Crocifissione 54mm - Il Cristo - Fine
Inviato: 13 novembre 2014, 19:20
Premessa:
affronto questo soggetto, dal punto di vista “storico” e non religioso, anche se chiunque di noi si è certamente “imbattuto” in una crocifissione religiosa, vuoi per cultura, vuoi per aver visitato una chiesa o un museo, dove ha certamente visto una rappresentazione pittorica di essa.
Lungi da me, affrontare il tema religioso, ognuno creda in chi voglia, se lo fa stare in pace con se stesso, ottimo così.
Cenni storici
La crocifissione
La pena della crocifissione era diffusa presso molte popolazioni antiche, come gli Assiri e i Persiani, gli Indiani, gli Sciiti, ed è stata portata in occidente da Alessandro Magno.
Il primo vero «successo» l'ha conosciuto soprattutto presso i Cartaginesi, ma furono forse i Romani il popolo che ne fece il ricorso più frequente e spietato: in seguito alla rivolta di Spartaco, nel 71 a.C., oltre seimila ribelli furono giustiziati in quel modo.
La crocifissione per legge era riservata agli schiavi, ai prigionieri di guerra e ai rivoltosi, e in quell'occasione fu esercitata con fredda efficienza su tutti coloro che si erano ribellati al potere centrale: chiunque viaggiasse tra Capua e Roma poté vedere per giorni, ai lati della strada, i corpi rimasti sulle croci che venivano straziati dagli animali predatori e dalla forza degli agenti atmosferici.
Faceva parte della pena che il cadavere non trovasse sepoltura ancora intatto e fosse esposto allo sguardo dei passanti, in segno di disprezzo per i morti ma anche di monito per i vivi.
Soltanto con Costantino, nel 341 d.C., la crocifissione venne ufficialmente abolita dal novero delle condanne a morte, anche se già da tempo vi si faceva ricorso assai di rado.
Ci sono testimonianze secondo le quali anche nei campi di prigionia austroungarici, nel corso della prima guerra mondiale, si praticava la crocifissione e almeno un testimone oculare ha parlato di atti simili compiuti dai nazisti nel campo di concentramento di Dachau durante la seconda guerra mondiale.
Ovunque e da chiunque – compresi coloro i quali la infliggevano – questa forma di pena capitale è stata giudicata come la più crudele, la più infamante, la più disumana. Consisteva nel dare la morte con lentezza allo scopo di aumentare e portare a un limite insopportabile la sofferenza del condannato.
Il corpo di quest'ultimo si sfigurava orribilmente e non è un caso che i giustiziati, con una scritta che denotava il loro crimine, venissero lasciati per giorni sulla croce esposti allo sguardo dei passanti: la vista di uno spettacolo tanto drammatico era considerata il deterrente migliore contro chi avesse la tentazione di commettere lo stesso reato che già aveva prodotto una morte simile.
Come era fatta la “croce”
La croce era, nel mondo antico, sostanzialmente divisa in due parti che, ricomposte, formavano una sorta di T, con un asse verticale che veniva conficcato nel terreno e un «patibulum» destinato ad essere collocato trasversalmente. Il piede e il patibulum erano dello stesso legno: il primo lungo circa 2,5-3,5 metri, il secondo di 150-180 cm.
Il patibulum presentava un foro in corrispondenza della porzione centrale, così da poter essere incastrato sulla sommità dell'asse verticale a formare una struttura solida, ben piantata a terra. Occasionalmente sull'asse verticale veniva apposto un «sedile» ad altezza opportuna, per permettere al condannato di appoggiarvi il peso del corpo.
Nel periodo romano e quando la crocifissione era abbastanza frequente gli assi verticali erano già posizionati conficcati al suolo, pronti a svolgere la loro funzione: in generale disposti fuori delle mura di cinta della città, raccolti in un'area appositamente destinata alle esecuzioni. L'asse trasversale era invece mobile e veniva portato sulle spalle dal condannato, da dove gli veniva comminata la pena fino al luogo ove doveva avvenire la crocifissione.
Questa rappresentava in sostanza soltanto l'ultimo atto di un supplizio che iniziava con la fustigazione del condannato, spogliato delle vesti e legato a una colonna. Il numero e la violenza dei colpi di frusta determinavano lacerazioni più o meno profonde dei tessuti cutanei e sottocutanei del condannato, che poteva andare incontro a perdite ematiche consistenti e a traumi gravi che ne comportavano la morte.
Di tutti i sistemi giuridici, soltanto la legge romana sanciva esplicitamente che la vittima dovesse spirare in croce e che quindi occorresse evitare che la sua morte in questa fase preliminare. Ad ogni modo il supplizio determinava un notevole indebolimento dell'organismo, destinato ad accentuarsi con la prova successiva cui il condannato era costretto: portare il patibulum sulle spalle fino al luogo della crocifissione.
Le braccia del condannato erano distese e legate con corde all'asse trasversale della croce, appoggiato sulle sue spalle. Una scritta che specificava il crimine di cui si era macchiato gli veniva appesa al collo e in queste condizioni si doveva compiere il tragitto fino al luogo del supplizio finale.
A causa del peso non trascurabile del patibulum, della già subita fustigazione e delle asperità del terreno, era molto probabile che lungo il percorso il condannato cadesse più volte a terra con la faccia in avanti; il fatto di avere le braccia distese e legate all’asse trasversale gli impediva di proteggersi il viso.
Una volta giunto al luogo della crocifissione, comunque, gli veniva data una mistura di mirra e vino acre, allo scopo di alleviargli parzialmente il dolore.
Disteso con la schiena a terra, le mani del condannato erano fissate alla croce mediante chiodi ed eventualmente assicurate meglio legandole al patibulum con pezze di stoffa annodate.
I chiodi venivano conficcati all’altezza della prima piega del polso, quindi le varie rappresentazioni pittoriche o scultoree che vediamo sono dal punto di vista della “messa in atto della pena” errate. Alcuni medici/scienziati hanno fatto esperimenti accertando che i chiodi piantati nelle mani, provocavano dopo 3-4 minuti la lacerazione dei tessuti e di conseguenza la caduta dalla croce.
Le ginocchia erano piegate, con il destro sovrapposto al sinistro. Il busto, girato di lato, sedeva su un appoggio. Le braccia erano distese verso l'esterno, ciascuna fissata con un chiodo.
Una volta sulla croce, il condannato poteva sopravvivere per periodi variabili, in dipendenza di una serie di fattori: robustezza e costituzione fisica, età e stato di alimentazione, intensità della fustigazione e dei maltrattamenti subiti in precedenza, quantità di sangue e di liquidi corporei perduti, numero e gravità delle ferite riportate.
Secondo la maggior parte degli autori, la morte sopraggiungeva di solito dopo diverso tempo, da uno o due giorni fino a quattro o cinque.
La morte:
L'asfissia aumentava progressivamente, come era evidente dal fatto che la gabbia toracica si dilatava al massimo e la zona epigastrica si faceva estremamente concava... La pelle diventava violetta. Una sudorazione abbondante cominciava in tutto il corpo, cadendo a terra e bagnando il terreno. Era particolarmente abbondante, in maniera straordinaria, durante gli ultimi minuti prima della morte.
Un'altra osservazione, relativa a un individuo appeso per i polsi, rivelò un pallore diffuso in pochi minuti, respirazione superficiale, caduta della pressione sanguigna e della frequenza cardiaca, pronunciata diminuzione della capacità vitale: tutti segni in accordo con l'ipotesi di una morte per asfissia.
In un esperimento effettuato di recente (Scott, 1995) questo quadro è stato sostanzialmente confermato: un individuo crocifisso con chiodi ai piedi tenderebbe a sollevarsi finendo per assumere una posizione asimmetrica, ma lo sforzo dopo un po' porterebbe a un'iperestensione dei polmoni, a disidratazione, ipovolemia e acidosi respiratoria e metabolica.
Si produrrebbero crampi muscolari, mentre si acuirebbero il dolore delle ferite e il senso di sete. Con il passare del tempo aumenterebbe la fatica di tirarsi su e i momenti di riposo si distanzierebbero, finché alla fine si cederebbe all'asfissia.
A favore dell'ipotesi della morte per difficoltà respiratorie si erano pronunciati anche altri autori nel 1963, sebbene sia da segnalare che quindici anni dopo alcuni specialisti americani hanno sostenuto che questo non sarebbe altro che un cofattore all'interno di una situazione più complessa, che prevederebbe anche insufficienza cardiaca e versamento pericardico.
Un cedimento del cuore è stato suggerito oltre cento anni fa e riproposto da autori recenti; mentre embolia coronarica successiva a ipovolemia, ipossiemia e turbe della coagulazione, in grado di determinare infarto miocardico, è al centro della tesi avanzata nel 1986 sul JAMA da un gruppo di specialisti americani.
Alla metà del secolo scorso è stato teorizzato che la morte per crocifissione fosse dovuta a insufficienza cardiaca secondaria a uno shock prodotto dallo sfinimento, dal dolore e dalla perdita di sangue: posizione condivisa integralmente da vari cardiologi (1964) e altri specialisti all'interno di quadri più articolati.
Sull’argomento si sta studiando ancora oggi….
La scena vuole rappresentare il Cristo crocifisso e due soldati romani a guardia della croce, a sinistra il Longino che leggenda vuole sia stato colui che inferse il colpo al costato, l'altro un normale soldato romano. Quest'ultimo sarà una curiosità, ma non voglio anticiparvi nulla, al momento della colorazione vi spiegherò
Il terreno è stato lavorato con del comune das, poi una volta asciutto, l'ho dipinto a pennello con un fondo marrone scuro e ad areografo con del colore giallo/sabbia e man mano a schiarirlo nella tonalità che mi piaceva di più.
Siamo in estate in palestina, quindi, molto sole e terreno chiaro, i sassi un po' sono della basetta, qualcuno gliel'ho aggiunto io.
Ai piedi della croce si può notare la sacca con "presumibilmente la mistura di mirra e vino acre, le corde per l'innalzamento della croce e il martello con il quale sono stati piantati i chiodi. (quest'ultimo andrà ancora lavorato con lavature tipo gun metal).
Il legno della croce:
Ho dato ad areografo una base acrilica fatta da ocra e bianco in modo da ottenere un beige. Questa è la base per il legno, con più il beige è scuro con più i passaggi color legno risulteranno scuri, ovviamente vale il discorso inverso per un legno chiaro. Ho pensato al legno scuro e grezzo immaginandomi che sicuramente non fosse legno pregiato.
Dopo il beige ho lavorato il legno ad olio, prima con della terra d'ombra scura, con un pennello piatto in modo da simulare le venature del legno, poi con del bruno va dick sempre a pennello piatto. Quest'ultimo ancora fresco l'ho "tirato" con una spugnetta che si trova all'interno delle scatole dei soldatini, ma credo amche nelle scatole degli after in resina
affronto questo soggetto, dal punto di vista “storico” e non religioso, anche se chiunque di noi si è certamente “imbattuto” in una crocifissione religiosa, vuoi per cultura, vuoi per aver visitato una chiesa o un museo, dove ha certamente visto una rappresentazione pittorica di essa.
Lungi da me, affrontare il tema religioso, ognuno creda in chi voglia, se lo fa stare in pace con se stesso, ottimo così.
Cenni storici
La crocifissione
La pena della crocifissione era diffusa presso molte popolazioni antiche, come gli Assiri e i Persiani, gli Indiani, gli Sciiti, ed è stata portata in occidente da Alessandro Magno.
Il primo vero «successo» l'ha conosciuto soprattutto presso i Cartaginesi, ma furono forse i Romani il popolo che ne fece il ricorso più frequente e spietato: in seguito alla rivolta di Spartaco, nel 71 a.C., oltre seimila ribelli furono giustiziati in quel modo.
La crocifissione per legge era riservata agli schiavi, ai prigionieri di guerra e ai rivoltosi, e in quell'occasione fu esercitata con fredda efficienza su tutti coloro che si erano ribellati al potere centrale: chiunque viaggiasse tra Capua e Roma poté vedere per giorni, ai lati della strada, i corpi rimasti sulle croci che venivano straziati dagli animali predatori e dalla forza degli agenti atmosferici.
Faceva parte della pena che il cadavere non trovasse sepoltura ancora intatto e fosse esposto allo sguardo dei passanti, in segno di disprezzo per i morti ma anche di monito per i vivi.
Soltanto con Costantino, nel 341 d.C., la crocifissione venne ufficialmente abolita dal novero delle condanne a morte, anche se già da tempo vi si faceva ricorso assai di rado.
Ci sono testimonianze secondo le quali anche nei campi di prigionia austroungarici, nel corso della prima guerra mondiale, si praticava la crocifissione e almeno un testimone oculare ha parlato di atti simili compiuti dai nazisti nel campo di concentramento di Dachau durante la seconda guerra mondiale.
Ovunque e da chiunque – compresi coloro i quali la infliggevano – questa forma di pena capitale è stata giudicata come la più crudele, la più infamante, la più disumana. Consisteva nel dare la morte con lentezza allo scopo di aumentare e portare a un limite insopportabile la sofferenza del condannato.
Il corpo di quest'ultimo si sfigurava orribilmente e non è un caso che i giustiziati, con una scritta che denotava il loro crimine, venissero lasciati per giorni sulla croce esposti allo sguardo dei passanti: la vista di uno spettacolo tanto drammatico era considerata il deterrente migliore contro chi avesse la tentazione di commettere lo stesso reato che già aveva prodotto una morte simile.
Come era fatta la “croce”
La croce era, nel mondo antico, sostanzialmente divisa in due parti che, ricomposte, formavano una sorta di T, con un asse verticale che veniva conficcato nel terreno e un «patibulum» destinato ad essere collocato trasversalmente. Il piede e il patibulum erano dello stesso legno: il primo lungo circa 2,5-3,5 metri, il secondo di 150-180 cm.
Il patibulum presentava un foro in corrispondenza della porzione centrale, così da poter essere incastrato sulla sommità dell'asse verticale a formare una struttura solida, ben piantata a terra. Occasionalmente sull'asse verticale veniva apposto un «sedile» ad altezza opportuna, per permettere al condannato di appoggiarvi il peso del corpo.
Nel periodo romano e quando la crocifissione era abbastanza frequente gli assi verticali erano già posizionati conficcati al suolo, pronti a svolgere la loro funzione: in generale disposti fuori delle mura di cinta della città, raccolti in un'area appositamente destinata alle esecuzioni. L'asse trasversale era invece mobile e veniva portato sulle spalle dal condannato, da dove gli veniva comminata la pena fino al luogo ove doveva avvenire la crocifissione.
Questa rappresentava in sostanza soltanto l'ultimo atto di un supplizio che iniziava con la fustigazione del condannato, spogliato delle vesti e legato a una colonna. Il numero e la violenza dei colpi di frusta determinavano lacerazioni più o meno profonde dei tessuti cutanei e sottocutanei del condannato, che poteva andare incontro a perdite ematiche consistenti e a traumi gravi che ne comportavano la morte.
Di tutti i sistemi giuridici, soltanto la legge romana sanciva esplicitamente che la vittima dovesse spirare in croce e che quindi occorresse evitare che la sua morte in questa fase preliminare. Ad ogni modo il supplizio determinava un notevole indebolimento dell'organismo, destinato ad accentuarsi con la prova successiva cui il condannato era costretto: portare il patibulum sulle spalle fino al luogo della crocifissione.
Le braccia del condannato erano distese e legate con corde all'asse trasversale della croce, appoggiato sulle sue spalle. Una scritta che specificava il crimine di cui si era macchiato gli veniva appesa al collo e in queste condizioni si doveva compiere il tragitto fino al luogo del supplizio finale.
A causa del peso non trascurabile del patibulum, della già subita fustigazione e delle asperità del terreno, era molto probabile che lungo il percorso il condannato cadesse più volte a terra con la faccia in avanti; il fatto di avere le braccia distese e legate all’asse trasversale gli impediva di proteggersi il viso.
Una volta giunto al luogo della crocifissione, comunque, gli veniva data una mistura di mirra e vino acre, allo scopo di alleviargli parzialmente il dolore.
Disteso con la schiena a terra, le mani del condannato erano fissate alla croce mediante chiodi ed eventualmente assicurate meglio legandole al patibulum con pezze di stoffa annodate.
I chiodi venivano conficcati all’altezza della prima piega del polso, quindi le varie rappresentazioni pittoriche o scultoree che vediamo sono dal punto di vista della “messa in atto della pena” errate. Alcuni medici/scienziati hanno fatto esperimenti accertando che i chiodi piantati nelle mani, provocavano dopo 3-4 minuti la lacerazione dei tessuti e di conseguenza la caduta dalla croce.
Le ginocchia erano piegate, con il destro sovrapposto al sinistro. Il busto, girato di lato, sedeva su un appoggio. Le braccia erano distese verso l'esterno, ciascuna fissata con un chiodo.
Una volta sulla croce, il condannato poteva sopravvivere per periodi variabili, in dipendenza di una serie di fattori: robustezza e costituzione fisica, età e stato di alimentazione, intensità della fustigazione e dei maltrattamenti subiti in precedenza, quantità di sangue e di liquidi corporei perduti, numero e gravità delle ferite riportate.
Secondo la maggior parte degli autori, la morte sopraggiungeva di solito dopo diverso tempo, da uno o due giorni fino a quattro o cinque.
La morte:
L'asfissia aumentava progressivamente, come era evidente dal fatto che la gabbia toracica si dilatava al massimo e la zona epigastrica si faceva estremamente concava... La pelle diventava violetta. Una sudorazione abbondante cominciava in tutto il corpo, cadendo a terra e bagnando il terreno. Era particolarmente abbondante, in maniera straordinaria, durante gli ultimi minuti prima della morte.
Un'altra osservazione, relativa a un individuo appeso per i polsi, rivelò un pallore diffuso in pochi minuti, respirazione superficiale, caduta della pressione sanguigna e della frequenza cardiaca, pronunciata diminuzione della capacità vitale: tutti segni in accordo con l'ipotesi di una morte per asfissia.
In un esperimento effettuato di recente (Scott, 1995) questo quadro è stato sostanzialmente confermato: un individuo crocifisso con chiodi ai piedi tenderebbe a sollevarsi finendo per assumere una posizione asimmetrica, ma lo sforzo dopo un po' porterebbe a un'iperestensione dei polmoni, a disidratazione, ipovolemia e acidosi respiratoria e metabolica.
Si produrrebbero crampi muscolari, mentre si acuirebbero il dolore delle ferite e il senso di sete. Con il passare del tempo aumenterebbe la fatica di tirarsi su e i momenti di riposo si distanzierebbero, finché alla fine si cederebbe all'asfissia.
A favore dell'ipotesi della morte per difficoltà respiratorie si erano pronunciati anche altri autori nel 1963, sebbene sia da segnalare che quindici anni dopo alcuni specialisti americani hanno sostenuto che questo non sarebbe altro che un cofattore all'interno di una situazione più complessa, che prevederebbe anche insufficienza cardiaca e versamento pericardico.
Un cedimento del cuore è stato suggerito oltre cento anni fa e riproposto da autori recenti; mentre embolia coronarica successiva a ipovolemia, ipossiemia e turbe della coagulazione, in grado di determinare infarto miocardico, è al centro della tesi avanzata nel 1986 sul JAMA da un gruppo di specialisti americani.
Alla metà del secolo scorso è stato teorizzato che la morte per crocifissione fosse dovuta a insufficienza cardiaca secondaria a uno shock prodotto dallo sfinimento, dal dolore e dalla perdita di sangue: posizione condivisa integralmente da vari cardiologi (1964) e altri specialisti all'interno di quadri più articolati.
Sull’argomento si sta studiando ancora oggi….
La scena vuole rappresentare il Cristo crocifisso e due soldati romani a guardia della croce, a sinistra il Longino che leggenda vuole sia stato colui che inferse il colpo al costato, l'altro un normale soldato romano. Quest'ultimo sarà una curiosità, ma non voglio anticiparvi nulla, al momento della colorazione vi spiegherò
Il terreno è stato lavorato con del comune das, poi una volta asciutto, l'ho dipinto a pennello con un fondo marrone scuro e ad areografo con del colore giallo/sabbia e man mano a schiarirlo nella tonalità che mi piaceva di più.
Siamo in estate in palestina, quindi, molto sole e terreno chiaro, i sassi un po' sono della basetta, qualcuno gliel'ho aggiunto io.
Ai piedi della croce si può notare la sacca con "presumibilmente la mistura di mirra e vino acre, le corde per l'innalzamento della croce e il martello con il quale sono stati piantati i chiodi. (quest'ultimo andrà ancora lavorato con lavature tipo gun metal).
Il legno della croce:
Ho dato ad areografo una base acrilica fatta da ocra e bianco in modo da ottenere un beige. Questa è la base per il legno, con più il beige è scuro con più i passaggi color legno risulteranno scuri, ovviamente vale il discorso inverso per un legno chiaro. Ho pensato al legno scuro e grezzo immaginandomi che sicuramente non fosse legno pregiato.
Dopo il beige ho lavorato il legno ad olio, prima con della terra d'ombra scura, con un pennello piatto in modo da simulare le venature del legno, poi con del bruno va dick sempre a pennello piatto. Quest'ultimo ancora fresco l'ho "tirato" con una spugnetta che si trova all'interno delle scatole dei soldatini, ma credo amche nelle scatole degli after in resina