevoni, ho scavato all’interno del piano di coda mediante una lima a sezione tonda e asportando la plastica fino a ottenere la forma semi-circolare che vedete qui sotto in foto:

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I cannoncini Hispano Suiza in resina sono stati prelevati dal set della CMK. Di per sé già molto belli, li ho ulteriormente migliorati sostituendo la canna con una parte di ago ipodermico da siringa. Inoltre, per evitare che si potessero rompere durante la verniciatura, li ho rinforzati con un tondino di rame innestato all’interno.

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Attenzione quando li andrete a montare! Ricordatevi che l’ala E dello Spit prevedeva che le armi di maggiore calibro fossero sistemate esternamente.

Osservando le immagini pubblicate nei vari libri a mia disposizione, ho notato che sotto al cupolino fisso del canopy era presente un longherone di rinforzo. A dir la verità, la CMK nel suo set per il cockpit ne prevede la riproduzione con una strisciolina di fotoincisione (già fornita), ma questa è troppo corta e, personalmente, ho scelto di rimpiazzarla con un pezzo di plasticard sagomato di opportuno spessore. Ho anche aggiunto un pezzo di nastro Tamiya che ha simulato la sezione di cinghia che si aggancia al sistema di ritenzione delle cinture di sicurezza all’interno della carlinga.

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Una nota è doverosa per il collimatore poiché sia quello presente nella scatola, sia quello del set CMK è del primo tipo – incompatibile, quindi, con quelli montati sugli esemplari israeliani che avevano la base rettangolare e il doppio vetrino su cui veniva proiettato il puntatore.

A questo punto è il momento di montare i trasparenti (preventivamente bagnati nella cera Future per dargli maggiore brillantezza): nessun problema per il cupolino, qualche difficoltà in più per il parabrezza che è leggermente sottodimensionato rispetto alla sua sede. Dopo aver incollato il windshield con Attack (se trattato con la cera Future i vapori del collante non intaccano la trasparenza), l’ho stuccato e lisciato con il Tamiya basic putty – più che valido per questo tipo di operazioni. Sempre in accordo con la documentazione, sotto il blindovetro dei velivoli reali c’erano due piastre di rinforzo rivettate; nel kit sono completamente assenti e per rifarle ho optato per il nastro di alluminio adesivo che si usa per i lavori di idraulica. Questo materiale ha il vantaggio di poter essere sagomato con facilità mediante un taglierino affilato, e avere uno spessore molto ridotto e perfettamente in scala.

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Immediatamente dietro al tappo del serbatoio del carburante (davanti all’abitacolo) c’erano due piccoli sfoghi per lo spurgo dei vapori di cherosene. Questo particolare è assente nel modello e l’ho facilmente riprodotto mediante una punta sottile da trapano.

Ultimo accorgimento è stato quello di asportare la base del dipolo dell’antenna (stampato direttamente sulla fusoliera ma che, inevitabilmente si rovina con la carteggiatura della stessa) e rifarla da capo con un pezzo di plasticard opportunamente sagomato. Piccola curiosità… la piastra era realizzata in bachelite, materiale che isolava l’antenna e ne riduceva il disturbo dovuto al resto della struttura metallica dell’aereo.

Il motore Aires:

Il Merlin dell’Aires si può definire un piccolo capolavoro, vero e proprio modello nel modello. Molto dettagliato e realistico, rappresenta una sfida interessante per il modellista, soprattutto per adattarlo al kit ICM giacché è studiato per l’Hasegawa. La prima operazione da fare è pulire il castello motore dai residui di resina e dai rinforzi per lo stampo: con attenzione e una fresa da rifinitura montata su un trapanino elettrico, ho “liberato” il telaio e con esso ho iniziato le prove a secco iniziali. Devo dire che sono rimasto abbastanza sorpreso perché la sola struttura s’inserisce quasi senza problemi e la fusoliera forza giusto un po’ lungo i suoi lati.

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Assemblare le tre parti in resina che compongono il propulsore richiede circa un’ora di lavoro, e le fessure (trascurabili) che si formano si possono riempire con il Mr.Surfacer 1000 della Gunze.

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Le note dolenti arrivano quando s’inserisce il blocco motore nel castello, e poi il tutto nella fusoliera: con l’aumento degli ingombri le tolleranze (meno di un millimetro rimanente) si annullano e bisogna forzare con delicatezza tutto l’insieme per incastrarlo, letteralmente, sulla paratia apposita. Prima di tutto ciò, bisogna eliminare la parte centrale di questa tubazione che vedete in foto, altrimenti il Merlin non si allineerà correttamente.

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Finito l’adattamento, inizia la verniciatura: non è facile risalire al colore originale che aveva un Merlin montato su uno Spit Mk.IX poiché tutte le immagini inserite nei libri rappresentano motori restaurati, riverniciati e “aggiornati” con componenti moderni. Dopo qualche ricerca fatta sul Web ho realizzato che la tinta dell’epoca era scura, molto probabilmente un nero opaco (o che lo diventava velocemente a causa del calore e della sporcizia)… e così l’ho riprodotto anch’io in scala. I tanti particolari presenti li ho evidenziati con un dry brush in grigio chiaro. Foto alla mano, ho iniziato a collocare le tante tubazioni che “avvolgevano” il propulsore… vi assicuro che sono davvero molte! Tenendo conto della scala, ne ho aggiunte fino a quando l’aspetto generale era gradevole alla vista, senza appesantire inutilmente il tutto. Per lo scopo ho utilizzato dei filamenti di rame provenienti da un cavo elettrico, e dei fili di stagno di spessore opportuno. Per simulare le fascette che tenevano uniti i cavi, ho utilizzato delle strisce sottili di Masking Stripes dell’Eduard non verniciate.

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Altra modifica da apportare in questa fase, è l’asportazione di almeno due millimetri di resina dalla sede dove andrà poi montato l’enorme filtro dell’aria, altrimenti esso assumerà una posizione del tutto irreale e anti estetica.

Verniciatura e invecchiamento:

Veniamo ora alla verniciatura e all’invecchiamento, due fasi cruciali per la buona riuscita del modello. Prima di proseguire oltre, però, è bene fare una piccola premessa sulla storia di questo velivolo nell’aeronautica israeliana.

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Gli Spitfire IAF (tralasciando i primi due esemplari assemblati e rimessi in condizioni di volo direttamente in Israele e di origine inglese) furono acquistati in Cecoslovacchia come naturale proseguimento di una già esistente fornitura di velivoli in surplus (i primi AVIA S-199 provenivano sempre dal paese del nascente blocco sovietico). In totale l’Aeronautica Militare Cecoslovacca fornì un totale di circa sessantacinque Spitfire Mk.IX (di cui la maggior parte con ala di tipo E e pochi altri di tipo C) già in precedenza utilizzati dalla Royal Air Force durante la WWII. Quindi gli israeliani comprarono uno stock di cellule di terza mano e già molto sfruttate, ma il nuovo conflitto con l’Egitto che stava per scatenarsi e la scarsità di velivoli in grado di contrastare la REAF (Royal Egyptian Air Force, anch’essa dotata di Spitfire IX) spinse i vertici della Hel Ha Avir a concludere in gran fretta l’affare e avere a disposizione in breve tempo le nuove macchine.

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Qualche tempo fa gli studiosi e gli appassionati pensavano che gli Spit israeliani fossero stati riverniciati parzialmente ricoprendo il grigio della mimetica continentale RAF con un marrone scuro per rendere i colori più adatti al nuovo teatro operativo desertico ma, dopo ulteriori anni di studi, ricerche e testimonianze si è giunti alla conclusione che agli esemplari IAF furono solamente obliterati i codici e le coccarde mantenendo il medesimo camouflage utilizzato in Cecoslovacchia (e quindi quello inglese in Ocean Grey, Dark Green e Medium Grey).

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Potete immaginare, quindi, che gli aerei arrivarono in Israele con una verniciatura già logora che peggiorò ulteriormente con il clima caldo e la sabbia; si vedono parecchie immagini (fondamentale durante tutte le fasi del mio lavoro è stato il libro di Alex Yofe – Spitfire in IAF Service 1948 – 1956, edito dalla White Crow Pubblications) dove la mimetica risultava molto provata e con ampie zone su cui la vernice si scrostava a causa del calpestamento e delle estreme condizioni meteorologiche. In particolare il fenomeno del “chipping” si notava sulle radici alari (dove camminavano gli specialisti), attorno alle cofanature motore (per l’ispezione continua dei vecchi Merlin) e sui bordi di attacco delle ali (continuamente investite a terra dai sassi sollevati dal getto dell’elica).

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Per riprodurre in scala questo particolare tipo di usura mi sono avvalso della “tecnica del sale” o “salt chipping effect”. Evito di entrare nei dettagli per non dilungarmi troppo, ma chiunque fosse interessato ad apprendere questa tecnica modellistica è invitato a visionare questo VIDEO TUTORIAL di Modeling Time appositamente creato.

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Qui sotto troverete l’elenco dei colori utilizzati sul mio modello, in ordine di stesura:

  • Medium Sea Grey – F.S. 36270 – Gunze H-306 per le superfici inferiori.
  • Ocean Grey – F.S. 36152 – Tamiya XF-54 schiarito al 30% con del bianco.
  • Dark Green – F.S. 34079 – Gunze H-309

Ammetto di essere stato un ingenuo credendo di trovare la miglior corrispondenza per le vernici da utilizzare in modo semplice…. In fondo lo Spitifire è uno dei velivoli modellisticamente più riprodotti, no? Bene, mi sono dovuto ricredere immediatamente! La questione sull’esatta tonalità dell’Ocean Grey si dibatte da anni tra gli appassionati ma, a quanto pare, una risposta precisa al problema non si è ancora trovata… mi spiego meglio:

Nel 1941 lo Stato Maggiore della RAF cambiò lo standard mimetico dei propri velivoli passando da uno schema a chiazze di marrone e verde a quello portato dal mio Spitfire; in sostanza il verde rimaneva identico, mentre variavano il grigio scuro (l’Ocean Grey appunto) e il Medium Sea Grey delle superfici inferiori. All’atto del cambio di colorazione, nei magazzini inglesi non era ancora presente il “nuovo” grigio scuro e per questo fu ricavata una tinta simile utilizzando sette parti di Medium Sea Grey, più una parte di nero. Il grigio in questione non diventò quello ufficiale fino al 1945, quando fu disponibile in quantità accettabili e tutti i velivoli della RAF furono riverniciati. Tecnicamente la Tamiya, in occasione dell’uscita del suo nuovo kit dedicato allo Spitfire in 1/32, ha immesso in commercio degli acrilici appositamente dedicati ma, in realtà, il grigio di questa nuova serie di colori è storicamente corretta solo per gli ultimi esemplari operativi durante la WWII e per gli Spit più tardi come quelli motorizzati Griffon.

Per farla breve, ho preferito ricreare il colore partendo da una base di XF-54 Tamiya schiarito con del bianco opaco al 30% circa. Quest’ultimo, come del resto tutte le altre tinte della mimetica, sono state solo la base iniziale su cui poi applicare vari strati di post shading e ricreare il grado d’invecchiamento che potete vedere nelle foto del lavoro completo.

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Il timone di profondità presenta il caratteristico motivo a bande rosse e bianche introdotte a partire dalla Prima Guerra d’Indipendenza israeliana. Ho preferito realizzarlo ad aerografo (piuttosto che utilizzare la decal inclusa nel set di cui vi parlerò fra breve) passando prima il bianco opaco Tamiya che ha fatto da base anche per il Rosso F.S. 11136, Gunze H-327.

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In rosso anche l’ogiva dell’elica ad eccezione del piatto, in bianco opaco.

L’ultima nota riguarda il vano armi, i cerchioni e le gambe di forza del carrello, particolari tutti verniciati in White Alluminium dell’ALCLAD.

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Decalcomanie:

L’esemplare da me scelto è il 26/2011, uno dei primi Spit giunti in Israele con l’operazione Velveta I, messa in atto dalla IAF per trasportare nel modo più veloce i nuovi velivoli in patria.

A tale scopo furono inviati in Cecoslovacchia tecnici, specialisti e un piccolo nucleo di piloti per prendere confidenza con il nuovo aereo e conseguire la necessaria abilitazione. Mentre i meccanici erano oramai dei veterani con anni di servizio sulle spalle, i piloti erano per lo più dei neo brevettati con limitata esperienza e pochissime ore di volo. Il loro compito iniziale era quello di prendere in carico i velivoli e portarli in volo in Israele con dei lunghi trasferimenti detti “ferry flights”. Tra le nuove leve vi era anche Dani Shapira (che in seguito divenne uno degli ufficiali con più esperienza nella IAF e, più tardi, collaudatore) cui fu assegnato proprio lo Spit numero 26. Ami Roch, specialista incaricato di quell’esemplare, notando la giovane età del graduato, dipinse sotto all’abitacolo una fenice che stringeva, tra gli artigli, uno Spitfire egiziano. Lo stemma era un buon auspicio “per i giovani piloti che affrontarono quel lungo e pericoloso viaggio” (come disse anni più avanti lo stesso Roch), ma simboleggiava anche il nuovo stato d’Israele che, come la fenice, risorgeva dalle proprie ceneri per un futuro migliore.

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Il foglio decalcomanie da me scelto è un prodotto della Sky’s Decal intitolato “The First IAF Fighters” (codice 48021). Con esso si possono realizzare i primi AVIA S-199 in carico ad Israele, più i Mustang e lo Spitfire oggetto di quest’articolo. Le decal sono di buona qualità, anche se reagiscono con difficoltà ai liquidi ammorbidenti della Microscale; sconsiglio, inoltre, di utilizzare il più aggressivo Mr.Mark Softer perché tende a sciogliere i colori delle insegne (in particolare il blu delle Stelle di Davide).

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Ovviamente, prima di apporre le decal, è importante preparare il fondo con almeno quattro mani di trasparente lucido della Gunze molto diluito. La superficie liscia ha aiutato anche la stesura dei lavaggi; i colori da me scelti sono stati tre:

  • Grigio scuro sull’Ocean Grey.
  • Bruno Van Dyck sul verde.
  • Grigio medio per le superfici inferiori.

Montaggio finale:

Giunto finalmente alla fase finale della costruzione, mi sono dedicato alla preparazione degli ultimi particolari; gli pneumatici in resina sono stati separati dalla base e verniciati con il Gunze H-77 (la parte di gomma) e in White Alluminium Alclad il cerchione.

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Le pale dell’elica, anch’esse in resina, sono state raddrizzate poiché leggermente curve verso l’interno: a tale scopo le ho immerse per qualche secondo in acqua calda e le ho forzate in posizione. Successivamente le ho verniciare in NATO Black della Tamiya con le tip in giallo Gunze H-329. Per completarle e simulare l’usura e la sporcizia che si accumula durante la rotazione, ho spruzzato delle linee sottili in grigio chiaro molto diluito con l’aerografo molto vicino ai pezzi.

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Il colore dei fumi di scarico è stato un bel dilemma che mi ha portato via parecchio tempo in ricerche e controllo della documentazione. Tutte le immagini oggi disponibili riguardanti gli Spit israeliani sono in Bianco/Nero, quindi rimane molto difficile interpretare la tonalità che assumeva l’exhaust smoke; quello che s’intuisce è che esso era sicuramente molto chiaro, con molta probabilità tendente al marroncino, e investiva un’area molto vasta ai lati della fusoliera (di certo gli specialisti non perdevano molto tempo per lavare e ripulire i velivoli impegnati nel conflitto contro l’Egitto!).

I Merlin montati sugli esemplari IAF erano motori con parecchie ore di volo e molto sfruttati. E’ molto plausibile, quindi, pensare che i cilindri presentassero un consumo delle fascette raschia aolio elevato; senza entrare troppo nel merito, tecnicamente queste fascette hanno la medesima funzione che svolgono anche nei motori delle nostre macchine, ossia raschiare via l’olio che lubrifica la camera del cilindro ed evitare che esso sia poi risucchiato dagli scarichi ed espulso attraverso gli scarichi.

In definitiva, il colore giallastro/marroncino (da me riprodotto schiarendo con varie percentuali di bianco il Tan Gunze H-310) era dovuto dalla quantità (variabile) di olio che trafilava nella camera di combustione e veniva poi volatilizzata dagli scarichi.

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Il traliccio dell’antenna originale, seppur corretto nelle forme, è troppo spesso e fuori scala e ho preferito sostituirlo con un bellissimo aftermarket della Quickboost (codice QB48319).

Ricordatevi che gli Spitfire Mk.IX (unica eccezione gli esemplari russi) non presentavano più il cavo che si ancorava dal menzionato traliccio fino alla sommità della deriva (dalla versione Mk.II in poi la radio fu sostituita e l’apparato non necessitava più di quest’accorgimento tecnico).

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Lo specchietto retrovisore (del tipo tondo) del kit, enorme rispetto alle proporzioni del modello, è stato scartato e sostituito da uno in fotoincisione della Eduard (tratto dal set 48409). La carenatura aerodinamica “bombata” nel retro dello specchio, l’ho riprodotta con una goccia di Kristal Kleer. In alcune immagini pubblicare sul citato libro di Alex Yofe, il mio esemplare era addirittura sprovvisto dello specchio, poi reintegrato come si può notare nelle immagini che lo ritraggono in un periodo più tardo. Un’ultima mano di opaca stesa su tutto il modello, l’aggiunta della luce di navigazione dietro all’abitacolo, del tettuccio rigorosamente in posizione aperta, dei piani di coda e del ruotino hanno decretato la fine del mio lungo e, lo ammetto, faticoso lavoro.

In conclusione posso dirvi che, per uno come me abituato a maneggiare e modellare jet moderni, costruire un aereo storico è stato azzerare le mie conoscenze (tecniche e storiche) e iniziare da capo! Devo dire, però, che mi sono divertito molto e la soddisfazione di portare a termine un modello super dettagliato con una livrea insolita e accattivante come quella israeliana mi ha dato una grande soddisfazione.

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Un saluto a tutti e buon modellismo. Valerio – Starfighter84 – D’Amadio.

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Luft ’46: Focke Wulf TA-183 A – Huckebein dal kit Tamiya in scala 1/48.

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Focke Wulf TA183a - Huckebein

Il primo modello non si scorda mai.

Ok, non è proprio il primo che faccio, ma il primo che mi da la possibilità di scriverci un articolo. Sono passati tantissimi anni da quando mio padre mi insegnava a fare modellismo, ed io da bravo attaccavo tutti i pezzi seguendo le istruzioni e completavo il mio primo aereo, un A-7 Corsair in meno di 1 ora. Da allora tante cose sono cambiate, ma l’unica cosa che non è mai cambiata è la voglia di sedermi a tavolino con una bella scatola ed immaginare già il lavoro finito e tutte le insidie che presenterà il percorso.

Focke Wulf TA183a - Huckebein

Il soggetto dell’articolo ricalca in pieno anche il mio gusto modellistico. Sempre al limite tra fantasia e realtà.

Il Focke Wulf TA183a – Huckebein scala 1/48 (Tamiya) fa parte di quella schiera di velivoli per i quali nessuno scommetterebbe mai sulla loro reale esistenza e che vengono chiamati perciò Luft 46. In un ipotetico scenario in cui la 2° guerra mondiale fosse continuata, li avremmo sicuramente visti volare e mettere il sale sulla coda agli americani Mustang e inglesi Spitfire. Gli ingegneri tedeschi senza dubbio avevano una marcia in più e sapevano come far volare i loro apparecchi, ma l’andamento della guerra (per fortuna) non ci ha fatto deliziare dei loro gioielli. L’Huckebein tra i Luft 46, è di sicuro uno dei più credibili e attendibili aerei, infatti sembra che qualche americano venuto in possesso dei progetti o addirittura di qualche prototipo lo abbia celato al mondo per riportarlo in patria e trarne poi i frutti dal lavoro dei tedeschi, mettendo in produzione delle versioni molto somiglianti, e  lanciando di fatto l’avvento degli aviogetti in occidente. Il modello mi ha sempre affascinato soprattutto perchè, non essendo mai appartenuto a nessuno stormo, non vincola il modellista a rigidi ed obbligatori schemi mimetici, ma può far spaziare in più direzioni. Ma questo è però anche il rovescio della medaglia. E’ incontestabile il fatto che volendo applicare una mimetica della marina, o desertica, nessuno avrà mai da obiettare sulla veridicità di tale schema, ma è anche vero che servono dei parametri per poterlo realizzare e non si può del tutto andare a caso o affidarsi alla fantasia.

Focke Wulf TA183a - Huckebein

E’ quest’ultima analisi che mi ha portato a optare per la mimetica bianco-rossa (suggeritami da: http://cadcam.e-monsite.com/album-cat-1-67577.html). Non avendo foto a cui fare riferimento mi sono lasciato convincere dalla facilità di realizzazione senza dover perdere tempo in minuziose mascherature, e anche per fare qualcosa di sicuramente originale.

La scatola non ha mai rappresentato un problema. Le stampe si presentavano pulite e precise in puro standard Tamiya, pur essendo la scatola un pò datata (l’ho acquistata per puro caso trovandola in vendita su eBay). Inoltre ho acquistato set di dettaglio aggiuntivo per il vano carrello/motore centrali (Aires), vano carrello anteriore e presa d’aria e scarico (Quickboost). Il montaggio sarebbe andato quasi tutto liscio tranne che per i set di dettaglio sopra elencati.

I problemi sono nati in due diverse zone dell’aereo. Il vano carrello/prese d’aria anteriore non risultava perfetto, ed ho dovuto limare la parte superiore interna poichè entrava in contatto con la vasca della cabina di pilotaggio, ho dovuto limare quasi fino a sfondare il cielo della presa d’aria, invece per le dimensioni del vano carrello anteriore non ho avuto problemi.

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Purtroppo per quello che riguarda l’ugello di scarico, per altro stupendo, non c’è stato nulla da fare. Si presentava pesantemente sottodimensionato, almeno 1/50. E visti i raccordi curvilinei ai quali si dovrebbe allacciare alla coda ho optato per lo scarico “di serie”, non volevo impelagarmi in un lungo lavoro di scultura vera a e propria con lo stucco. Mentre per quello che riguarda il vano carrello/motore centrale l’incastro era semplicemente perfetto. La vasca del pilota non era particolarmente ricca di particolari ma sufficiente da non dover richiedere interventi. Il quadro strumenti è ben definito, e con un buon drybrush con il colore di base (Hu-67) schiarito con bianco si fanno risaltare tutti i particolari, anche le lancette degli strumenti che successivamente sono state ruicoperte con una goccia di trasparente a simulare il vetro.

Focke Wulf TA183a - Huckebein

Invece il seggiolino è stato dotato di cinture di sicurezza ricavate da striscioline di carta e filo di rame opportunamente sagomato. Il motore e vano carrello centrale ha meritato un trattamento a parte naturalmente. E’ stato colorato con il colore di base Hu-111 e fatto un pesante drybrush con il colore di base schiarito, poi è stata data una mano di lucido e un pesante lavaggio ad olio nero. Successivamente mano di opaco e altro drybrush selettivo con argento. Ad esclusione della mano di argento, la stessa procedura l’hanno subita i carrelli e vano carrello ant., ai quali ho cercato di applicare una timida lumeggiatura (prima volta che ci provo) e sono stati arricchiti da filo di rame. Chiuso il cockpit ho assemblato il resto dell’aereo. Le istruzioni sono molto semplici e ad un solo grande disegno.

Per la mimetica scelta non volevo esagerare, ed ho applicato un pre-shading con un grigio, che però è risultato troppo leggero ed è stato cancellato dalle molte mani di bianco. Di conseguenza è stato poi ripreso con un post-shading piuttosto pesante sempre con il grigio. L’unica mascheratura era sulla coda che sarebbe dovuta essere rossa con al centro un bel cerchio bianco dove trova posto il simbolo nazista.

Focke Wulf TA183a - Huckebein

Apro una piccola parentesi: A posteriori vi dico che, se non siete più che esperti (come io non sono) evitate di maneggiare il bianco ed il rosso su superfici così estese. Il bianco ha bisogno di un ottima diluizione e molte mani, per non parlare del pre e post-shading che dev’essere fatto alla perfezione altrimenti il bianco non da scampo. Ed infine il rosso, se possibile necessita di ancora più mani del bianco prima di prendere la tonalità brillante che ci si aspetta. E l’inesperienza ha colpito. Il mio post non è perfetto ed il rosso l’ho dato sulla base grigia. Fatto l’esperienza, vi suggerisco di colorare tutto l’aereo di bianco e poi aggiungere il rosso che allora prenderà subito un bel colore vivo. Il cerchio in coda l’ho realizzato con un cerchiometro su nastro da carrozziere, cutter ben affilato e mano ferma. Di seguito in coda è stato fatto un post con il rosso scurito passando sulle principali linee di pannellatura.

Focke Wulf TA183a - Huckebein

Ed ora veniamo ai veri problemi che ho riscontrato: Il lucido e l’opaco. Il lucido che ho usato era il Tamiya acrilico molto diluito con il suo Thinner. Fino a questo modello ho sempre utilizzato smalti Humbrol, ma ho fatto il salto finale e sono passato agli acrilici.Anche qui non avendo esperienza ho diluito troppo il lucido e mi sono occorse molte mani per poter ottenere la finitura che desideravo, con il risultato che alcune linee di panelli le ho irrimediabilmente chiuse. Per fortuna che sono molto piccole e ben nascoste.

Focke Wulf TA183a - Huckebein

Le decal erano poche, dieciin tutto e non mi hanno dato problemi, ovviamente hanno subito il trattamento che ogni decal si merita. Bagnetto in acqua con qualche goccia di MicroSet e appena posata un bel pò di mani di MicroSol per ammorbidire a fare aderire per bene. Il lavaggio non è stato molto intenso, visto il pesante pre-shading che avevo fatto, ed è stato realizzato con del grigio. Invece sulla coda, ovviamente dietro consiglio degli inesauribili ragazzi del Forum, ho applicato un lavaggio con il nero.

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Ed ora il secondo problema: L’opaco. Anche qui senza esperienza, ho dato la prima mano di opaco ed ecco il dramma che si consuma. A causa della diluizione sbagliata (ancora non so se troppo o troppo poco) sulla vernice bianca hanno cominciato a formarsi delle increspature orribili. Ho subito rimediato con un cotton fioc imbevuto di diluente a togliere la mano appena data. Alla fine preso dal terrore che tutto il lavoro finisse in malora ho ripiegato sul molto più familiare opaco Humbrol, che oltre a non darmi problemi ha quasi del tutto mascherato il danno che si stava presentando. In conclusione ho riassemblato il tutto: carrelli, portelli dei carrelli e come qualcuno li ha ribattezzati gli “strufoli”, ovvero i ruhrstahl X-4, i primi missili aria-aria. Per il Kettenkraftrad invece nessun problema sia nell’assemblaggio che nella verniciatura, ed inoltre si è meritato un bel lavaggio pesante.

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Il Focke Wulf lo consiglio praticamente a tutti, poichè si tratta di un prodotto molto ben realizzato in pieno standard Tamiya, molto semplice adatto anche ai più inesperti che si possono cimentare in un aereo 1/48 realizzandolo praticamente da scatola senza ulteriori interventi, inoltre garantisce un soggetto con in quale ci si può veramente sbizzarrire e realizzarlo come più ci piace tanto per uscire dal seminato al quale il nostro hobby ci costringe. La fine di una lavoro è sempre una gran soddisfazione.Per me è una soddisfazione doppia o forse tripla.

Innanzitutto ho potuto sperimentare nuove tecniche, come cercare di riprodurre con il Maskol delle scrostature, oppure come desaturare le decal  con dei pigmenti Tamiya ed infine ho potuto apprezzare le potenzialità degli Alclad con i quali ho simulato le bruciature sull’ugello di scarico e sulle mitragliatrici, veramente un prodotto eccezionale.Soddisfazione tripla poichè sono entrato in contatto con un Forum di veri professionisti che mi hanno suggerito, consigliato ed incoraggiato lungo tutto il percorso.

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Uno special thanks a Valerio, sempre disponibile ed una vera enciclopedia modellistica, un esempio. Buon Modellismo a tutti, Flavio – Takaya74 – Paolini.

Video Tutorial: Salt Chipping Technique – Invecchiamento con la Tecnica del Sale.

Ecco a voi l’ultimo Video Tutorial di Modeling Time! questa volta vi spiegherò come eseguire la tecnica del sale per simulare scrostature ed invecchiare le mimetiche dei vostri modelli.

Buona visione! happy modeling. Valerio “Starfighter84” D’Amadio.

 

Salt Chipping Technique – Invecchiamento con la Tecnica del Sale.

Grumman F-14 A “Tomcat” – dal Kit Hasegawa in scala 1/72.

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Premessa:

Quando apparve questa scatola sugli scaffali, nei lontani inizi degli anni 90, il primo pensiero che mi passò per la testa aprendo il kit fu: ”cosa si potrà fare di meglio?”: tantissime stampate, dettaglio in negativo finissimo, pezzi opzionali al limite del maniacale a seconda dell’esemplare scelto, fotoincisioni, superdecals; il tutto unito alla spiacevole sensazione di sentirmi inadeguato, quasi che alla fine uno potesse rovinare un tale modello che era bello da gustarsi anche solo vedendolo smontato e sognando il superdettaglio. Difatti, non avendo all’epoca un aerografo, tutte quelle scatole (ecchè pensate che ne abbia presa solo una???) hanno atteso molti anni prima di essere tirate fuori dal mio armadio. Questa è…sigh.. l’ultima!

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Brevi note sul montaggio:

Il montaggio del kit sembra, leggendo il foglio istruzioni, complesso e macchinoso. Ciò è dovuto al fatto che per poter sfruttare al meglio la comunanza delle parti, e potere quindi permettere di ottenere le varie versioni dei differenti block di produzione dell’aereo, Hasegawa ha optato per soluzioni che definirei “modulari” e tra queste, sicuramente, spiccano quelle adottate per rappresentare l’interno delle prese d’aria da sempre zona critica per tutti i kit del “Tomcat”.

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L’Hasegawa  propone infatti una specie di “scatolato chiuso” per simulare il condotto interno della presa, il quale, se viene montato con attenzione, permette di avere una zona liscia e continua. Punto critico, inoltre, è la zona di giunzione del tronco anteriore con il la parte posteriore. E’ arduo il riuscire ad ottenere una bella linea di continuità tra le parti. Il resto è quasi ordinaria amministrazione, dico quasi perché uno dei punti di forza del kit, cioè le incisioni finissime, diviene un handicap in fase di carteggiatura: spariscono come neve al sole! Il tutto, unito alla plastica liscia, vetrosa e dura come porcellana, fa diventare la successiva reincisione un vero incubo, anche perché non parliamo di un paio di linee ma di una miriade di pannelli e pannellini di tutte le forme!

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Superata questa fase tediosa (non nego di avere perso molti pannelli per strada) possiamo pensare alla colorazione.

..ed ora scatenate l’inferno!

Parlare di velivoli dell’Us Navy e delle loro colorazioni a me richiama, fondamentalmente, il periodo anni 60, ‘70 e inizi ’80. Erano anni in cui non si pensava assolutamente al mimetismo e le insegne inalberate da questi velivoli, al limite del pacchiano, sono rimaste insuperate come varietà e colori: teschi, spade, leoni, lupi, serpenti ecc. ecc. Poi, via via, il più funzionale grigio è sceso anche sulla Navy ed ecco, a partire dalla fine degli anni 80, aerei con tinte spente ed insegne ridotte letteralmente a due numeri e quattro coccarde praticamente invisibili.

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Ma siccome a me piace invece la Navy cazzuta e un po’ kitch dei tempi di Mr. President Reagan ecco che la scelta è caduta su un Tomcat versione “A” del 95° block, periodo inizi ’80, colorazione classica grigio/bianco e appartenente ad uno dei reparti più glamour e blasonati della Navy, immortalati anche nel film “Countdown: dimensione zero”: i “Jolly Rogers” del VF-84.

Quindi per i colori semplicemente: classico grigio gabbiano Fs36440 sup. superiori e bianco lucido per le sup. inferiori e quelle mobili. Ammetto di essere uno che ci va giù pesante con gli “effetti speciali” in fase di verniciatura ma qui mi sono dovuto trattenere al minimo sindacale. Quelli in cui il mio Tomcat volava erano tempi in cui i Plane Captains lucidavano letteralmente, con cura maniacale, i velivoli a loro assegnati. Quindi, mi sono imposto, anche per rispetto a chi la manutenzione la faceva, mano leggera!

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Passiamo poi alle “unghie” del nostro gattaccio a cui si può appendere tutto il meglio che all’epoca i giovani e gasati LtJg potessero desiderare per diventare “ace in a day!”.

Coppie di Phoenix, Sparrow e Sidewinder, 6 bei biglietti da visita per poter portare gli omaggi della Navy alla VVS di di Mr Breznev.

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Decals:

E qui veramente rischiamo di farci del male: ho visto modellisti con le occhiaie perderci il sonno, alcuni decidere all’ultimo secondo e piangere …ma come si fa a scegliere??? Ho sentito che ci sono stati modellisti che per non dovere scegliere hanno riprodotto un esemplare di ogni squadriglia di Tomcat!

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Personalmente non avevo dubbi: VF 84 “Jolly Rogers” …l’unico problema erano le decals visto che le avevo già usate anni fa per un altro esemplare simile.

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Fortunatamente è venuto in mio aiuto un amico di Forum, l’ottimo Fabio “Brock66”, modellista di alta classe anche nel settore SciFi, che mi ha mandato una serie di decals con “teschi” che gli erano d’avanzo…Grazie Fabio, mai regalo fu più gradito!

Comincia l’orgia di colori dunque ed alla fine…..ecco IL  Tomcat.

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Il risultato è sicuramente visivamente appagante; il modello con tale colorazione ed insegne si presenta, come dire? “aggressivo”. Un vero classico tra i classici nel modellismo aeronautico.

Basetta:

A questo punto perché non pensare anche ad una basettina piccina rappresentante la tana naturale del gatto, il ponte della USS Nimitz???  E’ semplicemente ottenuta con un foglio spesso di plasticard a cui sono stati fatti buchi, posti a distanza regolare, del diametro di circa 5 mm per simulare i pozzetti di ancoraggio (all’interno ho incollato a croce pezzetti di plasticard fino per gli agganci). Colorazione: German Gray ed invecchiamento con filtri ad olio.

Già che ci siamo aggiungiamo un giovane Ensign  in 1/72 impegnato nel walkaround del suo velivolo. Un lavoro minimale ma che contribuisce, senza distrarre l’occhio dal protagonista, l’aereo, a rendere l’idea delle dimensioni e dare un contesto al soggetto.

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Conclusione:

erano oramai 5 anni che non affrontavo la scala 1/72 ma devo dire che le cose piccole mi affascinano sempre ed in effetti, ancora oggi, mi chiedo: non sarebbe meglio tornare alla scala piccola?

Che dire di più su questo modello? Per me affrontare un classico come il Tomcat è sempre una sfida e malgrado negli anni ne abbia montati circa una decina, di tutte le marche e versioni, l’approccio è sempre di religioso rispetto dovuto alla consapevolezza di ciò che tale velivolo ha rappresentato per due generazioni di modellisti (ebbene si lo ammetto anche io sono della Tomcat generation) e appassionati.

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Ringrazio gli amici del Forum di Modeling Time per l’aiuto e gli incoraggiamenti durante lo svolgimento  del Group Build dedicato ai velivoli Us Navy per la cui partecipazione tale modello è stato completato.

Saluti.

Massimo “Pitch-up” M. De Luca

Operation “Praying Mantis” – A-7 E Corsair II dal kit Hasegawa in scala 1/48.

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Da circa due anni, nella community di Modeling Time, è consuetudine l’istituzione di un “Group Build” che permetta a tutti gli appassionati di riunirsi virtualmente sotto a un comune denominatore. Un Group Build (o per maggiore comodità di scrittura – “GB”) è un evento a partecipazione libera che prevede la scelta di un tema su cui i modellisti possano confrontarsi e, nello stesso tempo, scambiarsi pareri e opinioni per accrescere ulteriormente le proprie esperienze.

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Dopo una votazione aperta a tutti, il GB “U.S. Navy” è stato il più votato tra gli utenti ed è stato prescelto come filo conduttore per il gruppo di lavoro del 2010. Non nego che la Marina Militare americana da sempre mi affascina per la varietà e la bellezza dei velivoli che impiega, e per l’alta tecnologia che essa racchiude. Vedere un aeroplano di svariate decine di tonnellate impattare con violenza sul ponte di una portaerei e arrestarsi, nello spazio di pochi metri, grazie ad un gancio e uno spesso cavo di acciaio… bè, solo al pensiero si rimescolano tutte le mie più profonde e recondite “voglie modellistiche”!

Eccomi qui per presentare il mio ultimo lavoro nato grazie al nostro contest: un A-7 E Corsair II dal kit Hasegawa in scala 1/48.

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Un po’ di storia…

14 aprile 1988. L’incrociatore USS Samuel B. Roberts era impegnato nel Golfo Persico nell’ambito dell’operazione “Earnest Will” che prevedeva la scorta, da parte della Marina Militare americana, di petroliere kuwaitiane per proteggerle da possibili attacchi delle forze navali iraniane.

Mentre era in navigazione in acque internazionali, l’USS Roberts colpì una mina iraniana che esplose sotto la chiglia provocando gravi danni alla nave. Fortunatamente non vi furono vittime (ma ventisette feriti) tra i membri dell’equipaggio, ma l’unità dovette essere rimorchiata a Dubai, dove giunse due giorni dopo – il 16 aprile.

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A seguito di questo incidente, alcuni subacquei dell’U.S. Navy setacciarono l’area costatando la presenza di svariati ordigni sottomarini piazzati già dal settembre del precedente anno. Come risposta a quest’atto bellico da parte delle forze militari iraniane, il governo americano pianificò immediatamente una rappresaglia contro importanti obiettivi nemici presenti nelle acque del Golfo Persico e, il 18 aprile 1988, ebbe ufficialmente inizio l’operazione “Praying Mantis” – Mantide Religiosa.

La Settima Flotta, con a capo l’U.S.S. Enterprise, venne immediatamente rischierata nel teatro d’operazione; gli obiettivi da colpire furono individuati in due piattaforme petrolifere che fungevano da base di supporto per le navi impegnate nella posa delle mine, e un paio di fregate classe “Saam” che erano state già protagoniste di alcune azioni contro la flottiglia mercantile e le super petroliere che transitavano nel tratto di mare di fronte alle coste dell’Iran.

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Due cacciatorpediniere e la nave da sbarco U.S.S. Trenton assaltarono la piattaforma “Sassan”, mentre un altro gruppo composto di un incrociatore e due fregate attaccò l’altro bersaglio – la piattaforma “Siri – D”.  Dopo una ricognizione per costatare l’entità dei danni, una squadra dei Marines piazzò delle cariche esplosive sui piloni portanti della “Sassan” allo scopo di renderla definitivamente inutilizzabile quando, in pochi minuti, sopraggiunsero sul luogo svariati motoscafi armati classe “Boghammer” iraniani provenienti dal porto dell’isola di Abbar Mussa.

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Immediatamente furono lanciati dal ponte dell’Enterprise, due gruppi d’attacco formati da un misto di A-6 Intruder del VA-95 “Green Lizards” e da A-7 E del VA-22 “Redcocks”. Le agili e veloci imbarcazioni nemiche furono quasi totalmente distrutte mediante l’utilizzo di bombe Cluster e, la rimanente parte, invertì la rotta rientrando in porto. A questo punto, le fregate iraniane “Sahand” e “Sabalan” furono gettate nella mischia con l’ordine di attaccare alcune unità americane distaccate dalla zona di combattimento; due A-6 del VA-95 individuarono le navi avversarie e ne comunicarono immediatamente la posizione al comando operazioni dell’Enterprise. Dalla “super carrier” americana furono lanciati altri due gruppi (questa volta di soli Corsair del VA-22) ed entrambe gli squadron contribuirono alla totale distruzione della “Sahand” utilizzando ordigni Mk.82 da 500 libbre, Mk.83 da 1000 libbre e bombe teleguidate AGM-62 Walleye.

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Stessa sorte toccò alla “Sabalan”, una delle unità più moderne e avanzate della marina iraniane, colpita da una singola GBU-10 a guida laser lanciata da un Intruder del VA-95. Con la poppa già semi-affondata e incapace di muoversi, la fregata stava per essere distrutta da una nuova sortita da parte degli A-7 dei “Redcocks”, ma l’intervento dell’allora segretario della difesa, Frank Carlucci, annullò l’ordine di attacco facendo rientrare tutti i velivoli all’Enteprise.

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Il bilancio, al termine delle operazioni, vide il danneggiamento delle infrastrutture navali e d’intelligence delle due piattaforme petrolifere iraniane, rese inutilizzabili, e l’affondamento di almeno sei motoscafi armati. La Sabalan, riparata nel 1989 e in seguito aggiornata, presta ancora servizio nella Marina iraniana. In sintesi, l’Iran perse una nave da guerra di grande stazza e una più piccola cannoniera. Le piattaforme, in seguito riparate, sono tornate (e restano tutt’oggi) in servizio.

L’Operazione Praying Mantis è ricordata tuttora come la più grande azione aeronavale americana dalla Seconda Guerra Mondiale, e contribuì a spingere l’Iran ad accettare, pochi mesi più tardi, in estate, la tregua con l’Iraq che pose fine a otto anni di conflitto tra i due Paesi.

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Il modello:

Scelta praticamente obbligata per chi vuole riprodurre un A-7 E nella scala del quarto di pollice, il kit dell’Hasegawa è comunque un’ottima base di partenza. Per il mio Corsair II ho scelto la numero P-12, ma una qualsiasi altra scatola per la versione E può andar bene allo scopo.

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Aprendo la confezione si trovano otto stampate in plastica grigia chiara (più una per i trasparenti) con delle pannellature finemente incise e delle bellissime rivettature correttamente posizionate che non appesantiscono per nulla la linea del modello. Inoltre la ditta giapponese offre tutte le superfici di comando e i terminali alari separati dal resto del kit in modo da collocarli a piacimento e contribuendo a dare un gradevole “effetto movimento” al tutto. Da rilevare anche la possibilità di lasciare aperti i vani avionici presenti ai lati della fusoliera, già abbastanza ben dettagliati e rifiniti.

Il mio occhio iper-critico per la qualità del dettaglio è andato subito a osservare la fattura degli interni: per chi volesse procedere con un montaggio da scatola il livello di particolari stampati nel cockpit può essere sufficiente, ma va comunque sostituito il seggiolino perché certamente non all’altezza. Il vano carrello è molto meno particolareggiato e manca anche di parecchi dispositivi tra cui alcune bombole di accumulo aria e dei compressori.

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Non avendo alcuna voglia di cimentarmi in un lungo lavoro di autocostruzione, ho preferito acquistare gli stupendi set in resina commercializzati dall’Aires per il cockpit (codice 4147), wheel bays (codice 4202) e, già che c’ero, non ho potuto desistere nel comprare anche quello dedicato agli avionic bays (codice 4349).

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Lo shopping compulsivo non si è fermato qui: l’enorme presa d’aria dello SLUF (Short Little Ugly Fellow – altro nomignolo affibbiato dai piloti al Corsair) è sicuramente il tratto più caratteristico di tutto l’aereo e per questo ho aggiunto al carrello spesa anche una “seamless intake” della Seamless Suckers – ditta artigianale di Wichita, Texas.

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Cockpit:

Come di consueto, i lavori hanno avuto ufficialmente inizio con l’adattamento del cockpit Aires. Notoriamente gli aftermarket prodotti dalla ditta ceca richiedono particolari attenzioni per aggiustarne le dimensioni e permettere alle parti in resina di entrare nei rispettivi alloggiamenti, ma questa volta sono rimasto piacevolmente sorpreso dalla precisione delle forme e le modifiche si sono limitate a pochi interventi:

  • Totale asportazione del dettaglio già stampato all’interno della fusoliera mediante una fresa montata su un trapanino elettrico.
  • Eliminazione del pianale di plastica che funge da base per la palpebra del cruscotto originale del kit.
  • Rimozione di almeno un millimetro di resina dal fondo della vasca per far posto al condotto della presa d’aria (di cui parleremo più avanti).

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Eseguite queste tre semplici operazioni non resta altro che passare alla verniciatura, utilizzando il Tamiya XF-66, un grigio leggermente scuro ma che crea un ottimo fondo per i successivi lavaggi e il dry brush. Per le consolle non ho usato il nero “puro” bensì, per rispettare l’effetto scala, ho preferito scegliere il Tamiya Nato Black. Allo scopo di mettere in risalto la miriade di dettagli presenti nella vasca e nelle paratie laterali Aires, ho steso su tutta la zona un “washing” a olio in grigio medio diluendo parecchio il colore e aiutandomi con un pennellino a punta sottile per arrivare anche nei punti più nascosti. Trascorsa qualche ora per permettere una completa asciugatura, ho ripassato l’abitacolo con la tecnica del pennello asciutto eseguita con un grigio molto chiaro (FS 36375). I pulsanti stampati sulle consolle sono stati ritoccati con varie tonalità di grigio, e alcuni dipinti in giallo e rosso per dare un tocco di colore in più.

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Come da tradizione, l’Aires fornisce il cruscotto sotto forma fotoincisione; anch’esso è stato verniciato in Nato Black e sottoposto al solito dry brush in 36375 per mettere per ben evidenziare tutti i quadranti. La strumentazione è stampata su una lastrina di acetato trasparente cui ho dipinto il fondo di bianco per mostrare le lancette. I componenti sopra elencati vanno incollati tra loro a “sandwich” con una spennellata di cera Future (usando l’Attack si rischia di compromettere la trasparenza degli indicatori, se non avete la cera Future meglio utilizzare il Vinavil o il Kristal Clear), e poi uniti al resto della palpebra in resina con una goccia di ciano acrilico.

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Nella confezione l’Aires ha inserito due tipi di seggiolino, sia il Douglas ESCAPAC IG-2, sia lo STENCEL SJU-8 – entrambe utilizzati sugli A-7 E della U.S. Navy ma in due periodi operativi differenti. In accordo con la documentazione in mio possesso, ho scelto l’SJU-8 poiché installato nell’esemplare proposto in quest’articolo.

Per prima cosa ho verniciato il sedile completamente in nero opaco poi, con un pennello, ho dipinto i cuscini e il poggiatesta con del Green Gunze H-64. Le cinture di sicurezza sono anch’esse in fotoincisione e, dopo averle colorate in Olive Drab Tamiya XF-62, le ho incollate con una goccia di ciano acrilico. Ovviamente, per dare maggiore volume alle imbottiture ed enfatizzare i vari meccanismi di eiezione ed erogazione dell’ossigeno, ho fatto ricorso ancora una volta al lavaggio (in Bruno Van Dyck puro) e al dry brush usando il solito 36375. A questo punto ho aggiunto alcuni particolari come i due tubi di pitot ai lati del poggiatesta (quelle due piccole strutture metalliche ai lati– nella realtà erano le sonde anemometriche per il sistema di apertura del paracadute e sgancio del pilota.), la maniglia di espulsione e la leva per la condizione “arm – safe” delle cariche esplosive (quest’ultima riprodotta in scratch con una sezione di rod circolare da 0,2 mm).

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Avionic Bays:

Il montaggio dei vani avionici dell’Aires non presenta alcun problema di sorta. Basterà fresare quelli in plastica del kit e rifinirne bene i bordi con una limetta da unghie.

Gli accessori in resina vanno dapprima incollati in posizione con un’abbondante colata di Attack per poi essere rifiniti dalla parte esterna (quella che si vedrà a lavoro ultimato) con dello stucco liquido Mr. Surfacer della Gunze per chiudere le fessure con la fusoliera che inevitabilmente si formano.

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Andranno poi leggermente smussati gli angoli interni che si trovano verso il muso del modello per permettere al condotto della presa d’aria di infilarsi con maggiore facilità.

Seamless Intake – Seamless Suckers:

L’enorme presa d’aria dello SLUF è sicuramente il particolare che lo caratterizza di più. Lo rende goffo e impacciato a prima vista ma, al contempo, anche molto inconsueto e accattivante. Dal punto di vista modellistico, però, rappresenta un vero e proprio incubo!

Il condotto fornito dall’Hasegawa è diviso in due valve lungo la sezione longitudinale, e già questa scomposizione obbliga a un tedioso lavoro di montaggio e lisciatura della parte interna. Come se non bastasse, il tutto va poi inserito all’interno della fusoliera e raccordato al labbro esterno… insomma, una lavorazione che mette a dura prova la salute psichica di qualsiasi appassionato.

Per non complicarmi ulteriormente la vita (ricordiamoci sempre che il modellismo è un divertimento e tale deve rimanere), mi sono procurato la presa d’aria della Seamless Suckers che, a conti fatti, è l’originale solamente già assemblata, perfettamente stuccata e ristampata in resina in un unico pezzo.

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Il suo inserimento all’interno del modello ha avuto inizio con la rimozione dello zoccolo di colata alla sua base, del dettaglio del pozzetto carrello anteriore e con tantissime prove a secco. Come anche ricordato dal minuscolo foglio istruzioni incluso nella bustina, vanno fresati i quattro perni di riscontro presenti sulla faccia esterna superiore del condotto, pena l’impossibilità di inserire la vasca dell’abitacolo soprastante.

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Essendo l’intake seamless (seamless – senza giunzioni) una copia esatta, s’innesta senza problemi nel suo alloggiamento e non richiede particolari modifiche; la mia unica aggiunta è stata la ventola del primo stadio del propulsore (prelevata da un set Aires dedicato all’exhaust di un F-16) posta a chiusura del “tubo” anche se, a modello ultimato, di quest’accortezza si vedrà quasi nulla.

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Pozzetti carrello:

Sistemato l’abitacolo e la presa d’aria, le mie attenzioni si sono rivolte all’adattamento dei wheel bay anch’essi dell’Aires. Il loro dettaglio è veramente fantastico e all’interno è presente tutta quella “selva” di tubazioni e connessioni idrauliche proprio com’era nella realtà.

Prima di iniziare vi faccio un’importante raccomandazione: non fidatevi delle istruzioni allegate poiché completamente errate! Infatti, nel foglietto, la ditta ceca suggerisce di rimuovere solamente la porzione di plastica che rappresenta il pozzetto del carrello principale ma, in realtà, va anche asportata anche tutta la sezione esterna della fusoliera altrimenti il pezzo di resina non potrà inserirsi correttamente all’interno della carlinga. Molto più facile eseguire la modifica che spiegarla a parole… per questo, ecco delle foto che potranno aiutarvi nella comprensione:

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Per ciò che riguarda il vano anteriore, i provvedimenti da adottare sono i seguenti:

  • Limare leggermente la parte che andrà a contatto con la presa d’aria.
  • Creare uno scasso ai lati come nella foto sottostante.
    • Eliminare i perni di battuta (creati per il corretto posizionamento del pozzetto originale Hasegawa) all’interno della fusoliera.

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Adeguare correttamente tutti gli aftermarket al modello è stata una fase che ha richiesto parecchie ore di lavoro ma, alla fine, vi assicuro che tutte le vostre fatiche saranno ripagate da un livello di dettaglio delle zone interne davvero eccezionale.

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Montaggio:

Operazione iniziale per proseguire nella fase di montaggio è l’unione delle due semi-fusoliere. Prima però va aggiunto lo scarico del motore (dipinto in Gun Metal Tamiya), verniciato il terminale di coda che lo ospita in Zinc Chromate Yellow (Tamiya XF-4) e vanno aperti tutti i vari fori per il montaggio di altri pezzi di cui parlerò in seguito (controllate bene le indicazioni fornite dalle istruzioni a tal proposito).

Per maggiore sicurezza, ho preferito appesantire ulteriormente il muso con alcuni piombi da pesca incollati all’interno del radome con del Vinavil; questa cautela può anche non essere adottata anche perché tutti gli accessori in resina all’interno contribuiscono sufficientemente a mantenere il modello sui tre punti di appoggio, ma perché rischiare?

L’unione della fusoliera non presenta difficoltà particolari e basterà solo un po’ di attenzione in più per allinearla correttamente; anche l’uso dello stucco è limitato e la zona in cui ne sarà necessaria una maggiore quantità è solo quella attorno ai pozzetti carrello poiché maggiormente interessata dalle lavorazioni precedenti.

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I problemi sopraggiungono quando si va ad aggiungere il grande freno aerodinamico sul ventre della carlinga; l’Hasegawa lo fornisce separato e scomposto in modo da poterlo raffigurare in posizione estesa, finezza inutile visto che, a terra, l’enorme “pala” era sempre chiusa. Questo mi ha costretto a un noioso lavoro di montaggio dei vari pezzi che compongono l’aerofreno cercando di essere più preciso possibile negli incastri ma, nonostante l’attenzione, alla fine è stato necessario un bel po’ di stucco e qualche colpo di lima ben assestato per montarlo nella giusta posizione.

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Ai lati della fusoliera erano installate due canaline contenenti vari cablaggi elettronici. Esse sono presenti solamente negli esemplari di produzione tarda, quando furono introdotte delle migliorie e degli aggiornamenti alle apparecchiature avioniche (in pratica all’interno della fusoliera non c’era più spazio disponibile per far passare i cavi e i tecnici della Vought dovettero spostare tutto all’esterno del velivolo).

I “contenitori” sono riprodotti in plastica e corredati di due fotoincisioni che rappresentano le piastre metalliche cui vanno fissati. Il problema è che i pezzi PE (photo etched) dell’Hasegawa non sono fatti di ottone come normalmente avviene, bensì di Alpacca – una lega metallica costituita da Rame, Zinco e Nichel che non va per niente d’accordo con i collanti che usiamo nel modellismo. Per ovviare almeno in parte al problema, i pezzi in Alpacca vanno prima scaldati per bene e immediatamente immersi in acqua fredda.. una vera e propria forgiatura allo scopo di renderli più rigidi e per eliminare il primo strato di Zinco che non permette alle colle di “aggrapparsi”; successivamente è meglio carteggiarne la superficie fino a scoprire l’anima di rame.

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Dopo aver svestito i panni di un improvvisato fabbro, ho incollato le canaline e le piastre utilizzando l’Attack in gel poiché sotto questa forma è più elastico e resistente alle manipolazioni. Nonostante tutto, alla fine i pezzi si sono staccati più di una volta dalla loro posizione… sul prossimo Corsair eviterò accuratamente di utilizzarli!

A questo punto mi sono dedicato alla stuccatura della presa d’aria, già in precedenza montata ma non ancora sistemata. Devo ammettere che, forse, questa è stata la fase più complicata di tutto il modello proprio perché, a causa dello spazio ristretto, non è stato facile lavorare all’interno del condotto. Aguzzando un pochino l’ingegno, mi sono ricreato ex-novo degli strumenti per la lisciatura del mastice: la punta del manico di un pennello rivestita di carta vetro per lo sgrosso, il lato più squadrato di una limetta di ferro (sempre avvolta di carta vetrata) per la rifinitura. A completare l’opera (da vero e proprio cesellatore), ho lucidato tutta la zona con un cotton fioc imbevuto di pasta abrasiva Tamiya Rubbing Compound nelle gradazioni Course, Fine e Finish.

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Altra nota dolente del kit è la giunzione ali-fusoliera. Abbastanza precisa nella parte inferiore, sulla gobba il complesso alare rimane fuori sagoma di circa un millimetro e, oltretutto, forma delle fessure molto larghe purtroppo; come prima precauzione ho aggiunto un listellino di plasticard nell’incastro sotto la deriva per permetterne un miglior allineamento. Ecco una foto:

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In seguito ho allargato lo scasso delle ali in questi punti:

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Per raccordare tutte le giunzioni ho preferito evitare l’utilizzo del classico stucco preferendo a esso la colla ciano acrilica (l’Attack) poiché, una volta asciutta e carteggiata, assume la medesima consistenza della plastica. Ovviamente, l’esteso utilizzo della carta abrasiva per cercare di pareggiare più possibile i dislivelli ha fatto si che la maggior parte delle pannellature presenti nella zona andassero perse. Nei punti più esposti però, avevo preventivamente ripassato le incisioni e le rivettature mediante uno scriber per renderle più profonde; grazie a quest’accorgimento ho evitato che il dettaglio di superficie sparisse completamente, lasciando così una “traccia” su cui appoggiare l’incisore.

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Per la giunzione inferiore ali-fusoliera ho utilizzato il mio solito metodo del Milliput modellato in “salsicciotti” da spingere bene dentro al gap con uno stuzzicadenti. Poi, con una spugnetta imbevuta di acqua, ho tirato via l’eccesso di bi-componente e lisciato la stuccatura ottenendo un ottimo risultato con il minimo sforzo: neanche l’ombra di una carteggiatura!

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A questo punto il montaggio si può ritenere quasi terminato, basta solamente aggiungere la sonda per il rifornimento in volo, lo scarico dell’APU (pezzo B3), rifinire i flaps, unire gli slats (separati in due pezzi ciascuno) e collocare la palpebra del cruscotto. A quest’ultima sono stati aggiunti i due sostegni dell’HUD (Head Up Display) in fotoincisione ed il relativo vetro ottenuto ritagliando un quadratino di acetato trasparente.

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Ho aggiunto anche le luci di navigazione e di posizione praticando degli scassi nella plastica e inserendovi all’interno delle schegge di resina semi-trasparente colorata in modo opportuno.

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Veniamo ora al parabrezza… altra nota abbastanza dolente! Per prima cosa l’ho immerso nella cera Future e ne ho verniciato la parte interna del vetro blindato centrale con una spruzzata leggera e diluita di Clear Blue (X-23) Tamiya, allo scopo di riprodurre la pellicola bluastra anti-riflesso. Per eliminare parte dei grumi di vernice che inevitabilmente si formano, ho trattato la parte interessata con della pasta abrasiva gradazione “Finish” – sempre della Tamiya.

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Incollare il trasparente nella propria sede non è stata un’operazione semplice. Purtroppo la palpebra in resina è più ingombrante del previsto e non ne agevola il posizionamento; come se non bastasse, nella zona frontale, proprio a ridosso del radome, il vetrino è più largo e va a formare un bruttissimo scalino rispetto alla fusoliera.

Armato di santa pazienza (ce ne vorrà un bel po’!) e tanta attenzione, ho carteggiato il windshield per riportarlo alle corrette dimensioni e utilizzato un inserto di plasticard per chiudere una fessura alquanto pronunciata sul lato destro. Per completarne l’adattamento, l’ho stuccato, lisciato e lucidato per poi stendere un nuovo strato di Future ad aerografo che ha ridato la giusta trasparenza al tutto.

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Per maggiore comodità, ho preferito verniciare subito i pozzetti carrello e gli avion bays: i primi in Flat White Tamiya (uso sempre questo colore perché lo trovo molto più coprente rispetto agli altri acrilici), il secondo in Zinc Chromate Yellow XF-4 sempre Tamiya.

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La parte “esterna” del cockpit (evidenziata in foto), è stata verniciata in Nato Black Tamiya (ad eccezione della rotaia di lancio del seggiolino rimasta in Grey XF-54) e poi sottoposta a un intenso dry brush per esaltare tutti i vari cavi e apparecchiature idrauliche per il sollevamento del canopy. La piccola bombola dell’ossigeno in Green Humbrol ?? ha dato un tocco di colore in più!

Verniciatura:

Dopo parecchi mesi passati a costruirlo, è giunto finalmente il momento di verniciare il mio Corsair. Come già descritto a inizio articolo, il “Fighting Redcocks” fu uno dei due squadron impegnati nella “Praying Mantis”. All’epoca dello scontro però, i velivoli del VA-22 usavano la classica mimetica grigia in uso già dalla metà degli anni ’80.

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Per celebrarne il successo, al rientro dall’operazione, gli specialisti del VA-22 decisero di “adornare” gli aerei personali del Commander Officer e dell’Execuive Officer con due accattivanti livree: il primo con uno schema a tre toni di grigio, il secondo (denominato “GECKO”) con un andamento “wrap-around” in pieno stile desertico.

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Inizialmente la mia scelta era ricaduta sullo SLUF in veste grigia, veramente molto bella (e con un kill marking della fregata Sabalan raffigurato sotto all’abitacolo) ma, in seguito a varie ricerche eseguite on-line e sul libro Color & Markings numero 22 mi sono accorto dell’errore del serial number del velivolo e del colore dei grandi codici “NH” sulla deriva (stampati in un grigio esageratamente scuro) riportati nel foglio decal della Two Bobs (numero 48-115) da me precedentemente acquistato.

A dirla proprio tutta, dalle scarse ma comunque esaurienti foto trovate in giro per la rete, ho capito che gli esemplari che hanno vestito questa livrea grigia furono più di uno (senza dubbio almeno due) e in diversi periodi. Ad ogni modo, le decal Two Bobs non sono comunque utilizzabili così come sono e andrebbero modificate e/o integrate con altre non presenti nel foglio. Per questo motivo, molto meglio realizzare l’altro SLUF proposto, il GECKO, comunque molto attraente.

I colori da me utilizzati sono i seguenti, elencati in ordine di stesura:

Light Grey FS 36622 – Gunze H-303 schiarito al 40% con del bianco.

Tan FS 30219 – Gunze H-310

Black FS 37038 – anche in questo caso, per rispettare l’effetto scala ho preferito il Nato Black Tamiya.

La mimetica è stata “disegnata” sul modello mediante l’utilizzo dell’insostituibile PATA-FIX, materiale da cui non riesco più a separarmi quando si tratta di questo tipo di lavorazioni!

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Nella zona di movimento dei piani coda e le piastre forate dei lanciatori Chaff & Flares sotto la deriva erano lasciate in metallo naturale per prevenire l’usura della vernice: le stesse le ho rifatte con il White Alluminium ALCLAD passato direttamente sulla plastica “vergine”.

Osservando bene le foto (scarse peraltro) in mio possesso, ho colto quasi casualmente un piccolo particolare (non riportato neanche dalle istruzioni delle decal Two Bobs): il bordo di attacco degli slats, molto probabilmente, era lasciato “grezzo” mettendo allo scoperto la “striscia” del sistema anti-ghiaccio delle ali (da me riprodotta con il Radome Tan Gunze H-318).

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Invecchiamento e lavaggi:

Anche se di vero e proprio invecchiamento non si può parlare (i due esemplari mantennero le livree commemorative solo per un breve periodo), questa volta ho comunque calcato un po’ di più la mano con il solo scopo di donare maggiore profondità e volume al mio modello. Per iniziare, ho eseguito un primo post shading relegato esclusivamente alle zone esposte ai raggi solari dell’aereo – quindi dorso alare, piani di coda e in parte la deriva.

Sulle macchie in Light Grey ho utilizzato il bianco puro, su quelle in marrone il colore di fondo molto schiarito con del sabbia, mentre sul nero ho utilizzato varie sfumature di grigi tra cui il German Grey Tamiya e il Gunship Grey FS 36118.

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Finita questa prima fase, ho steso sul modello le prime tre mani di trasparente lucido Gunze che hanno sigillato la mimetica sottostante per proteggerla dai lavaggi. Per questi ultimi ho usato tre tinte di colori a olio:

  • Tan – mistura composta di 50% Bruno van Dyck e 50% Nero Avorio.
  • Light Grey – grigio medio. Un “unghia” di Nero Avorio con una punta di stuzzicadenti di bianco.
  • Nero – grigio chiaro. Stesso grigio medio sopra citato ulteriormente schiarito.

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Mentre sul marrone e sul grigio chiaro non avevo dubbi per il mio “modus-operandi”, sul nero più di qualche dubbio di tipo “filosofico” mi ha bloccato. La domanda che mi sono posto riguardava soprattutto il realismo di un’evidenziazione delle pannellature in un colore molto chiaro eseguito sul modello di un aeroplano da guerra…. mi spiego meglio!

La sporcizia che si accumula tra i pannelli di un aereo è sempre di un colore molto scuro. Le tonalità possono cambiare in base al tipo di sporco: fluido idraulico, gas di scarico, grasso o polveri varie – ma comunque il suo colore non è mai tendente al chiaro.

Eseguendo un lavaggio scuro su un modello con parti verniciare in nero, di sicuro non si vedrà un granché e il dettaglio di superficie non sarà messo dovutamente in risalto. A questo punto la scelta si divide su due fili conduttori: prediligere il realismo nell’accezione più pura del termine, o cedere alla vena modellistica che c’è in ogni appassionato cercando di volumizzare le forme del nostro soggetto?

Diciamo che, nel mio caso, ho cercato di mantenere una giusta via di mezzo evitando di esagerare! Subito dopo aver passato il grigio chiaro a olio si avrà l’impressione di uno stacco troppo netto tra l’incisione e il resto della verniciatura ma, se avete pazienza, con i successivi passaggi che andrò a esplicare l’effetto si mitigherà molto.

Dopo aver completato il washing, un’altra sessione di post shading del tutto simile a quella spiegata qualche riga sopra e altre tre mani di lucido hanno preparato il fondo per le decalcomanie.

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Decal:

Questa è stata la mia prima occasione per provare le decal della Two Bobs. L’impressione generale è buona, anche se, avendole sperimentate con grande successo, posso affermare che i prodotti della Fightertown sono migliori in tutto e per tutto.

Le decalcomanie della ditta del Signor Bob Sanchez sono stampate dalla Microscale, i colori sono nitidi e perfettamente in registro e il potere adesivo è ben adeguato (anche se durante la loro posa, mi è capitato che si scollassero dal modello e rimanessero “impigliate” nella stoffa morbida con cui le stavo asciugando).

Reagiscono bene con il Micro Sol e Set, ma ricordo che è meglio far agire i liquidi emollienti per almeno una ventina di minuti senza toccare le decal che, altrimenti, potrebbero deformarsi o addirittura rompersi.

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Senza dubbio le insegne più difficili sono state quelle concernenti le zone di pericolo attorno alla presa d’aria, e i codici di reparto sulla deriva per i quali consiglio di dividere preventivamente in due pezzi le lettere “N”ed “H”.

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A questo punto, l’ultima mano di Clear ha isolato le decal, le ha uniformate alla finitura generale del modello, e mi ha permesso di eseguire un nuovo lavaggio selettivo sulle stesse in modo da evidenziare le pannellature sottostanti e creare un effetto “painted on” delle insegne.

Armamenti e carichi di caduta:

Ci sono aeroplani che, anche solo con l’aggiunta di un carico esterno, perdono gran parte della loro eleganza. E ci sono anche velivoli che, al contrario, più bombe e armamenti trasportano e più si valorizzano… bè, lo SLUF rientra sicuramente in quest’ultima categoria! Per il mio modello non ho badato a spese (tanto che ci importa… per fortuna una bomba in scala costa pochi centesimi di Euro!), dotandolo di otto ordigni Snakeye a caduta ritardata, prelevati dal Weapons Set Hasegawa A (numero X48-1. Anche i TER (Triple Eject Rack) provengono dalla medesima scatola e sono stati verniciati completamente in bianco.

Alle MK.82 ho aggiunto lo strato ignifugo anti-fiamma con dello stucco liquido Mr. Surfacer 500 della Gunze “picchiettato” sulla superficie della bomba con l’ausilio di un pennello a setole dure e piatte. Ecco una foto:

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Il colore per le Snakeye è il Drak Green Gunze H-330, più la fascia gialla sull’ogiva per identificare un munizionamento reale. Le spolette sono invece in Silver della Testors; a completare la dotazione, i due serbatoi ausiliari inclusi nella scatola.

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Portelloni, vani, gambe di forza e pneumatici:

Per questo Corsair il totale dei portelloni da rifinire e montare è stato di ben quattordici pezzi! Quelli riguardanti i pozzetti carrello presentano il bordo in rosso per l’anti-infortunistica degli specialisti/operatori sui ponti delle portaerei. Il portellone sinistro anteriore ha, sul lato frontale, anche tre “approaching light” verniciate rispettivamente in blu, arancione e rosso dal basso verso l’alto.

I vani carrelli e avionici hanno ricevuto il classico lavaggio in grigio scuro per i primi, e Bruno Van Dyck per i secondi. Inoltre, negli avionic bay ho cercato di differenziare un po’ le varie “scatole” dell’elettronica usando diverse tonalità di grigio e del nero.

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Valutando il peso importante del modello dovuto all’uso esteso dei set in resina sopra citati, ho reputato opportuno sostituire le gambe di forza dei carrelli di plastica con delle copie in metallo bianco prodotte dalla Scale Aircraft Conversion (codice n°48040); una volta ripulite di alcune sbavature di stampa presenti, sono state anch’esse verniciate in bianco e dettagliate con alcuni tubicini idraulici dell’impianto frenante (riprodotti con il solito filo elettrico di rame di opportuno spessore) tenuti in posizione da striscioline di nastro Tamiya dipinto in acciaio, atte a simulare le fascette metalliche che bloccavano i condotti sul velivolo reale.

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Gli pneumatici anteriori non sono proprio esatti come forma del battistrada (quelli veri avevano un bordo molto squadrato e con delle scanalature nella gomma che agevolavano il grip sul ponte bagnato delle portaerei) ma, in mancanza di aftermarket più corretti, ho impiegato quelli forniti dall’Hasegawa. Una piccola nota va detta per i copertoni posteriori: questi vanno incollati non in modo perpendicolare al terreno, bensì leggermente inclinati verso l’interno a causa del peso del velivolo. Se osservate bene la documentazione, infatti, noterete come questo fenomeno si accentuava anche con l’aumento del carico installato sotto i piloni dei Corsair.

Ultimi dettagli:

Dopo parecchie ore di lavorazione ed energie spese, eccomi giunto alla fase finale di questo modello. Con molta attenzione ho incollato i terminali alari in posizione di stivaggio (basta una goccia di colla ma rimarranno comunque molto fragili) e aggiunto tutte le superfici mobili quali flaps, slats e piani di coda. Mediante un pennellino triplo zero ho verniciato le luci di navigazione ai lati della fusoliera, preferendo un rosso della Testors (usando un colore a smalto si può sfruttare il principio di “incompatibilità” dei pigmenti per cui, in caso di errore, si potrà eliminare la vernice con l’acquaragia senza che questa intacchi lo strato di colori acrilici). A questo punto è stata la volta di tutti quei particolari più piccoli e più esposti al rischio rottura: i due pitot proprio davanti all’abitacolo, due antenne a lama (una sulla gobba e una del radar altimetro AN/APN – 194) sotto la pancia in corrispondenza dell’aerofreno), il gancio d’arresto (a strisce alternate bianche e nere), lo scarico rapido del carburante situato in coda e la scaletta di accesso al cockpit (rigorosamente aperta.) Una “spruzzata” generale di trasparente opaco ha dato la finitura finale al mio Corsair e, inoltre, ha mascherato anche le eventuali sbavature di colla utilizzata per il montaggio di tutti i vari portelloni, armamenti e così via.

L’operazione finale è stata la rimozione delle mascherature dai trasparenti, l’aggiunta del faro di atterraggio all’interno del vano carrello principale destro e di alcuni piccoli particolari all’interno del tettuccio, come gli specchietti retrovisori e i ganci per la chiusura e la ritenzione del canopy.

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In conclusione, nella scala del quarto di pollice quella Hasegawa è la sola scatola che permette la riproduzione della versione E, e nonostante tutto porta più che bene il peso dei suoi anni sulle spalle.

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Ammetto che all’inizio di questo progetto il Corsair non era sicuramente un soggetto che attirasse particolarmente le mie attenzioni, ma guardando soddisfatto il risultato di tanti miei sforzi, posso dirvi che lo SLUF si è ritagliato con diritto un posto nella mia collezione.

Buon modellismo a tutti i lettori di Modeling Time! Valerio – Starfighter84 – D’Amadio.

Clicca QUI per il Work In Progress completo nel forum di Modeling Time!

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LA PECORA NERA DEI MARINES: A-4M SKYHAWK – VMA-214 BLACKSHEEP dal kit Fujimi scala 1/72.

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Questa esperienza segna il mio ritorno al modellismo dopo anni di inattività e, avendo realizzato modelli che non hanno nulla a che fare con quello che si vede in giro attualmente, cercherò di descrivere i vari passaggi che annoieranno gli esperti ma magari torneranno utili a chi, come me, deve mettere in pratica tecniche di cui ha solo letto e discusso.

Non descriverò questo splendido e ultra-longevo aereo della McDonnel-Douglas, in quanto già trattato in altri articoli, se non per i dettagli distintivi della versione “M” dello scooter (quella che ho realizzato) e soltanto per quanto riguarda alcuni aspetti che la caratterizzano e che ci interessano dal punto di vista modellistica. La versione M, in uso principalmente ai Marines ed ora da Brasile e Argentina, presenta esteriormente un aspetto diverso del radome, con le sue caratteristiche antenne e carenature dei sensori implementati, prese d’aria maggiorate per alimentare il nuovo e più potente motore installato, il canopy ha forma diversa rispetto alle precedenti versioni per offrire maggior visibilità al pilota, è installata la carenatura dorsale dell’avionica supplementare, ulteriori sensori presenti in coda ed in più molti esemplari hanno una bella antennona ECM sulla sommità della deriva. Internamente il cockpit è dotato di un ulteriore pannello strumenti posto nella parte superiore rispetto a quello “standard”, cosa che si nota anche dall’esterno vista la diversa forma della palpebra che sporge maggiormente verso l’alto e si vede attraverso il parabrezza.

La scatola, come suggerisce il titolo, è la n. F22 della giapponese Fujimi, scala 1:72 e propone appunto l’A-4M Skyhawk.

Partendo dall’inizio, dopo un primo montaggio a secco delle parti fondamentali, mi sono occupato del cockpit e mi sono accorto che il cruscotto fornito dal kit rappresenta più o meno le precedenti versioni… che fare? Una buona occasione per provare un po’ di autocostruzione, quindi con foto e schemi ho riprodotto il pannello strumenti in plasticard, l’ho decorato con altri dettagli sempre in plasticard, forato, verniciato, un po’ di drybrushing in grigio chiaro ed alluminio, ed infine incollato a sandwich su di una stampa degli strumenti che ho realizzato su carta patinata; ho poi colmato i fori con microgocce di future per simulare i vetrini. Ho riprodotto alcuni ulteriori dettagli come la manetta sulla consolle laterale sinistra, il rivestimento sulle pareti laterali mediante incisione ed altri particolari visibili in foto.

01 – montaggio a secco

02 – autocostruzione pannello strumenti e dettagli vari


Altro difetto evidente è che il kit propone il montaggio della paratia dietro il sedile che coincide con la fine del vano, senza lasciar spazio al meccanismo di sollevamento del canopy… anche in questo caso ho voluto metterci le mani e prima ho fissato la paratia in posizione meno inclinata, in modo da lasciare spazio dietro e dato che c’ero le ho dato la giusta forma arrotondata, poi con plasticard sagomato a limate ho realizzato il ripiano su cui è installato detto meccanismo (che ho riprodotto in modo molto approssimativo) che va ad unirsi con la paratia che finalmente chiude l’ufficio del pilota.

03 – modifica paratie abitacolo


Dimenticavo, secondo le fonti che ho consultato la maggior parte dell’abitacolo è in grigio FS 36231 (dark gull gray), io ho usato l’H87 Humbrol, la parte superiore del pannello strumenti, la palpebra ed i frames interni del tettuccio sono in nero opaco (H33).

04 – cockpit pronto per assemblaggio

Anche il sedile del kit è stato arricchito con cavetti e nuove maniglie di espulsione realizzate in filo di rame e plasticard oltre che con cinture realizzate mediante carta alluminata (quella dello spumante) e fibbia sempre in rame; la struttura del sedile è prevalentemente in nero opaco, cuscini in verde oliva, cinture in kaki, maniglie di espulsione gialle con strisce diagonali nere.

05 – sedile da scatola + cinghie, maniglie e cavi


I vani del carrello non sono male, ho aggiunto l’ulteriore scasso per la ruota in quello anteriore e qualche cavetto; i trasparenti hanno ricevuto il dovuto bagnetto nella Future, poi sono stati mascherati in preparazione delle fasi successive.

06 – dettaglio vani carrello in fase di montaggio

Qui arriva il bello in quanto la Fujimi, per poter offrire praticamente tutte le versioni dello scooter, ha pensato di dividere la fusoliera anteriore dal resto dell’aereo all’altezza delle prese d’aria (che già di suo darebbero da lavorare), rendendo necessario un bel lavoro di ricerca degli allineamenti in fase di incollaggio, oltre che una buona mole di stuccatura e carteggiatura comunque necessaria (e che nel mio caso è stata amplificata da una mia disattenzione proprio in questa fase!). Dopo aver incollato, stuccato e ripristinato le linee di pennellatura con l’incisore si va avanti benissimo perché il resto del modello ha buoni incastri e anche perché non c’è molto altro da mettere insieme prima della verniciatura.
Mi sono dilettato nella realizzazione della luce presente sul bordo di attacco dell’ala sinistra (che non è venuta trasparente come l’avrei voluta), qualche rivettatura, ho rifatto il gancio di arresto in quanto quello del kit è stampato assieme alla fusoliera ed intralcia sia nel montaggio che nella verniciatura ed ho realizzato il foro dello starter sul fianco destro, in zona presa d’aria, che è assente nel kit.

07 – intaglio del faro sul bordo di attacco alare, rivetti


Passiamo quindi alla verniciatura cominciando con una buona lucidatura del modello mediante carta e pasta abrasiva, poi si sgrassa tutto (io ho usato il detergente per i vetri che contiene anche alcool) onde evitare che la vernice non aggrappi bene sulla plastica.

08 – parti pronte per la verniciatura

La scatola permette di realizzare sia versioni US-Navy che Marines in livrea light gull grey degli anni ’60-‘70 (sup. latero-superiori in FS16440 “light gull grey” appunto e inferiori in “insigna white”),sia esemplari dei Marines in livrea Tactical Paint Scheme. Non ritenendomi capace di riprodurre per bene il TPS (se non trattato adeguatamente diventa una bella macchia grigia nella vetrina) ho optato per un esemplare del VMF-214 con la testona della pecora nera sui fianchi e coda blu con stelle bianche, che a mio parere da colore ad una livrea in grigio chiaro che tenderebbe ad essere cromaticamente “piatta”.
Anzitutto va detto che ho utilizzato esclusivamente colori a smalto Humbrol (per la gioia di chi condivide con me la casa).
Ho passato per primo un grigio medio (n.64) come primer, sul quale ho tentato un preshading con grigio scuro, entrambi opachi (il nero mi sembrava troppo scuro, poi ho scoperto che mi sbagliavo…).

09a – base + preshading

09b – base + preshading parti varie

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ho passato diverse mani di bianco (n.130 che è satinato, il lucido mi da l’idea di ingiallire troppo in fretta) sulle superfici inferiori e sulle parti che poi diventeranno rosse (interno flaps, slats, aerofreni e relativi vani), cercando di schiarire di più il centro dei pannelli; stessa cosa con il grigio chiaro (n. 129) delle superfici latero-superiori. Purtroppo l’inesperienza ha fatto si che mi giocassi gran parte della preombreggiatura… in ogni caso il grigio di base tende a schiarire al sole e quindi ho cercato di risolvere l’inconveniente lavorando con il postshading, schiarendo appunto il grigio precedentemente steso e diluendo molto di più la vernice (per non incorrere di nuovo nell’errore di coprire completamente la base), passando più mani ed insistendo al centro dei pannelli. Dalle foto dei velivoli reali con questo tipo di livrea si vede che sono di norma abbastanza puliti (al contrario di quelli in TPS), che le pennellature non si differenziano di molto e la “scoloritura” è abbastanza uniforme, ho cercato quindi di non calcare la mano per non discostarmi troppo dalla realtà, anche se un po’ di “licenza modellistica” ci vuole, ne giova al modellino stesso mettendo in mostra i volumi di cui è composto, luci e ombre… (parere del tutto personale).

10 – un po’ di grigio, si intravede il preshading ma la tonalità del grigio è ancora troppo scura…

 

11 –postshading… così va meglio!


Per finire ho spruzzato il rosso (n.220) ed il blu (n.15)

12 – modello lucidato pronto per i lavaggi, con verniciatura delle zone in rosso, blu sulla deriva e pannello antiriflesso in nero

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Passiamo ai lavaggi; prima ho passato un paio di mani di trasparente lucido (sempre smalto) su tutto il modello (a parte il primer avevo utilizzato colori a finitura lucida x evitare questa fase ma la superficie non era lucida come quella delle foto pubblicate dagli amici del forum…);

 

Ho quindi utilizzato un mix di tempere acriliche (il diluente per i colori ad olio avrebbe reagito male con le vernici a smalto che ho utilizzato fin qui) tinta grigio, marrone e nero, diluite con alcool che ho passato nelle linee di pennellatura per poi togliere gli eccessi con una pezza pulita e con un bastoncino cotonato, come si farebbe con i colori ad olio. I lavaggi sono stati fatti anche ai vani dei carrelli, ai relativi portelloni ed alle parti che compongono i carrelli stessi, stavolta con un mix di colori tendente di più al marrone.

 

 

14 – lavaggi, le pennellature sono evidenziate, forse ancora un po’ troppo ma mi piace…

15 – lavaggio pozzetti

Ho poi rilucidato il modello per la posa delle decals, le ho ritagliate dal foglio cercando di togliere quanto più possibile il bordo trasparente, ho anche utilizzato un liquido ammorbidente che ha favorito l’aderenza alla superficie del modello, con soddisfazione hanno “copiato” bene le pannellature. Non ho utilizzato quelle che propongono le zone colorate ma ho preferito verniciare le zone interessate (stencils prese d’aria, deriva, decori sui serbatoi supplementari, vedi foto 12) e ridurre al minimo la superficie delle decals per esempio appiccicando le stelle bianche singolarmente. Ho faticato con l’insegna di nazionalità sull’ala sinistra che va posata sui deviatori di flusso… la prossima volta li attenuerò un pochino carteggiandoli! Segue altra mano di lucido per proteggere le decals dalla successiva ripresa dei lavaggi ecc.

16 – decals applicate, modello rilucidato


In questa fase ho tentato di rendere un po’ più “vissuto” il modello sempre mediante le tempere acriliche, utilizzandole un po’ meno diluite. Ho anche tentato di desaturare un pochino le decals e le zone “colorate” spruzzando sulle parti interessate un velo di colore di base schiarito e diluitissimo (“praticamente acqua sporca”, come definita da chi mi ha indicato come fare!!). Anche qui forse ho un po’ esagerato in alcuni punti, sempre per inesperienza…
Ho fatto anche un po’ di drybrush sulla deriva per mettere in risalto i dettagli appiattiti dal blu.

Ho poi ultimato la verniciatura dipingendo le parti dielettriche e le luci di navigazione. Ho incollato i vari particolari ed il cono di scarico che avevo precedentemente preparato limandolo per eliminare il gradino che si forma con la fusoliera e verniciandolo con il metal cotè color acciaio brunito e successivamente schiarito con alluminio.

A questo punto ho sigillato il tutto con trasparente a smalto a finitura semilucida o satinata che dir si voglia, in quanto mi sembrava quella più adatta a rendere l’effetto dell’aereo reale, che esce di fabbrica lucidissimo ma poi invecchia sottoposto all’uso ed alle intemperie, ma che non mi sembra mai apparire in foto veramente opacizzato.

Altro piccolo inconveniente: a modello praticamente finito ho rotto per ben 3 volte consecutive la sonda per il rifornimento in volo, pezzo molto delicato che suggerisco di sostituire con una graffetta fermacarte sagomata o, più semplicemente, di incollarla per ultima…

17 – modello e parti varie finite, pronte per l’assemblaggio finale


Tirando le somme il modellino della Fujimi non è niente male (ne ho già presi altri due in versione TA e OA-4M), ben dettagliato, basta correggere qualche lacuna e si ottiene una buona rappresentazione del falchetto anche “da scatola”.
Personalmente mi sono divertito tantissimo sperimentando tutte queste tecniche modellistiche per me nuove, messe in pratica soltanto grazie all’aiuto degli amici del forum che mi hanno supportato dall’inizio alla fine con i loro ottimi consigli.

…non vi nascondo che sono anche molto soddisfatto del risultato ottenuto… non è certo un capolavoro ma mi aspettavo molto peggio, sarà la fortuna del principiante… vedremo con i prossimi!

Qui trovate queste foto e altre del modello finito:  http://www.modelingtime.com/galleria/v/aerei/a-4m__vma214/

Spero che il modello vi sia piaciuto e che l’articolo possa risultare utile a chi pensa di cimentarsi in un modello del genere ma soprattutto a chi ha timore (come l’ho avuto io) di sperimentare nuove tecniche: la documentazione di cui possiamo disporre oggi e la possibilità di conoscere e confrontarsi on-line con bravi modellisti (per chi non frequenta regolarmente i clubs), che sfornano consigli e pareri preziosi, fa si che l’esperienza si condensi in un modello, accorciando tempi che da autodidatti diventerebbero biblici, quindi la soddisfazione è assicurata indipendentemente dal risultato che arriverà con l’esperienza.

Riccardo -Rickywh- Bianchi

Kit Review – TwoBobs – T-2 C “Buckeye” in scala 1/48.

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Annunciato in grande stile e poi rinviato di diversi mesi; Discusso e giudicato ancor prima della sua effettiva uscita, ecco finalmente a voi il tanto atteso T-2 C Buckeye della TwoBobs. Posso subito dire che la pazienza di tutti noi modellisti è stata ampiamente ripagata, questo kit è senza dubbio un’ottima realizzazione!

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Aprendo la robusta scatola di cartone troviamo subito cinque stampate di color grigio scuro che contengono circa cento pezzi. Analizzandoli più da vicino non si ha proprio l’impressione di trovarsi di fronte ad uno short run: la plastica ha una buona consistenza e una superficie abbastanza liscia e priva di refusi; il dettaglio di superficie è quanto di meglio si possa chiedere oggi! Le pannellature sono riprodotte in un fine e preciso negativo, il tutto condito da una moderata (ma veramente gradita) quantità di rivetti posizionati in punti strategici.

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Controllando meglio il contenuto della scatola si scopre una piccola bustina contenente trentaquattro parti in resina gialla molto ben realizzate. Essi sono interamente dedicati al cockpit e questo già vi può far immaginare l’attenzione impiegata per questa importante zona del modello. I seggiolini sono veramente ben fatti e altri particolari, come le cloche e le leve di espulsione, sono molto sottili e perfettamente dimensionati. Forse l’unico appunto che si può fare riguarda le consolle laterali che, purtroppo, presentano un dettaglio appena accennato e certamente non all’altezza per un kit nella scala del quarto di pollice. Altri elementi che riguardano l’abitacolo sono le paratie divisorie, la palpebra del cruscotto anteriore, i pannelli strumenti (cui basterà del dry brush per ottenere un buon risultato) e il pavimento della vasca riprodotti in stirene.

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La scomposizione sembra rispettare una logica ben studiata: la fusoliera è divisa, come solito, sulla linea di mezzeria ma presenta la parte inferiore (la pancia vera e propria – parte numero 19) divisa dal resto del complesso. Sicuramente il montaggio di questo pezzo (come raffigurato anche sullo Step 22 delle istruzioni) dovrà avvenire dopo numerose prove a secco e aggiustamenti dovuti alla totale assenza di perni di riscontro. Ad ogni modo, con un pizzico di cura in più si limiterà al massimo l’uso dello stucco e della colla.

Le prese d’aria sono fornite complete dei condotti in pieno stile “seamless” e della ventola del primo stadio del compressore. Non sarà facile stuccarne e lisciarne l’interno, ma comunque apprezzabile la soluzione offerta dalla TwoBobs per gli air intake.

I pozzetti dei carrelli non sono il massimo, anzi, alla fine sono fin troppo spogli. Anche qui bisognerà armarsi di pazienza e ricostruire un po’ di particolari ma, a essere sinceri, fortunatamente i wheel bays del Buckeye sono tremendamente affollati come quelli di tanti altri jet suoi coetanei. A tutti i lettori un po’ più pigri posso anticipare che la TwoMikes (ditta collegata alla TwoBobs) ha in programma un set di miglioramento in resina che dovrebbe coprire anche quest’area.

Un plauso va senz’altro fatto alle superfici di comando: esse sono completamente mobili! Flaps, piani di coda e timone di profondità possono essere posizionati a piacimento dando al modello un bel po’ di movimento in più.

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Veniamo ora ai trasparenti: il canopy è realizzato in vacuform, soluzione non proprio apprezzata. Fortunatamente ne sono fornite due copie in modo da recuperare a possibili errori in fase di rifinitura dei pezzi o, più semplicemente, per prelevare da un master il parabrezza e dall’altro la cappottina per raffigurarla in posizione aperta. La trasparenza è ineccepibile e i frames sono ben delineati. Inoltre è presente una piccola stampata che racchiude le luci di posizione e il faro d’atterraggio.

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Le decal sono un altro punto forte della scatola, e permettono di realizzare due esemplari in carico rispettivamente al VT-9 “Tigers” della NAS Meridian – Missisipi e all’USN Test Pilot School della NAS Patuxent River – Maryland che vestono la classica e appariscente livrea in bianco con estese zone in rosso tipica degli addestratori dell’US Navy. Inutile ricordare che la qualità del foglio è pari a tutti gli aftermarket che Bob Sanchez (il titolare) commercializza, quindi stampa precisa, colori saturi e film ridotto al minimo. A tal proposito, per i più esigenti o per chi volesse riprodurre dei Buckeye più “esotici”, sono già disponibili dei nuovi set con insegne per esemplari greci e venezuelani – oltre a nuovi trainer assegnati ai seguenti gruppi: VT-9, 7 E 10 – VT- 19, 23 E 26.

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La vera sorpresa però è il CD-ROM incluso nel pacchetto: esso contiene una miriade d’interessanti immagini con walkaround completi di tutto l’aereo. Il cockpit è l’unico close up meno nutrito di foto ma, per il resto, nulla da replicare. Senza dubbio il supporto multimediale ci offre in abbondanza documentazione che, altrimenti, sarebbe difficile reperire data la scarsità di fonti presenti in rete.

Per concludere posso affermare, senza remore, che il primo kit prodotto e commercializzato dalla TwoBobs è un successo. Il soggetto, particolare e molto appetibile a livello modellistico, fa al caso di tutti quei modellisti stufi di vedere in giro i soliti F-16 ed F-18! Su alcuni forum si vocifera che Bob Sanchez sia già a lavoro su un altro progetto… per continuare sullo stesso filone, chissà che non tiri fuori un bel T-45 Goshawk!

Buon modellismo a tutti. Valerio – Starfighter84 – D’Amadio.

Group Build Modeling Time.com – “The Vlaggie Cheetah” – Atlas Cheetah “C” dal kit High Planes in scala 1/72.

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Il Group Build di fine anno di Modelingtime.com riguardava tutti i prodotti della casa francese Dassault Aviation. Questo comprendeva tutti gli aerei prodotti dalla casa in tutte le loro versioni. Io ho voluto rappresentare una variante del celeberrimo Mirage III.; Il Cheetah “C” letteralmente “Ghepardo”

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Fonte http://wildaviation.com/cms/ – Autore e titolare dei diritti D.Wingrin

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Fonte http://wildaviation.com/cms/ – Autore e titolare dei diritti D.Wingrin

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Fonte http://wildaviation.com/cms/ – Autore e titolare dei diritti D.Wingrin

Un po di storia:

Durante gli anni ’80 l’aeronautica sudafricana per contrastare i MiG-23 forniti dai sovietici all’Angola scelse il Mirage III come caccia di superiorità aerea, e lo adattarono alle loro esigenze operative. A causa dell’embargo imposto al Sudafrica non gli era consentito acquistare aerei nuovi e la ATLAS, ditta sudafricana, acquisì le licenze per modificare in patria i Mirage; il governo diede mandato di effettuare alcune modifiche sostanziali alla macchina per renderla ancora più moderna e più efficace. Le modifiche implementarono il sistema Radar ed avionica all’avanguardia simile a quella del Kfir israeliano, con computer e sistemi d’arma e difesa di ultima generazione come ECM, HUD e chaff e flares dispensers. Anche il motore SNECMA subì delle migliorie e fu migliorato per dare al Cheetah il 15% in più di potenza un consistente aumento di angolo di attacco a basse velocità supportato anche dall’installazione di grandi canard sulle prese d’aria.

Nel 1986 l’aeronautica sudafricana mise in servizio i primi Cheetah C, che erano delle cellule di Mirage IIIC francesi riportati a “zero ore” e aggiornati allo standar Cheetah sopra elencato, seguiti poi dai B biposto. Fino alla completa entrata in servizio della flotta alcune cellule di mirage IIIE prese a leasing vennero aggiornate al quasi-standard Cheetah per sopperire alla mancanza di macchine, ma questi ebbero breve vita, furono ritirati nel 1992.

Il Cheetah finisce la sua vita operativa nell’aeronautica sudafricana nel 2008 quando venne sostituito dal più moderno ed efficiente Saab Gripen.

Il Modello:

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La particolarità del soggetto è tale che il mondo modellistico non ha mai preso in considerazione l’opzione di riprodurre questo interessantissimo velivolo in scala.

Un giorno navigando in Internet ho trovato sul sito della casa produttrice, la High Planes in Australia, il Cheetah! Con una spesa di 23€ mi hanno mandato il kit e un bellissimo CD a corredo con un centinaio di foto di walkaround e qualche profilo.

Documentazione molto utile vista la scarsità di informazioni sul soggetto.

Il kit a prima vista è uno scempio completo, plastica azzurrina durissima, tante sbavature e scomposizione cervellotica, ma poi ad un attento esame si notano delle finissime pennellature ottimamente incise, dettagli che in 1/72 non ti immagini e cockpit, sedile, vani carrelli e scarico di resina molto ben fatti e molto fedeli all’originale.

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La costruzione ovviamente parte sempre dal cockpit. Il tutto in FS35273 (gunze H306) con consolle laterali  e pannello stumenti in nero opaco.  Anche il sedile è del medesimo colore con i cuscini verde oliva. La mia predilezione per gli aerei in volo mi ha fatto inserire anche il pilotino (preso dall’apposito kit hasegawa) che è stato modificato all’occorrenza, con casco di fabbricazione francese e maschera con tubo laterale.

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Fatto il cockpit, imbragato il pilota, sistemati gli ultimi dettagli si chiude la fusoliera.

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Per semplicità, dato che il tettuccio va chiuso ed è un foglio vacuformato, lo ho ritagliato con precisione e stuccato in posizione subito dopo aver allineato e incollato le fusoliere.

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La pulizia dei pezzi è stata drammatica, troppa plastica in surplus e soprattutto durissima e molto spessa. Dopo  averla incollata, è stata la volta di stuccare la fusoliera. Senza particolari problemi il tutto è stato allineato il più possibile per evitare scalini difficili da sanare.

Il vero bandolo della matassa sono state le ali, ragazzi che faticaccia! sono state assottigliate di circa 3 millimetri per farle combaciare e (per fortuna che ho chiuso il carrello) ho quasi completamente asportato i vani del carrello principale perché altrimenti proprio non si chiudeva.

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Unite le ali alla fusoliera ho impiegato una quantità enorme di stucco verde Squadron e Milliput per raccordare il tutto , senza contare che ancora c’era parecchio da fare per le prese d’aria. Nel mirage come nel Cheetah, gli intake hanno la caratteristica di raccordarsi alla radice alare e alla parte inferiore della fusoliera e riprodurre questa zona su un kit del genere non vi dico che è stato eroico ma quasi. La sinistra in particolar modo è stata un dramma, disallineamento totale e un insano buco da colmare.

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Con tanta pazienza, plasticard e il mio fidato set di stucchi alla fine l’ho messo insieme. Il risultato finale è stato sicuramente molto soddisfacente anche perché sono riuscito a non eliminare quasi per niente le incisioni sulle prese d’aria nonostante tanta carta abrasiva e stucco.

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Le prese d’aria:

Sistemata la zona delle ali, montare le prese d’aria è stata una passeggiata visto che non ha praticamente richiesto l’uso dello stucco, o almeno non in quantità sovrumane.

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Una mano di primer grigio chiaro e il cheetah era pronto per ricevere la sua colorazione.

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L’esemplare da me scelto è il numero 370 usato dal 2002 al 2006 per i vari Air Show e colorato in maniera abbastanza vistosa come la bandiera sudafricana. Questo esemplare era chiamato “The vlaggie cheetah” se vogliamo cercare una traduzione per “vlaggie”, questa è una storpiatura di flaggy ovvero bandierato.

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Fonte http://wildaviation.com/cms/ – Autore e titolare dei diritti D.Wingrin

Non solo il montaggio è stato complesso e lungo, ma anche la colorazione per la sua caratteristiche linee curve  è stata un’impresa.

Per prima cosa ho verniciato le bande bianche in modo molto approssimato con l’X-2 Tamiya. Così facendo ho creato anche un fondo più idoneo per il successivo colore, il giallo (X-3 Tamiya). Le zone gialle sono state mascherate molto minuziosamente con striscioline di nastro Tamiya sagomato appositamente.

Con lo stesso procedimento ho poi verniciato il verde (X-5 Tamiya) sulla coda e sulla fusoliera, il rosso (X-7 Tamiya) e il blu (X-4 Tamiya) sulle ali. Infine il nero su tutto il muso e il grigio H308 sul radome.

Quando ho tolto le mascherature sembravo un chirurgo che asporta le bende ad un paziente al quale ha appena fatto la plastica e spera nel risultato positivo….! Incredibilmente solo un paio di sbavature sul giallo e un paio sul verde. Per il resto perfetto al primo colpo! Com si dice a Roma… sò soddisfazioni!

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Pronte le righe bianche.

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Metà strada.

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Qui la verniciatura ultimata.

Un ultimo giro di dettagli e correzioni minime sulle curve e il modello è pronto per le pochissime decal che gli spettano, nome del pilota, le sue 2 vittorie contro MiG ugandesi, il numero seriale e lo stemma della SAAF sulla coda. Alcune sono state autoprodotte artigianalmente con una stampante ALPS (numeri e nome pilota) poichè non presenti nel foglio decalcomanie fornito nella scatola.

Messe le antenne, pitot e sonda di rifornimento ho dato l’ultima mano di satinato e il Cheetah era pronto per la vetrina!

Basetta:

L’inbasettamento del modello in volo non è semplice e richiede un po di inventiva e manualità per lavorare il plexiglass. Ho voluto mettere l’aereo in posizione cabrata in onore al suo ritiro dal servizio. Per intonare la colorazione con quella del modello ho disegnato una stella e l’ho verniciata anche questa con i colori sudafricani. Per dare un po di movimento alla scena e non avere tutto esattamente riportato sulla base ho invertito la posizione del rosso e del blu, altimenti il modello si sarebbe “mimetizzato” con la base sottostante

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Effettivamente sono stato l’ultimo a completare il modello del Group Build, ma il tempo è stato  limitato a causa del lavoro e di altri impegni.

La soddisfazione di essere riuscito a finire un modello così complicato è stata tanta e anche se il risultato finale non è sicuramente all’altezza per competere in concorsi o manifestazioni. Nella mia vetrina sta comunque alla grande e ogni volta che ci passo davanti me lo guardo con aria compiaciuta!

Adesso avanti col prossimo modello, ci sentiamo presto su queste pagine.

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Luca “Icari Progene” Marin.

Mitsubishi Ki.46 “Dinah” dal kit Tamiya in scala 1/48.

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Ecco il mio terzo modello in assoluto, questa volta si tratta del ricognitore giapponese mitsubishi ki-46 III type 100 dinah. Operante dal 1943, esso venne impiegato nelle operazioni della Manciuria e Cina durante la Seconda Guerra Mondiale e per missioni di ricognizione sulle coste settentrionali di Australia e Nuova Guinea. Attualmente l’unico esemplare esistente è conservato presso il RAF Museum di Cosford – Inghilterra.

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Il kit è il Tamiya in scala 1/48 rigorosamente costruito da scatola. Non sono un grande amante degli aftermarket e poi, senza ombra di dubbio, il modello è già abbastanza dettagliato così com’è!

Come sempre, le mie fatiche sono partite dal cockpit che è stato verniciato nel caratteristico colore Aotake Blue  della Lifecolor (codice  UA 136), diluito con il suo diluente specifico; il quadro strumenti è in nero gunze H77 con drybrush in Grigio Humbrol 191.

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L’interno è stato lumeggiato con una tecnica che non avevo mai usato prima: essa consiste nell’applicare, prima del colore definitivo, uno strato di alluminio o cromo. Personalmente ho utilizzato il Chrome Silver X-11 della Tamiya. e,  una volta asciutto, ho steso una mano leggera di Clear Gunze H-30. Il trasparente ha lo scopo di proteggere il colore sottostante dalle successive fasi che adesso andrò a elencarvi. Sopra all’H-30 ho finalmente passato l’Aotake ed ho atteso almeno una giornata per la sua completa essicazione; A questo punto ho utilizzato un cottonfioc imbevuto di benzina per accendini (Zippo) strofinandolo sulle superifici interne e asportando il colore dove mi interessava . Così facendo ho fatto emergere il Chrome sottostante dando un effetto vissuto all’intero abitacolo e simulando la tipica usura dovuta all’utilizzo intenso e al calpestio. Diciamo che si ottengono risultati simili al dry-brush però con qualche piccola differenza.

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Per completare il tutto  ho effettuato un lavaggio con colore ad olio “Seppia” allungato con diluente Humbrol.

Finito l’abitacolo, esso è stato inserito nel suo alloggiamento ed ho proceduto unendo le semifusoliere.  Purtroppo il loro montaggio non è stato molto agevole, ed hanno creato problema nel farle combaciare perchè  leggermente disassate.

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Limato e stuccato dove necessario, sono poi passato alle ali dove la fama di alta precisione della Tamiya si è ancora una volta confermata con incastri praticamente perfetti (compreso la successiva unione del complesso alare alla fusoliera). Il vano carrelli è stato verniciato in Aotake con lavaggio in “Seppia”, e carrelli in grigio medio.

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A questo punto le mie attenzioni si sono rivolte ai motori:  le uniche foto del modello esistente mostrano i motori in perfetto stato,  senza sporcature e tracce di olio; Volendo riprodurre il mio Ki-46  con un certo grado di  invecchiamento, ho deciso di “ungere” i propulsori tutto con un bel washing in nero ad olio, sempre dopo aver applicato il colore di fondo in XF-56 Tamiya.

E finalmente si giunge al momento della verniciatura, come sempre la parte più interessante! Questo ricognitore non possiede una mimetica complicata, anzi decisamente semplice, con il verde che caratterizza la parte superiore (J.A.Green XF-13) e il Grigio Chiaro le superifici inferiori (J.A.Grey XF-14). Inizialmente la tonalità del verde non mi ha convinto molto a causa della sua eccessiva scurezza… non avendo molta voglia di imbattermi in miscele complicate o strane alchimie ho preferito comunque utilizzare il pigmento della Tamiya risultandone alla fine abbastanza soddisfatto. Il grigio, al contrario, è molto azzeccato!

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Stesi i colori di fondo sono passato allo schiarimento dei pannelli aggingendo una punta di bianco ai colori di base: questa tecnica, meglio conosciuta col nome di “Post-Shading”, consiste nel desaturare il centro dei pannelli per simulare la normale usura delle vernici dovuta agli agenti atmosferici. Purtroppo il Post- Shading può essere eseguito solamente ad aerografo, proprio per ottenere delle sfumature morbide ed omogenee nelle zone da schiarire… Questa volta mi sono trattenuto nello shading, di solito molto evidente, facendo solo poche passate.

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Finita la mimetica, ho iniziato la fase delle decal preparando il fondo con varie passate di trasparente lucido Gunze. La posa delle insegne non ha richiesto molto tempo perchè il loro numero è veramente ridotto. A questo punto, per evitare che le decalcomanie staccassero troppo dalla livrea già usurata, mi sono chiesto con quali colori  potessero essere desaturate… si tratta di tonalità particolari come ad esempio il rosso degli Hinomaru (i grandi cerchi rossi che rappresentano il famoso Sol Levante).

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In aiuto mi sono venuti gli amici del forum di Modeling Time (www.modelingtime.com/forum), sempre vicini con i loro fondamentali consigli! mi hanno suggerito un rosso molto sbiadito (praticamente rosa) e qualche sporcatura in grigio. Effettuata questa operazione ho passato un’altra mano di trasparente per sigillare il tutto e preparare il fondo per il lavaggio.

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Altro problema:  cosa usare? Essendo il verde molto scuro non ho eseguito un lavaggio “pesante”  (in nero o Bruno Van Dyck per esempio) per le pannellature: si sarebbe visto ben poco ed avrei solamente ottenuto un effetto “mattonella”.  Alla fine ho optato per un grigio molto chiaro; Il risultato non è molto evidente per la parte superiore del modello, ma alla fin fine, esalta il dettaglio quel che basta per non risultare troppo pesante.

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Per la parte inferiore, invece, ho usato un grigio più scuro con l’aggiunta del Bruno Van Dyck poco diluito. Superata questa fase, il mio Dinah è pronto per ricevere la sua finitura opaca finale.

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Non ne ho provati molti, anzi ho prusato solo il Vallejo, ma penso che non lo cambierò mai. Avevo letto una recensione che ne parlava molto bene, l’ho acquistato ed è stato…  amore a prima vista! diluito con qualche goccia di acqua distillata ha una finitura perfetta… consigliato a tutti quindi!

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Non resta che inserire i carrelli che le istruzioni suggerivano di attaccare al passaggio 2. Essendo questi molto delicati ho deciso di posizionarli solo alla fine perchè sicuramente non sarebbero arrivati sani e salvi fino alla fine.

Siamo quasi alla fine: eliche in marrone Tamiya XF-10, pneumatici in Tyre Black H-77 Gunze e qualche sporcatura in H-72 sempre Gunze.

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Questo piccolo bimotore presenta molte zone vetrate, tra cui anche  la finestratura inferiore per l’alloggiamento di una macchina fotografica da ricognizione. Per la mascheratura dei trasparenti utilizzo un metodo del tutto personale,i l nastro isolante da elettricista! avete capito bene… Deve essere di colore chiaro, io ad esempio uso quello rosso. Posto sui tvetrini e messo in controluce si riesce a vedere chiaramente la linea di demarcazione del frames e, con un cutter affilato, si può praticare l’incisione per rifilare il materiale in eccesso e lasciarlo soolo dove occorre (stando attenti a non spingere troppo per non rovinare la trasparenza dei pezzi). Con un po’ di pratica diventa un’operazione brevissima e precisa.

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Come ritocco finale ho utilizzato il carboncino nero ridotto in polvere e “spennellato” poco alla volta sull’uscita degli scarichi per simulare i classici fumi di scarico dei motori a pistoni. Famose sono anche le scrostature degli aerei del sSl Levante, conseguenza dei teatti d’operazioni dalle condizioni climatiche particolarmente avverse e dalla proverbiale scarsa qualità delle vernici utilizzate! Per riprodurre i punti dove  il colore è saltato via utilizzo una matita argentata,  appoggiando la punta ben affilata direttamente sulle zone interessate; un tocco leggero anche sulle eliche  e nelle aeree di camminamento ed il gioco è fatto.

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A questo punto non mi resta che riporre con cura in vetrina il mio Ki-46 e godermelo finalmente ultimato. Buon modellismo a tutti – Federico – Ircedofe – Conti.

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Tornado IDS “Royal Saudi Air Force” dal kit Italeri in scala 1/48.

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Eccomi nuovamente con un altro bel lavoro!

Lasciatemi prima scrivere due righe di premessa dettate un po’ dalla nostalgia di vecchi ricordi. Avevo 12 anni quando un mio parente mi regalò una scatola, e non appena vidi raffigurato un aereo da caccia con quella bella coda e colori grigio e verde, pensai subito a qualcosa in metallo da poter esporre. Ma quando aprii la scatola e vidi che quel bell’aereo raffigurato era spezzettato in tanti minuscoli pezzi pensai :<<E che è sto coso?! Ed ora?>>. La mia contentezza iniziale cominciò a sfumare. Ebbene, quel Tornado in scala 1/72 diventò il mio primo kit e mi spalancò la porta al mondo del modellismo, ed essendo quest’aereo rimasto sempre nei miei pensieri modellistici, una sorta di “primo amore che non si scorda mai”, non ho esitato minimamente a toglierlo dallo scaffale del mio negoziante di fiducia. Sì proprio così, una scatola Italeri in scala 1/48. Bello e contento di avere tra le mani il “Tornadazzo” sono arrivato a casa, entusiasta ho aperto la scatola, e lì il mio buon umore è cominciato a diventare sempre più grigio man mano che vedevo linee di pannelli partire e perdersi nel nulla, cockpit e seggiolini da prima elementare, meccanismo apertura e chiusura ali da “se mi tocchi mi rompo”, imperfezioni ovunque dal muso alla deriva, e non sto a dire poi quando ho toccato la plastica….mi sembrava di “gomma”. A questo punto non potendo più tornare indietro pensai:<<O ti mangi sta minestra o lo butti dalla finestra!>>. Bhè, la voglia di poter realizzare l’esemplare della Royal Saudi Air Force (Aeronautica Saudita) e confortato dall’aver letto e riletto gli articoli degli amici Alessandro (Ale85), Massimo (Pitchup) e Mauro (CoB), già sacrificatisi col Tonka Italeri, allora a questo punto ho preferito farmi venire l’appetito e, ahimè, pronto a mangiarmi la minestra e per giunta “bollente”!

web-cimg3511Si inizia col Montaggio :

Questa è una fase che m’intriga molto. Inizio subito col cestinare il cockpit e procurarmi quello NeOmega (un modello nel modello). Per la colorazione ho aggiunto poche gocce di Gunze H317 al 308. Quindi poco dry-brush e poi lavaggio ad olio, prima con grigio di payne (molto diluito) e poi con nero. La struttura dei sedili idem, con cuscino in olive drab, poggiatesta in nero e le cinte in una miscela di Brown, Gold Leaf e Bianco (poco).

Web Cockpit IDSTerminato il Cockpit, che s’incastra nel suo alloggio in maniera perfetta, con qualche aggiunta di plasticard si chiude la parte anteriore del kit. E qui devi stuccare e lisciare fino a quando i punti di giunzione siano a livello. Per il radome idem.

modifica 1troncone anterioreA questo punto si deve agire sul troncone della fusoliera. Qui s’interviene subito con l’aggiungere un rinforzo interno tra i due vani carrello, perché altrimenti troppo molle e deformabile quando si andranno ad inserire le ali, eliminate del loro meccanismo e creato un invito per l’inserimento finale per facilitare colorazione e lavaggi. I piani di coda sono stati anch’essi modificti per il montaggio finale.

Web CIMG3268innesto alaWeb CIMG3270Si interviene anche sugli aerofreni e sul vano, con l’aggiunta di parti fotoincise della Eduard, il tutto auto-corredato da cavi e particolari in plasticard.

aerofreniaerofreni 1Tornado aerofreniSi unisce il resto della fusoliera e qui si ritorna nuovamente a chiedere aiuto alla ciano, allo stucco ed alla carta vetrata (tanta).

fusoliera 1fusoliera 2fusoliera 3Particolare attenzione merita la deriva. Per la sua tendenza alla deformazione, una volta unite le due parti, si aggiungono pezzi di sprue all’ interno della base per facilitare meglio l’incollaggio al troncone. Qui essendo la base della deriva arrotondata e non a spigolo (come da originale) si deve scegliere se sostituire questa parte col pezzo Paragon 48020, oppure limarla. Ho preferito “limare” per portarla a spigolo anzichè tagliare; e qui Massimo (Pitchup, collega modellista nonchè forumista di Modeling Time!) ne sarà contento. Ho aggiunto infine un piccolo triangolino di rinforzo vicino al timone presente nell’originale.

deriva

piastra deriva

Incollata la deriva al troncone, e sempre dopo aver combattuto con ciano e stucco, si passa prima alla sonda del rifornimento (che ho montato “aperta” ed accessoriata con cavetto e con una strisciolina di plasticard alla sua base), poi al montaggio del telemetro e collimatore laser (LRMTS) e infine alla zona carrelli.

carrello ant. 1In questi ultimi ho aggiunto qualche pezzo in fotoincisione, la cavetteria necessaria e qualche accessorio autocostruito in più. Si completa il tutto con una spruzzata di Bianco Tamiya X-2 con l’aggiunta di una micro goccia di nero X-1.

Le ruote e gli scarichi invece sono stati sostituiti con quelli della Paragon (48011-48008). Il meccanismo di rotazione degli aerofreni e le guaine delle radici alari, provengono dal set Eduard.

Fatto questo si passa all’ultima fase, la verniciatura:

Qui siamo ad un punto critico, il cosiddetto punto di non ritorno dove, oltre lo sbaglio c’è…..il cestino! Quindi, massima attenzione alle tinte e soprattutto massima informazione sulla mimetica araba da eseguire.

Dopo qualche consiglio chiesto agli amici del Forum (www.modelingtime.com/forum) sulla tinta base (Valerio e Girolamo ne sanno qualcosa con i miei Messaggi Privati), ecco le conversioni esatte dei colori dell’arabone per gli utenti Tamiya e Gunze:

Light Stone BS 381 C: 361 = FS 33448 = Tamiya XF-60 (colore pronto)

Dark Earth BS 381 C: 450 = FS 30118 = Tamiya XF-52 (colore da modificare)

Dark Green BS 381 C: 649 = FS 34079 = Tamiya XF-61- GS H309 (colore pronto)

Senza nessun preshading iniziale, passata la prima mano di XF-60 ho proceduto poi alla schiarita generale dei pannelli, aggiungendo qualche goccia di bianco alla base e diluendo ancora. Una volta asciutta, armato di patafix ho cominciato a delineare la mimetica marrone e qui ho dovuto spegnere la tonalità rossastra dell’XF-52 con delle gocce di nero fino ad ottenere il riscontro più esatto possibile alla tinta originale. Attenzione nell’aggiungere il nero, perché si corre il rischio di comprare un’altra boccettina. Non fate come me che scurendolo troppo ho aggiunto il bianco per portarlo al livello precedente; niente di più sbagliato.

Web Progetto non salvatoPer ultimo si delimitano le parti verdi. Il postshading è stato  fatto prima di togliere il patafix “macchia per macchia”. Inoltre, per completare questa fase la piastra dello scambiatore di calore è stata verniciata in Zinc Chromate, una particolarità dell’esemplare riprodotto, gli scarichi e zone limitrofe prima con alluminio H8, e poi con velature di H18 steel, ed infine la parte del parabrezza e il radome in nero opaco XF-1. A quest’ultimo sono stati aggiunti, tagliando delle sottilissime strisce di plasticard, i conduttori antifulmini.

Colorazionecolorazione fusoFinalmente il “vestitino colorato” del Tornado arabo è finito, quindi lucidato a dovere con H30 si è proceduti alla fase delle decals.

web-cimg3502Qui la Tiger Wings ci viene incontro con gli stemmi arabi. Apro una parentesi dicendo che non sono rimasto soddisfatto sulla loro qualità, avendo trovato difficoltà nel farle aderire e di conseguenza nell’eliminare l’effetto silver. Addirittura le coccarde dovevano essere rifilate al massimo per non far vedere il bordino bianco.

Finita la postura delle decals, altra spruzzatina di lucido per sigillare il tutto e son partito per i lavaggi ad olio in bruno van dick puro. Per le sporcature, a parte quelle leggere sulla deriva per l’effetto degli inversori di spinta, ho soprasseduto. Un Tornado Arabo sporco in foto ancora non l’ho visto. Il tutto è stato finito e sigillato con Flat Gunze H20.

Il Tonka rappresentato è il nr. 6612, ripreso in diverse immagini con i soli serbatoi, i “cicciottissimi” Hindemburg, che ho recuperato dal vecchio kit Airfix, ed inseriti al kit con i due piloni Paragon 48004 autodettagliati con i relativi attacchi in plasticard.

Web CIMG3362Terminato anche questo passaggio è venuta l’ora del tettuccio. Qui, prima col bianco e con pennello fine ho dipinto il filo che attraversa il canopy interno, poi con una striscia di plasticard ho creato il montante centrale e con l’aiuto della punta di compasso ho effettuato le doppie rivettature in positivo. Quindi, usando la piastrina Eduard dedicata alle strutture laterali, che a dire il vero è abbastanza impoverita di dettagli, ho aggiunto il resto delle condutture e le manigliette in rame ed altri accessori  in plasticard. Seguono i sei specchietti retrovisori. Il tutto colorato in grigio H308 e drybrushato con nero.

Web Fascetta in plasticardStrutture laterali canopyCanopy completoMontato tutto, il risultato è stato davvero eccezionale. Abituati a vedere un Tornado sempre grigio o con la vecchia ormai colorazione Nato è usuale, ma vederlo con questa mimetica è qualcosa di suggestivo, e per dargli questa particolare bellezza estetica c’ha pensato l’Arabia Saudita con i suoi tonka terrosi.

Web CIMG3500_001web-cimg3501web-cimg3512Permettetemi di ringraziare gli amici del Forum di Modeling Time che hanno contribuito alla realizzazione del “kittazzo”, nonché tutti coloro che hanno apprezzato questo lavoro:

  • Alessandro (Ale85) per avermi fornito le decals saudite;
  • PierGiuseppe (Aspide85) per qualche consiglio iniziale sulle tinte;
  • Simone (f12aaa) per avermi fornito delle parti in resina Paragon ed altre autocostruite;
  • Valerio (Starfighter84) per tutte le volte che gli ho rotto con i miei MP;
  • Girolamo per avermi fornito l’informazione esatta sulla tinta base;

web-cimg3521 web-cimg3528web-cimg3540web-cimg3545 web-cimg3531 web-cimg3538web-cimg3519web-cimg3547Alla fine devo dire che la “bollente” minestra si è dovuta, per forza maggiore, raffreddare, perché a me le pietanze calde……non piacciono!

Ciao e B(u)onomodellismoVox a tutti!

Francesco “Bonovox” Miglietta.