venerdì, Giugno 27, 2025
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Carioca Skyhawk – AF-1 Falcão (A-4KU) dal kit Hasegawa in scala 1/48.

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Il Brasile: sole, mare, spiagge bianche, belle donne…. e gli A-4 Skyhawk!

Se pensando a questo stupendo paese tropicale vi sono venute in mente le prime quattro cose, bè… siete delle normalissime persone. Se oltre a quelle avete aggiunto il piccolo bombardiere della Douglas, allora siete anche degli “incalliti” modellisti! Ebbene sì, forse non tutti sanno che la Marinha do Brasil – la Marina Militare Brasiliana – nel 1998 acquisì dal Kuwait, grazie anche all’interessamento del governo americano, ventitré (di cui tre biposto) A-4 KU Skyhawk. All’atto della consegna, avvenuta in settembre, gli ex velivoli kuwaitiani avevano all’attivo poche ore di volo: circa 1700 sul totale di tutte le cellule.

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Gli A-4 KU erano, sostanzialmente, basati sulla variante M (A-4 M e OA-4M) americana di cui conservavano la capacità autonoma di avviamento del propulsore, terminale della deriva squadrato, freni aerodinamici, paracadute freno e il motore J52-P-408. Nonostante la presenza della “Avionic Hump” (la tipica gobba posta sopra la fusoliera) la “KU” era dotata di un sistema ECM meno sofisticato, e di minore capacità di utilizzo d’armamento rispetto alle versioni impiegate dal Corpo dei Marines.

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Dopo la formale accettazione da parte della marina brasiliana, gli Skyhawk del Kuwait furono ridisegnati ufficialmente AF-1 (per i monoposto) e AF-1A (per i biposto) “Falcao”. Le uniche modifiche che furono apportate riguardarono la colorazione e l’aggiornamento del sistema di tiro per permettere l’integrazione del missile aria/aria MAA-1 “Piranha”, prodotto localmente dalla Mectron, e di ordigni anti-nave. Nonostante questi upgrade, gli aerei vengono a oggi impiegati nel solo ruolo di caccia intercettori.

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Il modello:

La via più facile e veloce per ottenere una riproduzione in scala di un Falcao è partire dal kit numero 09729 dell’Hasegawa. In definitiva la scatola contiene lo stampo di un A-4 M cui è stato, provvidenzialmente, aggiunto lo sprue relativo al musetto di uno Skyhawk E/F (contraddistinto dalla lettera identificativa “R”). La vera nota negativa risiede nella scarsa reperibilità del prodotto giapponese, messo fuori catalogo oramai da qualche anno; l’unico modo per ottenerne uno è armarsi di pazienza e setacciare il web (in particolare E-Bay) alla ricerca di privati che ne mettessero in vendita qualche pezzo conservato nelle proprie collezioni personali.

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In alternativa, si possono percorrere due strade: la prima, la più costosa, consiste nel “Kit Bashing” di un A-4 E/F da cui prelevare la sezione anteriore per montarla su di un M…. Siete pronti a sacrificare due modelli per ottenerne uno solo?

La seconda, più semplice ma comunque non meno esosa, è l’acquisto della scatola numero 09575 o 09943, dedicati alla variante israeliana “N”, entrambe contenenti la tanto ambita stampata “R”.

Di norma sono abituato a dotare i miei modelli di numerosi aftermarket. Il kit giapponese dello Scooter (uno dei tanti nomignoli affettuosamente affibbiati all’A-4), però, è già bello e completo di suo. Il dettaglio superficiale (in un fine e preciso negativo) e quello concernente le parti interne è abbastanza ricco: lo testimoniano, infatti, i vani carrello che sono già stampati con una miriade cavi e tubazioni.

Questa volta, intenzionato anche a eseguire un montaggio veloce e rilassante, a completamento del mio Skyhawk ho acquistato solo pochi ma, a mio avviso, indispensabili accessori:

  • Eduard photoetched Zoom set FE482: non amo particolarmente le fotoincisioni, tanto meno quelle pre colorate che tanto di moda stanno andando da qualche anno a questa parte. Ad ogni modo la scelta per un set di arricchimento dell’abitacolo per gli A-4 KU è, purtroppo, limitata a questo prodotto.
  • Eduard Xpress Mask EX339: comode e pratiche, permettono di mascherare canopy e windshield con poco tempo.
  • Quickboost Colt Resin Gun Barrels 48222: questo set economicissimo fornisce i due cannoncini Colt da 20 mm in resina per sostituire quelli originali in plastica. Indubbiamente essi donano un tocco di realismo in più che non guasta mai.
  • Verlinden Escapac IG-3 Ejection Seat: gli A-4 e TA-4 KU furono equipaggiati con la versione IG-3 dell’ESCAPAC, una delle ultime prodotte. La Verlinden è l’unica, attualmente, a riprodurne in scala la copia più esatta. Oltre a questo, il seggiolino in resina presenta un dettaglio molto ricco con cinture già stampate.
  • FCM Decal “Skyhawk Part 1” 48044: il bel foglio decal della brasiliana FCM contiene tutte le insegne per ottenere un Falcao (biposto o monoposto) nella scala del quarto di pollice.

Dopo questa doverosa presentazione, tutto è pronto per iniziare con il montaggio vero e proprio!

Il cockpit:

Come di consueto per la stragrande maggioranza dei kit, i lavori hanno avuto inizio dal cockpit. Il suo livello di dettaglio potrebbe già essere sufficiente ma, per i miei canoni, esso rimane comunque un po’ spoglio. E’, però,  doveroso premettere che l’abitacolo ha dimensioni molto contenute e una volta chiuse le due semi fusoliere gran parte dell’interno rimarrà precluso alla vista.

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A conti fatti un set di fotoincisioni può bastare ad arricchire, quel tanto che basta, il pilot’s office. L’Eduard, nel suo Zoom Set, fornisce le consolle laterali suggerendo di eliminare tutti particolari pre stampati; personalmente ho scartato i pezzi PE mantenendo intatta la vasca di plastica e mettendo in risalto i vari bottoncini con un mirato dry brush in grigio e l’aggiunta di qualche pulsante in rosso e giallo. La strumentazione del cruscotto, al contrario, è stata asportata per far posto a quella fotoincisa della ditta ceca.

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L’intero abitacolo è stato dipinto in grigio chiaro F.S.36375 (ad eccezione dei rack avionici laterali in nero opaco), ed anche il pannello strumenti principale ha subito una parziale sovra verniciatura poiché la sua pre – colorazione poco si avvicinava alla tinta di fondo. Per fare questo ho mascherato con pazienza i singoli quadranti avvalendomi di piccole striscioline di nastro Tamiya; non ho badato granché alla precisione poiché, una volta incollato in posizione, la strumentazione rimarrà alquanto in ombra.

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Per mettere in risalto gli angoli e dare maggiore profondità, tutta la zona è stata sottoposta a un lavaggio eseguito con un grigio medio (la punta di uno stuzzicadenti “sporcata” di Nero Avorio Maimeri con l’aggiunta di poco Bianco di Marte della stessa marca) abbastanza diluito.

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Il seggiolino, invece, presenta la struttura in nero opaco, i cuscini in Olive Drab Vallejo (più facili da stendere a pennello) e le cinture in Ocean Grey XF-86 Tamiya. Anche in questo caso il sedile è stato sottoposto a un accurato “Washing” in Bruno Van Dyck che ne ha accentuato i contrasti; il tocco finale l’ha dato il solito procedimento a “pennello asciutto” in grigio chiaro e varie tonalità di verde (tra cui Cachi Drab e Luftwaffe Camo Green della Vallejo) che hanno messo in risalto tutti i piccoli dettagli come, ad esempio, le bellissime pieghe del tessuto che ricopre lo schienale. Per impreziosire ulteriormente il piccolo Escapac ho prelevato le maniglie di espulsione e alcune placchette di manutenzione dalle fotoincisioni Eduard già segnalate qualche riga sopra.

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Nonostante l’abitacolo sia, in pratica, da scatola, bisogna comunque intervenire assottigliando la plastica nel punto indicato dalla freccia nella foto che segue:

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Purtroppo la paratia del meccanismo di apertura del canopy che va incollata alle spalle della piastra blindata del pilota forza sulle semi fusoliere non permettendo il loro ottimale allineamento. Asportando un po’ di materiale nel punto indicato tutto tornerà a posto.

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Il montaggio:

Il montaggio è uno dei veri pregi di questo kit: semplice e lineare (aiutato anche dalle forme essenziali del velivolo), scorre molto veloce e senza particolari difficoltà. Prima di chiudere le due semifusoliere, ricordatevi di inserire all’interno del muso una cospicua quantità di piombini da pesca per evitare che il modello ultimato si sieda sulla coda (rischio accentuato anche dal caratteristico assetto dell’aereo), di verniciare i condotti delle prese d’aria e la ventola del turbo fan in bianco opaco e di inserire la camera di combustione del propulsore (verniciata in nero opaco).

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La caratteristica gobba che conteneva le apparecchiature avioniche supplementari non crea particolari difficoltà di montaggio, e l’uso dello stucco è davvero ridotto al minimo (personalmente ho utilizzato il Mr.Surfacer 500 a tale scopo). Discorso simile può essere fatto anche per le prese d’aria, che s’inseriscono con relativa precisione rimanendo pressoché in sagoma col resto della fusoliera. Ad ogni modo, per permettere ai condotti di innestarsi senza sforzo nei rispettivi alloggiamenti, ho preferito allargarne leggermente gli scassi utilizzando una lima a testa piatta.

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Come di consueto il pezzo A-6 (l’inserto da aggiungere in coda) mi ha costretto a un tedioso lavoro di carteggiatura e riempimento poiché esso è leggermente sottodimensionato e poco preciso negli incastri. Gli aerofreni, che l’Hasegawa fornisce separati per poter essere lasciati aperti, in realtà a terra sono spesso chiusi; così ho deciso di raffigurarli in questa posizione chiudendo e stuccando il tutto. Per facilitare l’allineamento delle superfici mobili ed evitare che esse potessero “annegare” nei rispettivi vani, ho incollato dei piccoli spessori di Plasticard:

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La grande superficie alare s’incastra molto bene nella sua sede lasciando solo piccole fessure. Personalmente, per non rovinare le numerose pannellature, le ho riempite utilizzando il Milliput con il solito sistema di creare un salsicciotto da spingere bene dentro il gap e portare via l’eccesso con una spugnetta bagnata di acqua.

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Dall’ultima immagine qui sopra si può notare anche il lavoro di adattamento subito dallo scarico: questo, infatti, è stato preventivamente controllato per verificare il corretto “fitting” rispetto alla sua sede. La prova è stata molto utile poiché ha rivelato dei grossi problemi dimensionali del pezzo (indicati dalla freccia rossa). Allo scopo di raccordare decentemente il terminale del propulsore al resto del modello, ho aggiunto alla sua base un tondino di Plasticard da 1 mm sagomato a dovere. Poi, dopo averlo incollato, l’exhaust è stato rifinito con ampia carteggiatura e massiccio uso di stucco. Qui sotto il risultato finale:

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Prima di incollare e raccordare il parabrezza (immerso assieme al canopy nella solita cera per pavimenti Future per donargli maggiore brillantezza), ho dipinto la palpebra sottostante in nero opaco e lumeggiato i particolari con il Tyre Black Gunze H-77, e aggiunto l’HUD (Head Up Display.) L’interno delle luci di posizione sono state verniciate in rosso (a sinistra) e blu (a destra) e, in seguito, incollate con ciano acrilico, rifinite e lucidate con pasta abrasiva. Con lo stesso criterio ho sistemato il piccolo indicatore di approccio integrato all’interno del bordo di attacco dell’ala sinistra, cui ho dipinto il fondo in argento per simulare la parabola riflettente.

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Conoscendo la mia solita pigrizia per la cura degli ultimi dettagli in prossimità della fine dei lavori, ho preferito preparare tutti i vari portelloni, pozzetti, gambe di forza e pneumatici dei carrelli con un po’ di anticipo: da premettere che ciò che ho elencato sopra va dipinto completamente in bianco opaco (ad eccezione delle gomme in Tyre Black H-77 cui ho evidenziato il piano di rotolamento del battistrada con una “sbruffata” di Grey F.S.36375), l’insieme ha subito il solito lavaggio con il medesimo grigio utilizzato per il cockpit molto diluito e fatto penetrare negli interstizi per esaltare la profondità. Ricordo poi che il ruotino anteriore era dotato del sistema di steering per la sterzata dello pneumatico (pezzo E-25), quindi l’aggiunta di qualche cavo idraulico ed elettrico, seguendo come riferimento la documentazione, lo completerà a dovere.

Prima di dichiarare, finalmente, ultimata la fase del montaggio, ho auto costruito le due antenne ILS installate su entrambe i lati della deriva. Al contrario di quanto indicato nel foglio istruzioni Hasegawa, queste piccole “fins” non sono squadrate, bensì hanno una forma pressoché rettangolare con bordi arrotondati.

Per ricrearle sono partito dalla cornice di un vecchio foglio di fotoincisioni in Alpacca (una lega di stagno e alluminio) che ha uno spessore ridotto e perfettamente in scala. Sull’impennaggio verticale ho aggiunto le piastre di rinforzo per la sede delle antenne: queste sono ricavate da un pezzo sagomato di alluminio adesivo per lavori d’idraulica.

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In accordo con la documentazione ho aggiunto anche una sottile antennina sotto al muso ricavata da una sezione di sprue stirato a caldo.

Verniciatura:

La fase della verniciatura è stata, senza dubbio, la più difficoltosa. Non tanto per l’attuazione della particolare mimetica che i “Carioca” Scooter vestono, ma per la riproduzione delle esatte tinte con cui essi sono rifiniti.

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Ufficialmente lo schema prevede tre diverse tonalità di grigio, una molto chiara per le superfici inferiori e due più scure per quelle superiori. Purtroppo, in commercio, non esistono pigmenti pronti all’uso e per realizzarli bisogna necessariamente affidarsi a miscele di vari colori. Di seguito le proporzioni da me realizzate:

Grigio chiaro F.S. 36515:

  • 80 gocce di Gunze H-307.
  • 40 gocce di Gunze H-325.
  • 55 gocce di bianco.

Grigio medio F.S. 36314:

  • 50 gocce di Gunze H-308.
  • 4 di XF-82 Tamiya.
  • 3 gocce di Blu XF-8 Tamiya.

Grigio scuro F.S. 36187

  • 40 gocce XF-66 Tamiya.
  • 20 gocce XF-24 Tamiya.
  • 4 gocce di blu XF-8 Tamiya.

La mimetica è stata riprodotta sul modello con il classico metodo del Patafix partendo dal grigio più chiaro delle superfici inferiori per finire con quello più scuro. Per la caratteristica conformazione dell’A-4, ho dovuto dividere verniciatura del grigio F.S. 36187 in due fasi: dapprima ho riempito le zone più basse della fusoliera e della deriva, poi ho mascherato nuovamente per terminare la colorazione a ridosso della dorsal spine e delle ali.

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In particolare, il tono più scuro è quello che mi ha creato più di qualche problema durante i vari mix. Guardando le foto dei velivoli reali esso assume continuamente dei viraggi differenti apparendo, di volta in volta, come un Gunship Grey o come un Extra Dark Sea Grey. In alcune immagini la vernice aveva anche degli stranissimi riflessi verdastri. Non è stato semplice coglierne l’esatta tonalità e, difatti, alla prima prova la tinta era troppo cupa e spenta.

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Per riportare il tutto a un tono più fedele a quello vero ho passato, su tutto il modello, una velatura di Light Compass Grey F.S. 36375 (Gunze H-308) su tutto il modello per schiarire leggermente il grigio più scuro e simulare un minimo d’invecchiamento.

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Il terminale del musetto e le aree circostanti le volate dei cannoni sono in nero opaco, mentre l’exhaust è stato rifinito con il Dark Alluminium Alclad (steso direttamente sulla plastica “nuda”) in seguito brunito con un paio di mani leggerissime di Hot Metal Sepia Alclad per simularne la cottura dovuta alle alte temperature dei gas di scarico.

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Weathering e Decalcomanie:

Parlare di “weathering” per i Falcao brasiliani non è del tutto corretto: i velivoli, infatti, sono sempre ben tenuti e presentano di rado segni di sbiaditure e di fuoriuscite di liquidi idraulici. Più per enfatizzazione modellistica che per reale necessità, ho comunque deciso di desaturare la sola mimetica superiore con le tinte di base leggermente schiarite con del bianco. Quest’operazione ha regalato al mio piccolo Skyhawk un minimo di tridimensionalità aggiuntiva che non guasta mai!

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Ad ogni modo, prima di procedere con i successivi passaggi ho steso su tutto il modello un paio di mani di trasparente lucido Tamiya X-22 diluito al 70% circa e addizionato di alcune gocce di Paint Retarder della stessa casa; questo accorgimento ha lo scopo di preparare il fondo sia alle varie insegne, sia agli indispensabili lavaggi per l’enfatizzazione delle pannellature.  Quest’ultimi sono stati eseguiti con due tonalità di grigio lasciando la consistenza del composto molto densa in modo da avere una sicura penetrazione ed una buona definizione delle sottilissime incisioni del modello. Ovviamente ho esteso i lavaggi anche all’interno dei pozzetti carrello (in precedenza verniciati in bianco opaco Tamiya) utilizzando, alla scopo, lo stesso grigio ad olio delle superfici inferiori.

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Tre successive passate di trasparente hanno sigillato i vari washing, e creato una superficie lucida e liscia per evitare il fastidioso effetto “silvering” delle decal. Quest’ultime, come già ricordato, provengono dal foglio della FCM Decal, ditta brasiliana che ultimamente sta commercializzando degli interessantissimi prodotti. Le decalcomanie sono stampate dalla Microscale negli USA, ed hanno dei bellissimi colori vividi e saturi. Il potere adesivo è elevatissimo, tanto da richiedere un posizionamento rapido dell’insegna – pena la presa definitiva del collante. Il film trasparente è ridotto al minimo ma, di contro, esso è davvero spesso; purtroppo è l’unica vera pecca di questo aftermarket.

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L’altezza delle decal incide, anche se in minima parte, sulla loro capacità di adattarsi alle pannellature sottostanti. Occorrono diverse passate di liquidi emollienti (personalmente ho utilizzato il Micro Sol e Set della Microscale) e la punta di uno stuzzicadenti per donargli il classico effetto “Painted On” che tutti i modellisti cercano. Comunque, con un minimo di pazienza si riesce a farle conformare a dovere. Obbligatorio, poi, sigillarle con almeno tre o quattro mani di lucido per ridurre almeno un po’ il citato problema dello spessore.

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Carichi esterni e ultimi dettagli:

Osservando la documentazione ho notato come gli Skyhawk della Marinha, di norma, sono equipaggiati con i serbatoi supplementari di carburante. Inoltre, proprio per il ruolo di caccia-intercettori che ricoprono, questi A-4 sono spesso equipaggiati con uno o due AIM-9L Sidewinder. Devo ammettere che i Falcao in configurazione aria/aria sono ancor più affascinanti del solito: con il loro carico di missili hanno un aspetto molto accattivante!

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Stregato da questa configurazione ho, ovviamente, deciso di riprodurla anche sul mio modello in scala. Allo scopo ho prelevato i due Sidewinder dal Weapons Set C dell’Hasegawa, li ho carteggiati per eliminare tutto il dettaglio superficiale già stampato e ne ho forato lo scarico mediante una punta montata su di un trapanino a mano. La loro colorazione prevede il Light Compass Ghost Grey F.S. 36375 (per il corpo) e il Dark Grey Tamiya XF-24 (per la testata). Ho, poi, aggiunto le fascette di ancoraggio (in alluminio) e quelle per l’identificazione del tipo di esplosivo (gialle e marroni) usando delle striscioline di nastro Kabuki: a mio avviso quest’accortezza rende l’ordigno molto più realistico.

Per rendere il tutto più particolareggiato ho aggiunto delle piccole scritte di servizio provenienti da un foglio di trasferibili della Hobby Decal (codice 48062). Gli stencil sono bellissimi, ma estremamente complicati da applicare su spazi così ristretti! Ho, quindi, aggirato il problema trasferendoli, appunto, su di un film trasparente ritagliandoli uno ad uno e posiziondoli sul corpo dei missili.

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Finalmente si giunge al montaggio degli ultimi particolari: la vistosa antenna posta sulla gobba va prelevata dalla stampata E (pezzo numero 5). Inoltre ne va aggiunta una più piccolina che apparteneva al sistema di navigazione TACAN posta proprio davanti al pozzetto del carrello anteriore (stampata F, pezzo numero 5). Di fronte al parabrezza è presente un piccolo tubo di venturi (stampata E pezzo 32), accoppiato con un Pitot montato più avanti verso il muso (stampata F pezzo 24). Nella parte posteriore del velivolo, proprio accanto al gancio di arresto esiste un piccolo sfiato per la pressione del sistema idraulico (stampata e pezzo 24). A questo punto non mi rimane montare i pezzi rimanenti quali carrelli, portelloni e piani di coda (lasciati in ultima istanza sfruttando il pratico sistema ad incastro studiato dall’Hasegawa), dare al modello la giusta finitura opaca, “liberare” i trasparenti dalle proprie mascherature e rappresentare il canopy (dettagliato con gli specchi retrovisori e i ganci di chiusura provenienti dal zoom set dell’abitacolo) rigorosamente in posizione aperta!

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Conclusioni:

Nella mia continua ricerca di soggetti “esotici” e poco noti, questo A-4 rimarrà per molto tempo il mio preferito! Da subito sono stato stregato dal bel contrasto con cui le sgargianti coccarde brasiliane spiccano sulla mimetica in grigio scuro.

La qualità e la facilità di montaggio del kit Hasegawa hanno reso la realizzazione di questo modello ancor più piacevole e rilassante. Ovviamente non sarà l’ultimo Skyhawk che entrerà nella mia collezione… che il prossimo sia un esemplare argentino?

Buon modellismo a tutti!

Valerio – Starfighter84 – D’Amadio.

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DVD Review – Painting and Weathering Tecniques for U.S. NAVY Jets.

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E’ con grandissimo piacere che presentiamo l’opera di un nostro utente, Simone Fiorito a.k.a F12AAA , ad oggi uno dei maggiori esperti mondiali di verniciatura ed invecchiamento di jets imbarcati o comunque particolarmente usurati.

Il realismo estremo delle suo opere si cela dietro un certosino lavoro di documentazione, studio e progetto su carta delle varie fasi di pittura ed invecchiamento che conducono, infine, ad un lavoro complesso che ripaga pienamente di ogni singolo sforzo fatto.

Ecco quindi quest’opera che illustra, con ben 3 dvd della durata complessiva di 210 minuti, il modo di operare di questo apprezzatissimo modellista alle prese con un F-14D tomcat del vf-31 tomcatters impegnato nella campagna IRAQUI FREEDOM in vece di caccia-bombardiere ed ormai alla fine della sua carriera operativa, come ben testimonia l’usura di tale velivolo.

Dettagli sul kit e aftermarkets utilizzati sono presenti sul sito del modellista nella gallery riservata a questo modello.

L’opera si articola in 12 capitoli: si parte dallo strato di base e spiegando le varie operazioni di pre-shading, post shading e ritocchi sulla livrea, si arriva alla stesura della finitura finale passando, inoltre, per tutte le fasi di verniciatura ed invecchiamento che coinvolgono parti quali carrelli di atterraggio e pneumatici. Viene omessa (a mio avviso giustamente in quanto di carne a cuocere ne abbiamo molta in questi dvd) la fase di montaggio del modello non essendo argomento principale del lavoro.

Degna di nota è la presenza di un capitolo apposito riguardante quello che probabilmente è uno degli argomenti ad oggi più discussi del panorama modellistico: Il salt Weathering, ovvero la cosiddetta “tecnica del sale”, che consente di ottenere effetti iper-realistici di chipping della mimetica, presenti sulla maggior parte dei velivoli imbarcati ma non solo.

La visione del dvd è praticamente in “first person”, ovvero è come se fossimo al fianco dell’autore durante la sessione di modellismo e potessimo guardare nel dettaglio le sue lavorazioni. Lo sfondo scelto è bianco, e la sapiente calibrazione delle luci permette non solo di apprezzare la più minima sfumatura cromatica, ma di non affatticare affatto la vista. Non sono mai presenti ombre che infastidiscono la visione o che comunque coprono dettagli.

 

Un’altra scelta intelligente dell’autore, a mio avviso, è la totale assenza di colonne sonore durante i capitoli pratici di modeling. Ciò rende possibile, con grandissimo risvolto didattico, di ascoltare il fruscio dell’aria che fuoriesce dall’aeropenna e permette quindi di comprendere quale sia magari la pressione più idonea per certe operazioni. Tale particolare (come anche le percentuali di diluizione e la nomenclatura dei colori) è comunque descritto con apposite didascalie con le quali l’autore esplica in modo conciso e chiaro ogni nuova lavorazione.

Il formato del DVD è WMP con risoluzione 1920×1080 pixels, con codec compatibili con la maggior parte dei programmi video disponibili anche gratuitamente in rete. Il testo è sia in italiano che in inglese.

L’opera è acquistabile presso il sito dell’autore

 http://digilander.libero.it/f12aaadesign/DVD/DVD.htm

dove vi invito anche a prendere visione delle sue realizzazioni presenti nella model gallery.

A mio avviso questi dvd sono davvero quanto di più chiaro ci sia in giro per mostrare tecniche complesse che possono trovare campo di impiego anche al di fuori delle livree US navy (o comunque usurate), come ad esempio modellando carri o navi, e che comunque sono parte immancabile del bagaglio tecnico del modellista moderno.

 

Un addestratore per la cavalleria – OH-58 D “Kiowa Warrior” dal kit Academy in scala 1/35.

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Ho realizzato l’idea di costruire un OH-58D mentre armeggiavo con un SuperCobra. Alcuni aftermarket per quest’ultimo provenivano dalla Werner’s Wings, un’azienda “artigianale” di Baltimora. Il proprietario è il noto Floyd Werner, pilota con tante ore di volo sui vecchi Cobra e Kiowa, ed attualmente su un EC-120 come ufficiale di volo del Batltimore Police Department. Dopo essere diventati “virtualmente” amici, mi son deciso a realizzare uno degli elicotteri sui cui ha voltato di più, il Bell OH-58D Kiowa Warrior. L’OH-58, nelle versioni A e C, è un’elicottero appartenente alla famiglia dei Bell 206 , mentre il D deriva dal Bell 406.
Quest’ultimo è il risultato del programma AHIP (Army Helicopter Improvement Program). Principale differenza tra la versione D (warrior) e le altre, è la presenza degli UWP (Universal Weapon Pilon) sui due lati, che permettono di equipaggiarlo con i classici AGM-114 Hellfire, missili ATAS (Stinger), rocket pods da 7 pollici, ed una mitragliatrice M296 calibro .50 . Il dettaglio, forse, più importante che ci permette di distingure il Kiowa Warrior, è la presenza di una “palla” sul rotore principale, ovvero la Mast Mounted Sight, contenente alcuni sistemi  come il TvS (sistema televisivo),  il TIS (sistema per l’acquisizioni di immagini termiche) ed il LRF/D (Laser Range Finder/Designator) Le “antenne” vistose sulla parte frontale, invece non sono altro che un efficiente sistema di tranciacavi per la protezione in volo a bassa quota.

Il modello:

Il kit usato come base è l’Academy OH-58D KIOWA WARRIOR THUGS (2197), regalo della mia ragazza!
Questa scatola, abbastanza datata, permette di costruire un Kiowa “early version”, quindi le conversioni in resina sono più che obbligatorie. Veniamo agli aftermaket:

  • Werner’s Wing “OH-58D Kiowa Warrior Upgrade Set” (cod. 35-01):questa conversione comprende la nuova “doghouse”, ovvero l’intake, un nuovo supporto per l’ALQ-144, formation lights, piastre di protezione che sostituisconio le porte, nuove porte posteriori, antenne GPS e BlueForce ed il sistema AN/APR-39.
  • ZactoModel “OH-58D MMS kit”: La nuova MMS in resina, prodotta dal noto modellista russo Alexander Rogal e venduta dalla statunitense ZactoModels. In questo piccolo kit, troviamo appunto la torretta MMS, molto dettagliata, comprendente le due lenti iridescenti (una opaca ed una lucida), più quattro nuovi “picht horns” per il rotore principale, da sostituire agli originali.
  • Fireball Modelworks “SKULLS AND SPURS OH-58D” (cod. FMD-20-35): Dalla nota azienda “garage factory” del Sig. Joseph Osborn, troviamo questo fantastico set di decals stampate su fogli Microscale. Oltre alle dettagliatissime istruzioni, c’è la possibilità di realizzare ben 8 modelli di Kiowa e per ognuno ci sono delle indicazioni per i differenti sistemi di armamento/difesa.
  • Fireball Modelworks “Modern US Helicopter Missile Markings” (cod. FMD-21-35)

All’inizio il modello che avevo in mente era proprio quello su cui ha operato Mr. Werner in Bosnia, impegato nelle operazioni della SFOR (Stabilisation Force). Il problema è sorto nei pattini di atterraggio.Questa versione, così come altre recenti, è equipaggiata con i nuovi pattini MPLH, i quali sono totalmente differenti. Putroppo, come aftermaket, non erano più disponibili presso la Werner’s Wing, quindi ho ripiegato su un’altra versione (su consiglio della mia ragazza). Il modello in questione è un addestratore, con parte della fusoliera verniciata in arancione alta visibilità, del 1-14Avn Regt, presso Ft.Rucker, in Alabama.
Caratteristiche principali di questo modello sono l’assenza dell’ALQ-144, dei laser/radar detectors e delle porte/protezioni corazzate, antenna FM presente solo sul lato destro, UWP equipaggiati con Hellifire ed il pattino sinistro giallo.

Il montaggio:

Una volte reperite tutte le foto necessarie (poche su questo modello, ma per fortuna abbastanza buone) ho studiato le istruzioni del kit/conversione, ho tagliato l’intake e il supporto ALQ dalle due semifusoliere. Inoltre ho forato le zone vicino al motore per incollare delle griglie fotoincise.

Fatto ciò, son passato al cockpit. La prima modifica è stata tagliare parte del cruscotto e creare con del plasticard il sistema CABS, ovvero il sistema di airbag con cui sono equipaggiati i Kiowa ed i BlackHawk.

Per la strumentazione, ho forato il pannello ed inserito ritagli in acetato per orizzonte artificale, altimetro e per il resto dei quadranti, mentre per i due schermi ho usato del negativo fotografico. Putroppo i dettagli del cockpit lasciavano a desiderare, quindi, armato di tanta pazienza, ho ricreato i vari pulsanti su i due ciclici e sul collettivo del pilota. Nella parte inferiore ho ricreato le varie centraline e relativi cablaggi. Per quanto riguarda i sedili, li ho rivestiti con del nastro Tamiya, per simularne le grinze del tessuto, mentre per le cinture ho usato quelle fotoincise specifiche per l’Apache, eliminando quella centrale (l’Apache ha le cinture a 5 punti, il Kiowa a 4). Dietro al sedile del pilota, ho ricreato la centralina del modulo CABS, cablaggi vari e le centraline degli interfoni.

Il tutto è stato verniciato usando il Tamiya XF-69 Nato Black, corretto con qualche goccia di nero XF-1. Sui sedili, con l’aiuto di un cutter, ho scrostato i bordi, facendo tornare alla luce il colore del nastro ,in modo da ottenere l’effeto dei sedili rovinati. Successivamente sul cruscotto ho usato un gessetto bianco sbriciolato, per simulare la polvere, elemento onnipresente in questi velivoli.

Una volta chiuse le due semifusoliere, ho incollato e stuccato il nuovo intake, le porte posteriori, il supporto ALQ, antenna GPS e BlueForce sul tronco di coda. A queste ultime ho aggiunto alcuni cavetti in rame. Dato che sul supporto non sarebbe stata montata l’ALQ, con del plasticard sottile ho ricreato il piattello tondo su cui va posato, prima disegnandolo con un compasso. L’interno del rotore è stato verniciato con il Tamiya XF-4 Yellow Green.

Dopo aver immerso i trasparenti nella cera Livax, ho aggiunto dettagli al vetro superiore. Come prima cosa ho creato il montante centrale interno, usando un rod in plasticard dello spessore di 0,88mm, appiattito in una morsa, ottenendo così un profilo rettangolare. Col dei rod di sezione 0,5 mm ho realizzato i grossi fasci di cavi che successivamente sono stati ancorati al montante ed aggiunto scarti di fotocincisioni per altri “ameniccoli”.

I passi successivi sono stati l’assemblaggio del rotore principale, (con i nuovi pitch horn in resina) e gli UWP con relativi rack, simulando cavetti e fascette con fili in rame e nastro Tamiya. Questi ultimi son risultati sovradimenzionati ene ho  usati altri presenti nel kit di un SuperCobra.

Verniciatura:

E finalmente siamo alla verniciatura, la mia prima volta con l’aerografo. Il colore principale è l’Helo Drab FS34031, prodotto esclusivamente dalla Model Master, sia in acrilico che in smalto. Dopo aver mascherato le zone su cui andava dato l’arancio e provato ad eseguire un leggero preshading, ho “spruzzato” su tutto il modello l’Helo Drab acrilico. La variante in smalto invece (che è tendente al grigio), è stata data sempre ad aerografo, ma nelle giunzioni delle pannellature ed in modo più disordinato sulla coda. L’effetto è stato volutamente marcato, sia per andare incontro al problema di attenuazione dovuto ai trasparenti, sia per dagli l’aria usurata tipica di questi velivoli addestratori.

I “crosstubes” dei pattini sono stati verniciati in alluminio, mentre il pattino sinistro in Yellow Zinc Chromate. Per le fascette sui pattini ho usato alcuni scarti di fotoincisioni. Dopo aver aspettato 24 ore, ho applicato del Maskol sulla parte superiore dell’intake, per poter simulare le scrostature e mascherato tutto per poter dare l’arancio. Essendo un colore “fluo”, ho usato il bianco Tamiya XF-2 come fondo e successivamente il Fluorescent Red Orange, colore unicamente prodotto dalla Model Master solo nella versione smalto, corrispondente al Federal Standard 28913.

Decals & Weathering:

Ultimata la fase di verniciatura, ho dato la prima mano di lucido X-22 per poter proseguire con la posa delle decals. Per queste ultime, ho impiegato circa 3 ore a causa dei numerosi stencils.

Da questo si scorge un lavoro minuto, di ricerca e di impiegno da parte di Joseph Osborn. Il lavoro di posa è stato eseguito con i liquidi MicroSet e MicroSol. Per quanto riguarda i lavaggi, ho usato il colore in smalto Helo Drab diluito col thinner MIG. il problema restava simulare alcune pannellature sporche e verniciate in modo molto blando. La soluzione è stata trovata per caso, spennellando un po di colore usato per i lavaggi, su alcuni pannelli e soffiando solo aria con l’aerografo.Il tutto in maniera esagerata, in previsione della successiva mano di trasparente. In questo modo il colore ha assunto un aspetto molto polveroso e colato, avvicinandosi molto al soggetto reale.

Ultimo passaggio, il trasparente opaco XF-86, che, come previsto, ha attenuato il lavoro di lavaggio ed ha reso il tutto omogeneo.

 Armamento:

L’esemplare in questione è equipaggiato su entrambi il lati con la versione da addestramento degli AGM-114, ovvero i CATM-114 (captive training). Per riprodurli son bastate delle semplici decals, provenienti dal foglio “Modern US Helicopter Missile Markings” mentre per simulare la testata IR, ho tagliato la punta del missile, rimpiendola con una goccia di Humbrol Clearfix.

Ritocchi finali, hanno visto l’aggiunta di cavi ed altri piccoli dettagli sullo stabilizzatore di coda.

Prima di lasciarli alle foto, vorrei mostravi questa litografia, inviatami da Mr.Werner, con tanto di dedica.

 Buon modellismo a tutti!

Carmine “ilGamma” Gammarota.

 

Kit Review: Mig-21 MF “Fishbed” – Italeri in scala 1/48.

Fishbed 1

Nell’ultimo periodo la politica commerciale dell’Italeri ha visto l’alternarsi della creazione di scatole di montaggio completamente nuove, e il reinscatolamento di stampi provenienti da altre ditte modellistiche.

Il kit del Mig-21 oggetto di questa recensione rientra a pieno in questo trend; esso è, infatti, il conosciutissimo modello dell’Academy che, nonostante il peso degli anni sulle sue spalle, è ancora un buon prodotto.

Fishbed 3

Fishbed 4

Il Fishbed coreano non ha bisogno di molte presentazioni… basta girare un po’ su Internet per trovare molte review e argomenti sul suo conto. Vale comunque la pena ricordare alcuni dei suoi punti forti:

    • Dettaglio di superficie in un bellissimo negativo, preciso e pulito. Rivettature ben riprodotte e limitate alle zone dove, effettivamente, sono presenti anche sul velivolo reale.
    • Scomposizione semplice da cui deriva un montaggio abbastanza agevole.
    • Costo contenuto.

Fishbed 2

Fishbed 6

Di contro lo stampo presentava (e tuttora presenta) una serie di piccoli errori (fusoliera con diametro troppo accentuato e bugne dei vani carrelli in fusoliera in posizione troppo avanzata) che, nonostante tutto, non inficiava la bella linea del Mig-21 e le forme del modello in scala. Inoltre Il Fishbed Academy è stato, da sempre, presentato come un MF ma, in realtà, all’interno del “box” tutti i pezzi sono riferiti alla versione Bis del caccia sovietico.

In circolazione esistono molti set di conversione per riportare il kit alla versione MF “pura”; in particolare segnalo l’ottimo aftermarket in resina della Quickboost (che fornisce gobba e deriva corretta) venduto a un prezzo più che onesto.

Parlando più approfonditamente del “reboxing” Italeri, lo stampo è contenuto in una scatola ad apertura superiore con la nuova accattivante grafica di copertina. La qualità della plastica color grigio è, come al solito, di buona qualità – compatta e senza sbavature.

Chiare e puntuali le istruzioni.

Fishbed 8

Fishbed 9

Fishbed 10

Senza dubbio il punto forte della scatola Italeri risiede nel bellissimo foglio decalcomanie incluso. Questo è stampato dalla Cartograf con insegne ben riprodotte, sature e in registro. Il film trasparente è ridotto al minimo ed è, stupendamente, lucido! Inoltre, esso è completo di una grande quantità di stencil di manutenzione.

Fishbed 7

Come accennato nelle prime righe di questa recensione, lo stampo Academy/Italeri si riferisce alla versione Bis del caccia sovietico. Correttamente, l’ufficio grafico della ditta di Calderara di Reno ha inserito quattro soggetti tutti riferiti all’ultima versione del Fishbed:

  1. Mig-21 Bis Iraqui Air Force – 70th Squadron, Basra Air Base – 1979
  2. Mig-21 Bis N-SAU Hungarian – Air Force, 47th Squadron – “Griff” Fighter Regiment. Papa Air Base 1995. Questo Fishbed apparteneva alla versione N-SAU che si differenziava dalla Bis per una dotazione avionica più aggiornata. Esternamente si differenziava per la presenza di due antenne RWR alla sommità della deriva e sotto il bordo d’attacco della presa d’aria. Se avrete voglia di autocostruire questi due piccoli particolari potrete correttamente riprodurre quello che, a mio avviso, è l’esemplare più interessante del foglio decal. Da notare, inoltre, come i disegnatori della ditta bolognese abbiano azzeccato le giuste dimensioni delle insegne di nazionalità al contrario dei designer della Eduard che le hanno riprodotte con proporzioni non corrette tra i colori.
  3. Mig-21 Bis Soviet Frontal Aviation. Russia 1971. Questo Mig-21 portava la classica livrea in metallo naturale.
  4. Mig-21 Bis Indian Air Force, No.3 Squadron. Pathanko Air Base, 1999. Questo soggetto, appartenente al così detto “Tiger Squadron” o “The Rattlers” è, senza dubbio, il più appariscente tra tutti quelli proposti.

In definitiva, il reinscatolamento da parte dell’Italeri di questo kit è una piacevole sorpresa per noi modellisti. Il kit Academy, a mio avviso, regge ancora bene il confronto con il più nuovo e blasonato Eduard d’ultima generazione; con una piccola aggiunta di dettaglio si ottiene una bellissima riproduzione in scala di un mito dell’aviazione moderna.

Buon modellismo!

Valerio – Starfighter84 – D’Amadio.

L’ultimo tra i Perduti – Sd.Kfz. 182 Pz.kpfw. VI Tiger Ausfuehrung B Koenigstiger dal kit Tamiya in scala 1/35.

 

Introduzione: 

In generale mi piace rappresentare un modello il cui mezzo reale abbia avuto una storia da raccontare. L’evento bellico, infatti, mi aiuta ad ottenere un migliore approccio al progetto che intendo realizzare. Questa volta mi sono interessato ad un Koenigstiger prodotto nel marzo 1945 e assegnato allo Schwere Panzer-Abteilung 511. Nel caso specifico, il 31 marzo 1945 la 3^ kompanie del Battaglione carri pesanti 511, precedentemente rubricato come Schwere Panzer-Abteilung 502 (*), ricevette 8 Koenigstiger direttamente dalle officine Henschel & Sons di Kassel che vennero immediatamente impiegati nei combattimenti contro gli Alleati direttamente nell’area circostante la fabbrica. Sfortunatamente le fotografie del mezzo reale sono piuttosto rare. Ad ogni modo il volume  di T. Jentz “V.K. 45.02 to Tiger II” con i disegni in scala di H. Doyle rappresentano una eccellente fonte di informazioni soprattutto dal punto di vista tecnico.

(*) Lo Schwere Panzer Abteilung 502 venne, infatti, rinumerato in 511 per ordine n. 1/30724/44 dell’OKH con effetto da 5 gennaio 1945.

 

I Koenigstiger prodotti nel marzo 1945:

 I Koenigstiger del lotto di produzione del marzo 1945 evidenziavano, rispetto ai lotti delle produzioni precedenti, numerose differenze esterne, sia nello scafo che nella torre.

 Lo scafo differiva per i seguenti elementi:

  • Ruota motrice a 18 denti;
  • Cingoli con maglie del tipo Kgs 73/800/152;
  • Due serrature/chiusure circolari sul portello del pilota e dell’operatore radio;
  • Eliminazione del cric di sollevamento e del blocco di legno dalla parete posteriore dello scafo;
  • Eliminazione del cavo per il riavvolgimento del cingolo dalla parete sinistra dello scafo;
  • Introduzione di quattro sfiatatoi posizionati sulle pareti esterne posteriori dello scafo per migliorare il sistema di ventilazione nei serbatoi di carburante;
  • Copertura corazzata delle ventole del motore;
  • Gancio per mantenere aperto in sicurezza il portello di accesso al vano motore;
  • Reti di metallo sulle ventole motore per prevenire l’inserimento di bombe a mano;
  • Parafanghi anteriori rinforzati;

 La torre, invece, differiva per i seguenti elementi:

  • Protezione, contro la pioggia e i riflessi solari, a forma di U rovesciata, saldata sopra l’apertura per il puntamento;
  • Pannelli per l’alloggiamento dei contenitori di gas tossici (due nella parte posteriore della torre e uno sul blocco corazzato di protezione del cannone);
  • Protezione arrotondata aggiuntiva saldata su ogni lato delle barre di torsione del portello di accesso posteriore alla torre;
  • Portello di accesso posteriore alla torre semplificato;
  • Copertura di 40mm del portello di accesso del porgitore;
  • Due ganci posizionati ai lati della torre a gruppi di quattro per cingoli di scorta.

 Koenigstiger: il modello Tamiya.

 Il modello è il kit Tamiya n° 35164 che, a mio avviso, nonostante gli anni e l’uscita del modello della Dragon, è ancora un eccellente piattaforma di elaborazione. Ho suddiviso il lavoro in cinque fasi: torre, scafo, cingoli, colorazione e invecchiamento e, in ultimo, ambientazione.

Come primo intervento, provvedo, solitamente, a carteggiare lo scafo, la torre e le principali componenti con carta a grana fine e, successivamente, con la paglietta per i piatti. Questo procedimento mi aiuta a prendere contatto il modello e ad individuare le eventuali imperfezioni da correggere. Come successivo intervento provvedo a sigillare i vari buchi predisposti per l’ancoraggio dei pezzi incollando con colla cianoacrilica dei piccoli tubicini di plastica. Come ultimo interevento preliminare, rimuovo i dettagli inesatti e/o sovradimensionati.

Prima fase: la torre.

Dopo aver chiuso e stuccato le due parti principali della torre, ho riprodotto con un coltellino X-Acto knife i punti di intersezione delle le piastre d’acciaio (frontali, verticali e posteriori) allungando quelle situate nella parte inferiore della torre in quanto nel modello risultavano più corte di 02  mm. Ho poi aggiunto una striscia di plasticard completata con un bollone esagonale realizzato con la punzonatrice Punch and Die.

La copertura corazzata da 40 mm del portello del porgitore, introdotta nel luglio del 1944, è ben fatta per cui ho solo aggiunto:

  • Le otto imbullonature saldate a 45° a coppie di due ad ogni angolo del portello;
  • La serratura e il lucchetto.

I due cardini del portello sono, invece, errati; quelli corretti erano più simili a quelli adottati per il Porsche Tiger II, così li ho ricostruiti. Intorno al portello ho aggiunti otto piccoli buchi; stesso procedimento ho adottato per i buchi intorno al Nahverteidigungswaffe. A partire da agosto 1944 la cupola del capocarro non era saldata ma imbullonata alla torre mediante sette grossi bulloni. Nel mezzo reale mancava, quindi, la saldatura intorno alla cupola mentre, invece, era presente una sottile linea che ho riprodotto “girando” attorno alla cupola con una lama X-Acto ben affilata. Nella cupola erano presenti, come per il Tiger Ie, due piccoli tubi che dovevano servire ad installare la copertura in tela contro la pioggia e/o il sole. Per riprodurli ho utilizzato due tubicini della Minimeca incollati simmetricamente l’uno all’altro; ho completato la cupola con il fermo situato “a ore 12” rispetto al periscopio.

Il modello Tamiya riproduce il portello di accesso alla cupola del capocarro in un solo pezzo. Nel mezzo reale, invece, era composto da almeno due parti che ho riprodotto cannibalizzando il portello di un vecchio Tiger Ie Tamiya rimasto inutilizzato da un precedente progetto abbandonato. Per finire ho aggiunto gli alloggiamenti per il lucchetto di chiusura: uno sulla cupola e un altro sul portello.

Come indicato nei disegni presenti nel volume “V.K. 45.02 to Tiger II”, il portello, situato nella parte superiore della torrre, per l’espulsione dei bossoli esplosi è collocato in una posizione troopo arretrata. Ho, quindi, chiuso, stuccato e carteggiato lo spazio per il pezzo C8, ho rimosso il parapioggia circolare e l’ho ricostruito incollandolo più vicino al portello. Ho aggiunto il buco e i dettagli più minuti.

La guida per il puntamento, situata di fronte alla cupola del capocarro, deve essere riposizionata e integrata con il dettaglio a forma di L. Nel settembre 1944 venne stabilito di aggiungere un elemento a forma di U rovesciata per prevenire infiltrazioni di acqua piovana o fastidiosi riflessi solari all’interno dell’apertura relativa al sistema di puntamento. In realtà questa modifica divenne operativa solo a partire da gennaio 1945. Per riprodurla ho incollato una striscia di metallo opportunamente sagomata.

Il mantello corazzato a protezione del cannone incluso nel modello è quello dei primi lotti di produzione. Volevo, invece, riprodurre quello liscio e più compatto montato sui mezzi del lotto di produzione del marzo 1945. Purtroppo, al tempo di questo lavoro, il modello Tamiya (Battle Ardennes Tiger) così come il kit di conversione n° MGP 02 della Artisan Mori non erano ancora disponibili. Ho, quindi, ricoperto il pezzo originario con lo stucco della Squadron modellandolo con le dite fino ad ottenere la forma e le dimesioni ottimali. L’effetto corrugato, tipico dei pezzi realizzati per fusione, è stato ottenuto pennellando il pezzo con abbondante colla liquida tamponando la superficie ancora umida con un pezzo di paglietta per piatti. Il procedimento è stato ripetuto più volte sino ad ottenere l’effetto desiderato. Ho poi ridotto randomicamente la rugosità utilizzando la carta a grana media. Ho completato l’intervento posizionando sul lato destro del mantello il numero “02” ricavato dalle cifre presenti sui tralicci delle stampate.

I sei bulloni posizionati sul collare del mantello erano assicurati l’uno all’altro con un cavo d’acciaio passante al centro di ogni bullone. Questo accorgimento serviva ad evitare che le vibrazioni prodotte dal cannone facessero, nel tempo, allentare i bulloni pregiudicando la stabilità della piattaforma di tiro. Ho, quindi, riprodotto i buchi sui bulloni aggiungendo il cavo realizzato con un filo di plastica stirata a caldo. 

Il cannone è stato sostituito con quello della Jurdi Rubio, che si è rivelato abbastanza ben fatto: mi sono, quindi, limitato ad aggiungere il bullone/fermo sul freno di bocca.

I Koenigstiger prodotti nel marzo 1945 montavano un portello di accesso posteriore semplificato. Dal punto di vista modellistico, però, non è altrettanto semplice modificare il pezzo n. D11 originario del kit. Dopo numerosi e insoddisfacenti tentativi ho chiamato l’amico Giuseppe Schiavottiello della Modeldiscount il quale, molto gentilmente, mi ha spedito il set di conversione della Artisan Mori (grazie mille, Giuseppe!). In effetti il portello posteriore della Artisan Mori è veramente superbo: la qualità della resina è elevata, senza bolle o fastidiosi ritiri e il livello di dettaglio è eccellente. Ho solo aggiunto la maniglia e le due placche in metallo posizionate nel lato inferiore.

Gli alloggiamenti per l’argano da 2 tons sono posizionati in modo errato e, quindi, sono stati ricollocati.

Ho poi aggiunto, dal set Aber, i punti di aggangio dei pannelli per i gas tossici: uno sul mantello del cannone e due nella parte posteriore della torre.

Prima di incollare gli agganci per le maglie dei cingoli di scorta (quattro per lato) (**) ho riprodotto l’effetto fusione anche sulla torre applicando lo stesso metodo utilizzato per il mantello del cannone, mentre l’effetto seghettato sul bordo delle piastre è stato realizzato utilizzando una fresa rettangolare montata sul trapanino fatto girare alla minima velocità. Alla fine ho aggiunto le saldature. Personalmente non uso il pirografo perché, a mio avviso, si ottiene un effetto completamente sbagliato e irrealistico; preferisco un diverso approccio incollando delle sottili striscie di plastica che poi vengono trattate con una fresa rotonda a bassa velocità; con la paglietta per i piatti ripulisco le striscie dai residui di plastica e ripasso le saldature con abbondanti pennellate di colla liquida ripetendo il passaggio con il trapanino. Il procedimento è stato ripetuto fino ad ottenere l’effetto desiderato. Le quattro depressioni circolari posizionate parallelamente alla piastra frontale (utilizzate per allineare le piatre tra di loro prima di procedere alla saldatura) hanno un diametro troppo ridotto e, quindi, vanno rifatte. Per migliorare l’effetto ho anzitutto allargato i buchi chiudendoli dall’interno con tubi di plasticard facendo attenzione a non posizionarli “a filo” ma lasciandoli leggermente incassati. Poi ho riempito le singole depressioni con stucco della Squadron. Inserendo uno stuzzicadenti tagliato con lo stesso diametro delle depressioni ho iniziato contemporaneamente a premere e ruotare lo stuzzicadenti in modo da creare un sottile bordo irregolare che simulava perfettamente i residui di fusione. 

 

(**) Solo i Koenigstiger con torre prodotta dalla Wegmann avevano sei agganci per lato. 

Seconda fase: lo scafo.

La prime modifiche interessano il ponte posteriore. Le foto del mezzo reale mostrano una apertura a forma di “C”, non presente nel modello Tamiya, tra il congiungimento della piastra verticale posteriore e le prese d’aria rettangolari. Per realizzare il dettaglio ho, anzitutto, ridotto di 1 mm le due prese d’aria rettangolari ricostruendo l’area mancante utilizzando tre striscie della Evergreen di differente lunghezza: una della medesima lunghezza della presa d’aria; le altre due della medesima lunghezza allineandole alle estremità lasciando, quindi, nel centro lo spazio idoneo a simulare l’apertura a C. Le striscie sono poi state incollate, coperte con colla cianoacrilica e carteggiate per eliminare i punti di giunzione.

Ho, poi, riprodotto i punti di ancoraggio situati nella parete posteriore utilizzando dei tubicini di diverso diametro della Evergreen. Le cerniere di chiusura, invece, sono state riprodotte usando i dettagli fotoincisi della Aber e le viti a farfalla della Modelkasten. Ho completato le protezioni corazzate degli scappamenti con i gli anelli di sollevamento (due per ogni protezione) riprodotti con tondini Evergreen e dischi ricavati con il Punch and Die. Le protezioni sono poi state testurizzate con una fresa circolare montata sulla Dremel impostata a velocità ridotta. Ho poi aggiunto i numeri di fusione ma solo sulla protezione sinistra, come rivelato dalle foto del mezzo reale.

A partire dall’ottobre 1944 vennero aggiunte quattro piccoli tubi per migliorare la  ventilazione nei sette serbatoi di carburante. I tubicini sono stati riprodotti con filo di rame mentre i punti di ancoraggio sono stati realizzati con striscie e bulloni di plastica.

Il portello di accesso al vano motore necessita di numerosi dettagli. Anzitutto le coperture corazzate delle ventole di areazione erano differenti l’una dall’altra: quella posizionata più vicina alla torre era piatta per evitare pericolose interferenze con il percorso di rotazione della torre; quella più lontana era, invece, arrotondata. Ho poi aggiunto lo stopper prelevandolo dallo Jagditger della Dragon. Poi i tre stopper rettangolari posizionati intorno al perimetro del portello sono stati integrati con tre tubicini Minimeca. Infine il dettaglio di forma semicilindrica posizionato tra le due coperture corazzate è stato rimosso e sostituito da una striscia di ottone opportunamente sagomato.

Per completare la parte posteriore dello scafo:

  • Ho aggiunto i piccoli ganci di sollevamento della Aber (quattro per la griglia di destra e tre per la griglia di sinistra);
  • Due bulloni alla base della antenna;
  • Un tubicino della Minimeca per riprodurre la base dell’antenna;
  • Le griglie della Aber;
  • I bulloni sulle griglie rettangolari di ventilazione.

A partire da novembre 1944 il portello dell’operatore radio e del pilota vennero modificati con l’introduzione di due serrature circolari. Per rendere il dettaglio ho chiuso la serratura preesistente, l’ho stuccata riproducendo le nuove serrature con sezioni di tubicini Minimeca da 0,5 mm. Le maniglie, invece, sono state riprodotte con tubicini di rame.  Le linee di saldatura delle piastre è stata realizzata utilizzando il medoto già sperimentato per la torre utilizzando striscie della Evergreen, abbondante colla liquida e testurizzazione con una fresa circolare montata sul trapanino impostato alla velocità minima. Il faro Bosch è ben fatto e proporzionato per cui ho aggiunto solo qualche dettaglio e il cavo di alimentazione.

Nella parte inferiore dello scafo, in prossimità della ruota di rinvio, sia nel Koenigstiger di produzione Porsche che in quello di produzione Henschel, erano presenti due scanalature arrotondate (uno per lato); questi incavi, facilitavano l’accesso ad una specie di tassello circolare (di cui, francamente, non sono riuscito a comprendere la funzione), che risultava visibile solo sui Koenigstiger di tarda produzione in quanto gli scafi non erano ricoperti dalla pasta anti-magnetica Zimmerit e, solo raramente, operavano con i parafanghi laterali montati (***). La scanalatura è stata realizzata incollando due striscie di metallo, parallele tra di loro scavando molto delicatamente la superficie rimasta libera con la solita fresa circolare fino a raggiungere la profondità desiderata. Il dettaglio è stato completato aggiungendo i dischi di plastica. Sui Koenigstiger di tarda produzione le scanalature potevano essere a sezione squadrata anziché a sezione arrotondata; è, quindi, possibile realizzare entrambe.

(***) Il dettaglio è ben visibile a pag. 97 del volume “Schwere Panzer in detail” di B. Culver e U. Feist, Ryton Publications e a pag.169 del volume AFV Photo Album, Armoured fighting vehicles on Czechoslovakian territory 1938 – 1968 di T. Canfora.

Il Koenigstiger era un carro decisamente massiccio ma senza i parafanghi (sia quelli laterali che quelli anteriori e/o posteriori) si dimostra ancor più imponente. Ho, quindi, rimosso tutti i punti di ancoraggio dei parafanghi laterali stampati sullo scafo sostituendoli con quelli, maggiormente definiti, della ModelKasten già compresi nella confezione di cingoli n. SK-6. La rimozione dei parafanghi anteriori e posteriori ha comportato la necessità di ricostruire i residui dei punti di fusione (tre per ogni parafango) delle cerniere che, una volta ricostruiti con sottili fili di plastica, opportunamente modulati su una dima appositamente realizzata, assumono la forma di una C rovesciata.

Lo scafo è stato completato con la testurizzazione e le linee di fusione tra le piastre.

Alla fine ho aggiunto:

  • Gli agganci della Aber n. 35040 per gli strumenti di manutenzione del mezzo;
  • L’ancoraggio, posizionato di fronte al portello dell’operatore radio, per la copertura del visore circolare dell’operatore radio;
  • Tre ganci per il sollevamento della piastra posizionata a copertura della trasmissione;
  • Due morsetti dal set Aber posizionati sulla piastra della trasmissione.

Terza fase: i cingoli.

Ho utilizzato il kit della Friul n° ATL-37 che contiene anche due ruote motrici a 18 denti. Sinceramente preferivo il vecchio sistema di montaggio con la chiusura sul dorso della maglia. Il nuovo metodo di montaggio, pur essendo più resistente rispetto a quello originario, è penalizzato dal fatto che l’estremità del filo di rame, che viene utilizzato per unire le maglie tra loro, è sgradevolmente visibile una volta completato l’assemblaggio. L’unico modo per risolvere il problema è quello di coprire l’estremità della maglia con un dischetto di plastica realizzato con il Punch and Die; un lavoro decisamente fastidioso, se si pensa che il treno di rotolamento del Koenigstiger necessitava 86 maglie sul lato destro e 88 sul lato sinistro.   

 Quarta fase: colorazione e invecchiamento.

 Anzitutto ho ricoperto l’intero modello con una leggera passata di primer bianco Tamiya in modo da uniformare i differenti materiali utilizzati nel progetto e per facilitare l’individuazione di eventuali errori e/imperfezioni. Ho poi utilizzato il nero Tamiya XF1 per evidenziare i dettagli e per introdurre le sfumature di base per la successiva colorazione mimetica. L’individuazione del colore di fondo dei Koenigstiger di tarda produzione non è facile. Ci sono, in effetti, due possibili opzioni: fondo rosso anticorrosione oppure verde antiossidante. Nel settembre 1944 l’OKH emanò una direttiva secondo la quale i singoli sub-appaltatori, prima di consegnare le principali componenti corazzate, dovevano verniciarle con il rosso anticorrosione su cui, successivamente, la fabbrica Henshel (per gli scafi) e la ditta Wegmann (per le torri) avrebbero applicato lo schema mimentico con il Dunkelgelb (RAL 7028) e il Olivgruen (RAL 6003).

Nel novembre 1944, invece, l’OKH stabilì che le componenti corazzate dovessero essere consegnate con una base di Olivgruen (RAL 6003) lasciando, alle ditte incaricate dell’assemblaggio finale, il compito di completare lo schema mimentico spruzzando a bordi definiti il rosso Rotbraun (RAL 8017) oppure il giallo sabbia (RAL 7028). Questo secondo ordine divenne operativo il 1 marzo 1945 ma l’OKH, consapevole della scarsità di materie prime, stabilì che le scorte di vernici ancora disponibili, potessero essere utilizzate fino al maggio 1945. A mio modesto avviso è, quindi, verosimile che i Koenigstiger completati nel marzo 1945 venissero verniciati, indifferentemente, con una base di rosso antiossidante oppure di verde Dunkelgruen. E’, altresì, possibile che le componenti principali del carro (scafo, torre, cannone e ruote), essendo prodotte da diverse ditte che, come accennato, avevano l’obbligo di verniciarle prima della consegna alla Henschel e alla Wegmann, evidenziassero, per esempio, differenti sfumature nel Dunkelgruen applicato alla torre rispetto a quello utilizzato sullo scafo oppure che un altro Koenigstiger avesse lo schema mimentico applicato solo sulla torre ovvero solo sullo scafo e viceversa.

Sulla base di queste considerazioni, ho prima spruzzato il modello con una base   Dunkelgruen. Ho poi ripassato il tutto con sottili spruzzate di bianco per schiarire il colore di fondo. Per le striscie mimentiche avevo in mente il cosiddetto “schema a piovra” che consisteva in striscie di Dunkelgelb date a pennello solo (a mio avviso) sulle superfici verticali aggiungendo, all’interno delle striscie in Dunkelgelb, dei cerchi in Rotbraun sempre a pennello. Il colore Humbrol no. 105 è perfetto per simulare l’Olivegruen (RAL 6003). La scelta del colore per le striscie gialle è stata, invece, più difficoltosa. Ho provato il Desert yellow Tamiya XF59, il Giallo scuro XF60, il Buff Tamiya XF57 e il Sabbia Humbrol ma nessuno mi ha completamente soddisfatto. Alla fine ho provato l’Humbrol no. 81 che, dopo una prima impressione assolutamente negativa, si è rivelato la scelta ideale. I cerchi in marrone sono stati dipinti a pennello utilizzando il marrone rossiccio Tamiya XF64.

Per ridurre il contrasto tra i colori ed aggiungere un primo effetto di invecchiamento, ho dato una leggera passata ad aerografo con il Buff Tamiya XF57. Per evitare che i  granatieri, trasportati sul ponte posteriore, potessero provocarsi delle lesioni appoggiandosi agli scappamenti, ho posizionato sopra i medesimi un pannello rettangolare per la protezione laterale dei cingoli, sottratto ad un Panther, piegandolo in modo piuttosto grossolano e dipingendolo con uno schema mimentico a tre toni in modo da creare un forte contrasto con il verde scuro del Koenigstiger.

Dalle poche foto in mio possesso, i Koenigstiger della 3^ kompanie non avevano né numeri tattici né Balkenkreuz. Così, per questo progetto, niente trasferibili Archer!    

 Quinta fase: diorama setting.

Non sono un amante dei diorama. In primo luogo, perché non sono molto bravo a creare delle ambientazioni realistiche e credibili. In secondo luogo, perché preferisco concentrare la mia attenzione sul dettagli, anche più minuti, che in un diorama potrebbero passare inosservati. Questa volta, invece, ho provato a realizzare qualcosa di diverso anche se non volevo creare un vero e proprio diorama. Ho, quindi, preparato una sottile base di Das che poi ho ricoperto con una soluzione di acqua e Vinavil su cui poi ho posizionato un po’ di erbetta e sabbia. Il tutto è stato spruzzato con il giallo sabbia Tamiya Sand Yellow per stemperare il verde troppo brillante dell’erbetta. Purtroppo solo alla fine mi sono reso conto che lo strato di Das era troppo sottile compromettendo l’effetto di sprofondamento che un carro da 70 tonnellate di peso avrrebbe dovuto, più realisticamente, evidenziare. Sorry!

Il soldato è della ditta Wolf cui ho sostituito la testa con una prodotta dalla Hornet. Ho usato gli smalti della Humbrol per la divisa e gli olii per l’incarnato. Le croci rosse sull’elmetto e sul bracciale provengono da un vecchio foglio di trasferibili della Verlinden. Il figurino, posizionato nell’ambietazone quando la pasta Das era ancora morbida, esalta le impressionanti dimensioni del Koenigstiger rispetto a quello del soldato sottolineando il senso di pena e desolazione che pervade la scena: il soldato, senza apparenti emozioni, guarda il carro abbandonato e passa oltre. Chi è “L’ultimo tra i perduti?” Il soldato o il carro?

 

Elementi e materiali utilizzati.

  • Modello Koenigstiger Tamiya n° 35164
  • Cingoli FriulModel n° ATL-37
  • Tubicini assortiti Minimeca
  • Set di dettaglio in fotoincisione Aber n° 35040
  • Portello posteriore per la torre Artisan Mori n° MGP02
  • Colori acrilici Tamiya XF1, XF2, XF57, XF59, XF61, XF62, XF64
  • Olympus Digital Camera C-2500L

 

Bibliografia.

  • Germany’s Tiger tanks, VK45.02 to Tiger II, Design, Production & Modifications di T.L. Jentz and H. L. Doyle, Schiffer Military History (*)
  • Germany’s Tiger tanks, Tiger I & II: Combat tactics di T.L. Jentz, Schiffer Military History
  • Schwere Panzer in detail di B. Culver e U. Feist, Ryton Publications
  • Tiger in Combat I di W. Schneider, J.J. Fedorowicz Publishing
  • The Combat history of schwere Panzer-Abteilung 507 di H. Schneider, J.J.Fedorowicz Publishing 
  • Achtung Panzer no. 6, Dai Nippon Gaiga (*)
  • King Tiger Heavy Tank 1942 – 1945 di T.L. Jentz e H. L. Doyle, New Vanguard 1, Osprey Pubs
  • Tiger Model Fibel no. 468, Model Art
  • Sd.Kfz. 182 Pz. Kpfw. VI Tiger Ausf. B “Koenigstiger”, volume 1 di W. Trojca
  • Sd.Kfz. 182 Pz. Kpfw. VI Tiger Ausf. B “Koenigstiger”, volume 2 di W. Trojca
  • Bulge King Tiger di Mario Eens in Military Modelling, Vol. 32 No 4 2002 (*)

(*) raccomandati

Ringraziamenti.

Desidero ringraziare:

  • ­L’amico Giuseppe Schiavottiello della Modeldiscount per avermi fornito il set della Artisan Mori;
  • Gli amici dello Studio Fotografico Elit di Cantù (Paolo, Maurizio e Carlo) per i preziosissimi consigli sull’utilizzo della macchina fotografica digitale e del programma di fotoritocco PhotoShop;
  • L’amico Valerio per aver offerto la possibilità di pubblicare l’articolo sul sito Modeling Time.

 Buon Modellismo a tutti. Filippo Chessa.

Kit Review: Macchi Mc.200 – Italeri scala 1/48.

Copertina

Dire che il Macchi C.200 sia stato uno tra i migliori caccia della II Guerra Mondiale al pari di “mostri sacri” quali P-51, Me.109, Spittfire, è ovviamente un falso storico. Affermare, però, che il Saetta sia stato un velivolo molto importante perla RegiaAeronauticae per la storia della nostra aviazione, questo è sicuramente vero. Il 200 ha, infatti, rappresentato, assieme al suo contemporaneo Fiat G.50 dalle caratteristiche generali però inferiori, quell’anello di congiunzione tra i biplani CR42 e i ben più prestanti Macchi 202 e Reggiane Re 2001 prima, e i famosi velivoli della serie 5 (Macchi Mc 205, Fiat G.55, Reggiane Re 2005) poi. Ottimi aerei questi ultimi ma prodotti in pochi esemplari con cui era impossibile risollevare le sorti della nostra nazione nel secondo conflitto mondiale. Con il Saetta i piloti italiani fecero quel salto di qualità passando dagli arcaici biplani in tela e legno, ai più moderni monoplani dalle caratteristiche di volo ben diverse. Il primo volo della creatura dell’Ing. Castoldi avvenne nel 1937, e l’aereo rappresentava quanto di meglio potesse offrire l’industria aeronautica italiana del tempo. Esso era, infatti, monoplano, di costruzione interamente metallica, carrello retrattile con ipersostentatori sulle ali ed elica a passo variabile in volo. A questo si aggiungevano delle ottime doti di robustezza e maneggevolezza con caratteristiche di volo più che buone.

Retro

A tali peculiarità stonava però la presenza di un tettuccio aperto (imposto dagli stessi piloti che non si trovavano a proprio agio in un abitacolo chiuso), una non ricca strumentazione, un armamento non adeguato per la presenza di due sole mitragliatrici Breda-Safat da 12,7 sparanti attraverso il disco dell’elica che ne limitava ancora di più l’efficacia offensiva. Ciò nonostante il Macchi 200 è rimasto in servizio tra le file della Regia Aeronautica e poi tra quelle dell’Aeronautica Cobelligerante al Sud e dell’ANR al Nord, fino al termine del conflitto, operando con onore su tutti i fronti di guerra, dal torrido clima africano alle gelide temperature della steppa russa, o sul più mite Mediterraneo.

Scatola

Il modello Italeri.

Modellisticamente parlando il Macchi Mc. 200 è da sempre uno dei soggetti aeronautici tra i più gettonati, ma purtroppo il Saetta è stato un po’ snobbato dalle principali case modellistiche. Analizzando principalmente la scala 1/48, solamente qualche ditta minore come la genovese Astrokit, la statunitense Pacific Coast  Models o la francese Classic Airframes hanno immesso sul mercato scatole di montaggio relative al nostro velivolo, ma tutte non esenti da pecche più o meno gravi. A colmare la lacuna, ci ha pensato la nostrana Italeri con l’uscita di un ottimo kit appunto nella scala del quarto di pollice.

Stampata 1

Stampata 2

Contraddistinta dal numero di catalogo 2676, già alla vista la scatola si presenta assai accattivante con la sua box art raffigurante un velivolo della 369a Squadriglia in volo. Il contenuto si compone di due stampate di color grigio chiaro più una per le parti vetrate dall’ottima trasparenza, alle quali va aggiunto una lastrina di fotoincisioni e l’immancabile foglio decals, grazie al quale è possibile realizzare quattro differenti velivoli della Regia Aeronautica, operanti nei vari teatri operativi di guerra. Chiaro e di facile interpretazione il foglio istruzioni con la nuova grafica “3D”.

Ala inferiore

Fusoliera

Ala superiore

Ottimo il dettaglio di superficie in negativo come pure ben realizzati gli interni dell’abitacolo (con paratie laterali separate e ben dettagliate) e dei vani carrello, da arricchire ulteriormente con le fotoincisioni fornite. Queste riguardano il pannello strumenti e le cinture di sicurezza del seggiolino e altri elementi per le gambe di forza dei carrelli. Il montaggio non offre alcuna difficoltà, con fusoliera e ali che combaciano bene, riducendo al minimo l’utilizzo dello stucco. Ritornando alle ali, i flaps sono già separati dal resto dell’ala consentendo di collocare le superfici mobili nella posizione a piacimento; un buon modo per “movimentare” un po’ il modello una volta finito. Ottimamente riprodotto l’apparato motore che ben rende giustizia al radiale Fiat A.74 RC.38. Di buona fattura anche la naca che presenta un portellino d’ispezione apribile per mettere ancora più in vista il motore radiale.

Trasparenti 1

Trasparenti 2

Come accennato, il foglio decals consente di riprodurre quattro diversi esemplari di Mc.200. Si può, infatti, scegliere fra un esemplare della 369° Squadriglia 22° Gruppo Autonomo, operante in Russi nel 1941, o per uno della 365° Squadriglia Autonoma Caccia Terrestri, basato a Napoli nel 1940. Si può inoltre optare per un velivolo con le insegne della 85° Squadriglia 18° gruppo operativo nel1942 sulla base greca di Araxos o infine per un Macchi del 150° Gruppo Autonomo Caccia Terrestri operativo a Tirana nel 1941. Le decal sono ben stampate, in registro e dai colori saturi. Una caratteristica che, oramai, l’Italeri ha preso come riferimento per i suoi kit “bran new”: stampo di ultima generazione completato da un ottimo foglio decalcomanie.

Fotoincisione

Decal

Che dire, topo tanta attesa finalmente un ottimo kit a iniezione di un Macchi Mc.200 che, finalmente, colma una lacuna nel mercato modellistico. I lettori saranno felici nell’apprendere che l’Italeri ha da poco immesso sul mercato anche la Serie II del Saetta…. perchè non costruirli in accoppiata?

Buon modellismo. Stefano D’Amadio.

Istruzioni 1

Istruzioni 2

Uno Spit Tricolore – Supermarine Spitfire Mk.IXc dal kit Hasegawa 1/48.

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Quando porto a termine un modello, per me è sempre una grande gioia. Quello che ho davanti non rappresenta, solamente, un mero insieme di pezzi plastici assemblati e verniciati per “assomigliare” quanto più possibile a un velivolo reale… per me è qualcosa di diverso; è il frutto di mesi di lavoro, fatiche, e sacrifici per ritagliarmi un po’ di tempo da dedicare al nostro fantastico hobby nelle caotiche giornate che, purtroppo, lasciano sempre meno spazio allo svago.

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La mia ultima creazione, quella che andrò a presentarvi, è molto di più di tutto quello che vi ho detto finora. Perché? Continuate la lettura di quest’articolo e ne capirete il motivo!

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Da un’idea alla realtà!

Quante volte vi è capitato di voler realizzare un modello ma, purtroppo, per mancanza (o assenza) di decalcomanie avete dovuto riporre il vostro “sogno” in un cassetto? Se siete dei modellisti appassionati di velivoli che hanno prestato servizio nell’Aeronautica Militare Italiana, la risposta non può essere che questa: troppe volte. Così, un bel giorno, facendo visita in una delle librerie aeronautiche specializzate della mia città mi sono imbattuto, in modo del tutto fortuito, in un bel volume edito dall’Ufficio Storico dell’AMI dal titolo “Spitfire Italiani”.

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Da buon “italianofilo” ero a conoscenza che la nostra Aeronautica, appena uscita dalle ceneri della Seconda Guerra Mondiale, ebbe in carico molti caccia inglesi ma, ammetto, ignoravo quasi del tutto i particolari di quest’affascinante vicenda. Ovviamente, sfogliando le pagine del libro, la mia mente modellistica ha subito proiettato su di me la voglia di realizzare uno Spitfire con le coccarde tricolori nella scala 1/48!

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Dopo una breve ricerca, i miei buoni propositi si sono subito scontrati con la triste realtà: il mercato offriva pochissimo e le uniche scelte a mia disposizione riguardavano un vecchissimo foglio decalcomanie della Tauromodel (relativo alla sola versione Mk.Vb), o a insegne presenti in una scatola speciale dell’ICM di dubbia fattura e fedeltà storica. Per dovere di cronaca è opportuno ricordare che gli appassionati dediti alla scala più grande, la 1/32, avevano vita sicuramente più facile; potevano, infatti, avere un kit della Pacific Coast Model dedicato alla versione Mk.IX in cui erano presenti delle decal per un esemplare completamente metallico del 5° Stormo (sebbene il rosso delle insegne di nazionalità fosse del tutto errato), e di un aftermarket della Zotz Decal che permetteva la riproduzione di uno Spitifire, della medesima variante sopra citata, in livrea mimetica continentale RAF grigio/verde.

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Date le scarse possibilità di tirare fuori un lavoro decente, mi ero quasi deciso ad abbandonare il progetto e tenerlo in stand by in attesa di tempi migliori ma, per fortuna, non mi sono dato per vinto e dopo tre anni di lavoro sono riuscito a portare a termine il mio più ambizioso progetto modellistico: realizzare, completamente da zero, un foglio decal dedicato ai nostri Spitfire.

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Il Kit.

Come riportato anche nella review sopra linkata, la scatola di montaggio più corretta per uno Spitfire Mk.IX nella scala del quarto di pollice sarebbe la ICM. Il kit ucraino, però, è caratterizzato da un montaggio abbastanza ostico e da una plastica molto morbida che, di certo, non agevola il lavoro del modellista.

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Per questo motivo ho deciso di intraprendere la strada più complicata ma che, apparentemente, sembrava essere quella più rapida: l’acquisto del modello Revell codice 04554 (esatto reinscatolamento dello stampo Hasegawa) e della relativa correzione “no cut” della Loon Models per sopperire ad alcuni difetti di forma che, purtroppo, affliggono il kit giappo-tedesco. Le imperfezioni sono concentrate soprattutto nella fusoliera che è più corta di circa tre millimetri, ma altri vizi di forma risiedono nella forma dell’ogiva (troppo corta e tozza) e nell’altezza eccessiva del ruotino di coda.

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Apparentemente la fusoliera della Loon è, in pratica, identica all’Hasegawa. In realtà il cockpit è stato, correttamente, spostato in avanti di un millimetro abbondante e alcune pannellature riportate nella posizione più appropriata. La qualità generale del set non è male; qualche sbavatura facilmente eliminabile, pochissime bolle (del tutto trascurabili) e dettaglio superficiale abbastanza buono. La resina è di buona fattura, regge bene alle sollecitazioni e gli spessori dei pezzi sono ridotti. Nella confezione la Loon fornisce anche l’ogiva di forme e dimensioni corrette, oltre a varie “special parts” che permettono di riprodurre un esemplare “Early”. In particolare sono presenti i piani di coda con superfici di governo del primo tipo, portelloni del vano armi con bugna grande e presa d’aria del radiatore del tipo “piccolo”. Tutti questi “bonus” che la ditta americana ci mette a disposizione non saranno, comunque, utili per la costruzione di uno Spitfire italiano.

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In definitiva il prodotto della Loon Models non è la “panacea”, ma è quanto di meglio si possa trovare, oggi, per sistemare il kit Hasegawa e dargli un aspetto più realistico una volta finito.

Oltre al set di correzione, ho corredato il modello di numerosi altri aftermarket:

  1. CMK Cockpit Set n°4103: nonostante l’abitacolo originale sia già buono di per sé, l’accessorio della ditta ceca dona maggiore realismo a una zona che, personalmente, cerco di curare sempre al massimo. Inoltre il suo rapporto qualità prezzo è davvero ottimo.
  2. Ultracast E Wing Cannon Bay Cover n°48092: l’esemplare oggetto di quest’articolo aveva un’ala di tipo C ma con cannone montato in posizione esterna (caratteristica abbastanza comune tra i velivoli presi in carico dalla nascente Aeronautica Militare Italiana). Di fatto il set giusto è quello riguardante l’ala di tipo E.
  3. Portellino di accesso all’abitacolo Ultracast n°48096: molto particolareggiato e con l’ascia frangi vetro già stampata sulla superficie interna.
  4. Cofanatura motore inferiore della Ultracast con presa d’aria “late style” n°48088: da precisare che il suo acquisto non è fondamentale ma permette di risparmiare tempo e fatiche poiché la cofanatura originale del kit va assemblata e stuccata lungo la linea di mezzeria.
  5. Superfici mobili “late style” della Ultracast n°48086: oltre agli alettoni, il set comprende anche sia la parte fissa, sia la parte mobile dei piani di coda.
  6. Seggiolino con cinture di sicurezza del tipo “Sutton” della Ultracast n°48020: attenzione a non dotare il vostro seggiolino di cinture “late” perché mai montate sui nostri Spit.
  7. Scarichi “fishtail” della Quickboost n°48191.
  8. Ogiva e pale dell’elica della Quickboost n°48396: l’ogiva della Loon è corretta ma dal dettaglio non molto soddisfacente. Inoltre l’articolo della sussidiaria Aires presenta le pale dell’elica di forma più esatta.
  9. Cannoni e carenature in ottone tornito per ala tipo “C” della Master n°48004: costano pochissimo e sono spettacolari… vivamente consigliate!
  10. Ultracast 4 Spoke wheel n°48140: da sottolineare che la quasi totalità degli Spit italici utilizzava il cerchione degli pneumatici a quattro fori.
  11. Xpress Mask della Eduard codice EX013: pratiche e veloci per la mascheratura dei vetrini.

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Abitacolo:

Come di consueto i lavori hanno avuto inizio dall’abitacolo. La prima operazione da me eseguita è stata la completa eliminazione del dettaglio originale già presente all’interno delle fusoliere Loon Models.

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Successivamente, dopo aver “liberato” le resine dalle rispettive basi di stampa e averle rifinite con limitati colpi di lima, ho incollato in posizione le nuove paretine laterali della CMK con relativa semplicità. Il set della ditta ceca si adatta perfettamente e non richiede particolari attenzioni – tutto a vantaggio della velocità e del divertimento.

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Per la verniciatura del cockpit ho ricreato un mix di vernici espressamente studiato; queste le proporzioni:

  • 60 gocce di Verde F.S.34227 (Gunze H-312) più 6 gocce di Medium Sea Grey XF-83 Tamiya.

La miscela sopra descritta è stata diluita e addizionata di qualche goccia di Tamiya Paint Retarder che mi ha permesso di ottenere una superficie già abbastanza lucida e idonea per ricevere i lavaggi a olio. Ho preferito allungare con molto diluente Humbrol il washing (50% Bruno Van Dyck e 50% Nero d’Avorio), e applicarlo con la punta di un pennello facendolo arrivare su tutti i dettagli per capillarità ed evitare inutili sbavature .

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Venendo al seggiolino, quello del set CMK è stato scartato per far posto al bellissimo aftermarket della Ultracast che, tra l’altro, ha le cinture di sicurezza già stampate. Per la sua verniciatura ho realizzato una nuova combinazione di colori allo scopo di ricreare la caratteristica tonalità marroncina rossastra dovuta ai materiali con cui il sedile era fatto (cartone pressato e indurito con colle e resine); di seguito i rapporti:

  • 30 gocce di Tan F.S.30219 (Gunze H-319) + 3 gocce di Tamiya XF-79 Linoleum Deck Brown.

Anche in questo caso i particolari del pezzo hanno guadagnato maggiore volume con il solito lavaggio, per l’occasione fatto con il Bruno Van Dyck puro. Per le cinture ho utilizzato il Dark Sea Grey XF-54 Tamiya lumeggiato con la tecnica del Dry Brush utilizzando un grigio chiaro (nel mio caso il Gunze H-307).

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Molto bello e completo anche il cruscotto che presenta la strumentazione in fotoincisione. Il tutto è stato verniciato in nero opaco, mentre le cornici degli indicatori sono state evidenziate con la tecnica del “pennello asciutto”. Le lancette sono fornite su una lastrina di acetato trasparente cui basterà verniciare il retro in bianco opaco ed essere applicata sul fondo del pannello, sotto le fotoincisioni, a guisa di un “sandwich”. Per incollare l’acetato ho utilizzato una spennellata di cera Future che svolge perfettamente questa funzione; evitate l’impiego di colle aggressive (in particolare il cianoacrilico) che potrebbero comprometterne il disegno o opacizzare la superficie.

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Fusoliera:

Con il cockpit in sostanza ultimato non resta che unire le due semi fusoliere. La totale assenza di perni di riscontro mi ha costretto a eseguire un incollaggio “multiplo” partendo dal muso e finendo dalla coda per ottenere un allineamento quanto più preciso possibile. Ricordo, inoltre, che per assemblare la resina è d’obbligo l’uso della colla ciano acrilica. Quest’ultima, applicata in buona quantità lungo le giunzioni, ha anche avuto funzione di stucco riempiendo le fessure in modo impeccabile. Dopo aver atteso la sua completa essicazione, ho carteggiato le superfici interessate con carta abrasiva 800 per poi salire con grane sempre più sottili (fino alla 2000) allo scopo ottenere una finitura perfettamente liscia e lucida.

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Parlo, ora, del timone di profondità: la Revell lo fornisce separato dal resto della cellula, ma in realtà la superficie di comando non può essere montata nella posizione a piacimento così come si trova. La soluzione adottata dalla ditta tedesca è dettata solo dal fatto che, nel kit, è presente sia il timone con terminale a punta (Broad Chord Rudder), sia quello con forma arrotondata (standard su tutti gli Spitfire AMI) ed essi sono intercambiabili in base alle necessità del modellista.

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Allo scopo di montare il rudder in posizione sbandata ho, da prima, eliminato il suo perno di riscontro e poi smussato con una limetta da unghie il bordo che andrà a contatto con la fusoliera.  In pratica non ho fatto altro che ricreare lo stesso profilo tondeggiante presente anche sul timone del velivolo reale; quest’accortezza permetteva alla superficie mobile di ruotare all’interno della fusoliera sia a destra, sia a sinistra. Ricordatevi, inoltre, di eliminare il poppino alla sua sommità che, nella realtà, serviva da punto di ancoraggio per l’antenna a filo (non presente sugli esemplari AMI).

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L’intervento ha interessato anche la parte fissa della deriva cui ho allargato l’alloggiamento mediante una fresa montata su di un trapanino. Ecco una foto:

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Rimanendo in questa zona del modello, l’impennaggio ha dovuto subire un veloce intervento volto ad allungarne leggermente l’altezza poiché più corto di circa 1 mm rispetto alla superficie mobile di comando. L’operazione è stata eseguita incollando un tassello di Plasticard alla sommità, in seguito levigato e adattato con carta abrasiva.

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Le ali:

Per un appassionato l’ala dello Spitfire può essere, addirittura, paragonata a una qualsiasi opera d’arte scolpita da Michelangelo o dipinta da Raffaello! La sua forma ellittica elegante e affilata è rimasta pressoché invariata per tutta la produzione del caccia inglese, ma più volte fu cambiato il tipo di armamento che essa poteva portare sviluppando tantissime sotto varianti tra cui non sempre è facile districarsi. Riferendomi specificamente agli esemplari impiegati dall’A.M.I., il materiale bellico fornito dalla RAF presentava caratteristiche alquanto eterogenee per cui i velivoli immessi in linea di volo avevano peculiarità molto diverse tra loro. Si può affermare, però, che l’ala più diffusa tra gli Spit italici era quella di “tipo C“ che si caratterizzava per l’installazione di un cannone Hispano-Suiza da 20 mm (sistemato nel vano interno o esterno indifferentemente), e due mitragliatrici Browning da 12,7 mm montate in posizione più esterna verso la tip alare.

Il velivolo da me preso da riferimento per la riproduzione in scala (l’MK227) presentava un’ala “C”, ma con cannone e relativa bugna del portellone del vano armi in posizione esterna. Di fatto i pezzi già contenuti nel kit non sono idonei perché relativi a un’ala “C” classica, e devono essere sostituiti con quelli prodotti dalla Ultracast e ideati per un’ala di tipo “E”; in questo caso posso dire che non tutti i mali vengono per nuocere, poiché gli accessori in resina hanno una forma della carenatura aerodinamica molto ben fatta e più realistica – di sicuro migliori rispetto ai pezzi forniti nel kit.

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All’interno dello scasso già previsto sul dorso alare, ho incollato delle sottili striscioline di Plasticard allo scopo di livellare al meglio i portelloni ed evitare un utilizzo eccessivo di stucco e carta vetro che avrebbe irrimediabilmente compromesso il bel dettaglio di superficie in fine negativo.

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Altra lavorazione da eseguire riguarda la completa asportazione delle bugne stampate in corrispondenza del vano carrelli e del portellino a copertura della gun bay da 12,7 mm: queste, infatti, erano caratteristiche della versione Mk.XVI che utilizzava gli pneumatici di misura maggiorata. Per l’eliminazione della plastica in eccesso ho utilizzato una fresa a testa piatta e tanta attenzione; una veloce carteggiatura con carta grana 800 e 1500, e un’attenta lucidatura con il Tamiya Compound grana “Course” ha completato l’operazione.

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L’unione delle due valve che compongono le ali non ha creato particolari difficoltà, ma il loro bordo d’uscita andrebbe assottigliato poiché esso è un po’ troppo spesso per la scala del modello. Stessa cosa non si può dire per il montaggio delle tip alari standard che soffrono di un leggero sovradimensionamento e sono difficoltose da allineare correttamente. Prima di spostare le mie attenzioni sulla fusoliera ho provveduto a chiudere il foro d’uscita dei bossoli nella parte inferiore dell’ala; ovviamente è da eliminare quello più interno – vicino alla fusoliera – perché non utilizzato. Personalmente ho impiegato una striscietta di nastro Tamiya tagliata a misura che, oltre a simulare perfettamente il lamierino, è già adesiva e può essere subito collocata in posizione senza sforzi.

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Unione ali-fusoliera.

L’unione del complesso alare con la fusoliera è stata, senza dubbio, l’operazione più complicata di tutta la fase del montaggio. Il fatto che la carlinga fosse stampata in resina, poi, l’ha resa molto meno rigida e più propensa a deformarsi nella zona del raccordo Karman, di fatto quella che andrà a raccordarsi con il dorso dell’ala. Proprio per questa ragione ho deciso di “allargarla” e renderla più rigida inserendo un tassello di Plasticard da un millimetro in questo punto strategico:

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Ecco l’entità delle fessure prima dell’intervento….

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E dopo.

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Le prove a secco per il corretto allineamento dei blocchi costruttivi sono state decine, volte soprattutto a trovare il giusto posizionamento ed evitare la formazione di scalini che mi avrebbero costretto a un distruttivo lavoro di carteggiatura. In quest’ottica si è reso necessario lo spessoramento delle aree indicate dalle frecce rosse nella fotografie sottostante; allo scopo ho utilizzato delle strisce ricavate da vecchie tessere telefoniche incollate con del ciano acrilico.

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Viceversa, i due rialzi sagomati contrassegnati dalle frecce di colore blu sono stati limati e abbassati mediante l’uso della solita fresa levigatrice montata sul trapanino elettrico.

Sempre grazie alle prove fatte mi sono reso conto che la parte inferiore dell’ala, quella che s’innesta all’interno della fusoliera subito dietro all’abitacolo, è più lunga di circa due millimetri (di sicuro l’inconveniente è dovuto al nuovo arrangiamento dimensionale del set Loon Models).Quindi, per permettergli di incastrarsi a dovere, ho asportato un po’ di materiale plastico come da foto qui sotto:

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Dopo aver inserito il cruscotto e il pavimento dell’abitacolo, tralasciati in fase di unione delle semi fusoliere per maggiore praticità, ho rifilato ulteriormente i bordi qui sotto evidenziati per affinare ancor di più gli incastri.

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Nonostante la grande attenzione posta, l’uso di un riempitivo per pareggiare le fessure sarà comunque obbligatorio. Nel mio caso ho preferito l’Attack poiché lungo le giunzioni corrono molte pannellature che andranno ripristinate. Il collante, in questo senso, è ottimo poiché una volta asciutto e levigato ha una consistenza ideale per poter re incidere i dettagli andati perduti. Una generosa lucidatura avvenuta con carta abrasiva 2000 e il Tamiya Compound ha completato l’opera.

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Spostando le mie attenzione nella parte inferiore del modello, sull’innesto ala/fusoliera in precedenza citato ho dovuto ricostruire dei particolari andati persi a causa della carteggiatura. In pratica ho ricostruito i correntini di rinforzo della struttura con striscioline di nastro Tamiya tagliate a misura, mentre le placche di sostegno del Karman sono ricavate da nastro d’alluminio adesivo (di quelli che si usano in idraulica) sagomato con un bisturi molto affilato direttamente sulla superficie del modello.

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Un altro procedimento che ha richiesto una buona dose di concentrazione è stato l’assemblaggio della cofanatura inferiore del motore con il muso. Il pezzo in resina della Ultracast è ben fatto ma leggermente surdimensionato per il relativo alloggio; un’abbondante carteggiatura si è resa necessaria per riportare il cofano alle giuste dimensioni, ma questo ha fatto si che tutto il dettaglio di superficie fosse completamente cancellato. Oltre a dover reincidere la pannellatura che divide i due portelloni (che passa anche su profili tondeggianti e complicati da cesellare), l’ostacolo più ostico da superare sono, paradossalmente, quelle piccole “asole” di forma circolare in cui passano i bulloni che bloccano i pannelli al castello motore. Dopo vari tentativi non soddisfacenti, ho trovato la soluzione tagliando un pezzo di ago ipodermico di una comune siringa (dal diametro pressoché identico) e rifinendo il taglio in modo che la sezione fosse più precisa possibile; di seguito ho montato l’ago sul mandrino del mio trapano elettrico e l’ho utilizzato come una “dima” che, ruotando, ha inciso quasi perfettamente i segni sulla resina.

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Montaggio finale:

La fase finale del montaggio è stata aperta dai piani di coda della ditta canadese Ultracast. Belli e pratici, nel momento in cui si avvicinano alla fusoliera per le prove a secco di rito ci si accorge che il loro spessore è maggiore rispetto alla loro sede. Per raccordare i pezzi ho deciso di carteggiarne solo leggermente la superficie per evitare la creazione di visibili avvallamenti nella zona della congiunzione. Inoltre, nel set in mio possesso ho incontrato parecchi problemi di bolle d’aria “intrappolate” immediatamente sotto la superficie esterna dei piani e che, purtroppo, sono riaffiorate dopo poche passate di materiale abrasivo. Per chiudere i micro pori ho utilizzato il Mr. Surfacer 500 della Gunze che ha svolto il suo compito in maniera ottimale.

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Nell’accessorio della CMK dedicato all’abitacolo sono presenti anche parabrezza, canopy e cupolino fisso realizzati in Vacuform. I primi due (dalla buona trasparenza) sono stati “liberati” dagli eccessi di acetato e adattati sul modello; la parte fissa, purtroppo, è troppo sovra dimensionata e al suo posto è preferibile utilizzare il pezzo originale del kit. Prima di essere incollati in posizione (con l’Attack), i trasparenti sono stati immersi nella solita Future che ha contribuito a dargli maggiore brillantezza; una volta asciutta la cera, gli stessi sono stati mascherati per verniciare la parte interna dei frames con il medesimo colore utilizzato per il cockpit. Inoltre, in accordo con la documentazione, ho riprodotto anche un longherone di rinforzo alle spalle della piastra blindata del seggiolino (con del Plasticard sottile) e il sistema di ritenzione delle cinture di sicurezza (con un pezzo di nastro Tamiya).

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Quello che vedete qui sotto è il risultato finale dopo la stuccatura delle parti eseguita con il Basic Putty Tamiya e l’aggiunta delle due piastre d rinforzo sagomate (presenti alla base del windshield) ottenute tagliando il nastro adesivo d’alluminio citato qualche riga sopra.

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A ridosso del cupolino c’era la basetta in bachelite isolante per l’antenna radio: dopo aver eliminato il dettaglio stampato direttamente sulla fusoliera perché poco realistico e dimensionalmente errato, la stessa è stata ricostruita sagomando un pezzo di una vecchia fotoincisione.

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L’ultimo intervento ha riguardato i bellissimi cannoncini e coperture aerodinamiche tornite della Master. Come prima cosa bisogna eliminare l’incamiciatura in plastica già stampata sul bordo d’attacco della deriva e allargare i fori mediante una punta da 2 millimetri. Fatto questa non resta che inserire i pezzi in ottone nei loro scassi, fissarli con Attack, e raccordare il tutto con del Milliput. All’uopo potrete utilizzare anche uno stucco monocomponente qualsiasi, ma probabilmente saranno necessarie più applicazioni del prodotto.

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A questo punto il modello è pronto per una mano di Mr.Surfacer 1000. Non sono solito stendere il primer sui miei modelli, ma questa volta il suo utilizzo si è reso necessario sia per controllare la corretta esecuzione delle tante stuccature, sia per uniformare le diverse finiture delle superfici in plastica e in resina (più porosa) e dare all’insieme un aspetto più omogeneo.

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Verniciatura e invecchiamento:

Dopo un montaggio che, di certo, non posso definire rilassante… finalmente si arriva alla fase più divertente: la verniciatura.

Gli Spitfire ceduti all’AMI erano tutti molto usurati e giunsero in Italia con parecchie ore di volo già effettuate nei teatri bellici della WWII. Fu solo grazie all’impegno e alla dedizione dei nostri specialisti che fu possibile mettere frettolosamente in linea di volo un buon numero di velivoli e ridurre l’atavica carenza di macchine che, troppo spesso, costringeva i nostri piloti a terra.  Ovviamente non si poterono revisionare e riverniciare le cellule, per cui si cancellarono le precedenti insegne della RAF in maniera approssimativa e utilizzando le vernici che erano disponibili sul campo. Osservando le rare foto scattate all’epoca si nota, infatti, come le mimetiche erano molto “rattoppate” e, nelle zone più soggette al calpestio (come ad esempio il raccordo alare), scrostate e consumate. Stesso effetto si vede anche sui bordi d’attacco delle ali che erano investiti da sassi e detriti sollevati da terra dal disco dell’elica.

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Per riprodurre in scala questo particolare tipo di usura mi sono avvalso della “tecnica del sale” o “salt chipping effect”. Evito di entrare nei dettagli per non dilungarmi troppo, ma chiunque fosse interessato ad apprendere questa tecnica modellistica è invitato a visionare questo VIDEO TUTORIAL di Modeling Time appositamente creato.

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Venendo al camouflage del mio Spitfire, di seguito troverete i colori utilizzati in ordine di stesura:

  • Medium Sea Grey – F.S. 36270 – Gunze H-306 leggermente schiarito con del bianco per le superfici inferiori.
  • Ocean Grey – F.S. 36152 – 60 gocce di XF-66 Tamiya, 50 gocce di XF-54 Tamiya e 30 gocce di Grigio chiaro F.S. 36440 (Gunze H-325).
  • Dark Green – F.S. 34079 – Tamiya XF-81.

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Ammetto di essere stato un ingenuo credendo di trovare la miglior corrispondenza per le vernici da utilizzare in modo semplice…. In fondo lo Spitifire è uno dei velivoli modellisticamente più riprodotti, no? Bene, mi sono dovuto ricredere immediatamente! La questione sull’esatta tonalità dell’Ocean Grey si dibatte da anni tra gli appassionati ma, a quanto pare, una risposta precisa al problema non si è ancora trovata…

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Per farla breve, in commercio esiste una tinta pronta all’uso prodotta dalla Tamiya (l’XF-82) ma essa è troppo scura e tendente al blu. Alla fine ho preferito ricreare il colore partendo da una base di XF-66 Tamiya miscelato con l’XF-54 della stessa ditta; il tutto è stato, poi, schiarito con del grigio chiaro. Quest’ultima, come del resto tutte le altre tinte della mimetica, sono state solo la base iniziale su cui poi applicare vari strati di post shading e ricreare il grado d’invecchiamento che potete vedere nelle foto del lavoro completo.

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Per la fascia in fusoliera ho utilizzato l’XF-21 Sky della Tamiya; la tonalità è pressoché corretta ma è meglio desaturarla con qualche goccia di bianco opaco anche in questo caso. L’ogiva, invece, è verniciata in Blu Scuro Humbrol 104 eccezion fatta per il piatto dell’elica in bianco opaco. Le gambe di forza del carrello, completate con dei fili di frenatura riprodotti con del rame sottile, sono in White Alluminium dell’ALCLAD.

Le toppe in tela che coprivano le volate delle armi da 12,7 millimetri le ho realizzato tagliando a dovere, ancora una volta, il nastro Kabuki della Tamiya. Una volta verniciate in Insigna Red F.S. 11136, le ho applicare sfruttando il loro potere adesivo.

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L’ultima nota riguarda le obliterazioni delle vecchie insegne già citate qualche riga sopra. Partendo dalle dimensioni ricavate dalla decalcomania di una coccarda inglese, ho ritagliato un cartoncino alla giusta misura e l’ho appoggiato sulle superfici avvalendomi di alcuni “salsicciotti” di Patafix per farlo rimanere in posizione e distanziarlo a dovere. Per eseguire le cancellature ho scelto un grigio chiaro F.S. 36375, mentre per quelle relative allo stemma di reparto apposto su entrambe le cofanature motore ho optato per il J.A. Green XF-13 Tamiya. Stesso colore l’ho usato per sovra verniciare anche le caratteristiche “Fin Flash” albioniche sulla deriva.

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Decal:

La posa delle decal ha rappresentato, per me, un momento importante e di forte emozione. Non capita tutti i giorni di poter terminare un modello con un accessorio da te stesso ideato e prodotto. Non starò qui a specificare la bontà del mio prodotto… ovviamente sarei troppo di parte! Spero, invece, che sarete direttamente voi a testarne la qualità. Ovviamente, prima di posizionare le decal, è importante preparare il fondo con almeno quattro mani di trasparente lucido della Gunze molto diluito. La superficie liscia ha aiutato anche la stesura dei lavaggi; i colori da me scelti sono stati tre:

  • Grigio scuro sull’Ocean Grey (una nocciolina di Nero d’Avorio con la punta di uno stuzzicadenti imbevuta di Bianco di Marte).
  • Bruno Van Dyck sul verde.
  • Grigio medio per le superfici inferiori (stessa miscela utilizzata in precedenza leggermente schiarita con del Bianco di Marte).

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Ultimi dettagli:

E, finalmente, si giunge alla fase finale. Gli pneumatici in resina sono stati separati dalla base di stampa e verniciati in Tyre Black Gunze H-77 Ho aggiunto anche due tacche rosse che, nella realtà, avevano lo scopo di controllare un eventuale scorrimento dello pneumatico rispetto al cerchione (in White Alluminium ALCLAD).

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Il colore dei fumi di scarico è stato un bel dilemma che mi ha portato via parecchio tempo in ricerche e controllo della documentazione. Tutte le immagini oggi disponibili riguardanti gli Spit italiani sono in Bianco/Nero, quindi rimane molto difficile interpretare la tonalità che assumeva l’exhaust smoke; quello che s’intuisce è che esso era sicuramente molto chiaro, con molta probabilità tendente al marroncino, e investiva un’area molto vasta ai lati della fusoliera (di certo gli specialisti non perdevano molto tempo per lavare e ripulire i velivoli impegnati nel conflitto contro l’Egitto!).

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I Merlin montati sugli esemplari AMI erano motori con parecchie ore di volo e molto sfruttati. E’ molto plausibile, quindi, pensare che i cilindri presentassero un consumo delle fascette raschia olio elevato; senza entrare troppo nel merito, tecnicamente queste fascette hanno la medesima funzione che svolgono anche nei motori delle nostre macchine, ossia raschiare via l’olio che lubrifica la camera del cilindro ed evitare che esso sia poi risucchiato dagli scarichi ed espulso attraverso gli scarichi.

In definitiva, il colore giallastro/marroncino (da me riprodotto schiarendo con varie percentuali di bianco il Tan Gunze H-310) era dovuto dalla quantità (variabile) di lubrificante che trafilava nella camera di combustione e veniva poi volatilizzata dagli scarichi.

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Il traliccio dell’antenna originale, seppur corretto nelle forme, è un po’ fuori scala e ho preferito sostituirlo con un bellissimo aftermarket della Quickboost (codice QB48319).

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Il ruotino di coda fornito dalla Revell necessita di essere accorciato di almeno un millimetro abbondante poiché, con la sua eccessiva altezza, non fa assumere al modello il giusto assetto.

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Lo specchietto retrovisore (del tipo tondo) del kit, enorme rispetto alle proporzioni del modello, è stato scartato e sostituito da uno in fotoincisione della Eduard (tratto dal set 48409). La carenatura aerodinamica “bombata” nel retro dello specchio l’ho riprodotta con una goccia di Kristal Kleer. Un’ultima mano di opaco (Flat Clear XF-86 Tamiya) stesa su tutto il modello, l’aggiunta del tettuccio rigorosamente in posizione aperta, delle superfici mobili dei piani di coda hanno decretato la fine del mio lungo e, lo ammetto, faticoso lavoro.

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In conclusione, non saprei descrivervi la gioia che ho provato nel vedere le mie decalcomanie sul mio Spitfire finito e pronto per essere esposto in vetrina. E’ stato un modello impegnativo sotto tanti punti di vista…. ma, alla fine, ha saputo ripagare le mie fatiche donandomi una grande soddisfazione!

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Buon modellismo a tutti!

Valerio “Starfighter84” D’Amadio.

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“Come se fosse spinto da un angelo…” – Me.262 A-1/U3 dal kit Hobby Boss in scala 1/48.

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 “Come se fosse spinto da un angelo….” – Adolf Galland dopo il primo volo del Messerschmitt 262.

Note Storiche:

Nella primavera del 1944 gli alleati si trovarono ad affrontare una minaccia senza pari.Dal mese di aprile uno speciale gruppo della Luftwaffe era stato equipaggiato con i  rivoluzionari caccia Messershmitt Me.262. Compito principale dell’unità: valutare in condizioni operative e il potenziale del nuovo intercettore e mettere a punto tattiche e modalità di impiego. Per la prima volta al mondo,il turboreattore faceva il suo esordio in combattimento in un settore dominato esclusivamente dai tradizionali propulsori ad elica. Con le sue eccezionali prestazioni di velocità, in assoluto superiori a qualsiasi altro velivolo esistente, e il suo pesante armamento, il Me.262 era un’arma formidabile.

Nella disperata rincorsa per la conquista della supremazia aerea, la Germania era quindi riuscita a battere sul tempo la Gran Bretagna, ma nella convulsione dell’ultimo anno di guerra il vantaggio venne sfruttato in minima parte. Il destino del Me.262 fu segnato dallo stesso Hitler che, colpito dalle caratteristiche della macchina, ordinò che venisse modificata prima come bombardiere e poi come caccia notturno. Questa decisione, contrastata da molti ufficiali superiori della Luftwaffe, finì col disperdere la produzione in una serie di sotto varianti che rallentarono moltissimo la piena operatività dei reparti. La conseguenza fu che i 1430 esemplari realizzati negli ultimi mesi del conflitto entrarono in linea troppo tardi e in quantità limitate per incidere effettivamente sull’andamento della guerra. Ciò nonostante il Me.262 si battè tenacemente fino al termine delle ostilità, impiegato prevalentemente per contrastare le incursioni dei bombardieri alleati sulla Germania.

Armato di ben quattro cannoni mk 108, era in grado di abbattere un B 17 con una breve raffica. Tali armi, però, erano più simili ad un lancia granate automatico che ad un vero cannone, relativamente poco precise con un volume di fuoco troppo lento, una corta gittata e una velocità del proiettile inferiore a quella del MG 151. In ogni caso, una superba arma anti bombardiere, ma una pessima arma contro i caccia nemici. La sistematica distuzione delle fabbriche tedesche, unita alla mancanza di carburante, non permise il pieno sviluppo del mezzo, e dell’idea stessa di aereo a reazione…sviluppo portato poi avanti dalle potenze vincitrici della Seconda Guerra Mondiale. L’arma che, fortunatamente, il Terzo Reich non seppe usare, si rivelò quindi una pietra miliare,a l pari se non superiore, al Kitty Hawk dei fratelli Wright. OK, dopo avervi annoiato con la lezione di storia, passiamo alla plastica!

Il Kit:

Prima di parlare del kit, forse è bene parlare del perché: perché questo aereo? Perché questa scala?
Beh si, chi mi conosce bene sa che sono un ‘settantaduista’ convinto. A spingermi ad abbracciare il lato oscuro della scala è stato l’esame di maturità: portando una tesina incentrata sulla storia del volo era inevitabile “condirla” con un modello! della serie: “guardate il modello e non badate a quello che dico”! Come avrete letto nelle note storiche, ho voluto scegliere un aero interessante e fondamentale che racchiudesse epoche passate e la “New Age” aeronautica.. inevitabile scegliere lo Schwalbe in una scala che permettesse di apprezzare bene capacità modellistiche e dettagli dell’aereo. Navigando tra siti internet, alla fine, la scelta è ricaduta sul Me 262 A-1 u3 della Hobby Boss – versione da foto-ricognizione, che al posto dei soliti 4 cannoni montava due apparati fotografici protetti da due vistose carenature in fusoliera. In ogni caso, era dotato di 3 cannoni (due sul muso in posizione più bassa, ed uno centrale). Preso da improvvise manie di grandezza ho deciso di acquistare anche uno Junkers Jumo 004 in resina della Quickboost. L’unico che ho trovato era in realtà consigliato per il kit Tamiya ma, come vedremo più avanti, l’adattamento è stato difficoltoso ma non impossibile.

Essendo un modellista abituato ai i kit italeri in 72, sono rimasto da subito impressionato dal livello di dettaglio. Cockpit, pannello strumenti, vano mitragliatrici e vano carrelli finemente dettagliati tanto che questa volta lo scratch è stato davvero ridotto ai minimi termini.

Montaggio:

Neanche a dirlo, si parte dal cockpit. Mi sono limitato solo ad autocostruirmi cinture, cuscino alla base dello schienale, portadocumenti e..documenti.

Per quanto riguarda il pannello strumenti, ho semplicemente ritagliato dalla decal ogni singolo strumento e poi l’ho posizionato sul pannello precedentemente colorato e lucidato.


Ho messo particolare attenzione nel dettagliare il vano carrelli… più che altro per divertimento.Era  talmente ricco di cablaggi che non ho resistito!

Si procede tranquillamente e senza troppi intoppi fino ad arrivare alla chiusura delle semifusoliere e all’incollaggio delle ali.

Arriviamo ora ad un problema che vi avevo già anticipato: l’adattamento del motore Quickboost, pensato per il tamiya, sul kit Hobby Boss. I problemi risiedono principalmente nella zona frontale superiore, dove il motore si raccorda con l’ala. C’è, infatti, da riempire un’accentuata fessura e non solo: al Plasticard che useremo per chiudere la “avoragine” dovremo dare la forma giusta della carenatura in modo da non far notare differenze con l’altro motore. Facendo questa operazione, inoltre, si riesce anche a dargli la giusta inclinazione. Dopo questa fase si può procedere con l verniciatura del propulsore eseguita con varie tonalità di Alclad II e Humbrol metallizzati.

Verniciatura:

Arriviamo, finalmente, alla verniciatura! Per prima cosa, come mio solito, ho eseguito un Pre Shading con il nero solo sulla superficie inferiore nonostante non sia solito fare utilizzare questa tecnica su tale superfici in quanto poco visibile. Ho quindi steso il Gunze H-417 sulla pancia e l’H- 423 sulla parte superiore (il verde più scuro). Prima di passare alla realizzazione delle macchie, ho invecchiato leggermente il primo verde della mimetica con un leggero Post Shading.

Infine, ho realizzato le macchie in Gunze H-422 – ìl tutto a mano libera.

Vista la complessità della mimetica, e la ridotta vita operativa degli Schwalbe, ho evitato ulteriori interventi di Post Shading. Stando al kit, per riprodurre il fregio sul muso avrei dovuto usare una decal; data la forma molto affusolata e la presenza di numerosi pannelli complessi e bocche di fuoco, ho optato per la riproduzione tramite verniciatura ad aerografo utilizzando nastro Tamiya tagliato in striscioline e molta pazienza.

A questo punto si esegue la solita routine modellistica: trasparente lucido, decals, ulteriore mano di lucido e opaco finale. Ricordiamo ai meno esperti a cosa serve tale procedura? perchè no!

  1. Con la prima mano di lucido create uno strato protettivo liscio e omogeneo che facilita il posizionamento delle decals e l’applicazione dei “washing ad olio”.
    Tra l’ultima mano di lucido e quella finale di opaco, s’inserisce la tecnica dei “lavaggi ad olio” per mettere in risalto le pannellature in negativo del modello. Nel mio caso l’ho eseguito con un Nero di Seppia leggermente schiarito con del Bianco Avorio, il tutto diluito con Acqua Ragia.
    Con la stessa miscela,ho realizzato le striature causate da eventuali perdite di carburante e liquidi idraulici da bocchettoni e sfiati .Potete notarlo, per esempio, sull’ala sopra il motore.
  2. L’ultima mano di lucido permette di sigillare le decal definitivamente e di livellare gli eventuali spessori delle insegne.
  3. L’opaco regala la finitura finale a tutto il modello.

Si sa…. a noi di ModelingTime gli aerei tirati a lucido proprio non  piacciono!

Credo di aver detto tutto quello che c’era da dire..spero di non avervi annoiato troppo! Ora godetevi le foto del modello finito.

Buon modellismo.
Leonardo “Thunderjet” F.

Aftermarket Review: Hobby Plus Insigna Mask set.

Parliamo di mascherature e di stencils. Voi direte ma che bisogno c’è e che nesso può ancora esiste tra le due cose nell’era dei tablet ed iphone? Dove nel mondo del modellismo per ogni tipo di aereo, elicottero, mezzo terrestre i produttori aftermarket di decals sgomitano ampliando il ventaglio di occasioni e soggetti da realizzare creando l’imbarazzo della scelta al modellista? In realtà sino a qualche anno fà, prima dell’avvento di questi aftermarket, noi modellisti eravamo legati, per forza di cose, ai fogli decals presenti nei kit ed alla bontà della loro fattura. Alcune volte erano buone, il più delle volte sufficienti ma in determinati casi e marche, pessime. Per sopperire alle carenze di questi fogli, il povero modellista, dopo aver speso tanto lavoro per la realizzazione della livrea, aveva ben poche soluzioni a sua disposizione: ricorrere a decals presenti nella “banca” degli avanzi, utilizzare quelle che aveva sperando di limitare i danni, oppure, i più bravi modellisti, erano soliti realizzare le coccarde di nazionalità, le marche identificative degli aeromobili o gli stencils più semplici, su pellicola trasparente: il frisket. Ovviamente questo procedimento non era alla portata di tutti per via dell’immane lavoro di precisione da fare e per la manualità richiesta; spesso erano utilizzate le soluzioni più disparate, a volte dagli esiti incerti. Fortunatamente questo avveniva nel passato; oggi, invece, scegli il soggetto da realizzare e compri tutti gli accessori di cui hai bisogno, ovviamente non prescinde dall’acquisto il foglio decals! Bhè una vera pacchia! Sino a quando non ti accorgi che anche il migliore di questi accessori è affetto da problemi; in alcuni casi risolvibili ed in altri no. A questa realtà non fanno eccezione neppure le decals aftermarket. Fortunatamente questo avviene in pochi casi…però quando accade sono dolori: colori sbagliati, poco saturi, sottodimensionate, sovradimensionate, scarsa qualità del film, troppo spesse, troppo dure, troppo fragili, film opaco…insomma ce né davvero per tutti i gusti! Alcuni di questi problemi sono risolvibili, ma altri sono sistemici ed inalienabili in tutto il foglietto. C’è una vecchia citazione frutto della saggezza antica la quale recita che i rimedi di una volta sono sempre i migliori. Questo non vuol dire assolutamente dover tornare a 30 anni fa…non sia mai! Però se si unissero i concetti di un tempo alle tecnologie disponibili nell’epoca in cui viviamo, trovano sicuramente posto idee brillanti ed originali. Ecco che anche nel nostro piccolo ed evoluto mondo, fatto di grandi progetti, si apre uno squarcio sul passato. E’ da questa “filosofia” che trae ispirazione il prodotto che mi è stato chiesto gentilmente di provare dal nostro Valerio.

Si tratta di mascherine a bassa adesività appositamente create per cercare di rimediare ai più comuni problemi legati all’utilizzo delle decals monocolore.

Nel mio caso è stato scelto il set dedicato agli F-16 Americani nella scala 1:72 per provarle direttamente sul campo; infatti è dal “fronte caldo” che vi riporto le impressioni in merito a questo prodotto. Nelle righe a seguire analizzeremo operativamente in dettaglio il set e la sua applicazione, vagliandone pro e contro. Il set è lo 069-72, composto da 7 pezzi: 1 foglietto di istruzioni, 1 foglio pre-mask trasparente, 1 foglio riepilogativo delle insegne riproducibili, 4 fogli pre-cut riguardanti le insigna mask del modello.

Il contenuto del set.

Le istruzioni.

La pre-mask.

 

Le mascherine in vinile.

C’è da dire che i due colori di vinile presenti nel set identificano differenti gradi di adesività: il nero ha una adesività lievemente superiore rispetto al vinile di colore argentato. Nonostante questa differenza di adesività, entrambe sono funzionali ai nostri scopi senza alcun pericolo di scrapping della vernice sottostante, che va comunque primerizzata.

La qualità delle maschere è ottima, tagliate al plotter su input CAD, in maniera professionale senza interruzioni o dissimmetrie; il materiale non si deforma ne si lacera rimuovendolo dal supporto; l’adesività della pellicola è stata scelta con cura in modo tale da sposarsi perfettamente con le nostre esigenze.

A completamento di questo si aggiunga anche un raddoppio, ed in certi casi, una triplicazione delle insegne necessarie. Praticamente tutto il lavoro che un tempo il modellista era costretto a fare a mano con immensa fatica, qui è praticamente già eseguito in maniera professionale ed abbondante, sgravando l’appassionato da questo compito e lasciando spazio alle restanti fasi della messa in posa delle maschere e della decorazione delle insegne. Questa può essere eseguita sia con smalti che con acrilici.

Le istruzioni, in inglese, sono un po’ prolisse e carenti in certi aspetti, più che delle vere e proprie istruzioni di utilizzo del prodotto danno dei suggerimenti. La cosa strana è che nonostante siano state stampate a colori, mancano del tutto dei riferimenti fotografici dei vari step d’applicazione che a mio avviso sono indispensabili per questi set, fornendo così un linguaggio visivo molto più efficace e fruibile. Purtroppo, su queste, manca anche un riferimento che aiuti il modellista a capire dove posizionare correttamente le maschere sul modello. L’utilizzo di queste, in mancanza di vere e proprie istruzioni, non è molto immediato nonostante l’idea di base sia semplice. Dal disegno generale di ogni singolo stencil, andranno rimosse le parti che lo compongono e che dovranno essere colorate sul modello, evitando assolutamente di spostare, rimuovere o rompere le simmetrie degli altri pezzi presenti sul supporto.

Si taglia un pezzo della pre-mask fornita nel set e si applica sullo stecil. E’ buona norma far perdere un po’ di adesività a quest’ultima per facilitarne il distacco nella fase successiva.

Successivamente con l’aiuto della pre-mask trasparente applicata al di sopra dello stencil “pulito” dalle parti non utili, andrà rimossa l’intera maschera + pre-mask. Quest’ultima previene il movimento delle parti che compongono il decoro generale durante la fase di trasferimento dal supporto al modello. Una volta in posa si rimuove la pre-mask e, giocando per differenze di adesività, sul modello rimarrà solamente la mascherina con la sua architettura intatta tra le parti che la compongono.

L’handicap più importante che fa subito capolinea è la scelta, da parte della ditta produttrice, di un vinile colorato e non trasparente. Questo infatti non permette di leggere visivamente i riferimenti presenti sul modello, quali pannellature e simmetrie per posizionare la mask nella giusta posizione, cosa che normalmente noi modellisti siamo abituati a fare quando applichiamo le decals o diamo una mimetica. Operazione resa ancor più difficile se poi si devono rispettare simmetrie tra lato destro-sinistro oppure ventre-dorso. Purtroppo sembra di andare a tentoni e lavorare al buio. La cosa è del tutto risolvibile a patto però di mettere in conto un po’ di lavoro extra, ma mai tanto oneroso quanto quello del taglio delle maschere. Purtroppo le istruzioni danno delle indicazioni di massima che sono poco chiare e confusionarie nonostante una buona conoscenza della lingua inglese. Alla fine mi son dovuto ingenare un metodo semplice e infallibile. Tutti gli stencil sono racchiusi in rettangoli i quali, in base al tipo di insegna contenuta, hanno stesse dimensioni e posizioni generali senza distinzione tra neri e argentati.

Nel set sono anche presenti alcuni stencil “pieni” con i soli bordi intagliati. La chiave sono proprio queste parti.

Ho applicato su questi la pre-mask, rifilando successivamente con una lama nuova il contorno facendo coincidere entrambe i bordi.

Tagliati i quattro bordi esterni, per ricrearmi la copia speculare della mask, ho rimosso la pellicola trasparente insieme allo stencil pieno.

In questo modo ho ottenuto il negativo di ciò che sarà dipinto sul modello ma stavolta su un supporto trasparente che per posizione forma e dimensione, è del tutto uguale alla maschera definitiva.

Decidere dove posizionare lo stencil è cosa facile oltre che visibile. Infatti tutti i punti di riferimento sono ben riconoscibili ed allineare la mask è facile come applicare una decals.

Con una matita morbida, tipo 2B ben appuntita, si riportano i bordi sul nastro per mascheratura e su questi segni si applica la mascherina vera e propria di cui abbiamo parlato inizialmente.

E’ capitato che alcuni pezzi più piccoli non venissero “catturati” dalla pre-mask, ma con poco sforzo si mettono al loro posto con l’aiuto di un bisturi. Questo è capitato perchè ho dovuto ridurre un po’ l’adesività della pre-mask per favorirne il distacco dal vinile senza difficoltà.

Lato sinistro che segue la stessa procedura applicata al lato destro.

Stesso procedimento per tutte le restanti zone interessate dagli stencil.

Oltre alle insegne di nazionalità ho voluto provare anche lo stencil della zona rifornimento in volo.

Qui una parte dello stresso procedimento precedentemente utilizzato è stato garanzia di successo, ma il grosso l’hanno fatto la precisione e la qualità di queste mascherine: zero deformazioni, strappi o lacerazioni. Una precisione nel seguire le pannellature circostanti che mi letteralmente fatto rimanere di stucco, ancora più perché la maschera, essendo abbastanza impegnativa da gestire viste le dimensioni, non ha fatto una grinza! Forma e perpendicolarità dei tagli sono rimasti invariati, segno che il vinile è di qualità e
che i tagli non hanno sbavature. A fine applicazione delle insigna mask, ho protetto completamente il modello per evitare spiacevoli sorprese dovute all’overspray. Finalmente è arrivato il momento di caricare l’aerografo! Il test vero e proprio per questo prodotto sta per iniziare. Il prodotto che ho utilizzato è stato un acrilico matt della Tamiya, nello specifico il Nato Black. Con una pressione settata di 0,5 bar ed una diluizione al 40% (colore molto denso) è iniziata la prova.

La parte più frizzante è stata la rimozione delle mascherature.

Ecco i risultati una volta tolte tutte le mascherature.

Devo dire che inizialmente avevo confrontato le dimensioni delle insegne di nazionalità con le decals della di una nota marca per ovvi motivi non posso citare; le discrepanze risultanti, avevano creato molte perplessità sulla correttezza delle dimensioni, infatti tra le due c’era un gap del 22% . Alla fine hanno avuto torto le decals e questo giocherà sicuramente a favore per questo tipo di set nel futuro prossimo. Inoltre con questi insigna stencil mask è del tutto impossibile avere delle insegne di nazionalità con colori sbagliati, o che non copiano le pannellature sottostanti.

In breve ecco pro e contro riscontrati di queste insigna paint mask:

In definitiva non posso che esprimere un giudizio del tutto positivo su questo prodotto nonostante alcune difficoltà nell’utilizzo o mancanze nelle istruzioni, che a mio avviso rimangono un punto di riferimento imprescindibile per qualsiasi prodotto. Dopotutto questo set si fa ben volere per via dei suoi innegabili vantaggi che fanno la differenza. Ovviamente non potremo mai pensare di soppiantare in toto un foglio decals, però alcuni effetti difficilmente potremo trovarli su questi e soprattutto intervenire sugli errori di
stampa se non con una insigna mask.

Un sentito ringraziamento va a Valerio D’Amadio e alla Hobby Plus che gentilmente mi hanno fornito queste paint mask.

Per maggiori info contattate la Hobby Plus: modelmask@yahoo.co.uk 

Oppure cliccate su Hobby Plus Mask Set!

Tester and builder: Aurelio Laudiero

Fiat G-91Y “Yankee” dal kit ADV Models in scala 1/48.

Una prefazione necessaria.

Non ricordo quando è nata la mia passione per gli aeroplani. Non c’è un evento primordiale, li ho sempre amati. Ricordo invece perfettamente il mio primo incontro con il G-91Y. Avvenne a Brindisi, dove con grande gioia del sottoscritto la mia famiglia si trasferì nella tarda estate del 1980. Durante una passeggiata serale in auto mio padre finisce “casualmente” lungo la perimetrale del “Papola-Casale”. Si sentono dei velivoli in circuito per cui mi preparo a gustare qualche touch and go. Dopo qualche minuto una sagoma sibilante appena accennata dalle luci di atterraggio scende velocemente sulla pista, tocca… e riparte fragorosamente spinta da due fiamme bluastre in coda, perdendosi rapida nella notte estiva. Per i 10 anni successivi i G-91Y con la bocca di squalo del 13°Gruppo sono stati i fedeli compagni delle mie giornate in aeroporto. Con loro (e con l’eterogeneo traffico in transito sulla base pugliese) ho nutrito la mia passione, anche se quasi sempre al di là della rete.

La genesi.

L’Aeronautica Militare Italiana, fin dalla entrata in servizio dei primi G-91R (1959) , ha sempre potuto disporre di una componente dedicata all’appoggio tattico equipaggiata con velivoli di progettazione e costruzione nazionale, robusti, semplici e facili da manutenere. Questa scuola di pensiero, frutto di precise scelte strategiche, progettuali e di politica industriale, non ha però mai assicurato a tali macchine il successo commerciale che, almeno sulla carta, avrebbero meritato. Il G-91R – vincitore di un concorso N.A.T.O. per un L.W.S.F.(Light Weight Strike Fighter) – non venne alla fine ordinato da diverse nazioni inizialmente interessate, ma poté beneficiare soltanto dei pur corposi ordinativi della Luftwaffe (394 G-91R e 66 G-91T) oltre che di quelli dell’Aeronautica Militare. Il G-91Y, pur nato sotto i migliori auspici, forte del sapiente mix tra parentela con il modello precedente (soprattutto il G-91T) e le innovazioni introdotte per incrementarne capacità e prestazioni (motori, armamento, avionica), fu prodotto in soli 65 esemplari (compresi i due prototipi) adoperati soltanto dall’ 8° (1970) e dal 32° (1974) Stormo. Ancora una volta (a parte considerazioni circa la cronica assenza di appoggio politico-diplomatico nella commercializzazione dei nostri prodotti all’estero) le altre forze aeree preferirono dotarsi per lo stesso ruolo di velivoli dalle prestazioni superiori, spesso ridondanti.

Anche l’AMX, seppur con numeri differenti e con maggiori possibilità di dimostrare la sua valenza operativa, ha in qualche modo seguito lo stesso destino…ma questa è un’altra storia. Quello che è certo è che questi “insuccessi” si traducono di solito, a livello modellistico, in scarso interesse da parte dei produttori. Nessuno rischia di investire migliaia di euro nella realizzazione di kit che possono avere un mercato limitato ad una sola nazione o ad uno sparuto gruppo di estimatori. I modellisti italiani sono ormai rassegnati alla costante assenza di offerte per alcuni degli aeroplani che hanno portato le coccarde nazionali. L’unica speranza è che ci sia qualche piccolo produttore artigianale bravo e coraggioso che magari osi anche nella scala 1/48….

Il kit.

Con le premesse che avete appena letto e nessuna esperienza con modelli in resina mi sono avvicinato al kit ADV Models con un timore quasi reverenziale. Il kit è davvero bello, ben curato e rifinito. Il dettaglio superficiale è davvero pregevole, con pannellature finemente incise. Tutte le componenti principali e le caratteristiche di questo velivolo sono ben riprodotte. Impreziosito da particolari in fotoincisione ed in metallo (carrelli, pitot, cannoni) ed un foglio di decals per riprodurre, in assoluta par conditio, un esemplare dell’ 8° ed uno del 32° Stormo, entrambi con le vecchie insegne ad alta visibilità. Non mi sono fatto mancare un minimo di aftermarket con la bella scaletta per il G-91 prodotta dalla MasModel.

I dettagli da aggiungere sono davvero pochi. La resina utilizzata è la Chemix, atossica e di qualità. Si è dimostrata ben lavorabile, robusta e compatta. Sui vari pezzi non ci sono ritiri e soltanto qualche piccola sparuta bolla d’aria, prontamente riempita con una goccia di ciano. Per la costruzione sono stati utilizzati i soliti strumenti (cutters con lame di varia forma ben affilate, seghetto, limette e carta abrasiva) oltre all’indispensabile mascherina per evitare l’inalazione delle polveri derivanti da carteggio o taglio, notoriamente nocive. La composizione delle parti (ad eccezione delle semiali, fornite in un unico pezzo pieno) mi ha fatto ben presto dimenticare che stavo lavorando con questo materiale e non con il più comune polistirene.

Il montaggio.

Dopo diversi tentennamenti ho deciso, anche se molto a malincuore, di non forare il muso per rappresentare in maniera più realistica le fotocamere che vi erano installate. Operazione sicuramente non alla mia portata sia per il notevole spessore della resina in quella zona che per la difficoltà di riprodurre ed incollare i trasparenti.Mi sono quindi dedicato, armato di lametta da barba ed X-Acto ben affilati, al taglio dei trasparenti in acetato. Dopo un piccolo errore su uno dei due parabrezza forniti, sono riuscito a rifinire senza problemi l’altro. Il canopy è fortunatamente venuto bene al primo tentativo.

Le mie attenzioni si sono poi rivolte al cockpit, ben riprodotto nei suoi vari elementi.

Con una strisciolina di plasticard ho aumentato leggermente lo spessore dei bordi dell’abitacolo ed ho realizzato i fori per i ganci di bloccaggio del tettuccio.

Con qualche pezzettino di Evergreen ho riprodotto piccoli dettagli presenti all’interno del canopy,  anch’esso ben riprodotto.

Prima di chiudere le semifusoliere ho cominciato a lavorare sul condotto della presa d’aria. La riproduzione è solo parziale ed i puristi storceranno il naso.

Ad onor del vero il condotto è sufficientemente profondo per poter affidare ad un’adeguata verniciatura dell’interno il compito di renderlo abbastanza realistico. La scomposizione richiede necessariamente l’intervento dello stucco per raccordare le varie parti. Questo lavoro si può semplificare incollando la parte superiore del condotto ad una delle semifusoliere. Si potrà in tal modo lavorare più agevolmente almeno su di un lato.

Per l’altro si dovrà penare un po’ visto l’angusto spazio di manovra con le semifusoliere incollate. L’interno della presa d’aria è stato stuccato dove necessario con piccole quantità di Mr. Surfacer 500 applicato con una spatolina ricavata da una tessera telefonica. Dopo cinque minuti dalla sua applicazione lo stucco è stato spennellato con la Tamiya Tappo Verde che lo ha livellato e ulteriormente irrobustito.Prima di chiudere le semifusoliere sono stati anche incollati i condotti dei J-85, opportunamente rinforzati con pezzettini di sprue letteralmente annegati nella ciano così da scongiurare distacchi postumi. L’abitacolo è stato colorato come da istruzioni in Grigio FS 36231 (Gunze H-317). Dopo la lucidatura le consolles ed i quadranti del pannello strumenti hanno ricevuto del nero a smalto (Hu 33) a pennello. Lavorare con gli smalti sopra una base acrilica consente di rimediare ad eventuali errori adoperando il solvente per smalti che non intaccherà la vernice acrilica sottostante. E’ un modo semplice e pratico per ottenere un risultato pulito. Qualche pulsante colorato ed un piccolo lavaggio ad olio nelle zone in grigio sono stati seguiti da una spruzzata di trasparente opaco. La realizzazione del cockpit si è conclusa con il solito drybrushing finalizzato ad evidenziare spigoli e dettagli. La stessa tecnica è stata adoperata per il Martin Baker ma partendo da una base di nero acrilico. Al seggiolino sono state autocostruite le maniglie di espulsione con tubetti di Evergreen e fotoincisioni di scarto.

L’unione delle semifusoliere, pur in mancanza di riscontri, non ha comportato grossi problemi di allineamento. E’ stata eseguita con abbondante uso di cianoacrilica, adoperata anche come stucco sulle le linee di giunzione.

Per piccole rifiniture ho invece utilizzato il solito Mr. Surfacer 500 con una spennellata di Tappo Verde. Come sempre il controllo successivo è avvenuto passando un pennarello nero sulle zone trattate.

Ricordo a chi utilizza questa tecnica che è opportuno rimuovere i tratti del pennarello dalla resina appena possibile. La maggiore porosità rispetto al polistirene tende ad assorbire l’inchiostro che poi, non venendo via completamente, lascia un alone scuro. Queste macchie comunque non hanno pregiudicato in alcun modo le successive fasi di colorazione, ma su tonalità particolarmente chiare e delicate potrebbe non essere così.

Dopo aver completato al fusoliera ho reinciso i pannelli persi nelle fasi di carteggiatura. La reincisione della resina è risultata meno agevole rispetto a quella della plastica. Ho sempre utilizzato la punta di un compasso come scriber, ma durate questa operazione la resina si è dimostrata meno stabile. Occhio quindi alla pressione da esercitare perchè si rischia di ottenere delle incisioni con una profondità non costante. Con la punta di uno stuzzicadenti indurito con la ciano ho infine ripassato le incisioni per rifinirne i bordi. Il montaggio delle semiali non ha comportato alcun problema di allineamento. Ho soltanto dovuto limare uno dei due cassoni alari perchè interferiva con il pozzetto degli aerofreni. Ma con qualche colpo di lima le ali sono andate al loro posto assumendo il giusto diedro.

Sono rimasto piacevolmente sorpreso dalla rifinitura la robustezza delle due piccole alette antiscorrimento presenti sul dorso dell’ala che, con un velo di ciano, sono andate al loro posto (in seguito sono riuscito a rovinarne una che comunque è  stata ricostruita senza troppi problemi). Non sono stato invece capace di eseguire correttamente il foro per l’alloggiamento del bellissimo pitot in metallo. Attenzione a questa operazione perchè gli spessori sono davvero minimi e si rischia  di aprire una voragine. Poco male comunque, a patto di un minimo di attenzione in più, ho incollato e stuccato il pitot invece che posizionarlo a montaggio ultimato. L’unico rimpianto che ho per le ali di questo kit è dovuto agli slats, realizzati come parti separate e dotati di tutti gli attuatori (fotoincisi) che ne consentivano il movimento. Dopo un’intera serata passata inutilmente a cercare di incollare gli attuatori agli slats facendo assumere agli stessi la posizione corretta, preso dalla sconforto (e da un po’ di stanchezza) li ho incollati in posizione intermedia, incoraggiato da alcune foto scattate a Montichiari nel 1994 interpretate come prova della possibilità che queste superfici assumessero a terra una posizione non completamente estesa.  E’ pero vero che gli slats si muovevano solo in funzione della resistenza dell’aria e quindi a terra dovevano essere o completamente estratti o bloccati in posizione retratta. Mi riservo alla prima occasione di avere conferma della cantonata che ho preso! Per non pensarci troppo ed avvilirmi mi sono dedicato al posizionamento del parabrezza. Il corretto posizionamento di questo elemento, contribuisce notevolmente, a mio avviso, al realismo di un modello. Deve apparire ben integrato con la fusoliera e non semplicemente appoggiato. In questo caso l’incollaggio e la stuccatura si sono resi indispensabili anche per conferire robustezza ad un windshield di acetato, notoriamente meno rigido di un comune trasparente.

La stuccatura ha riguardato soprattutto la parte del blindovetro, dove è stata ricostruita la piastra del convogliatore dell’aria, ed è avvenuta con l’applicazione di strati molto leggeri del solito Mr. Surfacer, successivamente levigati con un cotton fioc imbevuto di alcool.

L’acetato si è rivelato robusto ed ha sopportato sia l’incollaggio con la ciano che le successive mascherature. Tuttavia consiglio a chi si cimenterà nella costruzione di questo pregevole kit di effettuare ugualmente un bel bagno nella Future per ottenere una migliore trasparenza finale. A montaggio ultimato del windshield mi sono accorto che la palpebra del pannello strumenti era troppo alta. Non so dire dove ho sbagliato, anche perchè mi sembra di aver seguito tutti i riscontri presenti in fusoliera durante il montaggio del cockpit. Ad ogni buon conto ricordatevi di fare sempre numerose prove a secco prima di procedere. Mi sono quindi cimentato nella riproduzione di qualche piccolo particolare (attuatori del timone, luce anticollisione trasparente, ganci ventrali, sfiati, etc.)

e poi ho proseguito con il dettaglio dei pozzetti carrello e aerofreni. Foto alla mano, questi vani hanno ricevuto cavi e tubazioni varie (filo di stagno e plasticard).

Alle gambe principali del carrello, in metallo, sono state aggiunte le tubazioni in filo di stagno. Per riprodurre la gabbie di protezione dei DEFA da 30mm – dopo aver inutilmente  tentato di piegare con la dima fornita nel kit i listelli di acciaio armonico forniti, ho adoperato del filo di rame di adeguato spessore.

Sul G-91Y i piani di coda orizzontali erano completamente mobili. Non erano degli elevoni ma la loro escursione, seppur minima, favoriva l’efficienza aerodinamica degli equilibratori. Sarebbe un errore stuccarli ed infatti il kit fornisce correttamente un perno in metallo per renderli mobili lungo l’asse di rotazione.

Mentre mi avvicinavo al completamento della costruzione del kit ho finalmente individuato l’esemplare da riprodurre. I velivoli in carico al 32°Storno, già dopo pochi mesi dalla revisione (e comunque entro la prima estate) risultavano scoloriti e sbiaditi a causa del cocente sole pugliese. A terra i G-91Y del 13°Gr. non godevano di alcun tipo di protezione. Quando non erano nel loro elemento naturale o in hangar per manutenzione se ne restavano in linea di volo. Gli agenti atmosferici infierivano sulla mimetica e soprattutto sul grigio scuro. In alcune zone (ali,zona centrale e caudale) questo colore sbiadiva vistosamente. I ritocchi degli specialisti facevano il resto, regalando colorazioni accattivanti ed uniche. La scelta è caduta su un esemplare abbastanza scolorito, per mia fortuna immortalato da differenti angolazioni in occasione dello stesso evento.

La colorazione.

Il primo colore caricato nell’aerografo è stato il nero opaco acrilico della Tamiya (XF-1) con il quale ho verniciato (dall’esterno) i frames del parabrezza, gli interni dei portelli del carrello oltre alle gambe ed i vari martinetti dello stesso. Queste parti hanno poi ricevuto una serie mani tutte rigorosamente a pennello asciutto con gli smalti Humbrol. Un paio di sessioni abbastanza pesanti in alluminio (Hu56) sono state sufficienti per la colorazione di fondo. La lumeggiatura è stata affidata all’argento (Hu11).

Sono poi passato alla realizzazione della mimetica superiore. Ho impiegato i Gunze Dark Seagray H331 (BS381C/638) e Dark Green H330 (BS381C/641), mentre per i serbatoi (che dalle foto appaiono più chiari e sbiaditi) ho adoperato il Green H309 (FS34079)

In attesa dell’asciugatura dell’ H331 di base ho preparato due miscele per questo grigio con qualche goccia di Grey H308 (FS36375). Con la prima miscela (9 gocce di H331  + 1 goccia di H308) ho iniziato a sfumare i pannelli della zona anteriore e , in maniera molto leggera, il piano verticale di coda. Con la seconda miscela (2 gocce di H331 + 8 gocce di H308) ho colorato quasi completamente ali, piani di coda orizzontali e parte centrale della fusoliera.

Il grigio è stato spruzzato soltanto nelle zone interessate per evitare di sovrapporre inutilmente strati di colore. Con il Patafix ho poi provveduto a mascherare le bande grigie e sono passato ad applicare il verde (H331).

Per desaturare questo colore ho sperimentato per la prima volta il filtro della True Heart per i colori scuri (Paint Fading 1). Ho faticato un po’ a prenderci la mano. Consiglio di procedere per gradi. Quando lo si spruzza i risultati non sonno immediati ma compaiono dopo qualche minuto. Se si esagera si rischia di ottenere un effetto eccessivo…anche se si può sempre ricominciare da zero lavando subito via tutto con una pezzolina imbevuta d’acqua. Ho successivamente ripreso le bande verdi con il colore originale che, passato molto diluito ed a bassissima pressione, mi ha consentito di amalgamare tutto ed ottenere un effetto delicato e meno contrastato rispetto al grigio, come nella realtà.

A questo punto mi sono dedicato alla colorazione in nero di alcuni particolari e pannelli, rimandando alle fasi successive gli ulteriori interventi di invecchiamento sulla mimetica. Dopo aver mascherato tutto il lavoro eseguito ho applicato un paio di mani Tamiya Chrome Silver X-11 sulle superfici inferiori. Non avendo ancora sperimentato i magici Alclad ho preferito adoperare nuovamente questo colore metallico, già adoperato su un F-104G mimetico del 3°Stormo con risultati più che accettabili. L’unica accortezza è stata quella di applicare questa tonalità alla fine della colorazione, vista la estrema delicatezza dell’ X-11 (che mal sopporta anche il nastro Tamiya) e la sua fastidiosa tendenza a depositarsi in minuscole particelle su tutto ciò che non è stato preventivamente mascherato.

Mi sono poi dedicato alla colorazione dei vani carrello ed aerofreni adoperando un verde a smalto Humbrol (Hu226) ed i Vallejo per i dettagli. Un paio di mani di trasparente lucido Tamiya (X-22), abbondantemente diluito con il prodotto della casa e “corretto” con un po’ di retarder Gunze, hanno preparato il modello per la successiva fase dei lavaggi. Questi ultimi sono stati eseguiti ad olio, diluito con il solvente Humbrol. Ho utilizzato un’unica tonalità di grigio per tutte le pannellature, ad eccezione di quelle che delineano le estremità delle superfici mobili e delle piccole prese d’aria presenti sul velivolo. Per queste ultime è stato adoperato il nero. L’impasto è stato rimosso con piccoli pezzettini di carta dopo circa 30 minuti. In alcuni casi dopo diverse ore, per ottenere effetti più marcati “tirando” il colore con un pennello piatto.

Dopo aver atteso ancora 24 ore, alcune zone ed i pannelli di manutenzione hanno ricevuto un trattamento con le polveri Tamiya. Sperimentato in altre occasioni il notevole grip di queste polveri, ho finito per adoperarle sempre su superfici lucide, in modo da garantirmi ampi margini di correzione in caso di errore. Una mano di X-22 ha sigillato lavaggi e polveri regalando una superfici a prova di silvering e pronte per l’applicazione delle decals.

Posa delle decal e termine dei lavori.

Non appena ho aperto questa scatola di montaggio ed ho avuto modo di esaminare il foglio di decals, ho avuto la sensazione che i numeri di carrozzella dedicati all’esemplare del 32°Stormo fossero sovradimensionati. Avendo in magazzino un vecchio foglio Tauro con tali numeri non mi sono preoccupato più di tanto. Arrivato il momento di applicare le decals, con mio grande rammarico, ho avuto conferma delle mie impressioni iniziali. Anche i numeri del foglio Tauro (comunque dedicato ai G-91R) si sono rivelati ad un più accurato esame della sessa taglia di quelli del foglio fornito nel kit ADV Models. Non avendo alternative ho utilizzato quanto avevo a disposizione.

Altro punto dolente di queste decals è costituito dallo scarso potere coprente del rosso. L’effetto è venuto fuori soprattutto sulle coccarde applicate all’estradosso alare il cui bordo rosso lasciava trasparire i sottostanti colori della mimetica.

Un vero peccato, vista la buona qualtà complessiva delle decals. Sono estremamente sottili, con il film  trasparente ridotto al minimo. Hanno reagito egregiamente sia al binomio Microset/Microsol che al più aggressivo Mr. Mark Softer. Eseguiti alcuni piccoli ritocchi con gli acrilici Vallejo, le decals sono state sigillate con una ulteriore mano di X-22. Dopo 24 ore ho effettuato lavaggi ad olio mirati sulle decalcomanie. In questo modo le ho desaturate ed ho nuovamente evidenziato i pannelli sui quali le decals erano state applicate.

Sono riuscito ad attenuare la brutta trasparenza del rosso delle coccarde, mentre la sharkmouth è stata adeguatamente “affumicata” per l’uso continuo dei DEFA da 30mm.

Il modello ha poi ricevuto la mano finale di trasparente. Ho miscelato l’X-22 con del Flat Base fino ad ottenere una finitura satinata che risaltasse soprattutto in presenza di fonti di luce diretta. Dopo aver atteso qualche ora, rimosse le mascherature da cockpit e windshield, ho riprodotto su quest’ultimo le guarnizioni dei vetri con Vallejo ed un pennellino 000. Nel frattempo la parte trasparente del canopy ha ricevuto un bagno di Future per poter essere incollata con un velo di ciano (fatta decantare comunque per 2/3 minuti su di un tappo di bottiglia) alla struttura del tettuccio. Il montaggio del carrello e dei vari portelli ha richiesto soltanto un po’ di pazienza e di calma. Appoggiato il mio G-91Y sulle sue gambe mi sono però subito accorto che assumeva un assetto leggermente “frenato” sul ruotino anteriore.

Ricontrollate tutte le rispondenze con gli altri riferimenti (compreso il corretto incollaggio delle gambe del carrello), sono giunto alla conclusione di aver esagerato nella fase di pulitura del ruotino dalla materozza, mangiandomi almeno un millimetro di pneumatico. A danno compiuto e soprattutto con un ruotino saldamente incollato alla gamba del carrello, dopo un consulto con gli amici del forum, ho deciso di cercare di ridare un minimo di volume alla zona di contatto con l’asfalto. Con veli successivi di ciano ho recuperato un millimetro di spessore e, dopo aver carteggiato la zona ho ripristinato la colorazione dove necessario.

L’assetto è stato ripristinato ma l’effetto sul ruotino non mi piaceva particolarmente. Siccome la cosa non mi andava giù ho ricostruito con del filo di rame i fermaruota in tondini di ferro che venivano utilizzati a Brindisi sui velivoli in parcheggio.

Per mia fortuna gli specialisti erano soliti applicare un fermaruota proprio davanti al ruotino, mentre almeno un altro veniva collocato dietro ad una delle ruote del carrello principale. In questo modo il ruotino è tornato ad essere presentabile. Dopo alcune prove ho deciso di non montare i serbatoi subalari. Ho ancora vivido il ricordo di questa configurazione “pulita” abbastanza frequente a Brindisi e che prediligo. Fissato il canopy in posizione ed incollati gli ultimi particolari, il viaggio nei miei ricordi di giovane appassionato si è concluso con un Falco Brindisino fiero ed aggressivo parcheggiato in bacheca.

Considerazioni finali.

Ho impiegato più di otto mesi per completare questo modello. Il Kit ADV Models è davvero pregevole, peccato soltanto per alcuni limiti del foglio di decals. Siamo di fronte ad una realizzazione artigianale di livello elevato, non certo adatta ai neofiti ma che mi sento di consigliare a chiunque abbia un po’ di esperienza. La qualità complessiva aiuta davvero tanto,  anche se, come il sottoscritto, non vi eravate mai cimentati nella realizzazione di un kit in resina.

Se esiste un velivolo al quale siete particolarmente legati, magari perché avete avuto la fortuna di poterci volare, lavorare o lo avete potuto ammirare da vicino, provate a riprodurlo. Non costruirete soltanto un modello in scala, ma darete vita e sostanza ai vostri ricordi, alle vostre emozioni. Vi assicuro che proverete sensazioni e soddisfazioni maggiori di quelle già preziose che il nostro hobby ci regala.

Se poi siete stregati dal G-91Y….

Guido Maria SPILLONEFOREVER Brandolini

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