martedì, Luglio 1, 2025
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M.R.M.D. MK 2: genesi di un’autocostruzione in scala 1/72.

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I veicoli armati del domani prossimo, fantascienza o futuro anticipato a voi la scelta, mi hanno sempre sottilmente affascinato. Se a questo di aggiunge la volontà di creare una macchina propria e personale e a sfida “ma sei capace?” il risultato è inevitabilmente una eruzione di energia che mi ha portato a concepire “Big egg”.

M.R.M.D. MK 2 non è la macchina di domani ma potenzialmente quella di dopodomani. Per le dimensioni e le proporzioni ho cercato di attenermi alla riduzione in scala di un veicolo esistente e nella mia testa il “drone” è nato in dimensioni reali per essere poi ridotto ed inserito in un contesto operativo.

Contestualizzazione del modello:

Sala controllo distaccata della ConGlobal Security, da qualche parte in Europa nella massima riservatezza dei sotterranei e dei muri in cemento armato a prova di megatoni.

Fuori è primavera ed il sole è tiepido; nella caverna tecnologica della sala controllo la luce è tenue, il clima controllato ed il tempo è quello della ConGlobal Security.

I sistemi ricevono i dati, gli operatori controllano  a distanza i fronti, crepe sanguinanti nel mondo, dove la più grande compagnia mondiale privata di sicurezza e contractor opera. Una postazione è dedicata alla linea del continente nord americano.

La linea nel non tanto lontano 2013 segnava il confine tra gli Stati Uniti ed Il Canada, un confine tra nazioni prospere. Ma i cambiamenti degli assetti politici ed economici mondiali avevano intaccato lentamente ed occultamente anche questa parte del pianeta.

Gli “States” credevano di essere ancora una grande potenza quando in realtà non lo erano più. Il protrarsi e l’estendersi dei conflitti in medio oriente ed in nord africa, la competitività delle potenze economiche e  finanziarie asiatiche ed infine una sempre maggiore insofferenza degli “alleati ” europei avevano portato una costante stagnazione ed il debito pubblico era salito alle stelle, completamente fuori controllo.

La ennesima caduta degli indici di borsa a New York , il mercoledì nero dell’ottobre 2013, aveva scatenato il panico tra la popolazione e tra i politici; molti pensarono che era arrivato il loro momento per diventare grandi. Singoli Stati decisero unilateralmente di abbandonare l’Unione, milizie di fanatici si resero disponibili al soldo di chiunque, bande criminali urbane tentarono di impossessarsi di interi quartieri delle grandi metropoli.

Le forze armate degli Stati Uniti lasciarono il mondo, tutti richiamati in patria per riportare l’ordine. Ma con un tasso di diserzione medio del 35% ed il sistema produttivo quasi annullato Washington innescò la più grande guerra civile che la storia contemporanea ricordi.

Nel 2014, nella confusione più assoluta, le schegge impazzite della seconda guerra civile americana raggiunsero e coinvolsero l’intero Canada; la situazione era critica, molte fazioni possedevano armi nucleari ed avevano leader deliranti disposti ad impiegarle per contrastare chiunque. Il resto del mondo decise di intervenire.

L’Unione Europea ed il Consiglio delle Nazioni dell’America del sud intrapresero una azione militare sul suolo del continente nord Americano per riportare la pace e disarmare integralmente i gruppi di belligeranti. L’operazione terminò nel 2016 costellata da duri scontri e violente battaglie campali. Per tentare di fermare l’armata internazionale le fazioni lasciarono da parte le armi atomiche. Si dedicarono a svuotare gli arsenali di armi chimiche e batteriologiche e le impiegarono sul campo senza misericordia seminando morte tra la stessa popolazione che ritenevano di difendere dagli “invasori” europei e sud americani.

Nel 2017 malattie sconosciute e mutazioni affligevano tutte le forme viventi del continente americano settentrionale. Ma il conflitto era terminato; rimanevano gruppi di guerriglieri e bande isolate ma gli Stati Uniti ed il Canada erano ritornati ad esistere, anche se solo formalmente. Gli U.S.A. erano controllati militarmente e politicamente da una forza internazionale composta da Brasile, Messico, Argentina, Cile e Perù mentre il territorio del Canada era tutelato negli stessi termini dall’Unione Europea.

Il confine tra i due resuscitati malconci stati era diventato la “linea”. E per evitare contatti tra bande ed altre polarizzazioni che avrebbero potuto riaccendere il fuoco della guerra la “linea” doveva essere accuratamente presidiata; ma la attenta sorveglianza di questo confine richiedeva personale ed ingoiava risorse finanziarie a dismisura.

Così il “lavoro della linea” venne esternalizzato ed appaltato nel 2018 alla ConGlobal Security. Servizio che ai giorni nostri, primavera del 2041, la compagnia detiene ancora e lo gestirà, grazie ad un rinnovo del contratto, per altri dieci anni; uno dei migliori affari che questa azienda abbia mai fatto.

L’operatore addetto alla linea osserva con cura la ripresa satellitare; la vegetazione è tornata normale, le malattie genetiche e la contaminazione biochimica ora sono assenti,scomparse. I parametri positivi sono confermati anche dai dati raccolti e trasmessi dai “Big egg” i veri protagonisti di questa redditizia impresa. Sono loro, i droni, che al posto delle persone pattugliano e di fatto gestiscono l’infinita lunghezza della linea ed i territori circostanti permettendo costi relativamente ridotti ed elevata redditività.

Big egg è un nome confidenziale dato dagli operatori a questi loro particolari “colleghi”. Tecnicamente si tratta di M.R.M.D. MK 2 Multi Role Medium Drone versione 2.

Progettati dalla Super Mechanics S.p.A. in europa basandosi sulla componentistica prodotta dalla May Lay Inc. giapponese sono costruiti in India e commercializzati dalla Zhao Min Multicompany cinese. Dispongono di un sistema operativo con software per intelligenza artificiale ad autoapprendimento.

Una volta installati i parametri di missione sono in grado di gestire autonomamente situazioni operative individuali e di squadra senza intervento umano. Sono dotati di link satellitare per la ricetrasmissione dei dati verso postazioni estremamente remote e per l’eventuale intervento di comando a distanza diretto da parte di un operatore; il sistema di comunicazione è poi completato da radio HF/VHF/UHF e da un ricevitore GPS integrato da una piattaforma inerziale per il controllo di posizione ed assetto.

Il sistema di locomozione a quattro gambe e zampe di appoggio antropomorfe permette elevate velocità in qualsiasi genere di terreno, prestazioni esaltate da terreni impervi e con rilievi.

L’addetto in sala controllo, dopo il controllo satellitare di massima della intera lunghezza della linea, inizia ad osservare le immagini inviate dalle torrette sensori dei droni. si tratta di una supervisione perchè in caso di variazione di eventi sono i droni stessi ad inviare immediatamente un rapporto relativo all’accaduto ed alle azioni intraprese.

Uno dei tanti droni prosegue nel suo incessante pattugliamento e passa accanto ai cartelli, ora pesantemente segnati dal tempo, che qualche decennio prima indicavano la presenza di contaminazione chimica e batteriologica in quell’area. Dalla solo controllo si verifica lo stato degli avvenimenti di ogni singolo “Big egg”.

Quello selezionato in questo istante ha effettuato l’intervento più recente da poche ore; i sensori ad infrarosso attivo e passivo hanno individuato un gruppo di individui che nell’oscurità tentava di attraversare la linea. Ormai i gruppi di guerriglieri si sono trasformati in bande di contrabbandieri e criminali comuni;l’unità microfonica, nonostante la distanza, ha digitalizzato le loro voci ed il sistema di sintesi vocale ha intimato loro di allontanarsi nella loro stessa lingua mentre il faro li ha illuminati a giorno.

Si sono dispersi immediatamente, ma non sempre tutto procede così bene; in molti altri casi i droni sono diventati il bersaglio di armi da fuoco e razzi anticarro che poco possono fare contro la struttura in composito carboceramico dei M.R.M.D. MK 2.

Ma situazioni di questo genere richiedono una inevitabile risposta armata che i “Big egg” affidano al cannone a tiro rapido da 60 mm, connesso ad una riserva proiettili di svariate caratteristiche, oppure ai lanciarazzi multipli da 20 mm; se opportuno il sistema di intelligenza artificiale provvede all’occultamento tramite i lanciatori di fumogeni.

La supervisione della sala controllo consente di verificare che il drone in esame ha una riserva del 100% di razzi e fumogeni ed una scorta del 93% di proiettili per il cannone; il livello delle celle a combustibile che forniscono energia e locomozione al “Big egg” è pari al 60% e questo significa che se la riserva di munizioni non sarà completamente intaccata prima e non ci saranno guasti, rarissimi, questo M.R.M.D. MK 2 rimarrà in servizio lungo la linea per altri 12 mesi prima di rientrare al deposito per le operazioni di pulizia e manutenzione.

L’operatore si alza dalla postazione e si dirige al distributore di bevande calde; una breve pausa e poi la selezione di un altro “Big egg”.

Giorni dei droni; perenne incessante pattugliamento.

Tempo della ConGlobal Security.

Costruzione:

Per la costruzione ho impiegato, ed adattato, materiale di recupero. Il “corpo” è stato ricavato dal contenitore della sorpresa di un ovetto di cioccolato mentre la base è una parte di un raccordo per impiantistica elettrica.

Per la costruzione della gambe e delle zampe ho impiegato del tubetto di ottone, dei manicotti isolanti staccati da dei capicorda ed infine del legno. I soffietti che ricoprono gli arti sono in stoffa.

 

Un vecchio bottone che vagava disperso è diventato, con l’aggiunta di qualche strass, la torretta sensori. Gli strass sono diventati “ottiche” dopo essere stati cartavetrati per rendere la loro superficie sfaccettata sferica; ovviamente sono diventati opachi e quindi sono stati sottoposti ad una prima lucidatura con la carta vetrata da carrozziere bagnata e poi si è provveduto alla lucidatura finale con il polish.

Lo stesso percorso è stato seguito per costruire il faro; è diverso il bottone di partenza perchè è sferico invece che piatto. Un ultimo bottone è diventato l’antenna del GPS.

Il cannone è stato costruito con del tubetto in rame di due misure; con del plasticard sagomato ho preparato le ginocchiere e con lo stesso materiale è stata prodotta la staffa dell’antenna a stilo.

A sua volta l’antenna è stata costruita impiegando del filo di rame diametro 0,12 mm.

Per avere la certezza dell’omogeneità dell’insieme sono state effettuate numerose prove a secco delle varie parti. Dalla banca pezzi sono stati prelevati le coppie di lanciarazzi e lanciafumogeni; stessa provenienza per le fotoincisioni.

Di seguito alcune foto delle fasi del montaggio dei vari pezzi.

 

 

Colorazione e invecchiamento:

La prima operazione è stata la stesura del primer grigio Tamiya in modo da rendere omogenee tutte le superfici. Poi si è passati alla colorazione di tutto il modello con verde oliva Lifecolor; sono state dipinte le bande rosse di riconoscimento sulle gambe e con la tecnica del sale ho ricreato le scrostature.

Ho ricreato sul corpo le scrostature dipingendo con un pennello il giallo anticorrosione, della Lifecolor, che rappresenta il colore di fondo del drone; ho poi passato una mano di trasparente lucido seguito da un filtro ad olio a punti su tutta la superficie per renderla invecchiata e vissuta.

Le parti in rilievo sono state sottoposte ad un leggero dry brush con due toni di marrone e con le polveri dei gessetti per belle arti ho creato le colature di sporco e di ruggine operando anche in questo caso un lieve dry brush. Infine con il trasparente opaco è stato sigillato tutto il modello.

Potete vedere alcune immagini della colorazione e dell’invecchiamento.

L’ambientazione:

Il genere di ambientazione deriva dal contesto operativo del drone; per ricreare il terreno è stato utilizzato il Das opportunamente modellato.

Una volta essiccato è stato dipinto con del marrone scuro al quale sono stati sovrapposti dei passaggi con del marrone più chiaro e del nero stesi a pennello con un dry brush meno secco del solito. L’albero è stato preparato partendo da un ramoscello secco sul quale è stato incollato del Floquil di tre diverse dimensioni e colori.

Per smorzare poi la fluorescenza del Floquilè stato eseguito un dry brush con tre toni di verde diversi (chiaro, medio, scuro). L’erba ed i cespugli sono stati riprodotti utilizzando materiale scenografico per modellismo ferroviario; per smorzare i toni troppo accesi si è seguita la stessa procedura di dry brushing impiegata per  la chioma della pianta.

Infine sono stati aggiunti i cartelli sviluppati da una immagine reperita in rete, opportunamente ridotta, e resi rugginosi con le polveri dei pastelli per belle arti.

Per questo particolare dry brush penso che non esista una regola fissa ma è opportuno scegliere marroni e verdi secondo i propri gusti personali e l’ambiente che si desidera

Conclusioni:

Mi sono divertito nel creare questa realizzazione che è la dimostrazione di come è possibile fare del modellismo partendo da materiali semplici e di recupero.

Ed ecco a voi lo M.R.M.D. MK 2 in azione.

 

 

Venimous Viper – F-16 A dal kit Hasegawa in scala 1/48.

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Credo di poter affermare che, per tutti noi appassionati di volo e di aeronautica, il film Top Gun sia una pietra miliare delle nostre vite! Da quando ero bambino ho perso oramai il conto, non so neanche più quante volte io abbia visto quella pellicola. Gli anni sono passati ma il mio interesse per gli aerei “Aggressor” non è scemato anzi, si è rafforzato tramutandosi poi in un mio “pallino” a livello modellistico.

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Eccomi, quindi, per presentarvi la mia ultima fatica: una “Vipera” molto velenosa… un F-16 A del NSAWC.

 

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Qualche informazione in più sul soggetto:

Il Naval Strike and Air Warfare Center (NSAWC) ha sede sulla Naval Air Station di Fallon, nel Nevada. Esso è chiamato più comunemente “N-Sock” ed è il centro d’eccellenza per l’addestramento e lo sviluppo di nuove tattiche e tecnologie dell’U.S. Navy e dei Marines; Il NSAWC, come lo conosciamo oggi, è risultato dall’unione di tre reparti in uno: Il Naval Strike Warfare Center (già basato a Fallon dal 1984), la Carrier Airborne Early Warning School, e la famosa Navy Fighter Weapons School (la Top Gun) trasferitesi entrambe dalla celebre Naval Air Station di Miramar, in Florida, nel 1993. A oggi, gran parte dell’iter addestrativo riguardante il combattimento simulato e le tattiche di volo è svolto dalla Top Gun (attualmente inquadrata in un vero e proprio Squadron) che dispone di una vasta linea di volo comprendente svariati velivoli; tra questi, la scuola utilizza assiduamente nel ruolo di velivoli “Bandits” (avversari) quattordici F-16 A Block 15 destinati, inizialmente al Pakistan. La storia di questi Viper (come sono chiamati gli F-16 dai loro equipaggi – nomignolo che ha soppiantato del tutto il suffisso di fabbrica “Fighting Falcon”) è stata abbastanza controversa e travagliata, e ha avuto inizio nel dicembre del 1981 quando il Pakistan firmò un contratto con l’amministrazione statunitense per la fornitura di ben centoundici velivoli. A causa della decisione del governo pakistano di munirsi di ordigni nucleari nella corsa al riarmo contro l’India, gli USA posero un embargo allo stato asiatico bloccando immediatamente l’esportazione dei restanti settantuno velivoli ordinati e non consegnati. Di questi, ventotto erano pronti al momento della crisi con gli States ed essi furono destinati direttamente all’AMARC (Aerospace Maintenance And Regeneration Center) – il deposito a cielo aperto di Tucson, Arizona.

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Alla fine del 1998, dopo la rescissione dell’embargo contro il Pakistan per aver contribuito alla lotta contro il terrorismo internazionale, gli States restituirono parte dell’importo versato e saldarono il debito fornendo alla repubblica islamica ventiquattro nuovi F-16 Block 50/52. Dopo un periodo d’indecisione, nel 2002 l’amministrazione Bush acconsentì ad un programma di recupero che riportasse in condizioni di volo i vecchi F-16 A pakistani. Dei ventotto “conservati” presso l’AMARC, quattordici vennero destinati all’USAF mentre i restanti furono aggiornati allo standard Block 15 AM – OCU e immessi presso la Top Gun School di Fallon. Il soggetto da me scelto è l’esemplare numero 90-0947, codice individuale “56” – uno dei Viper NSAWC con la bellissima livrea a tre toni di grigio.

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Il kit:

Per riprodurre un F-16 A nella scala del quarto di pollice, le opzioni non sono molte. Tralasciando il vecchissimo Monogram (poi re inscatolato dalla Revell), la scelta può ricadere sui nuovi Kinetic (partendo dal kit 48011 ad esempio). A mio avviso, la soluzione migliore è scegliere lo stampo Hasegawa – con qualche anno sulle spalle e, certamente, meno aggiornato… ma che fa ancora bene il suo dovere. La scatola da me scelta è la numero V-1, una delle prime inserite in catalogo e datata 1987.

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Il contenuto si suddivide in tre stampate di Styrene color grigio chiaro con il classico dettaglio di superficie finemente inciso cui l’Hasegawa ci ha abituato da molti anni; in totale ci sono circa 109 pezzi. Chi mi legge da tempo conosce la mia propensione a utilizzare set in resina e aftermarket per migliorare i miei modelli e, anche questa volta, non ho disatteso la tradizione!

A corredo mi sono dotato dei seguenti articoli:

• Black Box – F-16 A Cockpit set.

• Aires – Wheel Bay (codice 4194) e Exhaust Nozzle (codice 4133).

• Cutting Edge – F-16 NSI Seamless Intake.

• Eduard – Exterior & Interior Details Photoetched Set (codici 48530 e 49276) e Express Mask (codice EX002).

• Eduard Brassin – Late Style Wheels Set (codice 648011)

• Master – Pitot e sensori AOA (Angle of Attack) in ottone tornito (codice 48008).

Dopo questa doverosa presentazione è tutto pronto per entrare nel vivo di quest’articolo passando a esporre tutte le fasi che mi hanno portato a mettere in vetrina questo bellissimo F-16.

Il Cockpit:

Come consuetudine i lavori hanno avuto inizio da una zona che, personalmente, reputo fondamentale: il cockpit. Quello fornito da scatola è, ovviamente, non all’altezza per un modello nella scala del quarto di pollice. Per la sua sostituzione ho optato per l’unica scelta disponibile, in altre parole l’aftermarket in resina della Black Box (oggi conosciuta come Avionix) che è l’unica (assieme alla CMK ma la qualità del suo accessorio è sotto le aspettative) a commercializzare un abitacolo corretto per la versione A del Viper. Purtroppo il set della Black Box non è per nulla facile da reperire, essendo in catalogo già da molti anni; la via più veloce per acquistarne uno è sicuramente E-Bay, ma potreste essere fortunati e trovarne delle copie ancora disponibili presso i negozi on line degli States. Le prime operazioni per adattare la resina al kit hanno determinato la totale asportazione della palpebra del cruscotto e di parte del pianale posto alle spalle del pilota, dove sono presenti anche i meccanismi cinetici per la chiusura del canopy. Per eliminare le parti originali in plastica mi sono avvalso della Trumpeter Razor Saw, una piccola seghetta da modellismo con tre lame intercambiabili di varia misura; lo strumento mi è tornato molto utile permettendomi dei tagli precisi senza il pericolo di rovinare le zone limitrofe.

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I pezzi in resina non sono molto precisi, in particolare, la palpebra che è leggermente più corta di un millimetro rispetto alla sua sede; per ovviare all’inconveniente ho aggiunto un paio di listelli di Plasticard da 0,5 millimetri nella parte terminale del glare shield allungandolo, di fatto, per fargli assumere le corrette dimensioni (foto qui in basso).

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Anche la vasca soffre di un sottodimensionamento abbastanza accentuato, ma a questo si può rimediare giocando un pochino con gli spessori delle paretine laterali da aggiungere ai lati dell’abitacolo. In pratica, basterà non assottigliarle troppo, in particolare alla base, e dare a entrambe un ingombro più pronunciato che possa colmare il vuoto lasciato dalla vasca stessa. Ovviamente, il ricorso a molte prove a secco vi sarà di grande aiuto per collocare tutti i pezzi nel modo più consono.

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Continuando ad analizzare gli interventi da eseguire sulla vasca, si è reso necessario anche l’assottigliamento e la riduzione di spessore di quest’area evidenziata nella foto:

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L’azione è atta a far assumere al seggiolino la tipica inclinazione di 30° rispetto all’asse orizzontale, posizione molto vistosa che caratterizza tutti gli ACES II montati sui vari Block del Viper. Ora qualche nota sul sedile: come ho già accennato qualche riga sopra, l’F-16 da me riprodotto è un Block 15, ma sottoposto all’aggiornamento OCU (Operational Capability Upgrade). Dalle foto presenti su Airliners.net (vero e proprio punto di riferimento per tutti i modellisti), si può notare come l’upgrade della cellula abbia riguardato anche il seggiolino, sostituito con una versione più recente montata su alcune serie di F-16 C/D. Quindi, per rispettare al massimo il realismo, ho preferito scartare l’ACES fornito dalla Black Box (riferito alle prime versioni e riconoscibile dall’imbottitura del cuscino con cuciture verticali) sostituendolo con una copia più moderna della Quickboost (codice prodotto 48002). Il nuovo seggiolino va comunque adattato aggiungendogli sul retro una piastra di rinforzo che, nella realtà, dà maggiore solidità alle rotaie di lancio e una sezione di rod circolare da un millimetro a riprodurre il cannone per l’eiezione. Ecco degli scatti:

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Anche la consolle centrale, che la ditta statunitense fornisce separata dal resto del cruscotto, mi ha creato qualche noia. Essa, infatti, non ha dei perni di riscontro da sfruttare, e il corretto allineamento è demandato alla pazienza che ogni modellista deve avere a sua disposizione. Personalmente ho eseguito tantissime prove a secco aggiustando di volta in volta la posizione in modo che il “pedestal” non pregiudicasse il corretto inserimento del seggiolino. A questo punto ho, finalmente, steso una mano di Light Ghost Grey F.S.36375 (Gunze H-308) su tutto l’abitacolo rifinendolo poi con il colore delle consolle laterali (Nato Black Tamiya XF-69) e aggiungendo qualche tocco di colore in rosso, giallo e grigio medio sui vari pulsanti e selettori.

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L’ACES ha la struttura e le cinture in Light Ghost Grey F.S. 37375, l’imbottitura per il busto in Dark Green Gunze H-64 mentre quella per la seduta è anch’essa in NATO Black Tamiya. Quest’ultimo colore è stato usato che per i cuscini rigidi del poggiatesta e per tutta la zona del porta paracadute dietro ad esso. Alcune targhette e cinghie prelevate dal set per gli interni dell’Eduard hanno alzato ulteriormente il livello di dettaglio.

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Per evidenziare meglio i dettagli e dare maggiore volume al “Pilot’s Office” sono ricorso prima a un lavaggio a olio in grigio scuro su tutte le superfici, poi alla tecnica del Dry Brush (eseguita con il grigio F.S. 36320).

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Presa d’aria, vani carrello e altri dettagli:

Le prese d’aria, nella maggior parte dei casi, rappresentano un vero e proprio incubo per tutti i modellisti che si dedicano ai jet moderni…. E il Viper non si sottrae da questa regola, anzi! Inizio subito col dire che l’intake dell’Hasegawa (ma, purtroppo, è un fattore comune a tutti i kit) ha una scomposizione abbastanza cervellotica e molto complessa per ciò che riguarda la stuccatura delle giunzioni. In pratica, una volta chiusa la strutta a “guscio”, arrivare in tutti i punti interessati al montaggio per lisciare le fessure è veramente difficoltoso. Per fortuna mi è venuta in soccorso, ancora una volta, la resina. Ho deciso di sostituire il tutto con l’aftermarket della defunta Cutting Edge che produceva una bellissima presa d’aria “seamless” (ovvero, senza giunzioni e tutta in un sol pezzo) con un condotto molto lungo e realistico. Reperire quest’accessorio non è stato semplice, poiché la produzione della Cutting è terminata già da qualche anno, ma girovagando sul provvidenziale E-Bay sono riuscito a trovare qualche appassionato con dei pezzi ancora disponibili. Prestate attenzione ad acquistarne la versione giusta: quella montata sul Viper oggetto di quest’articolo è la Normal Shock Intake (comunemente detta presa d’aria “bocca piccola”), quella con apertura di dimensioni ridotte.

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Un altro vantaggio, non da poco, è che la presa d’aria è stampata già in color bianco – accortezza che mi ha risparmiato un noioso lavoro di verniciatura nelle parti interne già molto strette. Nella foto qui in basso potete notare una piccola porzione di plastica evidenziata dal pennarello blu. Quella zona dovrà essere limata e abbassata di qualche decimo di millimetro per permettere al pezzo in resina di scivolare meglio nel suo alloggiamento e rimanere più in squadro possibile.

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Per evitare interferenze con l’unione delle due semi-fusoliere, ho limato e assottigliato almeno un millimetro di materiale dalla parte superiore del condotto. Con un’immagine si può intuire meglio (la zona interessata è quella in rosso):

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Da alcune prove d’inserimento fatte, mi sono accorto del sottodimensionamento delle due alette che convogliano lo strato limite all’interno della fusoliera. Per fargli riprendere le giuste proporzioni ho aggiunto due pezzi di Plasticard opportunamente ritagliati e incollati:

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Terminata la lavorazione sulla presa d’aria, mi sono dedicato all’adattamento del pozzetto carrelli posteriore del set Aires. Quello anteriore è stato, purtroppo, scartato per l’impossibilità di adattarlo all’intake seamless dove gli spessori del condotto interno sono troppo sottili per inserire il blocco in resina fornito dall’Aires. La prima operazione ha riguardato la totale asportazione della plastica originale del kit e le prove a secco per verificare gli ingombri della wheel bay prodotta dalla ditta ceca; con mia sorpresa mi sono accorto che il pezzo era più corto di almeno un millimetro in senso longitudinale, e che lo stesso lasciava una fessura abbondante rispetto alla fusoliera. Per risolvere l’inconveniente ho agito come mostrato nelle immagini sottostanti:

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In pratica ho incollato il pozzetto centrandolo nella sua posizione con quanta più precisione possibile e limitando parzialmente il gap; fatto ciò, ho aggiunto dei listelli di Plasticard nella parte interna incollando il tutto con una corposa quantità di Attack, e stuccando con largo utilizzo di Milliput sia dall’esterno, sia dall’interno. Altro intervento necessario è stato quello di creare un invito nella base del pozzetto per permettere alla presa d’aria di innestarsi nella fusoliera. Ovviamente i due aftermarket (il Cutting Edge e l’Aires) non sono ideati per coesistere contemporaneamente nello stesso modello per questo, mediante carta abrasiva a grana grossa (va bene dalla 400 in giù), ho ricreato quella svasatura che potete vedere in foto su cui si è adagiato il condotto dell’intake.

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Studiando la documentazione in mio possesso (in particolare il libro della DACO, una vera e propria Bibbia!), mi sono accorto che l’F-16 è ricco di dettagli facilmente visibili anche in scala. Contro ogni mia aspettativa, ho passato molte ore a riprodurre particolari che, alla fine del modello, gli hanno dato quel tocco di realismo in più. Tra questi piccoli interventi posso annoverare l’apertura delle due griglie dell’APU e del sistema di raffreddamento del circuito idraulico, poste rispettivamente a destra e a sinistra del troncone posteriore della fusoliera. Ho preferito forare la plastica con un trapanino a mano in modo di avere maggiore sensibilità e delicatezza; i bordi delle aperture sono state, poi, rifinite manualmente con una limetta da unghie, mentre internamente la plastica è stata assottigliata usando una fresa montata su un trapanino elettrico. Per simulare le griglie metalliche ho utilizzato un pezzo di tulle riciclato da una bomboniera, e incollato all’interno con due gocce di Attack Gel.

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Rimanendo in questa zona del modello, mi sono accorto di alcune omissioni dell’Hasegawa nell’incisione di due pannelli presenti sul lato destro della carlinga; mancano, infatti, due sportelli: quello a ridosso del pozzetto carrelli principale è d’ispezione per il sistema idraulico dei freni di riserva, quello verso la coda contiene l’indicatore per il livello dell’olio del motore. Ho reinciso le pannellature corrette con uno scriber e l’ausilio delle provvidenziali dime Verlinden… pochi minuti e il gioco è fatto. Per pulire e rendere più precise le incisioni, ho steso su di esse una pennellata veloce di Tamiya Extra Thin Cement lasciando asciugare bene il tutto e, soprattutto, senza toccare la plastica con alcuno strumento.

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La volata del cannone inclusa nel kit è del tipo utilizzato sui primissimi esemplari. Quella montata sull’esemplare da me preso come riferimento, è del tipo più tardo con due sole feritoie (nel pezzo originale sono otto, quattro davanti alla bocca, quattro immediatamente dietro). Di queste otto apertura ho lasciato “libere” solamente quelle che vedete in foto, riempiendo le restanti con il Tamiya Basic Putty.

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Spostando le mie attenzioni verso la coda del modello, ho corretto e reso più realistiche le luci di navigazione poste alla base della deriva; così come sono stampate dalla ditta giapponese sono totalmente errate, per questo ho forato la plastica mediante un trapanino a mano e ricreato la parte trasparente con una sezione di sprue di recupero. I due vetrini sono stati incollati con colla cianacrilica, carteggiati per portarli alla giusta misura e lucidati con pasta abrasiva. Dalla parte interna ho spennellato del bianco opaco per simulare il colore neutro delle luci stesse (in foto è arancione per mettere in risalto l’intervento eseguito).

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Prima di procedere con l’unione delle due semi-fusoliere, ho tagliato via gli aerofreni facendo riferimento alle linee guida già incise sul modello. Per separare i quattro pezzi ho utilizzato un seghetto in fotoincisione che garantisce dei tagli precisi senza il rischio di rovinare o asportare troppa plastica.

 

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Il montaggio:

Come già detto in precedenza, lo stampo Hasegawa non è certo un prodotto nuovo e realizzato con le ultime tecnologie. Nonostante gli oltre venti anni che esso ha sulle spalle, la precisione degli incastri è tuttora molto buona; ci sono però dei punti critici che vanno affrontati con un pizzico di attenzione in più… vediamo quali.

Unione ali-fusoliera: le semi-ali sono scomposte, rispettivamente, in due parti ma il loro assemblaggio non presenta grosse difficoltà di sorta. Qualche noia in più arriva nel momento in cui vanno unite alla fusoliera poiché esse formano una fessura abbastanza pronunciata e, in alcuni punti, uno scalino rispetto al raccordo alare. Aggiungo che, proprio in corrispondenza della linea di giunzione, sul velivolo reale corre una pannellatura molto visibile che, per questo, va assolutamente riprodotta. Personalmente ho preferito utilizzare l’Attack sia come collante, sia come stucco, impiegandone un’abbondante quantità per garantire un incollaggio forte. Una volta secco, ho lisciato il cianacrilico con carta abrasiva grana 600 appianando, nello stesso tempo, anche gli scalini sopra citati; ovviamente, la carteggiatura ha comportato l’asportazione forzata di parte del dettaglio di superficie che in quel punto è ricco di rivettature (ripristinate, poi, con molta pazienza e l’aiuto di un Rivet Maker dell’Hasegawa).

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Unione radome – fusoliera: Altra zona con delle criticità è quella del radome. Accostandolo alla fusoliera, infatti, si nota subito come questo rimanga fuori squadro in particolare nella parte inferiore e in quella immediatamente davanti all’abitacolo. Riportarlo alle giuste dimensioni non rappresenta una difficoltà insormontabile, anzi, basta una passata di carta abrasiva e un po’ di stucco per livellare il tutto. Il problema sorge quando, a causa della carteggiatura del pezzo, gran parte delle linee in rilievo che rappresentano gli scaricatori di elettricità statica, spariscono inevitabilmente. Questi dettagli sono fondamentali e caratterizzano il muso del Viper in maniera inequivocabile e, per ricostruirli, ho utilizzato materiali di recupero facilmente reperibili; mi sono dotato, infatti, di un rocchetto di filo da pesca da 0,16 millimetri (lo trovate anche nei negozi Decathlon al prezzo irrisorio di 1,50 €) tagliandone degli spezzoni di opportuna misura.

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Le sezioni di filo sono state, poi, incollate sul radome utilizzando la colla Tamiya Extra Thin Cement che asciugandosi non lascia tracce e non crea anti estetici spessori. Avverto tutti i lettori che questa fase è molto delicata sia per il difficile allineamento dei dissipatori autocostruiti, sia per lo scarso potere adesivo della colla Tamiya che impiega qualche minuto ad asciugarsi e che mi ha costretto a tenere i pezzi di nylon in posizione “forzata” per lungo tempo (allo scopo mi sono aiutato con una pinzetta appuntita) con il rischio che questi si potessero spostare dal punto voluto. Ad ogni modo, con un po’ di pazienza e molta attenzione si ottiene un lavoro pulito che a modello concluso farà parecchia scena.

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La zona del musetto è stata ulteriormente dettagliata con l’aggiunta delle piastre per i sensori dell’Angle of Attack (angolo di attacco) completamente tralasciate dall’Hasegawa, e con l’aggiunta di un rinforzo posto proprio davanti alle antenne Radar Warning montate sotto all’abitacolo. Entrambi i dettagli sopra citati sono stati riprodotti con del nastro d’alluminio adesivo impiegato nelle riparazione idrauliche.

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Prima di aggiungere la deriva (in seguito stuccata con il Milliput) occorre adattare l’anello di raccordo del propulsore Pratt & Whitney; quello fornito in resina dall’Aires è, purtroppo, sovradimensionato di qualche decimo di millimetro e forma uno scalino abbastanza netto. Quindi, per prima cosa, con una limetta da unghie ho assottigliato sommariamente il terminale della fusoliera: Fatto ciò, ho incollato il pezzo in resina con lauto impiego del solito cianacrilico formando anche un “cordolo” sopra la giunzione per utilizzare la colla come stucco. In seguito ho carteggiato accuratamente il tutto arrivando a impiegare anche la carta abrasiva grana 400 per pareggiare tutti i dislivelli. Quello che vedete in foto è il risultato dopo aver rifinito la zona dello scarico con compound per la lucidatura della plastica.

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Ultimi dettagli:

Con il montaggio in pratica concluso, mi sono dedicato all’aggiunta degli ultimi dettagli presenti sul modello. Nella parte inferiore, ho montato il pezzo fotoinciso che rappresenta lo scarico dell’ECS (Environment Condition System) – il sistema di condizionamento climatico dell’abitacolo (freccia rossa). Poco più avanti è presente un piccolo sfiato rinforzato da una piastra metallica (freccia gialla); l’ho riprodotto forando con attenzione la superficie in resina (per evitare di bucare e far fuoriuscire la punta nel condotto della presa d’aria) e aggiungendo un rettangolino del solito nastro d’alluminio adesivo.

All’interno del pozzetto carrello anteriore ho sistemato un altro pezzo in fotoincisione prelevato dal set Eduard 48530 che ha aumentato il realismo dei vari longheroni e correntini presenti all’interno del wheel bay.

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Ho incollato il pitot in ottone tornito della Master stuccandolo con un limitato impiego del Tamiya Basic Putty. Lasciatemi spendere due parole di lode per quest’accessorio: estremamente ben fatto, economico e con un livello di realismo incredibile – ve ne consiglio l’acquisto vivamente anche perché nella confezione trovate le due sonde del sistema AOA che sono di una finezza incredibile!

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Nell’abitacolo ho inserito alcuni cavetti in stagno di opportuna misura, atti a simulare le tubazioni idrauliche del sistema di sollevamento del canopy. Oltre a questi particolari, ho prelevato alcuni pezzi dalle sopracitate fotoincisioni Eduard tra cui la guarnizione di ritenuta del canopy presente sul frames della fusoliera. Fatto questo ho potuto, finalmente, completare la verniciatura dell’abitacolo spruzzando sulle zone ancora “vergini” del nero opaco. Sempre in fotoincisione le antenne Tacan e UHF presenti sotto il muso e le griglie dei Chaff / Flare in coda.

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Giudicandole anti estetiche e fuori scala, ho eliminato del tutto le luci di navigazione poste sui lanciatori alle tip alari e sulla sommità della deriva, con l’intenzione di riprodurli durante gli step finali del modello… più avanti vi spiegherò come fare. Prima di procedere alla verniciatura ho affrontato quello che, convenzionalmente, è l’ultimo gradino del montaggio: l’aggiunta dei trasparenti. Nel kit sono presenti due tipi di vetrini, uno neutro (clear) e uno fumè. Per la parte fissa del canopy, in accordo con la documentazione, ho prelevato il pezzo clear; per la parte mobile, il fumè. Quest’ultimo presenta un anti estetico segno di estrazione proprio al centro della calotta (difetto comune in tutti i kit Hasegawa), eliminato mediante le lime della Squadron che hanno diversi poteri abrasivi. Per ridare la giusta brillantezza al canopy l’ho dapprima lucidato con il Tamiya Rubbing Compound (usando i tre prodotti uno dopo l’altro – Coarse, Fine e Finish), poi rifinito con una completa immersione nella cera Future che ha dato una finitura “effetto cristallo”. La parte fissa dei trasparenti è stata incollata con ciano acrilico e stuccata col Tamiya Basic Putty cercando di non rovinare troppo la trasparenza del pezzo. Niente paura se dovesse sfuggirvi la mano graffiandolo! Basterà adottare lo stesso metodo (compound più Future) sopra descritto.

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Verniciatura:

Ed eccoci alla fase, senza dubbio, più divertente della costruzione – la verniciatura. Prima di entrare nel vivo della spiegazione è necessaria una premessa: per riprodurre il camouflage a tre toni di grigio dei Viper NSAWC è necessario munirsi del foglio decal numero 48150 della Two Bobs.

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Nel momento in cui ho iniziato ad attuare la mimetica sul modello, confrontando le foto dei velivoli reali con lo schema proposto nel foglio istruzioni dalla ditta americana mi sono accorto di notevoli imprecisioni. Per questo motivo ho preferito tralasciare completamente le indicazioni fornite dalla Two Bobs e ricreare le macchie basandosi solamente sulla documentazione in mio possesso. Fin quando si tratta delle superfici superiori è facile intuire l’andamento… i problemi arrivano quando bisogna disegnare la mimetica delle superfici inferiori che scarseggiano di un’adeguata conferma fotografica. Ag ogni modo, con molta pazienza, nelle immagini sottostanti vedete quello l’andamento, più o meno fedele, che sono riuscito a ricostruire:

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Come primo colore ho steso il 36375 della Gunze (H-308), evitando di estenderlo a tutto il modello per non riempire troppo le sottili pannellature del kit. Il secondo colore, in ordine, è stato il 36270 della Gunze (H-306) cui ho aggiunto poche gocce di Gunship Grey F.S. 36118 per aumentare il contrasto con il grigio chiaro che, altrimenti non avrebbe avuto un effetto realistico. Per ultimo ho steso il grigio scuro: la Two Bobs indica per questa tinta il Gunship Grey F.S. 36118 ma, dopo alcune prove da me eseguite, ho notato che il colore in questione non si avvicinava granché alla tonalità vera. Per questo, dopo alcuni mix tra vernici a disposizione nel mio magazzino, ho trovato un buon compromesso partendo da una base di venti gocce di German Grey Tamiya (XF-63) e tre/quattro gocce di Gunze H-308 F.S. 36375. Anche questa volta ho utilizzato il Patafix per separare i vari colori, ottenendo delle sfumature precise e perfettamente in scala.

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Weathering:

Con la verniciatura ultimata mi sono dedicato all’invecchiamento del modello che, oltre a dargli un’aria vissuta e più realistica, mi ha permesso di volumizzare un po’ le linee del modello. Pur essendo dei velivoli Aggressor, gli F-16 basati a Fallon presentano comunque un grado di usura molto interessante (anche perché i velivoli, solitamente, non sono ricoverati in shelter ma lasciati spesso all’aperto). Basandomi sulla foto qui sopra, ma cercando sempre un compromesso che potesse risultare bene anche in scala, ho schiarito senza uno schema fisso il centro delle pannellature insistendo molto sulla deriva e sul dorso del velivolo. Per ricreare questo weathering mi sono avvalso della tecnica del Post Shading, desaturando i colori originali con del bianco in varie proporzioni e applicandola solo sulle superfici superiori, quelle effettivamente interessate al fenomeno dell’invecchiamento a causa dell’esposizione alla luce solare diretta. Così facendo ho anche ottenuto l’effetto “sbiancato” tipico delle vernici lasciate al sole e alle intemperie per parecchio tempo. Solamente nel caso del grigio scuro non ho impiegato il bianco per “tagliare” la tinta originale, preferendogli un grigio più chiaro (il 36270 può andare bene).

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Dopo questa prima fase, ho steso su tutto il modello tre/quattro mani di trasparente lucido acrilico della Tamiya molto diluito; quest’accortezza è servita per proteggere la verniciatura sottostante e preparare il fondo ai lavaggi. Questi ultimi li ho eseguiti con tre tinte differenti di colori a olio allungati con il diluente Humbrol (che asciuga rapidamente e non emette odori troppo sgradevoli): sul 36375 e sul 36270 ho utilizzato un grigio medio (una nocciolina di Bianco di Marte con la punta di uno stuzzicadenti bagnata con del Nero Avorio, entrambe della Maimeri), sul grigio scuro ho preferito un grigio più chiaro ma senza esagerare ed evitando un “effetto piastrellato” sul modello. Il washing è stato esteso anche ai pozzetti carrello (in precedenza verniciati in bianco opaco e lucidati con il trasparente acrilico assieme al resto del modello) ma, in questo caso, ho diluito ancora di più il colore a olio in modo da farlo scorrere per capillarità nei dettagli del pozzetto Aires. A questo punto, altre due mani del solito Clear Tamiya ha aperto la strada alla posa delle decalcomanie.

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Le decal:

Le decalcomanie, come già detto qualche riga sopra, sono realizzate dalla Two Bobs. La loro qualità è buona, con spessori di stampa molto contenuti e un ottimo potere adesivo. Personalmente le ho trattare con i liquidi ammorbidenti della Microscale costatando una discreta reazione al trattamento. Qualche appunto si può muovere alla fedeltà di riproduzione delle insegne: purtroppo, probabilmente per contenere i costi, i colori dei codici e delle scritte “NSAWC” non sono molto fedeli a quelli reali e, inoltre, le dimensioni delle coccarde da apporre in fusoliera (sotto la deriva) sono un po’ troppo ridotte. In ogni caso bisogna accontentarsi poiché il foglio della ditta di Bob Sanchez è l’unico disponibile per realizzare in scala gli F-16 della NAS Fallon. Il lavoro, comunque, scorre veloce grazie anche alla limitata quantità di decal da apporre. Per proteggerle e per livellare gli spessori delle decalcomanie ho steso, su tutto il modello, l’ultima mano di Clear Tamiya; esso, però, ha attenuato un po’ troppo l’effetto del post shading, per questo ho ricaricato nuovamente l’aerografo con i colori in precedenza desaturati, ed ho ripassato ancora una volta il centro dei pannelli. In questo passaggio ho preferito diluire ancora di più le vernici (praticamente al 90% e, in alcuni casi anche con un rapporto 1:1 vernice/diluente) per ottenere delle macchie ancora più sfumate e perfettamente integrate al resto della mimetica.

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Lo scarico motore:

Lo scarico del motore Pratt & Whitney F-100 è, a livello modellistico, un vero incubo! I petali reali, causa le alte temperature, assumono colorazioni particolari che variano molto rispetto alla luce che li colpisce. Per trovare una soluzione realistica al problema della verniciatura ho speso molto tempo scartando parecchie idee (anche perché l’aftermarket in resina dell’Aires è talmente bello e dettagliato da meritarsi un trattamento di riserbo); alla fine, dopo vari esperimenti, ho usato il metodo che segue. Per prima cosa ho verniciato l’interno dell’exhaust con del bianco opaco per simulare il materiale ceramico con cui è rivestito.

 

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Dopo di che, ho steso sui petali una prima mano di Steel dell’ALCLAD – un colore abbastanza scuro che servirà anche per ricreare le zone di retrazione dei petali stessi. Alla successiva fase di mascheratura ha fatto seguito una passata di un mix di 20% Steel e 80% Pale Burnt Metal; contrariamente a quanto scritto e detto in giro per il web da altri modellisti, ho sperimentato con successo la miscela di due colori ALCLAD ottenendo un buon risultato. L’unica accortezza è di agitare bene e spesso il composto altrimenti i pigmenti metallici contenuti nella soluzione tendono a separarsi. Ad ogni modo la nuova tinta ottenuta dal mix risulta ancora troppo scura e, per questo, ho diluito in acetone (con percentuale del 50% – va benissimo anche quello da unghie) il Pale Burnt Metal stendendolo in velate leggere sopra a tutto lo scarico. Quest’ultimo passaggio mi ha permesso di centrare in pieno la caratteristica tonalità “giallognola” del P&W F-100 e, inoltre, cogliere anche il cambio di colore in base alla luce ambientale (se si sposta sotto a una luce diretta lo scarico in resina si ottiene uno scurimento del colore, proprio come nella realtà). I

 

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Il condotto del reattore vede stampato, sul terminale esterno, anche l’anello in titanio: il primo è stato verniciato, all’interno, con il bianco usato in precedenza e poi sporcato con un lavaggio in Bruno Van Dyck e Tamiya Weathering Set (i gessetti). Il secondo è stato colorato con un fondo in White Alluminiun Alclad cui, sopra, è stato aggiunto un leggero strato di Clear Blue ALCLAD per ottenere il caratteristico colore blu dovuto alla brunitura del metallo.

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Il metodo dei lavaggi e dei gessetti sopra descritto l’ho attuato anche nella parte interna del sistema di retrazione dei petali conseguendo un risultato che ben si accosta alla realtà. Le piccole scritte di servizio “No Step” in rosso provengono da un foglio dell’Afterburner Decals.

Il pod ECM AN-ALQ-167:

L’AN-ALQ – 167 è un pod per contromisure elettroniche da svariati anni in servizio presso l’U.S. Navy e i Marines. Essendo questo un sistema ECM già sorpassato, non è più in servizio di prima linea ma svolge ancora il suo ruolo tra le fila del NSAWC; viene utilizzato, in particolar modo, proprio dagli F-16 Aggressor per disturbi elettronici durante gli addestramenti sui poligoni e nelle esercitazioni quando questi assumono il ruolo di “Bandits” (avversari). Nella scala del quarto di pollice il pod non è, attualmente, riprodotto. Ne esiste uno in plastica contenuto in una delle prime scatole Monogram dedicate al Tomcat, ma esso è poco dettagliato e rappresenta una versione mai impiegata dai Viper Aggressor. Visionando le foto a mia disposizione ho notato che l’AN-ALQ-167 è un dispositivo frequentemente utilizzato, e l’idea di dotarne il mio F-16 mi ha subito preso. Non nascondo che mi piace complicarmi la vita… la sua autocostruzione mi ha portato via un bel po’ di tempo, ma devo ammettere che è stata fonte di grande soddisfazione! Partendo dal presupposto che il pod, in scala 1/48, misura 7,1 centimetri di lunghezza e 5,3 millimetri di diametro, mi sono messo alla ricerca di un profilato plastico a sezione tonda purtroppo con scarsi risultati. La plastica è il materiale ideale per il tipo di lavorazione di cui sto parlando in queste righe… siamo abituati a lavorarla e si presta bene al tipo di lavorazione di cui sto parlando in queste righe. Mio malgrado, ho ripiegato su un tondino di legno che, se non altro, rispettava le proporzioni quasi alla perfezione. Passo ora a elencarvi tutte le operazioni fatte:

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Per prima cosa ho tagliato a misura il pezzo in legno e l’ho montato sul mandrino di un trapano a colonna per ricreare un primo abbozzo delle ogive presenti sia sul muso, sia in coda. Il materiale ligneo in eccesso è stato asportato con l’aiuto di carta abrasiva grana 300 e una lima. Dopo la prima fase di sgrossatura, ho dato una forma più appuntita alle ogive cercando di rispettare quanto più possibile la forma reale delle stesse.

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Mediante del rod a sezione circolare con diametro 0,5 millimetri, ho ricreato le due cinture che tengono unite le suddette ogive al resto del pod. Per incollare il profilato ho impiegato la solita colla cianacrilica. La piastra del sistema di aggancio al pilone (quella in posizione centrale) è il risultato dell’unione tra due listelli di plastica a sezione quadrata, poi lavorati a colpi di lima per smussare gli angoli e fargli assumere la forma più consona. Il tutto è stato poi raccordato al resto del corpo con dello stucco, e poi lisciato.

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A questo punto ho curato tutti i rimanenti dettagli: alle rispettive estremità sono presenti due piccole prese d’aria che raffreddano i circuiti elettronici; per riprodurle ho usato del lamierino di rame sottile opportunamente ritagliato e piegato con una piega-fotoincisioni per ottenere degli angoli a novanta gradi. Allo stesso tempo ho aggiunto le piastre dove andranno incollate le antenne (prelevate dal set della Wolfpack riguardante il pod ALQ-188) e le alette stabilizzatrici (rifatte in Plasticard).

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Per eliminare le venature del legno e ottenere una superficie perfettamente liscia, ho steso sul pezzo due/tre mani di Mr.Surfacer 500 della Gunze; dopo aver atteso l’asciugatura di ogni strato, ho lucidato il primer con della carta abrasiva grana 2000 e del compound ottenendo una finitura quasi a specchio!

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A questo punto il pod sarebbe pronto per la verniciatura e per essere alloggiato sotto il pilone sub-alare ma, per eliminare tutti i difetti dell’autocostruzione e rendere il tutto più solido, ho preferito utilizzare il pezzo in legno come master per creare uno stampo in gomma siliconica e ottenerne una copia in resina.

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Questo che vedete è il risultato finale dopo aver completato il pod con tutti i suoi elementi e averlo verniciato in Flat Blue XF-8 Tamiya, ad eccezione del muso in Light Grey F.S.36375.

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Andando avanti con i lavori mi sono accorto dell’inadeguatezza dei piloni forniti nel kit. Quelli stampati dall’Hasegawa, infatti, sono del tipo utilizzati sui primi Block costruttivi dell’F-16 A, mentre quelli effettivamente utilizzati dai Viper NSAWC sono del tipo più tardo (usati sulla variante C, ad esempio) che prevedono gli “sway braces” (i braccetti che stabilizzano i carichi esterni in volo) inglobati all’interno di una carenatura. Ho immediatamente scartato l’ipotesi si autocostruire anche questo componente… la mia voglia e la mia concentrazione erano già state messe a dura prova dall’ALQ-167! Per questo ho preferito prelevare un “pylon” da un kit Kinetic, aggiustarne le dimensioni, aggiungervi due perni di riscontro e copiare anch’esso in resina.

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Gli altri carichi esterni:

Quando si tratta di velivoli Aggressor, non ci si può sbizzarrire più di tanto con armamenti vari. Per questo motivo, dai Weapons set C e D dell’Hasegawa ho prelevato un pod ACMI (Air Combat Manouvering Istrumentation), e un AIM-9 L da trasformare in un pod CATM-9. La conversione) non comporta interventi invasivi: un CATM-9 (Captive Air Training Missile) altro non è che un Sidewinder svuotato di tutto il suo contenuto bellico (carica esplosiva e testata di ricerca IR) per far posto a tutta una serie di sensori per la registrazione dei dati di volo. I due pod sono stati verniciati, rispettivamente, in Flat Red Gunze H-13 (escludendo la parte iniziale in Flat Black) e in Flat Blue Tamiya XF-8 (ad eccezione della testata in F.S.36118 e delle alette in Flat White). Le scritte di servizio e i Serial Numbers provengono dal foglio Two Bobs 48172.

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Al pilone ventrale ho sistemato il serbatoio supplementare supersonico; quello da scatola è stato dettagliato con l’aggiunta delle due piastre di rinforzo applicate sopra alle saldature (ricreate con striscioline di nastro Tamiya), della valvola di sfogo per la pressione interna del carburante e delle bullonature nella parte posteriore (dei tondini di Plasticard ottenuti con una fustellatrice).

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Montaggio Finale:

Si avvicina il momento, tanto atteso, di mettere il modello in vetrina! Ho, quindi, dettagliato le gambe di forza dei carrelli dotandole delle tubazioni idrauliche rifatte con filamento di stagno. Sempre con questo materiale ho aggiunto dei cavi anche all’interno del pozzetto carrello anteriore, e ho modificato il relativo portellone in resina asportando da esso le due piccole scatolette stampate sul frontale; esse riproducono i fari d’atterraggio montati solamente dalla versione C e, perciò, assenti sull’F-16 A oggetto di quest’articolo.

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All’interno dei frames del canopy ho incollato alcuni pezzi in fotoincisione prelevati dal set Eduard numero49276 (i ganci di ritenuta della calotta, l’unico specchietto retrovisore e due maniglie), aggiungendo anche l’Head Up Display sulla palpebra del cruscotto.

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All’interno della presa d’aria ho aggiunto la lama del sistema anti-ghiaccio (in Flat Black) alla cui base c’è uno stencil d’attenzione che riporta la scritta “HOT”; quest’ultimo proviene dal foglio dell’Afterburner Decals numero 48016.

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Una mano finale di trasparente opaco Gunze H-20 ha dato la giusta finitura a tutto il modello e, conseguente a essa, ho potuto ricreare le luci di navigazione di cui avevo fatto cenno qualche riga sopra. Per rispettare la scala, queste sono state ricavate da un foglio di acetato dell’Evergreen dallo spessore di 0,3 millimetri, e da cui ho ritagliato dei piccoli rettangolini. Le “navigation lights” alle tip alari sono color ambra (personalmente ho usato una vernice arancione per pittura su vetro), mentre quella posta alla sommità della deriva è neutra. Il tocco finale l’hanno dato i dissipatori di elettricità statica montati sul bordo d’uscita alare, dei piani di coda e dell’impennaggio. Sul mio modello l’ho ricreati con lo stesso filo da pesca utilizzato per la lavorazione sul radome.

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Conclusioni:

Devo ammettere che un F-16, seppur inflazionato e troppo spesso riprodotto in scala, non può mancare nella collezione di ogni modellista. Per fortuna, la sua grande diffusione su scala mondiale gli permette di vestire livree sempre diverse e sempre più accattivanti facendolo risultare un soggetto sempre interessante! Personalmente, nel mio magazzino di scatole in attesa di “attenzioni”, ci sono ancora una decina di Viper… di sicuro, una buona percentuale di questi riceverà ancora una volta le bellissime mimetiche degli Aggressor! Buon modellismo a tutti.

Valerio – Starfighter84 – D’Amadio.

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The Cold War Fighter – Mikoyan Gurevich MiG 21 Bis-N – dal kit Academy in scala 1/48.

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Ogni tanto torno a riaffacciarmi qui nella homepage di ModelingTime.com ed a causa della mia latitanza gli admin avevano già chiamato da tempo “Chi l’ha visto?” per sapere dove ero finito, invece eccomi qua di nuovo, dopo otto mesi sono riemerso dal mio banco di lavoro con in mano una bella “canaglia supersonica”.

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Vi presento l’ultimo nato nella mia vetrina, un MiG 21 bis-N della Forza Aerea Bulgara. Il titolo del mio articolo, doveva essere “balalaika supersonica” che deriva dal nickname di questo velivolo, dovuto alla somiglianza del MiG 21 con la balalaika appunto, uno strumento musicale in legno a corde tipico della Russia, con un lungo e sottile manico ed una cassa di risonanza triangolare, simile ad un liuto, ma con tre sole corde.. Ho preferito però rendere omaggio alla sua lunga carriera passata a difendere il suolo dei 58 paesi che ha servito, e che serve ancora, sempre pronto col coltello tra i denti….

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Sono da sempre appassionato di velivoli di fabbricazione russa, (e chi frequenta il FORUM di Modeling Time se n’è accorto) ma la spinta per iniziare a costruirne una piccola flotta l’ho ricevuta grazie gli articoli del bravissimo Gianni Cassi su quella che per me è stata una delle più belle realtà del modellismo aeronautico in Italia, Ali in Miniatura.

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Così con un piccolo tocco di afterburner ho preso lo slancio giusto per aprire quella scatola che mi aspettava polverosa nella mia riserva personale. Questo kit è stato in assoluto la prima scatola che ho comprato in 1/48, ormai quattro o cinque anni fa, ma l’ho tenuto sempre in stand by perchè, essendo appunto la scatola numero 1 nella scala del quarto di pollice ed il MiG 21 per me un aereo di ineguagliabile fascino, ho aspettato di assorbire il passaggio dalla 1/72 alla 1/48 prima di metterci sopra le mie “manacce”…

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Il kit Academy è senza dubbio il miglior punto di partenza per realizzare un bel “21” come si deve, ma come tutti sappiamo, la scatola ci dice che all’interno troveremo un bell’ “MF”, mentre all’interno c’è tutto l’occorrente per costruire un “Bis-L”, come rappresentato anche dalla box art. Non avendo molta voglia di modificare e tagliare il kit,  ho optato per la soluzione più semplice: costruire un bel MiG 21 bis, senza fare nessun taglia e cuci.

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Togliendo il coperchio alla scatola ci troviamo per le mani delle ottime stampate in plastica iniettata finemente incisa e di color grigio chiaro, un bel foglio di istruzioni, ma delle brutte decal. Come tutte le vecchie scatole Academy le decalcomanie non sono un granchè, sono spesse, poco reagenti ai liquidi e ,soprattutto, buone solo per realizzare dei MiG 21 MF; così le ho sostituite con il foglio numero 48004 della Linden Hill. Ora in alcune scatole di produzione  più recente della suddetta marca possiamo trovare delle ottime Cartograf.

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Le decal del foglio Linden Hill, chiamato “Millennium Migs”, riguardano dei Fishbed di fine terza generazione, come alcuni MF, ed altri di quarta, ossia le due versioni della serie “bis”, la “L” o Lazur, o la più recente “N-sau”, oltre a degli stupendi trainer “UM” che hanno volato a cavallo dello scorso millennio.

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Il montaggio scorre via molto bene, l’unica difficoltà sta nell’allineare i due tronconi che formano la fusoliera, ma chi ha un po’ di pratica non se ne preoccuperà più  di tanto. Personalmente ci ho dovuto lavorare un po’ per ottenere un discreto allineamento. Per chi volesse ottenere il massimo da questo kit può aggiungere un cockpit in resina ed uno scarico, io ho preso solo il cockpit della Pavla, economico ma efficace. “Economico” se non ne devi comperare due, ma poi scorrendo le righe scoprirete il perchè!

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L’esemplare che ho riprodotto io è un MiG 21 Bis-N sau, che si differenzia dalla versione L,esteriormente per delle antennine che ho ricostruito in scratch e che qui sotto vi mostro in foto: le vedete sotto al muso e alla sommità della deriva.

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Sicuramente tutti conoscerete la storia di questo aeroplano sia dal punto di vista storico-tecnico, sia da quello commerciale; insomma, per farla breve, è stato uno dei più grandi successi non solo della Mikoyan-Gurevich ma di tutta l’aviazione militare del dopoguerra.

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Il MiG 21 è un caccia bisonico con ala a delta sviluppato dalla OKB 155 di Artem Ivanovic Mikoyan e Michail Iosifovic Gurevich, per essere precisi, il caccia a reazione prodotto nel maggior numero di esemplari al mondo, oltre 10.000 fabbricati nella sola Russia ed all’incirca altri 3000 su licenza. Ha servito quasi 60 aviazioni ed è ancora in servizio in molti paesi.  In Bulgaria il “mio” MiG 21 affianca ora dei più recenti Mig 29. Ha sparato proiettili in mezzo mondo, ottendendo grandi successi come in Vietnam, dove ha fatto crollare al suolo una trentina di B-52 e 103 F-4 Phantom II per una perdita di 54 Mig 21. Per non parlare di tutti gli altri aeroplani americani che hanno avuto la peggio sui cieli vietnamiti come gli F-105. Per contro le ha prese sonoramente durantie i conflitti arabo-irsaeliani dai Mirage III CJ.

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Motorizzato da una turbina Tumanskij R-25 questo aereo arriva alla velocità di 2230 km/h pari a mach 2,1 e da semplice ed affidabile caccia leggero, con 3 secondi di autonomia di fuoco per il cannone ,si è trasformato negli anni in un vero multiruolo ognitempo capace di far bella figura in ogni situazione. Le sue dimensioni sono piuttosto contenute in 15,7m di lunghezza per 7.15 di apertura alare, i tecnici russi hanno messo tanto di buono, ma anche un piccolo serbatoio per il carburante; infatti, uno dei punti deboli di questa macchina è stata sempre l’autonomia, sofferta soprattutto dalla versione “R” da ricognizione.  Se ci fate caso quando sfogliate le vostre monografie lo vedete sempre almeno con un serbatoio ausiliario attaccato.

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Rispetto ai MiG 21 MF e agli altri delle generazioni precedenti è un’aereo totalemente riprogettato, migliorato nella struttura, migliorato nella resistenza e soprattutto razionalizzato in base alle nuove esigenze operative, insomma il MiG 21 bis non è stato solo un restyling ma un vero e proprio nuovo aeroplano.

La costruzione:

Tornando a parlare di plastiche e di resine, come da prassi si inizia con l’aprire la scatola con tanta buona volontà, cercando già con la mente di comporre il puzzle che troveremo al suo interno.

Il cockpit:

Il primo step è stato quello di adattare il cockpit in resina della Pavla, operazione non troppo complicata , ma nemmeno da novizi del modellismo. Vi ricordo che per maneggiare la resina servono un paio di guanti ed una mascherina, dato che è un materiale altamente nocivo alla salute. Una volta adattato alla perfezione il “pilot’s office” e tagliati tutti i micropezzetti che lo compongono, non c’è da far altro che perdersi le due paretine laterali e spendere altri soldi per comprare un cockpit nuovo. Io ho fatto proprio così! Voto 10 e lode!


Sono partito usando come colore di base l’ XF 23 Tamiya che poi con i vari lavaggi, trasparenti e dry brush è diventato un grigio verde, immaginando che con l’effetto scala e l’invecchiamento generale del modello, un verde sgargiante non sarebbe stato il massimo della realtà. Dopo il fondo ho dato una mano di trasparente lucido ed ho effettuato dei lavaggi in grigio di payne e nero ad olio che una volta asciutti sono stati le fondamenta per dei tocchi di pennello asciutto in alluminio e grigio chiaro. Tutto è stato sigillato con del buon flat clear della Gunze.


Per quanto riguarda il pannello strumenti, per i quadranti in particolare, ho verniciato strumento per strumento con un pennello sottilissimo a simulare le lancette e poi ho sigillato ogni indicatore con una goccia di cera future per dargli un po’ l’effetto lente e far finta che li ci sia un vetrino. I passaggi precedenti sono gli stessi che ho utilizzato per la vasca del cockpit.

Le paretine hanno ricevuto gli stessi procedimenti degli altri pezzi e qualche tocco di rosso, nero e giallo a simulare pulsantini e levette colorate.

Stessa lavorazione anche per la palpebra…

Il discorso cambia per il sedile che ha ricevuto come base il grigio f.s. 36270 della Gunze, poi lucidato e “lavato” con colori ad olio 50% nero e 50% bruno van dyck. Dry brush in argento e grigio.

(vista generale del cockpit…)

Il montaggio:

Prima di chiudere le semifusoliere che compongono il muso ho aggiunto 20 grammi di piombo, una volta incollate le valve ho stuccato la paretina posteriore del cockpit con del milliput, dall’interno perchè rimanevano delle fessurine tra questa e la parte superiore della fusoliera. Magicamente lo stucco era dello stesso colore della guarnizione consumata e sbiadita che sta nel MiG 21 e l’ho lasciata senza nessun tocco cromatico.

Si vernicia poi la parte interna dello scarico, come già detto molto spartana, ma chi s’accontenta gode e fa prima a finire il modello. Si chiudono poi le altre due metà che compongono la parte posteriore di fusoliera. Unendo i due tronconi che compongono il velivolo c’è da fare attenzione ad uno dei due punti critici del modello, se non si sta attenti nell’incollare le due metà verrà a crearsi un piccolo e quasi inevitabile dislivello.  A me è capitato, ma sulle plastiche si notava una leggera flessione, comunque niente di preoccupante o di irrisolvibile. Ho steso delle leggere colate di attak liquido che una volta asciutte sono state levigate con varie grane di carta abrasiva. Quei segni neri che vedete sono pennarello a spirito, il metodo che uso per verificare le stuccature…

Naturalmente c’è stato da reincidere qualche pannello un po’ dappertutto.

Il montaggio della gobba, o dorsal spine che fa molto più trendy, non crea grossi problemi ed è stata stuccata con della cianoacrilica sulle giunture con la deriva e con il muso, mentre tra gobba e fusoliera sono andato con del milliput. Non l’avevo mai usato essendo un affezionato dello stucco bianco Tamiya, però per le fessure messe in posti scomodi fa bene il suo lavoro e puzza la metà.


Il secondo punto critico è stato stuccare la radice alare, in quanto ogni volta si formavano delle fessurine per dei ritiri del milliput che mi hanno costretto a fare molti e molti passaggi. Oltre a questi due problemini con questo kit mi sono trovato abbastanza bene.

Stesso procedimento di stuccatura per il pod-cannone e per la pinna ventrale.


Ho iniziato poi ad effettuare la conversione in bis-n costruendo con del plasticard il supporto per l’antennina sotto al muso, quel pezzetto di plasticard che vedete  in foto…


Poi ho avuto un sussulto quando mi sono accorto che dovevo stuccare e carteggiare quella rientranza sul muso a forma di mezzaluna che vedete in quest’altra foto. Ho risolto carteggiando meglio che potevo, dato che la posizione non era per niente agevole e poi ho ritagliato del nastro adesivo d’alluminio. usando come dima la fessura stessa, costruendomi così una piastrina ed applicandola nel buco. Risultato? Poco sforzo ed una camicia in meno da lavare e poi stirare…

La verniciatura:

A questo punto ci troviamo di fronte a qualcosa che inizia ad assomigliare alla geniale invenzione di Mikoyan e Gurevich e possiamo finalmente spruzzare un po’ di primer, non prima di aver igienizzato la superficie con acqua e sapone per piatti ed una bella passata di polish Tamiya, per eliminare gli ultimi graffietti. In questo caso come fondo ho usato un grigio f.s. 36270 della Gunze, semi-gloss in modo da far risultare eventuali magagne guardandolo in controluce cosa che con l’opaco può sfuggire, magagne che puntuali sono saltate fuori come ogni volta. Veloci carteggiature alla base della deriva e sulla gobba in unione al muso.

Prima della verniciatura vera e propria ho spruzzato un bel pre-shading in nero lucido, (con pressione di 0,5/1 atmosfere a seconda dell’esigenza del momento), in corrispondenza delle linee di pannellatura ed ho spruzzato qualche macchietta all’interno dei pannelli. Il tutto sarà la base di un’intensa opera di preombreggiatura che si protrarrà fino alla fine della verniciatura.


Il primo colore che ho spruzzato è stato il colore della pancia e della metà inferiore del serbatoio, il light blue. Ho usato il Tamiya XF23,  molto preciso per questa colorazione. Ho dato qualche velata leggera di vernice per smorzare un po’ la preombreggiatura, poi ho iniziato a giocare intorno alle linee nere e alle macchiette ottenendo il risultato che vedete in foto…

Il verde chiaro invece è l’XF71 Tamiya, il cockpit green per i velivoli giapponesi della seconda guerra mondiale, spruzzato come il celeste, stesso metodo,  stesso risultato. Prima di dare questo colore ho mascherato con nastro tamiya e scotch da carrozziere.


Il verde scuro invece è il Gunze H330 dark green, il verde Nato dei jet inglesi come il Tornado, l’Harrier e il Jaguar. La mascheratura è stata effettuata con il Patafix, ma prima di verniciare ho effettuato un’altra preombreggiatura “sparando” su tutte le zone da verniciare delle macchiette prima nere e poi bianche per provare nuovi effetti e nuove sfumature ed ha funzionato bene!!

Il marrone è l’H84 Gunze, color mogano. Ho usato un marrone che tendeva poco al rossiccio perchè anche per questa tinta ho sperimentato delle ombreggiature…stavolta macchiette rosse e poi bianche. Mascheratura con il Patafix…

A vernicie asciutta è il tempo di lucidare, una bella lucidata con il clear della Gunze sarà la base al lavaggio per delineare le pannellature, colori ad olio miscelati al 50 e 50, Bruno van Dyck e nero, diluiti in acqua ragia come se avessi dovuto spruzzare la tinta ad aerografo. Il colore dato con un pennellino sottilissimo scivola nelle incisioni e si posiziona da se’ dove deve, lasciando poco sporco in giro per il modello. In seguito sii tirano via gli eccessi di tempera con un panno morbido lasciando un velo di lieve sporcizia che farà da base al post shading. Il post shading l’ho eseguito miscelando ad occhio le tinte di base col bianco che toglieranno un po’ di verve ai colori, ma ci restituirà un po’ del fascino dell’ aereo vissuto, anche se in scala. Dopo di questa fase si stende un’ulteriore mano di lucido e si passa alle decal.

Le decal:

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Le decal della Hi Decal Line sono sottilissime e reagiscono bene ai liquidi della microscale tanto da risultare un filino delicate. Unico neo le coccarde… sono formate da due dischetti da sorapporre, il primo per il bianco ed il secondo per il rosso ed il verde.  Poco male rispetto alle fatiche che avremmo fatto con le decal da Academy della scatola. Per far entrare le decal nelle pannellature, una volta ammorbidite dal micro set e dal micro sol le ho ripassate con il bordo di un plettro da chitarra che a casa mia non mancano, alcuni sul lato sono sottili e finiscono a mo’ di lama. Ho usato uno di questi.

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Dopo le decal si rilucida per evitare il silvering e poi si da qualche colpetto d’aerografo caricato a grigio per stemperare la loro cromaticità ed amalgamarle al resto dell’invecchiamento. Ho usato del grigio Gunze f.s. 36270 diluito in maniera considerevole….molto più della ormai famosa consistenza del latte…Per rendere la finitura opaca che un mig bulgaro merita ci ho spruzzato su un intero serbatorio di flat clear Gunze.

Assemblaggio finale:


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Ultimo giorno di lavoro: montaggio dei carrelli, già dettagliati in precedenza con filo di rame a simulare i tubi, piloni e missili aria aria,  sonde, antennine eccetera. Si incollano il sedile e la cloche, gli aerofreni e i piani di coda, si costruiscono in sprue filato una manciata di antennine sparse per l’aeroplano e poi  si incolla il tettuccio in posizione aperta con due gocce di vinavil. Ultima azione riporlo in vetrina, cosa non facile dato che è talmente pieno di antennine ed alette che non si sa da quale parte prenderlo senza far danni.


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Ed anche questo modello è finito in vetrina, appena terminato l’ho guardato con il triste sorriso con cui si saluta un amico che parte…dato che ci ho lavorato con così tanto piacere che mi è dispiaciuto terminarlo…questo è uno dei miei aeroplani preferiti, un “must” nel campo del modellismo aeronautico,  che si trova nella maggior parte delle collezioni di noi modellisti, ed in questo caso vestito di una mimetica alquanto insolita e poco vista in giro, cosa che mi ha fatto affezionare ancora di più a questi pochi grammi di plastica e resina che però per me hanno un significato particolare…


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Arrivederci al prossimo modello…tra qualche mese!

Mauro Balboni

Slave I Star Wars Boba Fett’s Revenge – Revell Easy kit

Ecco un nuovo articolo sul mio tema preferito: Star Wars.

Tanto per ricapitolare le puntate precedenti, ecco un elenco di altri articoli riguardanti Star Wars che è possibile leggere su Modeling Time:

Ma torniamo a noi.

Dopo un lungo periodo di “attesa del momento giusto”, finalmente ho messo mano su una delle scatole che più rappresentano il mondo di Star Wars sia nella prima che seconda Trilogia. In questo caso il modello fa riferimento ai colori e alle modifiche della seconda Trilogia, in cui Boba Fett, riesce a catturare Han Solo e  a trasportarlo via dalla Città delle Nuvole.

Per chi volesse approfondire tutta la storia della Slave I, può consultare il sempre ricco Wookieepedia alla pagina dedicata.

Breve contestualizzazione (dal foglio Revell, wikipedia etc).

Dopo un’estesa modifica, la Slave I, precedentemente un’astronave della polizia classe Firespray, venne utilizzata durante la Guerra dei Cloni dal cacciatore di taglie Jango Fett. Una delle caratteristiche principali di questa astronave è la possibilità di volo verticale anche a velocità paragonabili a un Y-wing fighter. Il progetto iniziale con delle celle di detenzione all’interno, diventò molto utile come trasporto per il cacciatore di taglie. Sebbene all’epoca di Jango Fett fosse già considerata un’astronave obsoleta, le continue riparazioni e modifiche, anche con l’aggiunta di armi illegali, la resero una delle astronavi più potenti in circolazione. Alla sua morte, il figlio Boba Fett che fino a quel momento aveva partecipato in modo passivo alle azioni del padre, prese il suo posto e divenne anche lui cacciatore di taglie (non solo utilizzando la sua astronave ma anche il suo elmetto!). Le ulteriori modifiche di armamenti e di colorazione, trasformarono la Slave I visibile in Episodio II in quella della vecchia Trilogia.

Il modello


Come tutti gli altri modelli della serie Easy-Kit della revell, tutto è felicemente illustrato dal foglio allegato alla scatola che inoltre è anche a colori. Pur essendo un modello di facile fattura e che volendo può essere assemblato senza l’ausilio della colla, in certi punti è auspicabile utilizzarla per rendere tutto più stabile.

Secondo me, questo modello può essere costruito in vari modi. In modo velocissimo (stacca, incastra), veloce(stacca lima incastra), lento(stacca,lima, incastra, stucca), lentissimo(stacca, lima, incastra, stucca, colora). La scelta oltre che dipendere dal livello di modello finale che vorrete raggiungere, sarà dettata anche dalla vostra capacità di aspettare di vedere il modello finito. Cosa che io non ho avuto e quindi mi sono semplicemente accontentato di costruirla e sporcarla per renderla meno giocattolosa. Nulla vieta però di poter stuccare con grande precisione le giunzioni, ricolorarla da capo, fare le maschere etc etc etc… Comunque, essendo un modello precolorato e  fatto apposta per essere montato in modo easy, le uniche azioni strettamente necessarie sono quelle di estrarlo dallo stampo, limare i pezzi e montare.

Una caratteristica simpatica di questo velivolo è la possibilità di scegliere la posizione di pilotaggio. Come visto nel film e descritto nella contestualizzazione, questa astronave ha la possibilità di viaggiare in verticale e in orizzontale. Questa è chiaramente una scelta a vostra discrezione come intuibile a pagina 6 della guida Revell. Personalmente ho scelto la posizione verticale. Per due motivi: è più scenica e la posizione alternativa suggerita nelle istruzioni sembrava sbagliata. Per intanderci, avrei dovuto piazzare Boba Fett con il viso rivolto indietro e le spalle al “vetro”….

posizione (secondo me) sbagliata

Sporcatura e invecchiamento

Il “velivolo” è già colorato (meglio di altri della serie) e quindi l’unico modo per migliorarlo velocemente è sporcarlo per dare profondità alle pannellature e a tutte le rientranze. Dopo aver provato le mie solite tecniche da minuaturologo, ho deviso che il risultato non era così esaltante e così ho deciso di chiedere a Valerio (Starfighter84) come sporcare meglio. Lui ha mi ha subito suggerito di usare i colori a olio. Così ho fatto una prova, che non mi è dispiaciuta. Naturalmente ho creato il mio “intruglio” personale per cercare di mischiarlo alle mie precedenti tecniche. Così ho michiato ciò che di solito non si deve mischiare… le chine con i colori a olio il tutto con del diluente… Centrifugando il tutto con un pennello, ho preparato questa mistura che con molta semplicità ho spennellato sulla parte interessata e successivamente rimosso con lo scottex. Il risultato è stato una via di mezzo da gli aloni della china e le sporcature dell’olio. Mischiando la china nera e il bruno Van dyck è venuto quest’effetto “sporco e rovinato” caratteristico delle nave di Star Wars.

prima
dopo
prima
dopo

Lo stesso effetto l’ho utilizzato all’interno dell’abitacolo associandolo a del semplice dry brush e alla personalizzazione del colore delle varie console e schermi.

Risultato Finale

Galleria

The Iranian Eye – RF-4 E Phantom dal kit Hasegawa in scala 1/48.

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Senza dubbio il Phantom è uno dei mostri sacri della storia dell’aviazione ; L’F-4 ha costituito, almeno fino alla fine degli anni ’80, il punto di forza di ben dodici paesi diversi ed è ancora utilizzato da qualche nazione dopo quasi 60 anni dal primo volo.

La mia scelta di costruire un esemplare IIAF è stata casuale, poiché inizialmente avevo intenzione di riprodurre un RF-4G della Hellenic Air Force,molto accattivante dal punto di vista del weathering.

Girovagando su internet alla ricerca di materiale per iniziare i miei lavori ho trovato una foto che ritraeva un meraviglioso esemplare in livrea iraniana!

La scelta a questo punto è stata obbligata dato che sono un amante delle livree desertiche

Il Kit:

Ma veniamo al modello. Il kit è il famoso hasegawa in scala 1/48, un buon kit che a mio avviso presenta alcuni handicap di non poco conto se rapportati al prezzo, ad esempio diversi pezzi in positivo, l’impossibilità di poter abbassare slat e flaps direttamente da scatola senza comprare costosi aftermarket oltre a decals pessime e nemmeno complete negli stencils. Tuttavia è il miglior kit esistente in commercio ed è corretto nelle forme e ha un buon fit.

Gli aftermarket utilizzati sono stati l’ottimo cockpit in resina dell’Aires (dedicato alla versione RF-4 B , ma modificando in parte i cruscotti si può adattare bene anche ad un RF-4 E), il postbruciatore e gli ugelli di scarico della stessa ditta,  e il foglio decals di altissima qualità della ditta HI-LINE 48-023.

Il lavoro è iniziato dall’adattamento del cockpit Aires nella fusoliera,  operazione, fortunatamente, poco complessa. In seguito, dopo aver fatto una bella colata di cianoacrilica per fissare il tutto, ho unito le due semifusoliere e il montaggio è proseguito abbastanza velocemente e senza particolari fessure da stuccare.

Gli unici punti in cui sono intervenuto sono la giunzione ali fusoliera dove ho utilizzato lo stucco epossidico Tamiya, e e sulle minime fessure delle prese d’aria utilizzando  il White Putty, sempre della Tamiya. Per l’apparato di fotoricognizione non ho fatto ricorso ad alcun aftermarket poiché, per quello che si vede con i portelli chiusi, va benissimo quello che ci fornisce il kit Hasegawa.

A questo punto è arrivato il vero dilemma! Quali colori utilizzare per il sabbia e per il marrone della mimetica??? Le istruzioni HI-Line  davano il Federal Standard che non corrispondeva a nessun colore in commercio. Perciò sono andato, come direbbe l’amico Massimo “Pitch Up” del forum di Modeling Time, a occhiometro! E ho deciso di utillizzare i colori Tamiya XF-52 Flat Earth che andrà schiarito con del bianco, e l’XF-59 Desert Yellow che raggiunge la giustà tonalità dopo essere stato “mixato” con del Gunze H-310 F.S. 30219.

Successivamente a una mano di bianco come primer ho effettuato il preshading solamente nella zona inferiore del velivolo (che verrà verniciata in Camouflage Grey Gunze H311) spruzzando qualche macchia di nero anche all’interno dei pannelli.

A questo punto per me è iniziata la parte divetente: l’esecuzione della mimetica!

Dopo aver steso il colore sabbia (XF-52 schiarito), sono passato alle mascherature col famoso Patafix. Una volta ultimato il camouflage, sono partito con il post shading schiarendo molto l’interno dei vari pannelli. Con laverniciatura e il primo step di invecchiamento, ho ripassato i tre colori della mimetica con le tinte originali del barattolino molto diluite. Facendo così il modello ha preso un’aria decisamente “spagnoleggiante” (aggettivo nato dalla scuola modellistica spagnola che gioca molto sui contrasti e sulle ombreggiature accentuate), e devo dire che mi ha davvero soddisfatto.

Dopo aver colorato la parte inferiore del “Fantasma”, ho steso tre mani molto diluite di Future che hanno preparato il fondo per i successivi lavaggi. Sul sabbia ho effettuato un washing in Bruno Van Dyck, sul marrone ho fatto un mix al 50% di nero e 50% Bruno Van Dyck  e sul verde ho utilizzato il nero puro. Sul grigio della zona inferiore ho effettuato un lavaggio in grigio chiaro. Tutti i colori a olio sono stati diluiti con poco diluente Humbrol per ottenere una consistenza  molto densa e delle pannellature molto definite. A questo punto ho passato un altro paio di mani di Future per lucidare a dovere il modello  e iniziare la posa decals; Che dire, le decalcomanie Hi-Line sono veramente eccezionali, ottima aderenza e ottima reazione ai liquidi Gunze Setter e Revell Decals Soft, non si potrebbe desiderare di meglio!

In seguito alla desaturazione delle decals ho passato l’ultima mano di Future per sigillare il tutto, e ho  sporcato la zona inferiore dell’aereo con i gessetti colorati. Purtroppo non ho ottenuto l’effetto desiderato: infatti la zona inferiore risulta ancora troppo pulita. Devo affinare la tecnica dei gessetti, non ho molta esperienza. Tuttavia ,questo forse non è un male poiché le pochissime foto che ho reperito di Phantom iraniani li ritraggono abbastanza puliti.

La finitura finale al modello l’ha data una mano di trasparente opaco smalto della Model Master, dopo di che, sono passato all’assemblaggio e alla colorazione dei carrelli al quali è stato applicato un lavaggio in BrunoVan Dyck. Una volta incollato il carrello ho passato un’altra mano molto leggera di trasparente opaco e ho eliminato le mascherature  dal canopy e dal windshield!

Finalmente il mio RF-4 Phantom in carico alle forze aeree dello Scià di Persia è finito!

Colori utilizzati:

Sabbia Tamiya XF-52 shiarito con bianco
Verde Scuro Gunze H309
Marrone Tamiya XF-59 schiarito possibilmente con F.S.30219 e un po’ di bianco
Grigio Gunze H311

Consiglio di diluire i colori Tamiya con il loro diluente specifico e di aggiungere una minima parte di tamiya retarder, il risultato è quasi a livello dei Gunze.


Il Gobbo Maledetto – Sm.79 “Sparviero” dal kit Italeri in scala 1/72.

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1217 esemplari costruiti dal 1936 fino 1943.
Venti anni di operatività nei ruoli di bombardiere, silurante e trasporto.
Primato mondiale su circuito chiuso di 2.000 km.
Inconfondibile linea elegante ed aerodinamica.

Bastano questi dati per farsi un idea di cosa rappresentò il “gioiello” dell’ingegner Alessandro Marchetti per la nostra aeronautica e per farsi un idea di cosa significhi questo velivolo per un modellista italianofilo della seconda guerra mondiale: impossibile resistere alla tentazione di esporne uno in vetrina!
Da buon settantaduista quale io sono, la scelta è stata quasi obbligata:kit italeri in 1/72.
Appena acquistata la scatola mi sono buttato a capofitto sul trimotore,consapevole di cosa dovevo aspettarmi.

Il kit:
L’Sm.79 Italeri (codice 1290) è sicuramente da annoverarsi tra i kit degni di nota dell’ italica marca: dettagli interni molto buoni, pannellature in negativo ottimamente incise, piani mobili posizionabili, decal accettabili e qualità della plastica buona.

Note dolenti sono:

  • Gli incastri,ove è richiesto uso abbondante di stucco e carta vetrata.
  • L’approssimazione di alcuni pezzi,come l’intelaiatura superiore del vano bombe
  • La mancanza di importanti dettagli.

…ma, si sa, questa è l’italeri.
In conclusione,sicuramente si può ottenere un buon risultato anche montando il kit da scatola, ma per una resa migliore e molto più fedele è indispensabile  l’acquisto di set di dettaglio, o l’autocostruzione con materiali vari. Personalmente, ho scelto quest’ultima via reputandola più divertente e ricca di soddisfazioni.

Montaggio, autocostruzioni e verniciatura degli interni:
Per prima cosa, dopo una sommaria prova a secco, ho iniziato dettagliando la vasca del puntatore basandomi su foto dell’aereo vero; in pratica,  ho realizzato con del semplice filo di rame alcune intelaiature mancanti.
Stesso trattamento per quanto riguarda l’interno dell’aereo:
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In seguito ho riprodotto il sistema di puntamento delle bombe (un dispositivo caratterizzato da molte leve posto nella parte anteriore della vasca, subito dopo il vano bombe), ed ho aggiunto qualche particolare nel cockpit e sul pannello strumenti.

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L’autocostruzione più impegnativa è stata quella del castello bombe e delle varie guide per gli ordigni; per prima cosa ho rimosso l’apertura inferiore del suddetto vano proposta dall’Italeri (una piastra di plastica con cinque fori) e dopo aver costruito da zero la struttura tubolare che ne delimita la zona (sempre con del filo di rame, ma questa volta con diametro maggiore), ho realizzato le cinque guide con del foglio di rame tagliato su misura e poi modellato a forma di cilindro. Il tutto è tenuto insieme da un asticella di plasticard.
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Successivamente, allo scopo di ottere un risultato più realistico e con dimensioni fedeli alla scala,  ho ricreato l’intelaiatura presente sotto la caratteristica “gobba” dello Sparviero con tubicini di plastica Evergreen, plasticard e filo di rame ed utilizzando il pezzo fornito dal kit come riferimento.
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Infine, ho dettagliato i tre motori stellari con il solito filo di rame.
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Terminate le autocostruzioni ho iniziato la verniciatura degli interni, seguita dall’invecchiamento con dei lavaggi ad olio.

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A questo punto è arrivata la fase del montaggio vero e proprio unendo le due semifusoliere e le ali; necessario l’uso di stucco, dato che le giunzioni (sopratutto quelle ali/fusoliera) non sono il massimo in quanto a precisione.
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Finito il lavoro di stuccatura e di carteggiatura, ho realizzato l’ultima autocostruzione : le guide dei siluri sotto al ventre del modello. Certo, questo significa proprio complicarsi la vita, ma quelle del kit proprio non mi garbavano!
Per prima cosa, basandomi su foto dell’aereo vero, ho  modificato le guide dell’italeri accorciandole in altezza e eliminando le inutili strisce di plastica tra un “asta” e l’altra.
Una volta incollate sul modello, ho realizzato i due agganci del siluro utilizzando il solito filo di rame e lamina di rame tagliata a dovere.
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Prima di avventurarsi in questa difficile autocostruzione,consiglio di fare molte prove a secco in quanto c’è il rischio che il siluro assuma un inclinazione errata alla fine della lavorazione.

Per chiarire meglio le idee, faccio ora un breve riassunto delle varie modifiche da me eseguite:

  1. Vasca del puntatore.
  2. Sistema di puntamento bombe.
  3. Vano bombe.
  4. Intelaiatura superiore del vano bombe.
  5. Cockpit/pannello strumenti.
  6. Guide siluri.
  7. Motori

Verniciatura:
Il modello è stato verniciato interamente ad aerografo con colori acrilici.
le macchie sono state realizzate a mano libera, mentre ho utilizzato del nastro tamiya per realizzare lo stacco tra il grigio dei bordi d’attacco delle alli e della nache motori, e la mimetica.

I colori utilizzati sono:

  • TAMIYA NATO brown – XF-68.
  • GUNZE H-65 Black Green+ 5% di Giallo
  • LIFECOLOR UA 107 Italian Sand
  • GUNZE H-308  Gray

L’esemplare  che ho deciso di riprodurre è il numero “2” del 132° Gruppo Autonomo A.S. (Aero Siluranti) della 281a Aquadriglia di stanza a Rodi, nel 1941.

Terminata la verniciatura,ho passato la consueta mano di trasparente lucido Tamiya, invecchiato il modello con dei lavaggi ad olio ed applicato le decal. Quest’ultime sono state trattate con il Mr. Mark Softer e Mr. Mark Setter della Gunze per ammorbidirle ed evitare il silvering.
Infine ,dopo aver dato una nuova mano di lucido ed una di opaco Gunze, ho terminato il modello posizionando i cavi delle antenne
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Per concludere, sono soddisfatto del lavoro ma, come in ogni modello, c’è qualche imperfezione che avrei potuto evitare con un po’ più di pazienza. Concorderete tutti sul fatto che noi modellisti difficilmente ci accontentiamo al 100% del nostro lavoro!

Sperando che sia piaciuto anche a voi, vi saluto tutti.

Ciao!

Leonardo “thunderjet” F.
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Star Wars – Cloud Car – Modello autocostruito.

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Fan della prima trilogia di Star Wars e patito dell’autocostruzione decisi di realizzare un modello della serie in questo modo.

La scelta è caduta sulla twin pod cloud car dal film “L’impero colpisce ancora “. L’ho scelta per la sua semplicità di forme, per il design un pò retrò e perchè sono stato attratto dal fatto che è l’unico mezzo “colorato” in un universo di astronavi bianche e grige. Senza contare che è uno dei pochi modelli inesistenti ( fino ad ora ) sotto forma di kit.

Costruzione:

Ho iniziato realizzando con dei segmenti di plasticard riempiti di stucco il master delle due semifusoliere.

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Da questi, grazie ad uno stampo in silicone, ho ricavato i positivi in resina epossidica delle due fusoliere perfettamente simmetriche.

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A questo punto ho dettagliato le superfici incidendo le pannellature, creando con il trapanino l’incavo che contiene il cannoncino laser, aggiungendo dei pannelli in rilievo fatti con del plasticard molto sottile, alcuni rivetti realizzati con sezioni di sprue e una bugna nella parte inferiore esterna delle fusoliere realizzata con plasticard sagomato.

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Con la tecnica della termoformatura ho costruito una specie di scudo posizionato nella parte posteriore, come dima ho usato il master della semifusoliera superiore; poi ho praticato delle file di forellini con un minitrapano e le ho unite con un seghetto da traforo, in questo modo ho realizzato, con molta pazienza, la griglia di 12 fessure per scudo.

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La parte più difficile è stata la costruzione dell’ala centrale comprendente il motore che unisce i 2 moduli, sopratutto per la difficoltà di trovare immagini dei dettagli.

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Quando ho iniziato il modello, era il 1997, internet non era come oggi una fonte quasi inesauribile di immagini anche ad alta risoluzione, per cui dovevo aspettare di trovare nuove pubblicazioni che mostrassero il modello originale da altri punti di vista rispetto a quelli che avevo già.

Per il cockpit, ho realizzato solo ciò che si vedeva nelle foto a mia disposizione: il pilota e parte del sedile, ambedue scolpiti col pongo e stampati in resina.

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I tettucci del modello originale erano composti solo dai frames, senza la parte trasparente, questo perché con la tecnologia utilizzata negli effetti speciali dell’epoca, era fondamentale che i modellini fossero privi di parti che potessero produrre riflessi indesiderati durante le riprese, quindi per essere più fedele possibile ho fatto la stessa cosa.

Data la loro architettura non ho potuto fare un master e poi duplicarlo, ma ho dovuto costruirli tutti e due ex novo con profilati e Plasticard .

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Colorazione:

Apparentemente molto semplice; ho dovuto fare diverse prove prima di arrivare a una tonalità di arancione che mi soddisfacesse, non volevo che fosse troppo saturo ne troppo giallo, inoltre quando passavo il trasparente la tonalità cambiava notevolmente. Ho usato gli acrilici tamiya miscelando rosso, giallo e grigio in proporzioni diverse, poi ho colorato dei pezzi di plasticard sui quali ho passato il trasparente opaco, una volta asciutti ho scelto quello che più si avvicinava al colore visto nelle foto.

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Per quanto riguarda l’invecchiamento bisogna fare un discorso a parte; il mio modello non è la riproduzione di un mezzo reale, ma la replica di un altro modello, per cui non ho usato le tecniche che si usano nel modellismo tradizionale come i lavaggi o le lumeggiature per evidenziare i dettagli, perché nelle foto si vede benissimo che sull’originale non sono state utilizzate, e io volevo che il mio modello fosse la copia esatta di quello realizzato per le riprese del film.

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Inoltre la resina mi ha permesso di incidere le pennellature più profondamente rispetto ad un modello in plastica, e temevo che evidenziandole ulteriormente con del colore avrebbe reso il tutto troppo disegnato. A parte questo c’è da dire che il soggetto è molto pulito rispetto ad altre astronavi della trilogia, ha solo alcuni pannelli di tonalità diversa e degli sbaffi neri dietro i cannoncini. Per fissare il tutto ho usato un trasparente opaco alla nitro, quello in bomboletta per intenderci, travasato in un barattolino e diluito ulteriormente per essere spruzzato ad aerografo, in modo da dare uno strato più leggero rispetto a quello che avrei ottenuto usando direttamente la bomboletta.

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Per completarlo ci ho messo circa 4 anni, passati perlopiù a fare ricerche.

Gabriele.


Bibbliografia:

  • The art of The Empire strikes back……………edizioni Del Rey.
  • Star Wars chronicles………………….edizioni Chronicle books.
  • From Star Wars to Indiana Jones……edizioni Chronicle books.
  • Varie riviste dedicate alla saga di Star Wars.

F/A-18F Super Hornet “Diamondbacks” – kit Revell scala 1/48.

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1.1.2010, inizia il Group Build “US NAVY” di ModelingTime e io vi partecipo con la scatola della Revell dell’F/A-18F in scala 1/48 cod.04509. La scelta è caduta più per la colorazione che per la qualità del kit, che non conoscevo; Infatti, il rappresentare l’esemplare con lo schema del VFA 102 “Diamondbacks” 50th Anniversary scheme 2005 è stato motivo di entusiasmo. Quando ho aperto la scatola, a prima impressione il kit non è sembrato malvagio, anzi. La plastica è buona, non troppo morbida, le pannellature e le rivettature sono in negativo anche se poco profondi; i vani dei carrelli sono ottimamente dettagliati,  la fusoliera è un tutt’uno con le ali e divisa dal muso anteriore. L’armamento in dotazione è composto in coppia da missili  Sidewinder AIM-9X, AIM 120-C AMRAAM, HARM, da due MK 83 GP Bomb e dalla sonda AN/ASQ-228 AF. Fin qui la Revell sembra essersi comportata benino, ma l’unica pigrizia che ha avuta è di non aver predisposto il kit con slat e flaps separati dall’ala. Gli stessi timoni sono un unico pezzo con le derive. E visto che di Calabroni con flap, slat e timoni “fissi” non ne ho mai visti, mi passano strane idee di modifica di quei pezzi necessari per un aspetto più realistico del modello. Volete sapere alla fine cosa ho migliorato e modificato? Leggete e scoprirete.

Fatta una lunga perlustrazione sul web e raccolto immagini e informazioni utili, mi avvio ai lavori del kit. Taglierini alla mano comincio a sezionare intanto tutte le parti delle ali per la modifica, e cioè slat e flaps. Quest’ultimi vengono riempiti alle estremità di stucco perché bisogna dargli la giusta forma arrotondata nei punti d’attacco all’ala; e qui, via a forza di olio di gomito e carte vetrate. Rifaccio anche le due barre orizzontali con plasticard da 0.10’’ perché quelle tagliate dal kit sono troppo spesse. Modifico anche le quattro cerniere in posizione piegate, faccio una prova a secco di tutti i pezzi e sembra tutto ok. Le ali piccole subiscono anche la loro modifica. Infatti, notando alcune foto che ritrae l’aereo con le ali piegate, ho quindi tagliato l’incavo dove sarebbe stato inserito il meccanismo di apertura e chiusura. Non avendo al momento a disposizione tondini di plasticard, e dovendo trovare qualcosa del giusto diametro, ho usato semplicemente due stuzzicadenti (tagliati a dovere), dove ho incollato poi sette (tante quante sono) striscioline di plasticard. Poi ho incollato un altro pezzo rettangolare di plasticard per facilitarne l’inserimento dentro l’ala; Qui mi sono accorto che mancava qualcosa, cioè la piastra che copre il meccanismo di apertura/chiusura dalla parte interna; fatta anche quella con i relativi agganci! Con mia grande sorpresa, tutto stava filando liscio come l’olio.

Flaps tagliati

flaps arrotondati

modifica semiala 1

modifica semiala 2

modifica semiala 3

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Fatto questo è il momento delle prese d’aria. La scomposizione non è complicata anzi, e il montaggio necessita solamente di un piccolo strato di ciano e qualche colpetto di carta abrasiva. In quest’operazione qualche pannellatura scompare, ma si rimedierà poi.

Prese aria - flaps

Una volta finito con la prima modifica passo all’abitacolo. Qui subito cestino la vasca del kit (seggiole comprese), metto mani alla carta di credito e ordino il set AIRES 4279 del cockpit dedicato al modello Hasegawa, ma che per il Revell và anche bene. Il set è una meraviglia, s’incastra benissimo solo con piccoli colpetti di lima alla base e lateralmente. A proposito, l’Aires monta la strumentazione con i LOT antecedenti al 26, quindi và bene per una rappresentazione dell’esemplare con operatività fino al 2005,  per una data successiva bisogna adattare il pit della Black Box con la strumentazione corretta.

La vasca è in Gunze H307 con le consolle laterali e strumenti vari in nero, e “lavata” con nero ad olio diluitissimo. Per il dry brush bisogna stare attenti a non esagerare. I seggiolini come solito Aires, sono dotati di cinture e accessori in fotoincisioni. Il telaio e il poggiatesta sono in nero, per i cuscini invece sono partito da un Dark Green dove ho aggiunto Khaki (poche gocce), giallo e bianco. Per le cinghie ho semplicemente miscelato il blu e il giallo, ed al verde ottenuto ho aggiunto una goccia della miscela precedente. Poi per dare un tocco in più, con pennellino fine e con rosso e bianco ho simulato le “istruzioni” laterali al poggiatesta. Alla fine fanno la loro bella figura.

cockpit

cockpit 1

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seat 2

Progetto2

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Incollate le due semifusoliere, inserito il pit e chiuso il musetto debitamente appesantito con vari bulloncini all’interno, si procede all’unione di tutto. Qui lo stucco non deve mancare specie ai laterali dove si formano bei scalini.

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Poi tocca al pezzo da inserire dietro il cockpit con la fusoliera. Qui il pezzo Aires non ci viene d’aiuto perche è troppo corto e forma una volta montato anche uno scalino di 1 mm davvero irreale (va bene per il kit japan), allora opto per l’inserimento del suo, arricchito con qualche accessorio cannibalizzato dal pezzo Aires. La palpebra anteriore Aires forma un’enorme vuoto con il resto del musetto, allora bisogna colmare questa voragine con plasticard sottile. Il plasticard dovrà essere usato anche per coprire tutte quelle parti rimaste vuote a causa dei “tagli”.

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Andando avanti col montaggio, è l’ora di incollare definitivamente i flaps modificati all’ala e la barra. Qui, oltre all’attacco alle cerniere, si deve creare un perno che inserito all’interno, renda più stabile il flap con l’ala. Fatto e incollato tutto con ciano, il risultato è stato sorprendente; flaps abbassati, allineati ed altamente realistici.

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Visti gli ottimi risultati ottenuti, la voglia di modifica e di dettaglio mi prende all’impazzata a tal punto che nessun pezzo a seguire sarà esente da ciò.

Le derive hanno avuto anche la loro modifica. Si devono forare e assottigliare le estremità sotto l’antennino. Ho separato poi con cutter i due timoni e inciso in loro i tre punti d’attacco. Attaccate le derive che s’incastrano bene, ho aggiunto i generatori di vortice ai lati delle piastre posteriori della fusoliera e incollati i timoni in posizione asimmetrica.

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La modifica successiva riguarda il pilone centrale dell’unico serbatoio in dotazione. Infatti il pilone è un po’ fuori misura nella profondità perché montato scende oltre la presa d’aria, cosa che paragonata col vero non è. Quindi si dovrà assottigliarlo di almeno 2 mm e si dovrà intervenire alle estremità per fare gli spigoli a punta e non lasciarli piatti.

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Pilone

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Procedendo ancora col montaggio arriva l’ora dei piloni sub alari. Eh Eh, e qui altre lampade si accendono in testa. Foto alla mano, noto un “vuoto” centrale in ogni pilone, e visto che il mio modello non dovrà essere caricato di bombe, decido di intervenire anche su di essi.  Per prima cosa ho aperto un rettangolo nella parte centrale e poi, tagliando parti originali e aprendo un’altra porzione, ho inserito plasticard cercando di ricreare il pezzo dove sono presenti i perni centrali e le quattro piastre circolari esterne per l’attacco di bombette o quant’altro. Vi garantisco che avevo un pò di timore nel cimentarmi nell’impresa per paura di rovinare il pezzo! Diciamo invece che me la sono cavata e devo dire di aver dato un pò di realismo ad un pezzo alquanto scialbo.

Pilone modificato

Pilone modificato 2

Pilone modificato 3

Pilone montato ala

Adesso è il turno del gancio d’arresto. Quello del kit è tutto d’un pezzo; manca dell’alloggiamento del gancio al supporto e di altri piccoli dettagli.

Dopo aver separato il gancio dal supporto, guardando la foto, ho agito come segue:
-Il punto 1 è stato arrotondato davanti, e dietro rifinito a spigolo; originariamente era squadrato e troppo spesso;
-Al punto 2, armato di trapanino e cutter, ho creato il vano dove andrà ad inserirsi il gancio; qui l’operazione è molto delicata perchè il rischio di sfondare tutto è alto. Poi con punta fine ho creato i fori per l’inserimento di un perno in filo di rame, che dovranno essere coperti perchè non in vista;
-L’estremità del gancio (punto 3) è stata letteralmente modificata. Visto che il kit portava il gancio come un pezzo di plastica insignificante, sempre armato di cutter, ho inciso piano piano scavando la parte interna ed esterna e creando un piccolissimo forellino come vedasi dall’originale; altro piccolo passo avanti è stato fatto.

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E’ arrivata l’ora dei carrelli e ruote.

Il carrello anteriore e posteriore sono stati dettagliati con relativa cavetteria e condotti idraulici. La maggiore miglioria l’ha avuta il carrello posteriore. Infatti dalla parte di giunzione dei due gambi (verticale e orizzontale) essendo tutto un pezzo di plastica privo di dettaglio, ho scavato con la lima e cutter, poi ho inserito un cilindretto tra i due perni per simulare il meccanismo di “ripiegamento” dei gambi! Poi ho aggiunto la cavetteria necessaria nella parte interna e con qualche mini dettaglio, facendo riferimento alle foto! Anche il pistone è stato creato con tondini da 3.2 e 2.5 mm.

Adesso sì che sembra un carrello degno di un Super Bug.

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Progetto1

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Le ruote anteriori hanno avuto anche il loro piccolo ritocco. Infatti originariamente erano troppo squadrate ai bordi quindi ho dovuto, pazientemente e giocandomi due dita , arrotondarle per dargli una forma più realistica. Le ruote posteriori invece sono ok e il kit le porta già con l’effetto “peso”.

Progetto3

Il pilone della sonda AN/ASQ-228 AF è stato anch’esso modificato. Il pezzo del kit è scorretto e bisogna di una bella carteggiata per farlo a spigolo. L’operazione è molto delicata perchè lo spessore della plastica è molto ma molto sottile.

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Dopo questo, mi avvio all’ultimo dei montaggi e cioè quello dedicato al canopy! Neanch’esso è rimasto esente dalle torture. Nel trasparente è presente la linea centrale dello stampo che ho eliminato con l’aiuto delle limette miracolose per le unghie. Ho aggiunto i due montanti trasversali e precisamente quelli degli specchietti retrovisori che provengono dal set Aires, mentre i due longheroni laterali dal kit. Proprio quest’ultimi li ho dettagliati meglio con l’aggiunta di cavetti e piccole bombolette e decals rattaccate dal foglio Daco, oltre che naturalmente ai ganci di chiusura laterali e barra interna.

Canopy lucidato

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COLORAZIONE E DECALS:

Il modello è caratterizzato dalla colorazione TPS con derive e gobba rossi. Si passa prima a spruzzare le tinte grigie della livrea cioè Gunze H307-308 schiariti del 5% con bianco, poi si procede col rosso.

Dopo aver accuratamente mascherato tutto, procedo alla colorazione della gobba e derive. Visto che il rosso Gunze è troppo scuro, ho scelto il Tamiya X-7, e con l’aggiunta di qualche goccia di bianco e senza esagerare, si arriva ad un leggero “vermiglio” come il tono delle decals. A tal proposito sottolineo che la DACO mette a disposizione una decal neutra rossa da usare come fonte di pargone con la tinta rossa ottenuta.

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Ultimata la livrea, montati gli scarichi e spruzzati in H18, finito i pozzetti, i carrelli (bianchi con lavaggi di nero ad olio) e fatto un leggerissimo post ho spruzzato il lucido per la volata finale! Il tutto riposerà almeno 2 giorni visto che i lucidi è meglio farli asciugare benino!

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Per il lucido ho usato per la prima volta il Microscale Micro-Gloss (lucidante). Si spruzza molto bene diluito con acqua distillata (30% luc + 70% acq), e come tutti i lucidi bisogna fare attenzione a non esagerare. Una volta asciutto, forma uno strato liscio e fine, ottimo per i lavaggi. Quest’ultimi li ho fatti ad olio con un grigio (nero+bianco) di leggera tonalità per non appesantire molto i contrasti tra pannellature e il resto della colorazione.

Le decals sono stampate in Italia dalla DACO, .… davvero eccezionali. Fini e resistenti, reagiscono bene al Mark Softer Gunze. Una volta attaccate tutte, nuova passata di lucido per sigillare tutto e poi nuovamente una miscela stavolta di Micro-Gloss + H20 Gunze (opaco) su tutto il modello tranne sugli scarichi che sono opachi.

Come rappresentazione finale ho deciso di “armare” il modello con due AIM 120-C AMRAAM ai piloni esterni, quest’ultimi inclinati rispetto all’ala di circa 3.5° (ottimo  suggerimento  dell’ amico  forumista  Paolo – microciccio),  e con un Sidewinder sull’ala destra.

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Alla fine dopo 10 mesi ce l’ho fatta a finirlo e a terminare il mio primo Group Build su ModelingTime. Il fatto di portarlo a termine con tutte queste modifiche, mi ha fatto vincere una bella scommessa ma non contro il modello, ma contro le mie possibilità.

Grazie a tutti coloro che mi hanno seguito con i loro consigli nel Work In Pogress. Potete visualizzare tutte le immagini del modello anche nella GALLERY.

Ciao e B(u)onomodellismoVox a tutti

Francesco BonoVox Miglietta

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Let it snow, let it snow, let it snow. Effetto Neve PROCHIMA

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Effetto Neve Prochima

Ecco il review di un altro effetto molto utile da utilizzare sui vostri diorami: l’effetto NEVE.
In precedenza avevamo visto come creare un effetto neve nell’articolo della Battaglia di Novgorod
In quest’altro articolo avevamo creato delle piccole basette per miniature e tra loro, avevamo sperimentato la creazione della neve tramite stucco diluito. Se da una parte si era ottenuto un risultato abbastanza soddisfacente dal punto di vista della quantità e corposità della neve, dall’altro il tutto risultava leggermente piatto e non molto realistico.

In questo nuovo articolo vi mostreremo come utilizzare L’effetto Neve della PROCHIMA.
La caratteristica che più ci è piaciuta di questo effetto, è la semplicità e velocità con cui può essere applicato. In pratica si utilizza nello stesso modo del flock. C’è un collante che va steso sulla superficie da “innevare” e c’è una polvere finissima che andrà applicata sopra.

Si potrà procedere nel seguente modo:

  • stesura del collante
  • spargimento dell’effetto neve in grande quantità sulle zone ricoperte da collante
  • rimozione della polvere in eccesso.

Il tutto potrà essere ripetuto fino all’ottenimento del risultato desiderato.

L’effetto risultante, che rende il prodotto superiore alle altre sperimentazioni, sarà ben visibile alla luce del sole dove la minuscola polvere rifletterà la luce in modo molto simile alla neve.

Una considerazione che potremmo fare è riguardante la corposità dell’effetto. Per creare zone particolarmente innevate, sarà necessario utilizzarne molto. Non abbiamo ancora sperimentato il comportamento dell’effetto in grandi spessori ma appena lo faremo lo saprete. Nel nostro caso l’utilizzo di una tecnica mista ha dato un buon risultato e ci sentiamo di consigliarvi l’utilizzo di questo prodotto come finitura finale per la vostra neve.

Di seguito trovate la galleria con le varie fasi.

Abbiamo pensato di procedere anche con l’utilizzo dell’effetto acqua del precedente articolo per vedere come i due effetti potessero amalgamarsi tra loro per creare un diorama ancora più realistico.

Effetto Acqua E-30 PROCHIMA.

Uno dei modi migliori per rendere un diorama realistico, è usare degli effetti realistici. Tra tutti gli effetti che si possono sperimentare con tecniche diverse, sicuramente l’effetto acqua è il più apprezzato. In precedenti articoli, abbiamo visto come creare l’acqua in diorami senza l’utilizzo di effetti preconfezionati.
In questo caso vedremo come utilizzare l’effetto Acqua della PROCHIMA per abbellire due dei nostri diorami.

Qui di seguito potete vedere il video che abbiamo creato per il canale youtube.

CLICK QUI PER IL LINK DIRETTO AL VIDEO!

Quello di cui avremo bisogno:

  • due contenitori per i due rispettivi componenti
  • un mestolino per aiutare il mescolamento (può essere tranquillamente un bastoncino di legno o plastica)
  • una bilancia
  • L’effetto Acqua E-30 Prochima

Prima di tutto dovrete cercare di capire volumetricamente quanto effetto utilizzare. Dopodichè dovrete mischiare i due componenti secondo la proporzione 100:60. Questo vuol dire per esempio che ogni 100 grammi di componente A, dovrete utilizzare 60 grammi di componente B.

Parlando operativamente, vi consigliamo di scuotere i due componenti  nelle loro bottiglie per accertarsi del loro effettivo mescolamento. Dopodichè potrete versare nel primo contenitore la quantità stabilita del componente A. Pesatela e per ottenere la quantità di componente B effettuate il seguente calcolo:

Componente B= (Componente A/100 ) x 60

Una volta pesata la giusta quantità di componente B, potrete mischiare aiutandovi con il “mestolino”.

Mischiate bene perchè c’è tempo… e sopratutto un buon mescolamento iniziale, renderà migliore la reazione e l’effetto finale.

A questo punto potrete gentilmente versare l’effetto acqua sul vostro diorama. Fate attenzione a coprire tutti i buchi o le fessure dalle quali potrebbe uscire.

A causa della reazione esotermica la PROCHIMA consiglia di versare al massimo 1,5 cm di spessore alla volta. Potrete sempre aggiungere livelli successivi al prima una volta asciutto.

Potrete continuare a lavorarci (magari per creare dei piccoli effetti di increspatura oppure per includere pezzi di roccia o altro) per circa 50 minuti. L’indurimento completo avverrà in circa 10 ore. Vi consigliamo comunque di non toccarlo prima di 24 ore per non danneggiare accidentalmente la superficie (magari con una bella impronta digitale!).

Contenitori per mischiare:

Effetto Acqua E-30 PROCHIMA:

Pesare componente A:

Mischiare componenti:

Versare l’effetto sull’effetto scenico:

Risultato:

Versare l’effetto su un diorama:

Risultato:

Alla prossima!

Simmonsstummer