lunedì, Dicembre 2, 2024

Il vero caccia italiano – Macchi C.202 “Folgore” dal kit Hasegawa in scala 1/48

Guido Carestiato, collaudatore storico dei velivoli AerMacchi, definì il C.202 Folgore “Il vero caccia sano, sicuro, senza sorprese”. Nonostante le ottime doti di volo fu, ovviamente, sminuito dalla propaganda di guerra alleata ma si guadagnò da subito il rispetto dei piloti e dei reparti della Regia Aeronautica.

Parlando di velivoli italiani spesso si sottolineano più i difetti che i pregi; il Folgore è sicuramente un’eccezione. Non fu il migliore in assoluto, e neanche il più prodotto, ma è senza dubbio il più iconico dando prova di essere una macchina matura ed affidabile, e prestando orgogliosamente servizio in tutti i reparti C.T. (caccia terrestri). Allo scoppio della guerra, gli stormi caccia erano costituiti da aeroplani non proprio brillanti, propulsi da motori radiali sottopotenziati rispetto a quelli in linea raffreddati a liquido. Una lacuna che li poneva in ombra rispetto ai più prestanti prodotti dell’industria aeronautica inglese e americana.

Ed è proprio su queste evidenze che l’Ingegner Mario Castoldi decise di unire la collaudata cellula del Macchi C.200 con il potente motore tedesco DB 601A, dando vita ad un caccia contemporaneo. Riprogettando il castello motore e le carenature anteriori, ottenne una linea filante, agile nelle manovre, con un brillante propulsore.

Il soggetto:

Il Folgore ha volato con tutti i reparti C.T. della Regia si è fregiato di vari distintivi di Stormo e Gruppo, e su mimetiche molto differenti l’una dalle altre. Per noi modellisti c’è davvero l’imbarazzo della scelta perché soggetti rappresentabili sono davvero tanti. Personalmente preferisco scegliere i miei modelli per gli aspetti tecnici e storici peculiari, e come descritto qualche riga sopra, il C.202 ha rappresentato un vero e proprio salto di qualità per la nostra aeronautica.

Un velivolo elegante e con ottime qualità di volo, quindi perché non scegliere la prima cellula che ha visto concretizzarsi queste qualità? quella che vanta il primo abbattimento in assoluto? Il Group Build 2018 del forum di Modeling Time, dedicato al “Made in Italy” è stata un’occasione ghiotta per mettere sul tavolo da lavoro un kit che mi ronzava in testa da parecchio tempo: il C.202 pilotato dal S.Ten. Jacopo Frigerio – 97 Squadriglia – IX gruppo – 4° Stormo, aeroporto di Comiso – settembre 1941.

Il velivolo, registrato come M.M. 7712 e di costruzione AerMacchi, è uno dei primi dieci esemplari in assoluto (Serie II con matricole comprese tra la 7709 e la 7718). Il 4° Stormo fu il primo a riceverli per un totale di 31 cellule assegnate proprio alla 97^ squadriglia del IX Gruppo.

Alla fine del Settembre 1941, esso si trasferì temporaneamente da Udine in Sicilia, con tutte le sue squadriglie (97-96-73) per un primo ciclo operativo su Malta. Alcuni Folgore della 73^ furono anche adattati per la foto ricognizione. Nel pomeriggio del 30 Settembre una formazione di sei Hurricane RAF si diresse verso l’aeroporto con l’intento di un bombardamento a bassa quota sulle linee volo. I tre velivoli di allarme si alzarono immediatamente in volo per intercettare la formazione nemica, tra di loro il 97-2 pilotato da Frigerio che vanta il primo abbattimento accreditato per il velivolo della Macchi. Fu, a tutti gli effetti, il battesimo del fuoco!

La vittima fu un Hurricane II B (Z5265) marche GL-B, appartenente al 185° Squadron della RAF, che precipitò nel canale di Sicilia (altre fonti affermano invece che il velivolo fu danneggiato sul canale ma successivamente arrivò a precipitare a qualche km dall’isola di Gozo). Il pilota, Officer Donald William Lintern, fu visto lanciarsi fuori dalla carlinga ma non venne mai recuperato. Invece il S.Ten. Frigerio passò indenne tutta la guerra e fu richiamato in servizio dalla neocostituita Aeronautica Militare Italiana dopo il conflitto, in qualità di istruttore, sempre al 4° Stormo. Ironia della sorte, morirà nel 1955 a bordo del suo F-86E durante un volo di addestramento a causa di una piantata motore a parecchie miglia dalla base di Nellis, in Nevada.

Tornando al 97-2, il velivolo non abbandonerà mai più l’isola sicula nonostante il 24 novembre la 97^ e la 96^ Squadriglia lasceranno Comiso per rinforzare le linee in Africa settentrionale, affiancando il 1° stormo. Solo la 73^ squadriglia resterà in Sicilia, essendo l’unica del gruppo ad avere velivoli dotati di camera foto planimetrica, continuando le ricognizioni su Malta. Il “7712” venne successivamente convertito in ricognitore.

Alla fine del 1941 anche la 73^ squadriglia, alla volta di Udine, lasciò gli aeroplani efficienti ad altri stormi operanti sull’isola e il Folgore oggetto di quest’articolo fu preso in carico dalla 168^ Squadriglia, 16° Gruppo, del 54° Stormo basato a Castelvetrano. Il velivolo sopravvisse fino alla primavera del ‘43, assegnato alla 377^ Squadriglia autonoma C.T. sull’aeroporto di Boccadifalco. Successivamente non si hanno più notizie riguardo al suo impiego o sulla sua sorte.

In accordo con le pubblicazioni, la matricola appartiene alla serie II prodotta nello stabilimento di Lonate Pozzolo della Aermacchi.

Il kit:

La scatola da me utilizzata è la 09139 (JT39) della Hasegawa, nella scala del quarto di pollice (quella che preferisco). Essa risale al 1995 ma ancora è molto curata nel dettaglio e con delle incisioni finissime. Analizzando con più attenzione, lo stampo del Folgore non si può definire “puro” ed è più simile alle caratteristiche del successore C.205 (commercializzato l’anno precedente).

Per questo motivo è adeguato per le versioni più tarde del C.202, ma approssimativo per le prime (ne parlerò in modo più approfondito fra qualche riga). Tornando al contenuto, sono presenti sei stampate in stirene grigio (più una trasparente), oltre ad un foglio decal, assolutamente inadeguato per gli standard modellistici moderni, che permette di realizzare un esemplare del 4° e uno del 1° Stormo.

Aftermarket utilizzati:

  • Stormo! 48007 – Decal: il foglio, intitolato “Battle of Malta Macchi C.202 Italian Aces”, è veramente ben fatto ed accattivante. Messo in commercio nel 2017 da una nuova ditta canadese, gode dell’ottima qualità di stampa della Cartograf e mostra numerosi profili tutti a colori. Accanto ad ognuno vi è una breve descrizione del velivolo e delle vittorie di ciascun pilota. Le informazioni sono precise, anche se in alcuni casi ho riscontrato piccole incongruenze facilmente risolvibili con un attento studio della documentazione. Si possono realizzare otto differenti soggetti, dalla serie I alla serie VIII, e viene illustrato anche l’andamento della mimetica che differisce tra costruzioni Macchi, Breda e Sai Ambrosini. Sebbene le insegne di reparto, di gruppo e i numeri identificativi siano presenti per tutti gli esemplari, i distintivi della Regia Aeronautica e gli stencil permettono di realizzare al massimo tre modelli con un unico foglio. Bastano ed avanzano, a meno che voi non siate degli appassionati del Folgore!
  • S.B.S. 48017 – Cockpit: il set in resina è ben fatto e ingegnerizzato proprio sul kit Hasegawa, quindi si adatta facilmente. Il sedile è il pezzo forte, molto dettagliato. Fornite anche le fotoincisioni e il foglio acetato per gli strumenti.
  • Eduard 648278 – Undercarriage: già da solo questo articolo è un piccolo modello. Il vano carrello del C.202 ha la peculiarità di essere incassato in una grande porzione del pianetto alare inferiore, in prossimità della ordinata para fiamma. Al suo interno, quindi, è ben visibile la struttura tubolare del castello motore posteriore e parecchie tubazioni di vari impianti. Necessita di qualche attenzione per poterlo inserire correttamente nel minuscolo ingombro ma è assolutamente consigliato.
  • Eduard 648281 – Exhaust stack: i collettori di scarico del kit sono molto poco rifiniti. Con questo set il salto di qualità è evidente, per quello che costano l’acquisto è praticamente obbligato.

Cockpit:

Come detto sopra, l’aftermarket in resina è praticamente pronto all’uso e ci vuole davvero poco sforzo per adattarlo al suo spazio.

Quindi ho concentrato maggiormente la mia attenzione sul colore degli interni. Le direttive dello Stato Maggiore Aeronautica dell’epoca prevedevano l’utilizzo del verde anticorrosione e non solo per l’abitacolo, ma anche per il vano carrelli. Più in generale tale vernice era usata come protettivo per tutte le superfici metalliche interne. Molti modellisti partono dal più comune U.S. Cockpit Green schiarendolo con del bianco ma, dal mio canto, ho preferito utilizzare il mix che riporto nella foto sottostante:

Per le tubazioni e i cavi ho utilizzato il giallo, il blu, il nero e il bruno in base alla natura del fluido che vi scorreva o nel caso di cavi elettrici. (ad esempio, giallo carburante, bruno olio idraulico, ecc.).

Altri dettagli come aste, barra di comando, piastre protettive sul pavimento e gruppo manetta sono stati verniciati con uno smalto color alluminio. Ovviamente la documentazione è fondamentale in ogni passaggio.

Il sedile è ben fatto ed ha il cinghiaggio completo già stampato. Purtroppo, per un mio errore di ricerca, o forse per mancanza di documentazione esaustiva, ho eliminato in un primo momento tutto il dettaglio lasciandolo spoglio. A quanto pare il seggiolino così riprodotto è corretto sia per un Macchi 202, sia per il successivo 205. Oltre agli spallacci e ad un ancoraggio centrale, è presente un’imbottitura sullo schienale atta a proteggere il sistema di azionamento del paracadute, più precisamente la maniglia di estrazione. Voi non fate il mio errore, il seggiolino va già benissimo come si presenta.

Per ripristinare le cinture perse ho utilizzato del semplice nastro kabuki, incollando due facce una sopra l’altra e ritagliando due striscioline di spessore 1 mm. La lunghezza non è importante perché può essere sistemata prima dell’incollaggio. Le fibbie, invece, sono state riprodotte con del filo di rame abbastanza sottile da essere modellabile con delle pinzette a punta. C’è voluto parecchio tempo per realizzarle considerate le dimensioni, partendo da un filo unico si fanno delle curve di 90° gradi creando una specie di “8” che non è mai chiuso.

La catena e le fibbie sono state dipinte con uno smalto Mr. Color Silver mentre il sedile, precedentemente verniciato con Alclad White Alluminium, ha subito un lavaggio ad olio ed è stato, poi, opacizzato. Il cruscotto è completo ed è composto dal pannello frontale con tutti gli strumenti di volo, un pannellino più piccolo posto sotto quello principale per la gestione dell’idraulica, e un pannello inferiore laterale. Quasi tutto è fornito in fotoincisione e trasparenti acetati, alcuni pezzi come il collimatore San Giorgio sono in resina.

Il pannello è stato verniciato in nero opaco ad eccezione della parte di centina sul quale è fissato, e che sarà in verde anticorrosione. I vetrini dei quadranti sono stati simulati con la canonica goccia di cera Future. Tornando al cockpit, prima di eseguire i lavaggi con un bruno Van Dick poco scurito con del nero, ho applicato la tecnica del dry brush sui correntini e sulle centine visibili cercando di mettere in risalto qualche particolare.

Il set della SBS non considera affatto due dettagli importanti: una parte del sistema di controllo degli elevatori, fatto di aste e rinvii e che all’interno attraversa tutta la parte destra rimanendo molto in vista, ed il tubo corrugato che porta ossigeno alla maschera del pilota. L’asta l’ho realizzata con del filo di acciaio rigido dello spessore di 0.5 mm; il corrugato, invece, è un filamento molto sottile di rame arrotolato attorno ad un’anima più spessa, sempre di acciaio.

A proposito del tubo corrugato, ho notato che in realtà era diviso in due parti: una attaccata alla maschera che il pilota portava con sé nell’equipaggiamento, e l’altra solidale al miscelatore in cabina. Quindi ho ritenuto giusto realizzare il tubo abbastanza corto e di appoggiarlo al sedile.

Alla fine, l’abitacolo è stato sigillato con il solito opaco Gunze H-20 diluito al 70 % con la nitro.

Montaggio:

Prima di chiudere le due valve della fusoliera occorre modificare alcuni particolari specifici per l’esemplare che ho scelto. Come anticipato, quando l’Hasegawa propose la scatola dedicata al Folgore utilizzò gli stessi stampi del Macchi C.205 aggiungendo solo alcune parti relative al predecessore. Per questo motivo troveremo sulla fusoliera degli elementi non appartenenti al C.202 e, nel mio caso, anche elementi non presenti sulle primissime serie.

Per migliorare la comprensione, ho assegnato dei colori differenti in base alla modifica:

Rosso: rimozione.

Blu: stuccatura.

Verde: nuova posizione.

Inizio dal lato sinistro, dove sono presenti tre bugne sulla cofanatura. La più avanzata è peculiare dei C.205, per le altre due c’è da aprire una piccola parentesi: dalle foto esistenti del Folgore si può notare che alcuni velivoli ne mostrano soltanto una, la centrale posta in alto, altri invece ne hanno due. Su quei velivoli con fondo sabbia, oppure con la livrea continentale in verde oliva scuro, notare le bugne è abbastanza semplice. Invece nei primissimi esemplari verniciati con lo schema “uovo in camicia”, la loro individuazione è quasi impossibile per via della fitta mimetizzazione.

Quindi ho cercato ulteriori informazioni sia sulle pubblicazioni (Ali D’Italia n°22 – Macchi Mc 202 di Di Terlizzi – ecc.), sia sul nomenclatore illustrato del 1939 della stessa ditta Aermacchi (si trova in rete con qualche ricerca) e, dopo qualche giorno di letture, ho scoperto il motivo tecnico della presenza di entrambe le bugne:

All’inizio della produzione, i motori montati sul Folgore erano stati inviati dalla Germania direttamente dalla Daimler-Benz e fissati alla struttura tramite un castello motore tubolare saldato. Successivamente, il motore fu prodotto su licenza dalla Alfa Romeo con il nome RA 1000 RC 41 e fissato tramite un castello stampato in duralluminio. Quindi, con l’adozione del nuovo sistema si aggiunse la seconda bugna. Per mia fortuna, ho trovato sul nomenclatore illustrato le M.M. dei velivoli che hanno utilizzato il primo tipo di castello (dal 7709 al 7730 – dal 7732 al 7737 – dal 7742 al 7748 – e il 7751) e di conseguenza presentano un’unica bugna sulla cofanatura motore.

Detto ciò, sul mio esemplare va lasciata solo quella centrale. Altri dettagli da eliminare sulla cofanatura sono tre piccole prese d’aria posizionate sui pannelli di accesso alle candele del motore; va lasciata solo la più avanzata. Correndo lungo la fusoliera, all’altezza del abitacolo troviamo alcuni fori. Come indica la freccia verde, quello che rappresenta la presa ricarica ossigeno va spostato più in basso accanto all’alloggiamento del test sistema elettrico (il precedente foro va, ovviamente, stuccato). In realtà questa modifica è necessaria solo sui primi esemplari, successivamente la presa fu spostata più in alto come rappresentata sul kit (ma non chiaro da quale matricola in poi). Altro particolare da eliminare è quello posto più in basso, dietro il raccordo ala fusoliera. Qui è previsto un piccolo “pitot” facente parte del sistema di sfiato dei serbatoi carburante, ma fino alla M.M. 7759 non era presente.

Medesimo discorso per il dipolo del sistema ricetrasmittente posto sulla carenatura dell’anti cappottata. La serie I aveva una semplice antenna a frusta. I pannelli di accesso al vano mitragliatrici erano completamente lisci, quindi vanno stuccati quelli tondi e rimossi gli estrattori d’aria. Anche gli inviti per la presa d’aria cabina sono da asportare poiché essa è stata montata solo dalla versione A.S. in poi. Anteriormente a questi pannelli, sulla cofanatura accessori motori, va stuccato uno degli estrattori d’aria perché superfluo. Posteriormente invece è necessario riempire il pannello di accesso al vano pronto soccorso. Ovviamente questi interventi si sono resi necessari dopo aver studiato e aver trovato conferma dalle foto trovate in rete e dalla documentazione in mio possesso.

Sul lato destro la situazione è più o meno simile.

Sulla cofanatura motore vanno eseguite le stesse operazioni inerenti le bugne e le prese d’aria in basso. Unica differenza è la presenza di un piccolo foro su uno dei pannelli accesso alle candele che va spostato poco più avanti, nella posizione indicata dal punto verde. Anche in questo caso il vecchio elemento va riempito e carteggiato.

Sulla cofanatura accessori motore vanno stuccati il foro centrale e il pannellino in basso. Quanto detto prima vale anche per il lato sinistro dei pannelli vano mitragliatrici, e sul pannello di accesso sotto la carenatura dell’anti cappottata. Su questo lato troviamo anche un portello quadrangolare poco dietro il raccordo ala fusoliera, anch’esso da togliere. Passando alle semi ali che, come per la fusoliera, sono più corrette per un “205” che per un “202”; le modifiche sono speculari per la destra e la sinistra. Al solito ho assegnato dei colori differente in base alla modifica:

Blu: stuccatura.

Giallo: modifica forma.

I tre piccoli pannelli che si trovano a sinistra sono caratteristici del C.205, invece il pannello rettangolare più lungo (accesso munizionamento) e quello più piccolo alla sua destra (riarmo mitragliatrice) sono presenti sui Folgore che montavano l’arma da 7.7 mm.

Anche in questo caso bisogna consultare le fonti a disposizioni per cercare di arrivare al punto:

La predisposizione per accogliere le mitragliatrici Breda-Safat 7.7 mm inizia dalla serie VII. Quindi, in termini temporali, dal maggio 1942.Spesso questa modifica veniva introdotta anche su velivoli di serie precedenti in quanto era possibile il “retrofit”, senza dimenticare che era prassi comune cannibalizzare parti intere di altri aerei, come per esempio le due semiali. Inoltre il fatto che l’ala fosse predisposta non corrisponde alla presenza reale delle mitragliatrici, spesso fatte rimuovere su richiesta dei piloti. Anche sulle serie successive alla VII la predisposizione prevedeva due pannelli sul dorso d’ala per ricarica e riarmo, un foro di espulsione bossoli sul intradosso alare e un piccolo oblo sul bordo di attacco che permetteva lo sparo. Le mitragliatrici erano montate sul campo dagli armieri e l’oblo veniva tappato in caso di assenza.

Ne ho dedotto che gli esemplari delle primissime serie non abbiano avuto la predisposizione. Ovviamente analizzare le foto aiuta moltissimo, anche se la bassa qualità del periodo può non confermare o smentire la tesi.

Quindi in futuro, per chi si accingesse a costruire un qualsiasi Folgore, è sufficiente guardare il bordo di attacco sopra la gamba carrello per individuare oblò e mitragliatrice.

Tornando al modello, ho quindi cancellato tutti i pannelli di accesso per ottenere una semiala pulita. Ho altresì stuccato anche alcune incisioni che non ho riscontrato sui disegni tecnici di Angelo Brioschi allegati in alcune monografie. Per logica, ho anche chiuso la volata dell’arma sul bordo d’attacco.

Immagine inserita a scopo di discussione – fonte forums.ubi.com

Infine, il piccolo pannellino circolare evidenziato in giallo.

Esso rappresenta l’accesso diretto alla testa della gamba carrello, importante per effettuare la carica di aria e rabbocco di olio dell’ammortizzatore durante la manutenzione. Oltre ad avere una forma leggermente diversa, presentava un indicatore visivo di ausilio al pilota. Praticamente consisteva in un dischetto rotante, mezzo rosso e mezzo verde, il quale era collegato al movimento del carrello. Era mosso da un sistema di funi e pulegge, quindi in caso di avaria della strumentazione, il pilota poteva accorgersi se il carrello era eclissato (colore verde) oppure estratto (colore rosso.)

Il pannello è un’eredità del precedente Macchi 200 e ha una forma è particolare, il rettangolino nero in figura è un visivo trasparente.

Immagine inserita a scopo di discussione – fonte drawingsdatabase.com

Per ciò che riguarda la parte inferiore, qui gli interventi sono molto più contenuti. Bisogna eliminare i fori di espulsione dei bossoli e qualche pannellatura che, sempre in base ai disegni, è superflua. È, invece, importante modificare la forma degli ipersostentatori più interni, sotto la fusoliera, che sul kit sono molto più simili a quelli del Saetta. Per agevolarmi il compito mi sono creato una dima in Plasticard per reincidere correttamente le superfici mobili.

Corretti tutti questi particolari, ho voluto verificare direttamente due note negative conosciute dai modellisti riguardo questo kit:

  • Raccordo ala-fusoliera posteriore.
  • Lunghezza fusoliera posteriore.

E purtroppo ho avuto conferma di questi due piccoli difetti di forma, confrontando le stampate con le tavole in scala.

La fusoliera risulta essere più corta di circa 2 mm. Se voleste cimentarvi nell’impresa dovrete tagliarla poco prima degli stabilizzatori orizzontali (all’altezza del piccolo foro di sollevamento) ed aggiungere uno spessore in Plasticard. Un lavoro lungo e tedioso che, personalmente, ho deciso di non affrontare. Invece il raccordo tra ala e fusoliera, visto in pianta, ha un raggio di curvatura troppo stretto. Quest’imperfezione è abbastanza complicata da correggere perché, oltre a rendere la curva più dolce, bisogna ridurre anche lo spessore del raccordo stesso. È un punto molto delicato da sistemare, ma non ho resistito.

Fin da subito mi è stato chiaro che accorciare quel raccordo si sarebbe tradotto nella rimozione di un bel pezzo di plastica tra fusoliera ed ala (in più in un punto di giunzione). In un primo momento ho pensato che un eventuale vuoto l’avrei potuto riempire con l’uso di stucco bicomponente, ma spingerlo dall’esterno verso l’interno, senza qualcosa che fungesse da battuta, avrebbe significato perdere gran parte del riempitivo dentro al modello.

Quindi ho preferito stendere una generosa porzione di Milliput negli ultimi centimetri della fusoliera posteriore, nel punto di intersezione del pianetto inferiore dell’ala (proprio sotto l’aerea del radiatore), per poi pressare con attenzione le due parti a contatto facendo fuoriuscire l’eccesso di filler. Dopo aver provvisoriamente bloccato i pezzi con del nastro carta, ho proceduto ad incollare con calma tutto il resto. Ovviamente ho atteso ventiquattro ore per permettere allo stucco di indurire correttamente e, solo dopo, ho iniziato a correggere le forme con lime e carte abrasive.

Se possibile, è meglio lavorare parallelamente il lato destro e il sinistro per avere una visione d’insieme ed essere quanto più simmetrici. Altra miglioria da attuare riguarda la carenatura del radiatore liquido refrigerante. Già accostando il pezzo sotto la fusoliera salta all’occhio qualcosa che non quadra, e la conferma si ha con i soliti utilissimi disegni. È palese che il pezzo è troppo lungo e deve essere riportato alle giuste proporzioni.

In un primo momento ho semplicemente pensato di tagliare il pezzo lungo l’ultima linea di pannello e ridurne la lunghezza, ma non è la strada giusta da percorrere poiché la parte finale (che si rastrema verso la fusoliera) deve combaciare con le nuove forme del raccordo precedentemente corretto.

A questo punto ho deciso di limare e ridurre direttamente dall’estremità posteriore, cercando di mantenere le linee dei bordi con la giusta curvatura. Prima di incollare il radiatore nella sua sede mi sono preso cura dei pannelli per la dissipazione del calore. Ho subito rifatto e sostituito, con del Plasticard da 0.25 mm, l’aletta che divide il flusso dell’aria nel blocco anteriore. È meglio non incollarla subito per non rendere la successiva verniciatura oltremodo difficoltosa.

Posteriormente, invece, è presente una parte mobile che aumentava la sezione di uscita ed è presente una aletta parzializzatrice che ho riprodotto allo stesso modo, ricorrendo ancora una volta al Plasticard da 0.25 mm. Per essere pignoli vanno riprodotte anche due aste di comando, che la muovono, collocate lateralmente dentro la carenatura stessa.

Il tutto è stato dipinto con un nero vinilico come fondo, poi ho applicato la tecnica del dry brush con l’alluminio sulle griglie.

Il radiatore dell’olio posto sotto la carenatura del motore è completamente spoglio al suo interno; per questo motivo ho ritagliato due pezzi di Plasticard della stessa sagoma e li ho incollati sulla parte del kit. Per riprodurre le maglie ho usato un sacchetto di confetti che avevo messo da parte; la trama non è molto in scala, ad essere sincero, e l’uso delle fotoincisioni avrebbe restituito un realismo diverso, ma tutto sommato, l’elemento è talmente piccolo che si vede solo con la luce diretta.

Prima di chiudere la fusoliera va inserito il vano carrello. Al posto di quello da scatola, come detto all’inizio di questo articolo, ho utilizzato il set in resina della Eduard Brassin che è davvero ben fatto. È progettato in maniera talmente precisa che, anche con un montaggio a secco, resta tutto al proprio posto. Vi è un unico pezzo proveniente dal kit Hasegawa, ovvero la porzione di longherone principale (che attraversa l’ala da un’estremità all’altra) visibile nel vano stesso.

La fotoincisione di forma triangolare (pezzo unico da piegare in vari punti) è di una fragilità estrema e va fissata saldamente sulla piccola centina che divide il vano carrello in due. Essendoci poco spazio di manovra, è necessario fare molta attenzione posizionandola a colpo sicuro con un alone di ciano acrilica, in caso di errore sarebbe davvero ostico sistemarla.

Le parti interne sono in verde anticorrosione, stesso mix del cockpit steso ad aerografo in tutto il vano.

La struttura tubolare è dipinta con il Gunze Mr. Color 159 a smalto, dato a pennello. Ho messo in risalto i dettagli con la tecnica del pennello asciutto e, dopo il trasparente lucido acrilico, ho eseguito i lavaggi ad olio in bruno Van Dick. Per finire, ho opacizzato il tutto con il flat clear Gunze H-20.

Riguardo i colori utilizzati per distinguere le tubazioni, le istruzioni Brassin sono abbastanza precise. Ma in realtà tutte queste informazioni si trovano sui manuali AerMacchi, già citati precedentemente, in cui vi è una tabella che stabilisce la colorazione dedicata a ciascun impianto.

Ad esempio:

·        Colore Marrone per le tubazioni in cui circola Olio motore.

·        Colore verde per le tubazioni in cui circola Liquido refrigerante.

·         Colore blu per le tubazioni in cui vi è passaggio di aria.

·        Colore giallo è dedicato a tutti gli elementi del sistema carburante.

Infine, vi consiglio vivamente di fissare il complesso accessori senza tutti i tubi per incollare al meglio il pozzetto e avere meno pezzi delicati che potrebbero essere di disturbo. Per dare maggiore movimento al modello ho deciso di separare i timoni di profondità per rappresentarli a picchiare, come spesso si vedevano nei velivoli a terra.

I piani di coda del kit hanno stampate le cerniere che andranno perse con la modifica e devono, giocoforza, essere ricostruite. Visionando le foto sui vari testi a disposizione, ho notato che il Folgore aveva delle piastrine a copertura delle cerniere, molto sottili e non rigide.

Sono presenti solo sulla parte superiore e sono più large della cerniera stessa, quindi ipotizzo che nel movimento a cabrare questi pezzi di lamiera si potessero flettere senza ostacolare il movimento della superficie, essendo fissate solo da un lato. Per simularle ho tagliato dei piccoli quadrati di nastro alluminio adesivo.

Come per i piani di coda, ho voluto rappresentare anche il direzionale leggermente sbandato. Diversamente dagli equilibratori, la superficie era incernierata in dei semplici occhielli in cui ruotava. Dalle foto si può notare che erano leggermente rigonfi, come delle piccole bugne, per questo li ho riprodotti con una micro-goccia di Mr. Surfacer 1000.

Passando alle semiali, ho eliminato le luci di navigazione originali in plastica e le ho rifatte con dello sprue trasparente.

Altro piccolo dettaglio sono le coperture degli attacchi a pettine (che fissano le semiali alla struttura del pianetto alare). Vanno tagliati in totale otto rettangoli dal solito nastro d’alluminio adesivo, quattro per semiala. Dopo averli posizionati ne ho ridotto lo spessore carta abrasiva grana 1000 e 1500.

Prima di incollare il parabrezza è necessario posizionare il collimatore San Giorgio fornito nella scatola del set SBS per il cockpit. È formato da un telaio in fotoincisione, lastrina di acetato trasparente (per il vetrino) e dal gruppo proiettore in resina.

Ho fissato l’acetato sul telaio cospargendolo di cera “Future” perché, così facendo, l’ho contemporaneamente incollato e mantenuto lucido. Ho applicato una goccia di trasparente anche sul proiettore per enfatizzare l’effetto vetro della lente.

I montanti interni del windshield sono stati dipinti con del nero opaco steso a pennello.

Dopo le necessarie prove a secco, ho notato che il vetrino è leggermente più stretto dell’alloggiamento in fusoliera. Inizialmente avevo valutato di forzare leggermente il pezzo per aumentarne la larghezza, ma alla fine ho preferito non rischiare e incollarlo direttamente con alcune pennellate di colla Tamiya Extra Thin Cement. Il leggero scalino che si forma l’ho sistemato riducendo lo spessore (con carta abrasiva) dello stirene nel punto indicato dalla freccia.

Attenzione al corretto montaggio della piastra blindata che proteggeva la testa del pilota: inizialmente l’avevo incollata direttamente a contatto con la struttura dell’anti cappottata ma, dopo aver controllato nuovamente la documentazione, mi sono accorto che vi è un spazio evidente tra le parti. Quindi ho rimosso delicatamente la fotoincisione e, grazie ad uno spessore di 0,5 mm incollato sul retro, ho ottenuto il corretto montaggio.

Finalmente, ultimata l’intera sagoma del velivolo, ho predisposto il modello per la tanto attesa fase della verniciatura. Armato di pazienza e carta abrasiva, ho trattato le superfici in progressione con carte abrasive bagnate grane 1200, 1500, 2000, 3000 ed infine lucidato con una spugnetta per unghie al fine di eliminare anche le più piccole imperfezioni.

Verniciatura:

Apro questo capitolo con un preambolo, perché ritengo necessario fare alcune considerazioni:

Vernici e schemi mimetici:

Agli albori della Regia Aeronautica il concetto di mimetizzazione era in fase teorica e sperimentale. Macchie e bande di colori diversi apparvero pian piano sulle superfici dei velivoli e, con il passare degli anni, l’importanza della mimetizzazione si consolidò nell’ottica strategica dell’uso del mezzo aereo in guerra. Quindi, ben presto si fece incalzante la necessità di standardizzare le vernici usate e gli schemi mimetici. Un primo tentativo ufficiale fu denominato serie mimetica (1938-1941), ovvero l’insieme di tonalità e di schemi mimetici da adottare su tutte le tipologie di velivoli del fascio. Fecero la loro comparsa tonalità caratteristiche come il giallo, il verde e il marrone mimetici.

Invece gli schemi erano a bande trasversali, usati soprattutto su bombardieri e siluranti, oppure a reticolo a macchie rade, su base gialla o verde, per lo più per i velivoli da caccia. In realtà, solo gli schemi mimetici furono in linea di massima standardizzati per tutti i produttori. Per le vernici si crearono involontariamente varie tonalità della stessa tinta in quanto ogni azienda costruttrice aveva il proprio fornitore. Il risultato fu quello di avere diverse gradazioni simili ma non uguali.

Infatti, discutendo del solo giallo: La Aermacchi e le IMAM avevano come fornitore la Max Mayer e il giallo usato sui loro velivoli è oggi identificato come Giallo mimetico 4. Invece la Breda, la SIAI e la Caproni avevano come fornitore Arson-Sisi e il giallo è identificato come Giallo mimetico 3. Ovviamente, al tempo, i colorifici indicavano le vernici semplicemente come giallo mimetico (vedi verde o marrone) senza numerazione, la quale è un modo utile e moderno per distinguerli. In generale erano quattro le tonalità di giallo mimetico usate:

  • Giallo mimetico 1 FS 33531.
  • Giallo mimetico 2 FS 33481.
  • Giallo mimetico 3 FS 33434.
  • Giallo mimetico 4 FS 30266.

Successivamente, l’incalzare della guerra rese necessario anche la completa standardizzazione delle vernici.

Questo portò alla cosiddetta Tavola 10 (1941-1943), che determinava, per i velivoli da caccia, l’uso di due sole vernici per le superfici superiori, e una sola per quelle inferiori.

Date le informazioni di cui sopra, tradurre nella maniera corretta la mimetica sul mio modello è stata la mia preoccupazione sin dall’inizio. Ovviamente la fonte più importante è la documentazione fotografica, e fortunatamente ne ho trovata parecchia sui Folgore delle prime produzioni.

Purtroppo, la bassa risoluzione e il bianco e nero delle foto d’epoca mettono in difficoltà alcuni dettagli ma, in ogni caso, lo schema utilizzato sui primi velivoli della serie I, ereditata tra l’altro dal predecessore C.200, è il classico continentale a macchie rade (schema C8 e più comunemente conosciuto come “uovo in camicia”).

Dalle immagini si può notare che le macchie sono di dimensioni diverse, di forma pressappoco simile, e che il bruno all’interno della chiazza in giallo spesso la ricopre quasi completamente. Il contrasto tra il giallo e il bruno è abbastanza evidente quindi, anche se minimo, il bordo si nota. Anche questa volta ho iniziato a verniciare le superfici inferiori, completamente in grigio mimetico.

Ho utilizzato il Gunze H-317, diluito al 70% con il Leveling Thinner Gunze. Successivamente ho mascherato il grigio utilizzando il Patafix per demarcare la linea di stacco.

Il verde mimetico 2 (Gunze H-312) ha una bella resa, molto coprente, ed è stato diluito con le stesse percentuali indicate sopra.

Per le macchie consiglio di alzare la diluizione all’80%, abbassare la pressione a 0,5 bar circa e lavorare con l’aerografo molto vicino alla superficie.

Sul muso, e a ridosso della gobba dell’anti cappottata, le ho interrotte poiché, in quei punti, andranno dipinte le bande rispettivamente giallo cromo e bianco. Riassumendo questi sono le vernici utilizzate:

Per il giallo mimetico 4 ho preferito spegnere la tonalità e scurirla leggermente. Il Gunze H-34 utilizzato è, a mio avviso, più corretto per un giallo mimetico 3 della Breda e della SIAI (ditte subappaltatrici della Macchi per la produzione del Folgore).

In realtà, secondo codifica FS, il giallo mimetico 4 sarebbe da scurire ulteriormente ma non mi convinceva il contrasto che si veniva a creare con il bruno mimetico. A conti fatti ho lasciato la tinta leggermente più accesa.

Per completare la verniciatura bisogna aggiungere le due bande trasversali di riconoscimento, una sul muso e una in fusoliera. Come al solito mi diverto, e trovo utile, integrare con alcune precisazioni storiche:

Distintivi ottici

Le due bande dipinte sopra la mimetica sono particolari distintivi ottici adottati dalla R.A. per esigenze pratiche. Con il sempre maggiore impegno della R.A. nei più disparati teatri operativi, soprattutto a diretto contatto con la Luftwaffe, si rese necessario rendere i propri velivoli immediatamente distinguibili, ed evitare pericolosi fraintendimenti da parte dei tedeschi. In realtà già nel breve conflitto aereo contro i francesi, il 15 giugno 1940, i piloti della R.A. ebbero problemi ad identificare i compagni durante un raid notturno condotto dal nemico.

Si crearono parecchi incidenti e furono fatte delle modifiche non ufficiali sul campo, aggiungendo una fascia bianca a tre quarti di fusoliera posteriore ai primi C.R.42 del 23° Gruppo. Verso la fine del 1940 si iniziò ad applicare su tutti gli aerei la fascia bianca di riconoscimento, di larghezza circa 600 mm per i caccia (1200 mm per plurimotori), e fu ufficializzata a partire dall’anno seguente divenendo standard per tutti gli aerei della Regia Aeronautica, fino all’armistizio del 1943.

In Nord Africa, alle insegne standard, furono aggiunte le estremità delle ali dipinte di bianco e i tedeschi le applicarono anche sui loro velivoli. La banda giallo cromo sul muso, apparve durante gli scontri aerei della battaglia di Inghilterra. Per uniformare i velivoli del CAI (Corpo Aeronautico Italiano) alle direttive della Luftwaffe, si dipinsero così le cappottature motore. Nel teatro operativo russo invece, oltre al muso, anche la fascia in fusoliera fu dipinta di giallo. La banda sul muso fu usata fino al novembre 1941, poi fu eliminata.

Secondo le direttiva, lo standard di larghezza per la fascia bianca era di 600 mm. In scala 1/48 corrispondono a 12,5 mm. Per il bianco ho usato direttamente il Surfacer 1500 White, che ha un tono già soddisfacente e ha svolto anche funzione di base per il successivo giallo.

Per la banda del muso non ho trovato nessuna misura di riferimento, spesso coincideva con la cappottatura dei motori radiali. Sui musi lunghi era una porzione contigua all’ogiva, quindi bisogna trovare il riferimento attraverso le foto a disposizione. Per il giallo cromo ho usato il Gunze H-4 tagliato al 50% col Gunze H-34. Puro, a mio parere, è troppo acceso. Stesso fondo e stessa vernice usata, ovviamente, anche per l’ogiva del gruppo elica. Per la porzione anteriore delle pale ho mixato il Tamiya XF-23 e l’XF-19 (proporzione 1:1), mentre il retro in nero perché aveva funzione di anti riflesso per il pilota.

Al fine di dare un po’ di movimento alle parti telate delle superfici di comando, ho utilizzato una tecnica già utilizzata con successo da un altro nostro amico modellista, Andrea “Nannolo” – CLICK QUI!

In pratica ho ricreato le ombre tra le centine, dovute alla tela che si rilassa, spruzzando all’interno i colori di base leggermente scuriti del 30% (7 base – 3 nero), diluiti all’80%.

Ultimo dettaglio da verniciare, per chiudere definitivamente il capitolo, riguarda la cofanatura del radiatore ventrale. Ho notato grazie alle foto che, sui primissimi esemplari, la parte centrale era lasciata in alluminio (in realtà la porzione centrale è il radiatore vero e proprio fissato direttamente sul ventre. La carena era un convogliatore d’aria anteriore e posteriore). Ho trovato ulteriore riscontro in alcune immagini in cui sono ritratti proprio i velivoli della 97^ Squadriglia sull’aeroporto di Ciampino, durante il trasferimento verso Comiso.

Quindi, ancora una volta, mi sono affidato agli Alclad scegliendo il White Aluminium.

Wheatering:

In tutte le immagini che ho potuto visionare, l’esemplare che ho scelto non presentava particolari segni di usura dovuta all’attività operativa avendo poche ore di volo all’attivo. Per cui ho deciso di non esagerare con l’invecchiamento e di attenermi, ovviamente, alla documentazione. Per iniziare ho steso tre mani abbondanti di trasparente lucido Tamiya X-22 diluito all’80% col Mr. Leveling Thinner della Gunze.

Lasciato asciugare il clear un giorno intero, ho preparato due tinte principali per i lavaggi ad olio: un grigio medio per le superfici inferiori (utilizzato anche per la fascia bianca in fusoliera) e il bruno Van Dyck scurito con del nero per le superfici superiori.

Sulla banda in giallo e sull’ogiva, invece, ho usato il Van Dyck puro.  

Sugli scarichi ho riprodotto una semplice cottura della parte più interna dei collettori, senza la presenza di ruggine tipica dei metalli soggetti al calore dei gas.

La verniciatura di base l’ho realizzata con l’Alclad Dark Alluminium sui cui ho spruzzato a bassa pressione un mix 50/50 di nero e marrone acrilico, diluito al 90 %. Sulle estremità dei collettori, in corrispondenza dei fori d’uscita, ho aggiunto una miscela ancora più scura per simulare i residui carboniosi. Con un nero vinilico a pennello ho dipinto l’interno, mentre con un vinilico grigio ho lumeggiato gli spigoli vivi.

Decalcomanie:

Come già indicato ad inizio articolo, ho utilizzato il bellissimo foglio della Stormo! Decals, stampato dalla Cartograf. Colori molto belli e in registro, disegni molto accurati. il supporto è resistente ma morbido, anche se a conti fatti risulta abbastanza spesso e opaco per cui le insegne necessitano di un fondo perfettamente lucido per scongiurare il silvering.

Le istruzioni sono abbastanza precise sulla posizione, ma come sempre, un riscontro fotografico è molto meglio per decidere dove collocarle. A parte i fasci littori sull’ala che sono decisamente grandi, non ho avuto problemi con le altre. Anche la croce sabauda sulla deriva e sul timone si posiziona agevolmente con l’ausilio dei liquidi ammorbidenti.

Per completezza di cronaca, il colore della scritta “AerMacchi C.202” su questo soggetto non è corretta perché il colore blu chiaro utilizzato era standard per i velivoli A.S. (Africa Settentrionale) che avevano un fondo nocciola. Sui velivoli Macchi con livrea continentale come il mio soggetto, la scritta della ditta costruttrice era in blu più scuro.

Sempre per completezza di trattazione, riporto qualche informazione che può tornare utile a noi modellisti:

Introduzione del fascio littorio sugli aeromobiliFOGLIO D’ORDINI N.6 25 Febbraio 1927 – Anno V.

Viene introdotto a partire dal 1° Marzo 1927 su tutti gli aeromobili in uso o in carico agli Enti dipendenti. Il fascio di verghe sarà dipinto in giallo oro e la scure in grigio argento con sfumature; il tutto racchiuso in un circolo a fondo grigio piombo scuro avente il diametro di cm. 50 per le specialità: bombardamento notturno, bombardamento diurno, bombardamento idro e dirigibili; cm. 35 per le altre specialità. Sarà dipinto per la specialità bombardamento notturno, sulla parte anteriore e da ambo i lati della carlinga; per le specialità: bombardamento diurno, ricognizione terrestre e caccia terrestre da ambo i lati della fusoliera a circa un metro dal bordo d’uscita dell’ala.

Possiamo dedurre facilmente che nella scala 1/48, per un caccia terrestre, il Fascio littorio avrà un diametro di circa 7 mm. Inoltre, se volete essere pignoli, posizionatelo a circa 20 mm dal bordo di uscita dell’ala (Nel caso la foto non aiutasse) e ricordate che la lama dell’ascia va rivolta sempre verso il muso. Per le insegne alari, invece, le lame sono rivolte sempre verso l’estremità. Invece per i fasci alari, furono tre le tipologie adottate durante gli anni:

  • Fasci neri, cerchio nero su fondo bianco.
  • Fasci bianchi, cerchio bianco su fondo nero.
  • Fasci e cerchio nero e fondo trasparente.

Alcune erano decalcomanie, altri delle maschere da verniciare. Dalla metà del 1941 si cominciarono ad utilizzare le decalcomanie a fondo trasparente. Prima invece i vari stili erano utilizzati in modo diverso in base alle ditte costruttrici. Le dimensioni previste erano: per i bombardieri erano di 180 cm; per i ricognitori erano di 120 cm; Per i caccia erano di 96 cm.

Quindi facendo un rapido calcolo, in scala 1/48 sono rispettivamente: 3,75 cm; 2,5 cm; 2 cm.

Data la grande dimensione e il fondo omogeneo e liscio, il posizionamento dei fasci sulle ali mi ha dato un po’ di filo da torcere. Il film aggrappa immediatamente e riposizionarlo diventa alquanto problematico; se dovesse capitare anche a voi lo stesso inconveniente, bagnate la zona con abbondante acqua e cercate di spostarli con un bastoncino cotonato. L’insegna va posizionata al di sopra dell’alettone, con la circonferenza del cerchio che lambisce la linea che delimita la superficie di governo.

Alla fine della posa ho protetto le decalcomanie con un ulteriore mano abbondante di trasparente nel tentativo di il loro spessore che non è trascurabile in scala, purtroppo. A seguire ho applicato dei lavaggi mirati per mettere di nuovo in risalto le pannellature che passano al di sotto dei fregi.

Ultimi dettagli

Ormai sono rimasti pochi pezzi per completare il modello, ma quelli più piccoli vanno rifiniti tutti comunque. È necessario assottigliare tutti i portelli del vano carrello per raggiungere un buon effetto scala; si possono, inoltre, aggiungere altri particolari come l’effetto peso degli pneumatici o le staffe di fissaggio del portello alla gamba carrello principale.

Su quest’ultima ho anche aggiunto i tubi che alimentano aria compressa all’impianto frenante (purtroppo ben poco visibili in quanto collocati posteriormente). Per le zone in alluminio ho utilizzato l’Alclad white Aluminium, per gli interni il verde anticorrosione Macchi, e per l’esterno in grigio mimetico H-317 come per le superfici inferiori. Ho completato tutto con dei lavaggi mirati in Bruno Van Dyck scurito ad olio.

Per rendere più omogeneo l’invecchiamento ho preferito desaturare le decal stendendovi sopra delle velature leggerissime di verde mimetico diluito al 95%. La stessa procedura l’ho ripetuta per spegnere (di poco) l’azzurro delle scritte e del fascio littorio in fusoliera. Soddisfatto del risultato, ho caricato l’aerografo con l’opaco Gunze H-20 (diluito all’80% con la nitro) dando circa tre mani.

Il lavoro si è concluso fissando le pale dell’elica e l’ogiva, tutto il sistema del carrello, il canopy e il sottilissimo il cavo dell’antenna realizzato con il filo elastico della Uschi Van Der Rosten.

A presto e buon modellismo a tutti.

Luca “Madd22” Miceli

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2 Comments

  1. Bellissimo modello e articolo, complimenti!
    Hai davvero reso onore a un gran caccia italiano e ai suoi piloti.

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